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Autore: lapervincachescoppietta    15/11/2013    0 recensioni
Non sarebbero mai arrivati, dopo un’ora circa sentii un’esplosione, così forte che mi fece male alle orecchie, mi nascosi sotto un letto, avevo paura; quando finalmente quell’onda d’urto fu finita, mi diressi verso la porta di quella piccola città; non sapevo cosa avrei trovato. Provai ad aprire la porta e questa si aprì con un leggero cigolio, fuori c’era silenzio. Il luogo era ricoperto e nascosto da uno spesso strato di fumo; gridai forte, nessuno rispose.
Genere: Drammatico, Science-fiction, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco nuovo capitolo, spero vi piaccia. Scritto sempre con sottofondo Ellie Goulding. 

Pervi_

Sapete, all’inizio non sapevo quale sarebbe stata la prova più grande che avrei dovuto superare, ero abbastanza preparata, ero una scout, tecnicamente sapevo cosa avrei dovuto fare; non c’erano animali da affrontare, erano morti pure loro, ma qualcosa c’era. Solo dopo aver passato un anno in queste condizioni, mi resi conto che la prova più grande era la mancanza di compagnia, la solitudine. Cercavo di non pensare ai miei amici e alla mia famiglia, ma qualche volta quei pensieri si insidiavano nella mia mente e non se ne andavano per giorni; erano proprio quelli i giorni in cui davo sfogo alle mie lacrime, trattenute per lunghi periodi.
Ero abituata, mi svegliavo presto per prendermi cura dell’orto grazie a cui andavo avanti, insieme alla carne congelata; subito dopo studiavo, imparavo tecniche mediche per curarmi nel caso in cui mi fossi fatta male, imparavo come conservare il cibo e imparavo a cavarmela da sola. Leggevo, tanto, ma non ero arrivata a neanche un terzo di quella libreria enorme. Andavo a letto presto, tanto non avevo una televisione che mi tenesse sveglia, a quello ci pensavano gli incubi.
Piano piano perdevo la voglia di vivere, volevo ricongiungermi alle persone della mia vecchia vita, forse ero egoista, ma non mi importava. Poi c’erano le voglie, voglie di un hamburger di McDonald’s o voglia di vedere i miei programmi preferiti, ma erano voglie che non potevo soddisfare. Volevo amare ed essere amata, fin da piccola volevo farmi una famiglia e pensando al futuro sapevo che non sarebbe stato possibile. 
Molto spesso faccio mente locale di quello che è successo, oppure sbatto così forte la testa contro il muro che sanguina e mi fa male, ma vorrei poter smettere di sognare; magri fossi morta con loro, con i miei amici e la mia famiglia. Mi ricordo che prima di venire a visitare il bunker parlavo con una mia amica su cosa avremmo fatto se fossimo state sole sulla Terra, io risposi che avrei costruito un enorme LunaPark tutto per me. Alla fine sulla Terra sola ci sono rimasta, qualche volta dico che sto sognando ad alta voce, come se potesse far avverare le cose. Parlo solo in questi casi, o per farmi interrogare dai pesci nell’acquario.  Parlo così poco che quasi mi dimentico come si fa, come si parla? Ma mai mi dimentico come si scrive, perché è una delle poche cose della mia vecchia vita che mi è rimasta.
-Charlie, forza devi essere forte, fra qualche anno morirai, ti ricongiungerai con la tua vecchia vita. – Mi dico spesso; perché non mi uccido? Perché so che le persone che sono lassù non vorrebbero, vorrebbero che ce la mettessi tutta per vivere, ed è quello che sto facendo.
Ho preso una decisione, fra qualche giorno partirò; sono ormai quattro anni che sto chiusa qui sotto con unico spostamento nell’orto di sopra. Ho fatto molte ricerche, le bombe atomiche forse hanno risparmiato qualcun altro, esistevano altri bunker a prova di bomba atomica nel mondo. Parto per cercare nuove risorse, parto per cercare compagnia, parto per non restare sempre ferma.
Lo zaino è già pronto; bussola, cartine del vecchio continente americano, borraccia, tenda e il mio diario; ho portato molto cibo e ho piantato una bandiera nel punto dove mi nascondo da anni, per ritrovarlo o per segnalarlo ad altri, non lo so.
Forse non voglio aspettare qualche giorno; penserete che io abbia paura, ma non ne ho, che possa sentire la mancanza di un posto sicuro, ma non la proverò; non vedo l’ora di andarmene. Inserisco anche dei vestiti, pantaloni comodi per camminare, e tante maglie. Porto tutto ciò che mi serve per trasferirmi in un altro luogo, anche dei semi da piantare; semi di frutta e verdura, ma anche semi di alberi, per ripopolare la Terra di verde. Non so dove mettere tutti i libri che vorrei portare; porto i manuali medici e gli appunti presi dai libri di giardinaggio, qualche libro da leggere nei momenti di noia.
Ovviamente con me ho un carretto per portare ciò che non riesco a portare, sono pronta. Saluto i pesci che mi interrogavano e saluto i libri che mi hanno sempre assistito; addio, dico loro; saluto anche il luogo dove dormivo e mi ricordo di prendere un saccopelo e un cuscino gonfiabile.
Addio a tutto, addio e benvenuta vita da mendicante, vita da nomade, addio a tutto.
Esco di lì, non piango, ma guardo il cielo e mando un bacio, in risposta un ventata di vento mi viene incontro.  Guardo davanti a me e mi incammino con la bussola in mano, senza guardarmi indietro. Cammino e cammino con il carretto attaccato allo zaino che mi pesa sulle spalle.
Cammino finché non vedo il sole calare, credo di aver fatto circa dieci kilometri, ma non ne sono certa, qui è tutto uguale, niente verde o altro, solo un deserto di terra. Non bevo acqua, non posso sprecarla, sento la fatica, ma mangio solo un pezzo di pane, primo pasto della giornata.
Pianto la tenda e sistemo il saccopelo, non ho voglia di dormire quindi guardo la cartina, guardo la scala e il luogo dove si trova il bunker; calcolo che ad una ventina di kilometri da lì c’è o c’era un lago, ho ancora molta acqua, ma prima o poi si esaurirà. Guardo anche dove mi trovo dovrei essere sul confine tra Canada e Stati Uniti. Forse è meglio che dormo, dopotutto ne ho bisogno.
Dormi, Charlie, dormi,
nessuno ti farà del mal,
fai dei bei sogni,
il sonno ti abbraccerà.
Fatti cullare dalle braccia di Morfeo,
dormi, Charlie, dormi,
fai dei bei sogni,
fatti da me cullar.
 
Ogni notte cantavo la Ninna Nanna di sua madre, riuscivo a non dimenticarla così; non dimenticarla come aveva dimenticato il nome di sua sorella e di suo padre, sua madre di chiamava Stella, Stella Richardson, il nome di sua sorella incominciava con la N, invece di suo padre non ricordava niente, neanche l’aspetto fisico; probabilmente lei gli assomigliava molto, probabilmente gli stessi capelli biondi quasi bianchi, invece gli occhi grigi li aveva presi da sua madre.
Non le mancavano i suoi genitori in fondo, non avrebbe mai voluto che subissero anche loro quest’agonia. 

Spero vi sia piaciuto, 

Sofis_
  
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