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Autore: Alchbel    15/11/2013    1 recensioni
Happy Thadastian Week!
Day 1: Cliché. Sebastian odiava i cliché. Per lui erano la cosa più stupida che si potesse fare, quella scontata per antonomasia.
Day 2: Parigi. In realtà, vedeva appena quello che lo circondava: le persone che lo affiancavano, le voci che disturbavano il silenzio contemplativo, il movimento, tutto era filtrato ai suoi occhi dal ricordo dell'ultima volta che era stato lì, mesi prima.
Day 3: In un'altra vita. La foresta era sbattuta da soffi gelidi, le piante arrancavano sotto il peso delle grosse gocce di pioggia, ma ciò che atterrì l’animo di Sebastian fu la vista di una grande quercia spaccata a metà e con la chioma in fiamme.
Day 4: Lezioni noiose. Nulla aveva mai fatto nascere tanta noia in Thad Harwood come le lezioni di Geografia il mercoledì mattina.
Day 5: cucina. «Non ci credo».«È uno stereotipo vecchio e superato, Thad».«Non è uno stereotipo, è più… una tradizione».«No, è un cliché che andrebbe eliminato. Non tutti i francesi sanno cucinare»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Day 5: Cucina.

 

And then I go and spoil it all by saying something stupid like "I love you".

 

Thad parcheggiò la macchina nel vialetto di casa e restò qualche istante in silenzio, assaporando quella sensazione di quotidianità a cui una parte di sé faceva ancora fatica ad abituarsi: quella era casa loro, sua e di Sebastian, ci abitavano da due mesi, quattro giorni e una decina di ore e stavano bene. No, di più, alla grande.

Sebastian aveva cominciato a lavorare in uno studio legale a mezz’ora di macchina da lì e lui poteva finalmente definirsi un fotografo professionista, che tornava a casa da un’intensa giornata di lavoro. Se qualche anno prima gli avessero detto che avrebbe visto tutto quello, non ci avrebbe creduto.

Sorrise, scendendo dalla vettura, e si accorse che la macchina di Sebastian era già in garage – succedeva di rado che tornasse prima di lui a casa e la cosa lo mise di buonumore, almeno fino a che, dopo aver appena fatto qualche passo lungo il vialetto di mattoncini, non sentì una puzza di bruciato e vide una colonna di fumo scuro che sembrava provenire dalla porta sul retro.

Oddio, pensò, correndo con un principio d’attacco di panico verso l’entrata: l’allarme antincendio era un trillo ad intermittenza che pompava nervosismo e tensione nelle sue vene; recuperò un vecchio estintore dallo sgabuzzino ricavato nel sottoscala e quando fu in cucina gli occhi già lacrimavano per l’intensità di quella nube scura. Qualcosa stava decisamente bruciando, all’altezza dei fornelli.

«Sebastian?! Sebastian?!», chiamò, aspirando più fumo di quello che avrebbe voluto «Come diavolo si usa questo coso?».

Lesse rapidamente le indicazioni sull’etichetta bianca dell’estintore.

-          Tira il fermo. Questo sblocca la leva per l’utilizzo e permette all’agente estinguente di – si certo.

-          Punta in basso. Indirizza il getto dell’estintore alla base del fuoco -  ovvio.

-          Schiaccia la leva. Scarica l’agente estinguente – okay, so che cosa significa.

-          Passa il getto da destra a sinistra e viceversa. Muoviti con attenzione – Cielo!

Thad seguì velocemente quei pochi passaggi, scaricando in pochi secondi l’agente estinguente su tutto il piano cottura. In breve rimase soltanto il fumo nero ad impregnare la stanza. Quando cominciò a dissolversi, ciò che vide lo fece sudare freddo e gli tolse il pavimento da sotto i piedi.

Sebastian era steso a terra, privo di conoscenza. Non sembrava ustionato o ferito in alcun modo, ma Thad si fece prendere completamente dal panico.

«Bas?», chiamò, scuotendolo «Sebastian? Sebastian!», gridò più forte, disperato perché l’altro non accennava ad aprire gli occhi.

 

~

Quella mattina.

 

«Non ci credo».

«È uno stereotipo vecchio e superato, Thad».

Il ragazzo lo guardò sconvolto, poi si rigirò tra le lenzuola, poggiandosi al suo petto, con il viso risolto al soffitto.

«Non è uno stereotipo, è più… una tradizione».

«No, è un cliché che andrebbe eliminato. Non tutti i francesi sanno cucinare: ti sembro il tipo da divisa e toque blanche?», borbottò Sebastian, arruffandogli svogliatamente i capelli.

«No, ma… quindi neanche la “Ratatouille”?».

«Neanche la “Ratatouille”»

«E la “Bouillabaisse”?».

«Hai idea di quanti tipi diversi di pesce ci vogliono per prepararla?».

«Non mi dispiacerebbe», congettura l’altro, più per prenderlo in giro che perché abbia davvero voglia di un simile piatto – soprattutto a quell’ora della mattina.

«Ti porterò in un ristorante di cucina francese e la ordineremo».

Thad rise – era un buon compromesso, ma si sarebbe divertito di più a prenderlo in giro ancora un po’ sulla sua mancanza di abilità culinarie.

«Sicuro di essere francese?», scherzò ancora.

«Signor Harwood, è tempo di alzarsi e andare a lavoro», fece serio Sebastian, scostando il piumone da dosso e lasciando entrambi disarmati all’impatto con l’aria fredda.

«Odio quando fai così», mise il broncio Thad, ma l’altro gli stampò un bacio dolce sulle labbra.

«Hai cominciato tu», gli soffiò, troppo vicino, per poi spostarsi prima che l’altro potesse farlo cadere di nuovo sul letto.

 

Sebastian Smythe non aveva mai comprato così tanto pesce in vita sua. Guardava ancora la lista della spesa – confrontandola con lo scontrino per essere certo che non avesse dimenticato nulla – e non riusciva a credere al fatto che avesse preso dieci – dieci – tipi diversi di pesce. Avrebbe potuto aprirci un negozio e rivenderli.

Sì, era un pensiero da drama queen, ma mentre metteva in moto e si dirigeva a casa, Sebastian pensava che quello di drama queen sarebbe stato il comportamento migliore per mascherare l’isteria che gli sarebbe presa a breve, davanti ai fornelli.

Si era informato, non appena Thad gli aveva lasciato campo libero uscendo di casa ed aveva trovato una buona ricetta per la Bouillabaisse: dopo essersi quasi sentito male per la quantità di ingredienti, aveva fatto una lista ed era partito alla ricerca di pesce, aromi e spezie varie. Si era sentito sicuro di sé solo alla scelta di un Muller-Thurgau d’ottima annata – il resto si preannunciava un disastro.

Per l’occasione aveva fatto prevalere anche la sua vanità, giusto un po’, comprando un bellissimo toque blanche con tanto di divisa. Aveva chiamato lo studio, mettendo su una scusa e ottenendo facilmente dal suo capo la giornata libera, dopodiché si era messo all'opera.

«Pulite, lavate e tagliate a dadini il sedano e la carota», lesse velocemente «Mettete sul fuoco una casseruola con l'acqua salata ed aggiungete il porro tagliato ad anelli, 3 grani di pepe – sì, d'accordo tutti gli aromi».

Mise a bollire sul fuoco una casseruola e pian piano aggiunse tutti gli aromi secondo l'ordine della ricetta e alla fine le teste di San Pietro, scorfano ed orate, il tutto fischiettando: il fatto che non avesse mai cucinato una cosa simile non voleva dire che non potesse farlo, si poteva sempre imparare.

Il suo ottimismo durò i primi trenta minuti, il tempo che il brodo di pesce fosse pronto. L'approccio al frullatore ad immersione, per ridurre tutto a purea e quindi creare la base definitiva del piatto, fu alquanto problematica, soprattutto quando per sbaglio lo azionò prima del tempo, schizzando brodo un po' ovunque.

«Dannazione!», sbuffò, guardando gli schizzi che aveva sulla divisa e sul volto.

Trattenne altre imprecazioni mentre si sciacquava il viso e passava al pesce. Lo osservò, come se si aspettasse un'illuminazione divina, qualcosa come un cartello con su scritto “hey, per pulirmi comincia da qui”, ma tanto le seppie quanto i totani restavano in un silenzio quasi ostile.

Sebastian li squadrò dall'alto in basso con aria di sfida, poi si rimboccò le maniche, infilò dei quanti in lattice e prese la prima seppia, mettendola sotto il getto d’acqua. Da quel che ricordava, doveva innanzitutto estrarre l’osso che si trovava dentro, poi doveva fare attenzione all’inchiostro e togliere via le interiora. Infilò un paio di dita nel corpo del pesce e sentì chiaramente il duro dell’osso che fortunatamente se ne venne via con una certa semplicità.

Sorrise: se le cose stavano così, non avrebbe avuto troppi problemi… almeno finché la sacca d’inchiostro non gli esplose tra le dita e improvvisamente la sua vista divenne a chiazze nere.

«Dio!», esclamò, lasciando cadere la povera seppia e prendendo il più vicino panno da cucina per pulirsi viso ed occhi. Quando questi smisero di lacrimare, alternando imprecazioni e suppliche riuscì a pulire le seppie rimaste per poi passare ai totani, fortunatamente più facili.

Dopo quelle che a lui sembravano ore, Sebastian mise a rosolare i pesci in una padella con olio, aglio e cipolla, tirando un grosso sospiro di sollievo: un’altra cosa fatta.

Stava per prendersi cura degli altri pesci, partendo dai san Pietri e dagli scorfani, quando il telefono di casa squillò. Il ragazzo sbuffò sonoramente allontanandosi dalla cucina e rispondendo una volta riconosciuto il numero sul display.

«McDevis

«Smythe, grazie al cielo hai risposto!».

«Che succede?»

«Di tutto! Il capo non trova alcune pratiche che andrebbero archiviate entro il fine settimana, Molly dice di averle viste l’ultima volta nei faldoni appositi, ma non sono ancora saltate fuori e allora mi sono chiesto-».

«Qualunque esse siano, non le ho qui. Avviso sempre prima di portarne una a casa», rispose alquanto seccato Sebastian. McDevis era un tipo apposto ma troppo confusionario sia nei modi di porsi che nei gesti, gli faceva venire mal di testa solo a guardarlo.

«Immaginavo fosse così, ma ho preferito provare…». Sebastian poteva immaginarlo gesticolare con le mani, mentre camminava nel poco spazio del suo ufficio come un criceto in gabbia.

«Avete controllato nell’ufficio di Sanders? Solitamente controlla le pratiche prima di archiviarle, magari sono ancora lì».

«Abbiamo controllato, ma nulla», sospirò l’altro.

Smythe cercò di pensare ad un posto semplice in cui quelle carte potessero essere finite: i suoi colleghi nell’ufficio legale non brillavano per intelligenza, quindi la soluzione non sarebbe dovuta essere troppo complessa. Improvvisamente gli si accese la proverbiale lampadina.

«La fotocopiatrice. Avete controllato accanto alla fotocopiatrice? Alcune pratiche andavano spedite per fax e bisognava farne delle copie. Se come credo è stato Senders a farle, molto probabilmente si sarà distratto, dato che il macchinario è giusto di fronte alla porta dell’ufficio di Ellie», il tono di Sebastian ora era annoiato e saccente.

Sentì l’altro trattenere il fiato per qualche istante, mentre andava a controllare, per poi esultare sonoramente – non escludeva che stesse saltellando con i fascicoli tra le mani tozze.

«Sei un genio, Smythe! Un genio!», gridava.

Normalmente, il ragazzo sarebbe stato lì a prendersi tutti gli elogi che sarebbero arrivati, ma un improvvisa puzza lo riscosse. Le seppie e i totani!

«Certo, certo. Ora devo andare!», attaccò con fretta e corse in cucina, ma il disastro era già troppo grosso: il contenuto della padella bruciava, così come, soprattutto, il panno da cucina con cui si era pulito dall’inchiostro e che aveva inavvertitamente lasciato troppo vicino alla fiamma del fornello.

Sebastian cercò di non andare in panico e si mosse per recuperare un vecchio estintore che ricordava aver messo nel sottoscala, in soggiorno. Fu maldestro come solitamente non era mai – e in seguito avrebbe dato la colpa al principio di incendio – nel non rendersi conto di aver lasciato l’anta del congelatore aperto nella fretta di rispondere al telefono.

La prese in pieno ed ebbe appena il tempo di sentire un dolore lancinante alla testa che divenne tutto improvvisamente nero.

 

~

 

Quando Sebastian riprese conoscenza, la prima cosa che notò era l’asfissiante odore di disinfettante che appestava la stanza, dandogli un senso di vomito. Era certo che quella non fosse casa sua, a meno che Thad non avesse deciso di lavare tutte le superfici con l’alcool.

Si mosse con lentezza e si accorse di essere in un letto che non riconosceva di una stanza che non riconosceva e che era decisamente troppo bianca per lui. Fu solo quando vide la flebo al braccio e il tubicino d’ossigeno al naso che si allarmò completamente.

Per fortuna, un viso familiare entrò nel suo campo visivo appena in tempo, quando Thad alzò la testa dal bordo del letto su cui era poggiato. Gli sorrise – sembrava stanco – e gli prese la mano.

«Hey», lo salutò, fu appena un sussurrò.

«Hey», gli rispose Sebastian, cercando di capire dal suo viso quanto fosse grave la situazione – ormai aveva capito di essere in un ospedale. Il resto però non era ancora abbastanza chiaro «Che cosa è successo?».

«Hai dato fuoco alla cucina», gli rispose secco Thad, senza staccare gli occhi dai suoi.

«Opss…». Sì, ricordava vagamente di una padella bruciata e di un panno da cucina in fiamme.

«“Opss”? Che diavolo avevi intenzione di fare?!».

«La Bouillabaisse…? Stavo preparando i vari tipi di pesce quando… devo essere sbattuto contro qualcosa…», si tastò la fronte col braccio libero: doveva avere un brutto livido su tutta la fronte, perché sbatteva come se ci fosse una vena principale.

«Ti ho trovato privo di sensi, mentre la cucina andava a fuoco! E tutto perché hai improvvisamente deciso di cucinare?!».

«L’hai detto tu che è una tradizione…»

Thad sembrava folle, gli occhi lampeggiavano di rabbia come Sebastian non li aveva mai visti fare. Doveva essere furioso oltre che tremendamente spaventato.

Aveva chiamato l’ambulanza subito dopo aver spento il fuoco ed aveva provato a far rinvenire Sebastian per tutto il tempo, senza successo: la cosa lo aveva terrorizzato. Solo quando i paramedici lo avevano caricato nella vettura aveva potuto tirare un sospiro di sollievo, dal momento che, a quanto pareva, la perdita dei sensi era dovuta al fumo più che alla botta alla testa. Al pronto soccorso era stato chiaro che la situazione non fosse affatto grave grazie ad una TAC e i medici avevano deciso che lo avrebbero tenuto in osservazione solo per sicurezza.

«So che cosa ho detto, ma volevi rimanerci secco per preparare una stupida cena?!». Stava gridando, la voce spezzata dal panico che ora stava tornando a farsi sentire al solo ricordo della scena.

Sebastian era senza fiato, non aveva idea di cosa dire, probabilmente non riusciva neanche a rendersi conto di quanto avesse rischiato.

«Lo sai che ti amo?», sussurrò semplicemente.

Thad si bloccò all’istante, guardandolo.

«E questo… e questo che cosa c’entra?», borbottò, ma sentiva la tensione lasciarlo rapidamente.

«Nulla, ma sembravi sul punto di un attacco di panico e ho pensato di farti almeno prendere fiato», si giustificò l’altro, con un sorrisetto sfrontato.

«Sia ben chiaro: è solo un time-out. Non ho ancora finito», acconsentì Harwood, prima di baciarlo e stendersi accanto a lui sul letto d’ospedale.

«Stava venendo bene», sussurrò Sebastian, riferendosi al piatto di pesce.

«Non ci credo. Sarà stato un disastro», risposte a tono Thad, ridendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Questo Day 5 è stato un disastro completo, peggiore di quello che ha fatto il povero Sebastian in cucina (e prevedo che saranno ancora peggio gli ultimi due giorni); ma sul filo del rasoio sono riuscita ad aggiornare! Cosa ne sia venuto fuori, beh, quella è tutt’altra storia.

Dunque… è anomala, come shot, lo so. Il punto è che non sono brava col fluff/romantico e questo prompt mi ispirava solo quello, quindi ho dovuto dare un taglio drastico alla cosa e buttarmi su tutt’altra storia. Non so se Sebastian si sia mantenuto IC stavolta, la sua goffaggine in cucina è alquanto… compromettente, quindi ai posteri ardua sentenza (come al solito a me non convince nulla di tutto questo).

As always, il titolo è tratto da “Something stupid” di Sinatra ^^

 

So… un grazie a tutti coloro che si stanno interessando a questa week (risponderò a tutte le recensioni non appena avrò un istante libero, promesso ^^’’) e a domani (si spera) col Day 6: Regalo di compleanno!

 

Alch

   
 
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