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Autore: Rubus idaeus    16/11/2013    3 recensioni
"Salve. Mi chiamo Oscar François de Jarjayes. Pronti per lo shock? Sono una donna. Ebbene sì, sono una donna, malgrado il mio nome sembri smentirlo. No, non sono lesbica. Mio nonno, nel testamento, ha lasciato scritto di desiderare con tutto il cuore che, se fosse morto prima di veder nascere un nipotino, i miei genitori dessero alla creatura il suo nome, alias, Oscar François. Dato che a mia madre, per una serie di complicazioni dovute al parto e diverse operazioni subite in seguito, è stato detto che non avrebbe più potuto avere figli, i miei hanno deciso di chiamare me con il nome del nonno."
Ho trovato questo testo nei meandri del computer e rileggendolo mi ha fatto sorridere, così mi è venuta la stramba idea di pubblicarlo. Chi sarebbero i protagonisti dell'anime nel mondo di oggi? Quali intrighi e segreti si celano tra i lussuosi corridoi dell'albergo? Passioni, imbrogli, rivalità, odi, amori, amicizie, sorprese...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Marie Antoinette, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono le sette e sette esatte.
Entro furtivamente nel bar dopo essermi tirata su la sciarpa fin sopra il naso. Mi guardo attorno cercando Rosalie che stranamente non è al bancone. 
L'atmosfera che mi circonda, questa lieve foschia di fumo di sigarette che aleggia semitrasparente nell'atrio, mi ricorda fortemente un film di cui non mi sovviene il titolo. Ah già... C'era una volta l'America. Sì, sono immersa in un clima decisamente simile al quello del film. Mi voltò verso una doppietta di fidanzati che ridacchiano guardando un tablet. La loro aura di tenerezza stona con l'atmosfera tesa e malinconica del bar. 
Una mano mi afferra di colpo con forza il braccio.
-Nel retro, Oscar.
Mi intima in un sussurro irrequieto Rosalie indicandomi una porta semi nascosta dagli scaffali dei liquori, proprio dietro alla cassa.
Varco quella soglia con estrema cautela misurando i passi e perfino il respiro. Non mi sento sicura da quando sono uscita dall'Albergo. In ogni caso, procedo a passo felpato verso l'unica porta a cui il corridoio conduce: l'uscita secondaria.
Esco al freddo nella stradina cieca di proprietà del bar, lasciandomi investire da una raffica di vento così gelido da mozzam i il fiato. Davanti a me Bernard si allontana una Marlboro dalle labbra e mi scruta indagatore come se non fosse sicura che io sia davvero io.
-Oscar....
La prendo come una domanda e rispondo decisa:
-Si.
Lui, con calma, getta la sigaretta a terra anche se ancora non l'ha consumata dal tutto e la schiaccia delicatamente con la scarpa.
-Cosa hai in mente? Come posso aiutarti?
Mi aggiusto nervosamente il colletto del cappotto, lanciando delle occhiate scrutatrici intorno a me.
-Ti travestirai da cameriere, prendendo il nome di André Grandier. La contessa Polignac ogni sera ordina la cena in camera; sarai tu a portargliela. Poi ti ordinerà dello Champagne: tu portale questa bottiglia.
Apro la giacca e porgo con decisione la bottiglia a Bernard, poi continuo più sicura:
-Se tutto andrà bene, lei sarà con un uomo.
-Come fai a sapere che ordinerà lo Champagne?
Aggancia immediatamente appena io concludo la mia frase. Giusta osservazione, penso sorridendo.
-Vedi, Bernard,
Comincio fissandomi incerta le punte delle scarpe e facendo ruotare la caviglia del piede destro sul tacco.
-La Polignac ha un debole incontrastabile per lo Champagne dell'Albergo Versailles, perchè è uno Champagne particolare: è prodotto dalla famiglia Borbone ed è riservato esclusivamente e senza eccezioni all'Albergo. Se la Polignac ha intenzione domani di tagliare la corda, non potrebbe mai rinunciare a brindare la sua ultima sera all'Albergo con il suo amato Champange.
-E se non lo ordinasse?
Non rispondo, so bene che lo ordinerà, è una certezza per me.
Sospira poi mi sorride rassicurante. Ci guardiamo a lungo, senza parlare, eppure non ci pesa questo silenzioso scambio di sguardi. Mi chiedo a cosa stia pensando guardandomi, quali pensieri gli attraversano la mente. I suoi occhi sono vividi, inquisitori e curiosi, proprio come quelli di Andrè, e altrettanto impenetrabili.
-I tuoi occhi parlano, Oscar, lo sai?
Devio lo sguardo da lui immediatamente a quelle parole, sentendomi il sangue defluire bollente sulle gote.
La stessa, identica frase me l'aveva detta Andrè anni addietro. All'epoca non ci avevo creduto, ci avevo riso sopra e me ne ero dimenticata, ma col tempo mi sono resa conto che André riusciva davvero a leggere i miei pensieri semplicemente immergendo le sue pupille nelle mie. E forse è per questo che ci siamo così tanto allontanati ultimamente, perchè io non sopportavo l'idea di essere capita , non volevo condividere le mie emozioni con nessuno all'infuori di me stessa.
Tiro su col naso.
Accidenti, non dirmi che mi sta venendo il raffreddore!
-Beh,
Incalza.
-Meglio che tu torni all'Albergo ora, giusto?
Gli rivolgo nuovamente gli occhi stranita. 
-Come? Ah si, certo.
Incespico un po', poi mi riprendo.
-Grazie Bernard.
Gli regalo un sorriso riconoscente, sforzandomi di essere più dolce che posso.
Lui contraccambia con gentilezza e in quel momento non posso fare a meno di pensare che, se fino a quel preciso istante mi era seriamente sembrato di avere André davanti agli occhi,  loro due non si assomigliano per niente. Il sorriso di Andrè è la cosa più bella del mondo.
Oddio.
L'ho pensato davvero.
Che mi prende?
  
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