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Autore: Kumiho    17/11/2013    3 recensioni
Kise aveva aperto i palmi e li aveva appoggiati sulla sua schiena quando aveva parlato: l’aveva sentita vibrare appena ed irrobustirsi un po’ sotto i suoi sospiri svogliati. Vi aveva poggiato la fronte contro non appena Aomine si era dato la prima spinta sui pedali, e, insieme, erano scivolati nella sera, tra le gocce di pioggia pungente e quel calore al cuore che non scemava nemmeno con quel vento fresco e frizzante, rassegnato all’idea di amarlo come non aveva mai amato nessuno prima di allora.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Ryouta Kise
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Se in un primo momento, Kise, aveva ritenuto quella sbornia una benedizione per il proprio orgoglio, dovette ricredersi  non appena si rese conto che, in quelle condizioni, apprezzare quel magico momento - e tutte le fortunate opportunità che avrebbe comportato-  sarebbe stata un’impresa irrealizzabile: a causa della confusione che gli trapanava le tempie riusciva a malapena a tener gli occhi aperti, poggiandosi malamente alla spalla di Aomine; avvertiva però il tepore del suo braccio attorno alla vita e quell’unico tepore gli impediva l’abbandono alla nausea.
 
Aomine si era spinto con un’ultima, energica, pedalata, prima di scavalcare il sellino ed aiutarlo a scendere. I goccioloni della pioggia, ormai sempre più forte, erano pesanti e li ammaccavano entrambi. Kise riuscì a stento a scivolare via dal portapacchi della bicicletta prima che un’ondata di nausea lo travolgesse di nuovo; aveva strinto forte le stampelle per raddrizzarsi e non rovinare a terra, tanto che i palmi tornarono a bruciargli in meno di un attimo, rianimati dal quel vecchio fastidio; come unico sottofondo il borbottio scontento di Aomine, il clangore della bici contro il cancello del giardino e lo scroscio costante del vento e della pioggia.
 
Prima che il suo cervello riuscisse ad elaborare un qualsivoglia pensiero, si era sentito tirare per la giacca fradicia della divisa per poi essere circondato dalla stretta rude e tiepida di Aomine. Il cuore gli si era fermato nel petto per la centesima volta quella sera, ancora confuso se maledire o essere grato alla sua sbornia sgradevole. Mentre salivano i pochi gradini del condominio, tra l’eco dei loro passi nella stretta tromba delle scale e la nausea che gli si mescolava in gola ogni volta che apriva appena gli occhi o poggiava la caviglia dolorante a terra -giusto per non cadere-, Kise si accorse che la pioggia non aveva fatto altro che far risaltare ancora di più l’odore di Aominecchi, che ora sembrava avvolgerlo e pervaderlo in una morsa calda e piacevole, come il quel braccio che gli circondava la vita.
 
 
 
 
Aomine aveva, effettivamente, borbottato qualcosa sul conto dei propri genitori, su una cena importante e anche sulla fatica che avrebbe fatto per asciugare il pavimento d’ingresso, ma Kise non era riuscito ad afferrarne pienamente il significato: non appena aveva varcato la soglia di casa sua quell’odore stordente e delizioso lo aveva invaso dopo pochi secondi, rendendolo quasi dimentico di ogni disagio e di ogni dolore. Gli sembrò tutto talmente simile a ciò che aveva immaginato ogni volta, eppure completamente diverso: quando schiuse gli occhi per guardarsi attorno si stupì a tal punto della sobrietà del piccolo appartamento che si dimenticò all’istante di come se lo era sempre immaginato.  
 
Aomine  sollevò appena un piede all’indietro, per calciare leggermente la porta d’entrata, chiudendosela alle spalle, non allentando mai la presa su di lui, stringendogli il fianco con più energia e ricominciando a camminare. Kise sentì la bocca dello stomaco dolergli piacevolmente non appena le dita dell’altro gli solleticarono le costole, sorreggendolo con ancor più fermezza, mentre, imitandolo, si toglieva le scarpe fradice. Percorsero uno stretto ma breve corridoio prima di varcare una nuova porta, e il cuore di Kise si fermò di nuovo.
 
- Siediti sul letto. Vado a prendere degli asciugamani.-
 
 
 
 
Le lenzuola sfatte cominciarono ad inumidirsi sotto di lui, sotto la presa tremante delle sue nocche sbiancate. Kise ne saggiò la consistenza sotto i polpastrelli e sui palmi, sentendo il corpo accaldarsi e annegare nel torpore della meravigliosa consapevolezza di dove si trovava. Avvertiva la caviglia pulsargli leggermente e la sollevò appena da terra, tirandosi indietro -ancora di più- sul letto di Aominecchi; la testa gli girava ancora ma la nausea sembrava come scomparsa sotto quella tonnellata di felicità che gli gravava sul cuore. Quel limbo di calore confuso non sembrava molto diverso dalla sensazione che provava ogni volta che immaginava di trovarsi lì con lui, mentre gli sfiorava la schiena nuda con le dita, accarezzandogli una vertebra per volta.
 
Sul suo letto. Sdraiato. Dolorante. Bagnato.
Avvertì le guance accaldarsi appena, assaporando l’allettante analogia di quei singoli pensieri, lasciandosi scappare un sorriso mesto, e stropicciandosi gli occhi con fare ammonente subito dopo. Si sentiva come un vecchio pervertito alticcio, uno di quelli che trovi sulla metropolitana la sera, troppo deboli, stanchi e ubriachi per sfiorarti davvero ma che fanno ben intendere le loro intenzioni coi rossori congestionati, sguardi opachi e sudori freddi.
 
Disgustoso.
 
 
 
 
 
- Ohi. Ti sei addormentato?-
 
Kise aprì lentamente gli occhi che, divenuti sempre più pesanti poco per volta, si erano chiusi appena pochi secondi prima. Aominecchi era in piedi, davanti a lui. Indossava i pantaloni di una tuta ed una canotta bianca e -pericolosamente- aderente; Kise sentì la bocca riempirsi di saliva, ne sentiva il profumo solamente guardandola, il solito profumo di Aomine, lo immaginava risaltato, come la sua pelle scura contro il tessuto bianco che gli fasciava i fianchi ed il petto. Kise abbassò appena gli occhi per poi tornare immediatamente a guardarlo quasi incontrollabilmente: aveva ancora la pelle umida e i capelli gocciolanti, gli occhi sottili brillanti e profondi, e la sua solita aria stanca ed irosa. Scarmigliato e sempre più bello. Non riuscì a dire nulla nemmeno quando gli si avvicinò gettandogli in grembo dei vestiti con uno sbuffo saccente.
 
- Cambiati, mi stai infradiciando il letto.-
 
 
 
 
Si rese ben presto conto che l’aver covato dentro di sé ogni grammo di felicità, risultava vano messo a confronto con la sua nausea irritante, che sembrava non voler scemare mai: la testa aveva ricominciato a girargli vorticosamente non appena aveva mosso un passo, barcollante, verso il bagno e i vestiti di Aomine, anche se di poche taglie più grandi, lo facevano sentire ancor più gonfio e impacciato; la caviglia gli dolette insopportabilmente quando si tolse i calzini e i pantaloni, di un dolore che sembrava non volersi attenuare più… anche ora che aveva i vestiti di Aominecchi ad accarezzargli il corpo, anche ora che il suo odore lo circondava, penetrandogli nei capelli spettinati e nella pelle arrossata. Cercò di cambiarsi in fretta, lasciando la divisa fradicia a terra, sulle piastrelle fredde del bagno, più per imbarazzo verso se stesso che non per un desiderio fremente di tornare nell’altra stanza con lui.
 
Zoppicando riuscì ad attraversare il piccolo corridoio e rientrare nella camera. L’idea di aspettarlo cortesemente sulla soglia, non trovandovelo più, gli attraversò la mente per un attimo prima che un nuovo lampo di dolore gli percorresse la gamba, dalla caviglia fino allo stomaco. In fondo, ad un ubriaco, la scortesia era perdonabile -oltre che completamente indifferente a uno come Aomine-. Si mise nuovamente seduto sul letto, trovandolo appena umido, riuscì perfino a sentirsi un po’ in colpa tra le scariche di nausea e il dolore pulsante alle tempie. “Solo un po’. Solo fin quando non torna” pensò poi, lasciandosi andare al peso del proprio busto, sdraiandosi sul letto, accompagnato dal cigolio di alcune molle. Un sospiro compiaciuto si liberò dai suoi polmoni e il vortice di dolore e disgusto che gli attanagliava lo stomaco si attenuò non appena la sua testa poggiò sul cuscino.
 
Gli occhi gli si chiusero di nuovo, appesantiti dal sollievo e dalla stanchezza. Sentiva tutto quel profumo circondarlo, affievolendogli i malori di quella fastidiosa sbronza. Ogni nuova volta che lo annusava lo riscopriva sempre più buono dell’ultima e i vestiti di Aominecchi gli sembravano così comodi e caldi che perfino il dolore alla caviglia pareva quasi piacevole. Il cuore prese a battergli un po’ più velocemente al solo pensiero di quante volte si era immaginato in una situazione del genere, di quante volte aveva immaginato la sensazione dei suoi vestiti addosso, e quella della consistenza del suo letto sotto di sé.
 
- Aominecchi…- Sussurrò appena, come in una richiesta per farlo tornare lì.
 
 
 
 
 
Dapprima come un’eco lontana, che andava schiarendosi in modo impercettibile, Kise udì un suono confuso e bellissimo. Una strana cadenza lamentosa con un leggero sottofondo graffiante e pigro. Il suono divenne un po’ più chiaro pochi secondi dopo, e le note confuse e morbide presero la forma di parole, Kise si rese conto, nell’incoscienza, di non essere in grado di comprenderle, ma le riconosceva: dislocate ed estranee parti di un discorso. Il calore lo avvolgeva ancora, assieme a quel profumo delizioso e tiepido. Provò a muovere appena le dita, ma le scoprì pesanti quasi quanto le proprie palpebre. Il suono, intanto, con le sue parole confuse, si fece man mano più chiaro: era una voce.
 
- …sì, è qui da me ora… non lo so… credo che dorma…-
 
Kise lottò contro quel tepore accogliente, contro quel rumore ovattato e rilassante, e dischiuse appena le palpebre, cercando di rendere sempre più vivido tutto ciò che lo circondava. La luce aranciata della camera gli infastidì gli occhi per qualche secondo, prima che quel suono si facesse improvvisamente vivido e chiaro, perdurando in quel tono basso e caldo.
 
Quella voce. La sua.
 
-… Aominecchi…- Il suono della propria voce scivolò attraverso le labbra socchiuse, arrochito dal sonno.
 
-… ah, si è svegliato.-
 
Kise lottò contro la pesantezza delle palpebre, contro la luce morbida ma fastidiosa e pungente, riuscendo appena ad aprire gli occhi. Una minuscola scarica di dolore gli attraversò le tempie, dritta fino al centro del cervello. Mugugnò appena, portandosi una mano alla testa, raggomitolandosi su se stesso.
 
-… no, che ci vieni a fare!?... Sì, sì. Ci vediamo a scuola.-
 
Il materasso sotto di lui, si abbassò appena e la voce di Aomine parlò, questa volta molto più vicina, tanto che Kise trovò improvvisamente la forza di aprire gli occhi, lottando contro quelle piccole ed insopportabili scariche di dolore che gli attraversavano la testa. Gli si era seduto accanto. Così vicino che il suo stomaco sembrò rivoltarsi come un calzino.
 
- Ohi, hai intenzione di morirci su questo letto?-
 
Dovette ricorrere a tutte le sue forze per riuscire ad emettere un suono degno di questo nome, era come se tutta la sua stanchezza e ogni grammo del suo malessere gli si fossero avvinghiati alle corde vocali, tramutando la sua voce in un patetico suono soffocato ed arrochito.
 
- … mi sono addormentato…- Riuscì a mugugnare, infine, con voce impastata.
 
- Ho telefonato a Satsuki…- Disse Aomine dopo un sospiro annoiato, ignorandolo -… dice che devi bere dell’acqua.-
 
- Ho bevuto anche troppo per oggi.- Biascicò Kise cercando di tirarsi a sedere, e fu come se tutti i muscoli del corpo gli cigolassero rumorosamente.
 
- Me ne frego. Non voglio che ti venga un attacco o che mi vomiti nel letto. Tieni-
 
Aomine afferrò una busta di plastica ai propri piedi, una di quelle dei discount aperti ventiquattro ore su ventiquattro, ne tirò fuori una bottiglietta e la aprì, per poi spingergliela sotto al naso. Al solo vedere della semplice acqua, lo stomaco sembrò volergli uscire dal corpo, e un conato di vomito scosse Kise da capo a piedi. Tentò di mugugnare qualcosa, ma la mano di Aomine gli sfiorò i capelli della nuca, lasciandolo, per un attimo, senza alcuna forza di muoversi. Fu tentato di opporre ancora un po’ di resistenza, solo per vedere quali sarebbero state le reazioni di Aominecchi, dove lo avrebbe toccato, cosa avrebbe fatto e cosa avrebbe detto, ma il sapore informe dell’acqua e la sua consistenza, ad un tratto così estranea al proprio corpo, gli provocarono una nuova ondata di nausea che gli impedì di pensare a qualcos’altro. Butto giù tre lunghe sorsate d’acqua, il più velocemente possibile, per poi tentare impacciatamente di liberarsi dalla stretta di Aomine che, fortunatamente, sembrò abbastanza soddisfatto da lasciarlo andare.
 
- Se ti va puoi dormire ancora un po’, ma ti avverto: prova solo a vomitare nella mia camera e giuro che sarà l’ultima cosa che farai.-
 
Aomine richiuse la bottiglietta, lasciandola di fianco al letto. Si alzò, afferrando il sacchetto del discount e rigirandoselo  tra le mani, accartocciandolo, prima di lanciare un ultima occhiata verso Kise ed incamminarsi verso la cucina. Gli occhi di Kise indugiarono appena sulla sua schiena grande, per poi scivolare sul sacchetto stropicciato nel suo pugno. Sentì il cuore riempirsi di calore e felicità tanto che riuscì a vincere il voltastomaco e sussurrare abbastanza forte perché l’altro lo potesse sentire.
 
- Grazie per avermi comprato l’acqua.-
 
Lo udì sospirare appena, indugiando qualche secondo sulla soglia.
 
- Chiudi quella bocca e dormi.-
 
 
 
 
 
Il sonno fu profondo ed inquieto, e, quando Kise riaprì gli occhi, ebbe come la sensazione di essere appena uscito da una centrifuga: la testa gli girava, e il corpo sembrava non avere né peso né spessore. Non riuscì a scorgere nient’altro che i contorni sfocati della camera buia; rimase immobile per alcuni secondi , sbattendo ripetutamente gli occhi e cercando di mettere a fuoco qualcosa di distinto attraverso il buio. Sentiva la nausea attenuata, anche se uno strano sapore disgustoso continuava ad invadergli la bocca. Non appena si mise seduto una piccola fitta gli attraversò le tempie, concentrandosi intensamente sulla nuca prima di svanire, così come era venuta.
 
Fu costretto a chiudere gli occhi, cercando di rimanere immobile, finché non udì il suono di un sospiro rilassato invadere il silenzio della stanza buia.
 
Fece appena in tempo a vederla, prima di voltare la testa, la figura di Aomine, nell’oscurità. Era sdraiato su un futon, a terra, di fianco al letto. La penombra gli permise di riconoscerne i lineamenti, solitamente duri, rilassati dal sonno – ad eccezione di quella ruga minuscola ed indelebile in mezzo alle sopracciglia – il torace che si abbassava e si alzava regolarmente a ritmo del suo respiro morbido e profondo che riempiva la stanza. In quel momento ci fu una seria battaglia dentro Kise: una parte di lui si sentì incredibilmente irriconoscente e ingrata nell’essersi addormentato nella sua camera, dopo aver abusato della sua ospitalità, costringendolo a dormire per terra… l’altra parte era un misto di gioia, orgoglio ed amore infinito. Dopo pochi minuti fu costretto a dedurre che quest’ultima avesse preso il sopravvento, sfiorandosi il sorriso idiota che gli era sbocciato sulle labbra. Anche quando la nausea lo impoveriva di energie, anche quando la sua morale sembrava abbattuta dai sensi di colpa e dall’angoscia non riusciva a trovare un solido spazio, dentro al suo cuore, incapace di amare Aominecchi sopra ogni altra cosa.
 
                              
Riuscì a rimanere in silenzio, immobile, incapace di fare nient’altro che guardarlo dormire. In quel buio generoso che gli permetteva di riconoscerne i contorni della bocca e la curva delle clavicole scoperte. Schiuse la bocca quasi senza accorgersene.
 
- Ti amo da morire.-
 
 
 
 
Non disse nient’altro.
 
Nemmeno quando  le palpebre di Aomine vibrarono appena, scoprendo le iridi blu pungenti e profonde.
Kise continuò a stare in silenzio anche quando quegli occhi lo fissarono di rimando, attraversando il buio della stanza, gettando tutto il resto in un vortice di nulla. Il cuore cominciò a battergli talmente tanto veloce che Kise temette quasi di svenire di nuovo.  Eppure, a dispetto del cuore che sembrava dovergli uscire dal petto e delle mani che cominciarono a tremargli incontrollabilmente sotto la coltre di coperte, si scoprì calmo, talmente calmo che seguitò a fissare Aominecchi in silenzio, come se tutto quello fosse stato un naturale seguito del silenzio della notte.
 
Aomine schiuse appena la bocca, continuando a fissarlo a sua volta, sbattendo ogni tanto le palpebre. Kise lo imitò, muovendosi appena sotto le coperte per incrociare le braccia, impedendosi di cominciare a tremare da capo a piedi. Anche la testa aveva smesso di fargli male; era come se fosse entrato in un gorgo fatto del rumore assordante del suo cuore e del silenzio di Aomine. Col senno di poi, si sarebbe potuto dire talmente tanto impreparato a tutto quello che stava succedendo da non riuscire ad elaborarlo in tempo per mettere in atto una reazione sensata, che non fosse la strana calma contornata di curiosità che, sola, lo avvolgeva in quel momento. Ma in quei pochi minuti di silenzio Kise riuscì solo a incolpare la sbornia della sera prima, un giudizio veloce e semplice, per tornare a concentrarsi sulla figura di Aominecchi nel buio, in attesa di una sua reazione.
 
Anche quando Aomine si mise seduto, sollevandosi senza mai smettere di guardarlo, Kise, non mosse un muscolo. Non pensò nemmeno a cosa avrebbe potuto dire per giustificarsi, ad analizzare le diverse espressioni, i toni di voce e i gesti più noncuranti, sicuri e bugiardi che gli erano sempre stati utili nella sua vita, gli ornamenti che completavano la sua esistenza radiosa e desiderata da tutti, ma che aveva quell’insopportabile sapore di falso e di sconosciuto. L’unica cosa che riusciva a desiderare in quel momento, era di poter scoprire la reazione di chi, diversamente da lui, non era mai stato capace di fingere per un proprio tornaconto o per non avere problemi, una reazione di una persona nuda e sincera di fronte al suo primo tentativo di essere sincero sua volta. E Kise si scoprì convinto e capace di amarlo più di tutto, qualsiasi cosa sarebbe successa.
 
 
- Stai delirando?...- Il suono della voce di Aominecchi riempì la stanza. Il tono arrochito dal sonno e dalla sorpresa.
 
Kise avvertì il cuore rimbombargli nel petto, mentre dalla fessura minuscola delle proprie labbra scappò un sospiro divertito, sebbene queste non sorridessero. Aspettò pochi secondi prima di scuotere la testa lentamente, in risposta alla domanda dell’altro, che seguitò a fissarlo, accentuando la piega dura della sopracciglia.
 
- Sei serio…?- Domandò Aomine. Nessuna arroganza nella voce, una semplice domanda che necessitava una risposta, e Kise annuì con la stessa lentezza di prima.
 
 
Il silenzio che seguì, lo sguardo fisso ma incredulo e stupito di Aomine, quel buio che gli impediva di riconoscere le espressioni dell’altro, le vertigini che tornavano a volte lievi a volte fastidiosamente inibenti contribuirono a far crescere dentro Kise la strana voglia di cominciare a parlare col suo solito tono allegro e le sue solite espressioni buffe, riportando tutto quanto ad un livello affrontabile per la sua mente stanca e per qualche parola “…ti prego, solo qualche parola” di Aominecchi. Il solo ripensare agli ultimi 50 secondi lo stordì talmente tanto che, davvero, pensò di essere in balia di un delirio dovuto alla febbre; ogni pensiero che si era preoccupato di nascondere per tutto quel tempo, il suo segreto più grande… era tutto lì, davanti ad Aomine, pronto per essere calpestato, rifiutato o giudicato, e nonostante ciò Kise avvertiva quella strana e piacevole tranquillità dentro al petto, assordata dal battito del proprio cuore e scossa dalle sue mani tremanti.
 
- Sei arrabbiato?- La voce gli uscì dalle labbra, come se Kise avesse perso del tutto la forza di reprimerla. Aomine scostò per un attimo lo sguardo dal suo, guardando dritto davanti a sé, nel buio indefinito della stanza, per poi tornare a fissarlo. Il solito sguardo deciso capace di rifulgere, di quel solito blu brillante, anche nell’oscurità.
 
-Non so… cosa dovrei dirti…- Rispose semplicemente. Il tono secco  e sgarbato ma sincero. Imbarazzato.
 
- Non mi devi dire niente.- Parlò nuovamente Kise con voce dolce e calma. Provò la strana sensazione di star parlando per la prima volta; in quella stanza traboccante imbarazzo e sincerità, fu come essere nudo e privo di qualsiasi desiderio di compiacere il prossimo. Gli sembrò così strano, così estraneo che per un attimo temette davvero di star sognando, in preda ai deliri della nausea.
 
Aomine lo fissò di nuovo, aggrottando le sopracciglia sempre di più, in un misto di imbarazzo e incredulità, aprendo la bocca diverse volte, per poi richiuderla, restando in silenzio. Kise sentì il petto fargli male mentre la paura si faceva largo sotto la sua pelle. Capì che il quel momento, in quella notte qualunque di un mese qualunque, avevano smesso di essere ciò che erano sempre stati e che niente… niente, sarebbe stato più come prima.
 
- … No. Non sono arrabbiato.- Concluse.
 
Kise sospirò profondamente, rendendosi conto di aver trattenuto il fiato tutto il tempo. Il cuore seguitava a galoppargli nel petto ma si sentiva come attorniato da uno strano calore e tutto il corpo gli sembrò più leggero. Sentì il respiro morirgli in gola e le lacrime pungergli le palpebre. Era tutto così indefinibilmente strano. Piacevolmente strano.
 
Alzò di nuovo lo sguardo lucido e appannato per tornare a guardarlo. Aomine era seduto in terra, di fianco al letto in cui Kise era sdraiato e non aveva smesso di fissarlo per un secondo.  Non aveva nulla a che vedere con quello che si era immaginato mille volte, con le atmosfere dolci o memorabili che si era sempre figurato, coi baci caldi e innamorati che aveva sempre immaginato. Era tutto così diverso e malinconicamente reale che Kise non riuscì a non sorridere tra le lacrime, sebbene tutto quanto avesse ancora il gusto amaro dell’incompleto.
 
Kise seguitò a respirare profondamente trattenendo i singhiozzi, camuffandoli in lievi colpi di tosse o cercando di nasconderli dietro al fruscio delle coperte, rammaricandosi per la prima volta che il buio non fosse abbastanza fitto. “E adesso?” Kise non riusciva a pensare a nient’altro, ogni tanto alzava lo sguardo per vedere se Aominecchi stesse per parlare o se fosse in procinto di fare qualcosa; ma lui era sempre lì: seduto di fianco a lui, con lo sguardo che si spostava da Kise a qualche angolo della stanza. Sembrarono ore quelle che trascorsero nel silenzio prima che Aomine, con il solito tono brusco traboccante lo stesso nervosismo di Kise, si decidesse a parlare.
 
- Da quando…?- La sua voce risuonò così inaspettata alle sue orecchie che il cuore di Kise saltò due o tre battiti prima di ricominciare a battergli furiosamente nel petto.
 
Non avrebbe mai immaginato di dover rispondere a una domanda simile, non gliel’aveva mai posta nemmeno nelle sue fantasie. Non era segno di buon auspicio e nemmeno una domanda ostile. Era solo… una domanda. Forse nata dalla curiosità o dall’incertezza che non fosse davvero uno scherzo. Kise si sentì avvampare mentre nella sua mente le parole da pronunciare di asserragliavano, accumulandosi l’una sull’altra fino a formare montagne di frasi e di parole sconnesse tra loro. Si scostò le coperte di dosso mettendosi a sedere, solo per guadagnare il tempo necessario a formulare una risposta sensata, magari apprezzabile, degna di nota “… solo un po’. Solo un altro po’.”
 
La testa gli girava ancora e dovette chiudere gli occhi ed evitare di guardarlo per diversi secondi, temendo che il cervello gli sarebbe andato davvero in corto circuito; le piante dei piedi toccarono il parquet fresco e dalle labbra gli sfuggì un sospiro appagato. Il cuore gli rimbombava nelle orecchie e, fissarlo ancora, adesso che gli stava davanti e il tutto aveva improvvisamente il gusto del presente, gli fece rinascere quel maledetto grumo di ansia alla bocca dello stomaco; ma si aggrappò alle poche e prime parole che gli erano nate nella bocca e all’amore struggente che sentiva divorarlo da dentro ogni volta che lo guardava e, elaborandole velocemente un’ultima volta, tentò di comporle in una frase sincera.
 
 
- La prima volta che ti ho incontrato… è stato quando mi sono innamorato di te.-
 
 
Lo sguardo che Kise vide nascere sul volto di Aomine indicò che, evidentemente, non era la risposta che si aspettava, se se ne aspettava una: gli occhi si sgranarono appena e le sopracciglia di distesero per un attimo, liberandolo dalla solita espressione severa e scocciata. Kise aveva le mani che tremavano ed il terrore in gola ma aspettò pazientemente una qualche risposta, ma Aomine non disse nulla, distolse semplicemente lo sguardo da lui abbassando il capo. Kise immaginò che fosse arrossito e sentì un misto di tenerezza e voglia di toccarlo incontenibili, a trattenerlo fu la semplice consapevolezza del fatto che Aominecchi, probabilmente, non avrebbe voluto lo stesso.
 
In quel momento alla mente di Kise si affacciò l’infinita sequenza delle volte in cui erano stati insieme: della prima volta in cui l’aveva visto, del calore che aveva sentito nascergli nel petto, delle volte in cui aveva cercato di imitarlo scoprendo, nel basket, l’altro amore della sua vita, e poi le volte in cui Aominecchi gli rispondeva male, le volte in cui gli circondava le spalle scherzando o quelle in cui gli sorrideva sprezzante e con quel tono un po’ arrogante e incantevolmente spontaneo con cui gli proponeva di giocare con lui. E Kise si irrigidì dal terrore. Se non avesse più voluto parlargli? Se non avesse più voluto né toccarlo né guardarlo in faccia? Se lo avesse perso per sempre?
 
Gli occhi gli si inumidirono di nuovo e la gola gli fece incredibilmente male mentre cercava di gli ansiti terrorizzati, pentendosi di non essere rimasto nascosto dalle coperte. Si odiò tanto, talmente tanto che desiderò seriamente prendersi a schiaffi da solo. Si odiò per l’imbarazzo che li aveva avvolti, per la posizione odiosa e difficile in cui aveva inchiodato Aominecchi, per la propria incapacità di parlare o di argomentare un fatto che lui solo aveva voluto sollevare. E più di tutto si odiò per aver ceduto, in un momento così bello, così stupido e semplice. In un momento così loro, rovinando tutto quanto.
 
Senza pensare, per l’ennesima volta, ad alcuna conseguenza, Kise stese le gambe, alzandosi in piedi; Aomine lo guardò di nuovo, sollevando lo sguardo verso di lui, non fece in tempo a muovere nemmeno un passo che una fitta di dolore insopportabile alla caviglia gli immobilizzò entrambe le gambe, facendolo ripiegare su se stesso. Inginocchiato, di fianco ad Aomine.
 
-Ohi…- La voce di Aominecchi, il tono preoccupato, le sue mani sulle spalle. Faceva tutto così male. Tutto quanto aveva perso quel retrogusto di familiarità e piacevole imbarazzo, tutto quanto era stato spazzato via dalla confusione e dal rammarico.
 
- Ti faccio schifo?- Ancora una volta la domanda che risuonava imperterrita all’interno di Kise aveva preso forma nella sua voce. Liberata in poco più di un ansito tra i singhiozzi.
 
Non ebbe il coraggio di alzare la faccia per guardarlo questa volta. Sentì solo il tocco delle sue dita sulle spalle farsi sempre più debole, fino a scomparire, e il suo respiro sussultare per un attimo, prima di sospirare.
 
- No.-
 
Kise ricominciò a respirare, e il bisogno di piangere si attenuò un poco.
 
- Vuoi che me ne vada?- Domandò di nuovo, alzando appena la testa, sbirciando il volto di Aominecchi da dietro i ciuffi biondi della frangia. La solita espressione dura tradita dall’imbarazzo della bocca socchiusa e dall’indugio del suo sguardo.
 
- … ma se non riesci nemmeno a metterti in piedi.- Commentò acido, facendo schioccare la lingua seccato.
 
Kise sorrise, un sorriso triste ma sincero.  Con qualche smorfia di dolore e un lamento trattenuto si sollevò appena, liberando le gambe dal proprio peso, mettendosi seduto sul futon, accanto a lui. Sentiva le lacrime cominciare ad asciugarsi lungo le guance, in quel prurito salato e fastidioso. Gli occhi gli bruciavano ancora, un po’ per il sonno, un po’ per il pianto.  
 
- Sei gentile.- Disse piano, e Aomine sollevò appena lo sguardo per guardarlo di nuovo, con quella solita aria stupita. - Non ho fatto altro che chiederti qualcosa. Da sempre. Volevo che tu giocassi con me, volevo che tu mi insegnassi, volevo che tu mi sfidassi, volevo che tu trascorressi il tuo tempo assieme a me e mi arrabbiavo ogni volta che non potevi. Sono sempre stato bravo ad ottenere quello che mi serve… conosco un sacco di trucchi, riesco a fare bene praticamente tutto e se non ci riesco, ottengo comunque l’approvazione degli altri. Tu sei l’unico… sei l’unico con cui non sento il bisogno di farlo. Quando sto con te… non devo fare altro… che essere me stesso.-
 
Qualcosa era andato storto nell’ultima frase: qualcosa aveva fatto capolino nel suo petto, insinuandosi tra le corde vocali, interrompendo le parole in ansiti e singhiozzi. Qualcosa che gli aveva fatto tornare la voglia di piangere e di toccarlo, di trovare le parole che, solo una volta pronunciate, sentiva rozze e stonate. Completamente sbagliate. Kise non aveva mai davvero fatto un elenco o una lista delle motivazioni per cui lo desiderava, per cui sentiva di amarlo più di chiunque altro. Un giorno si era svegliato, lo aveva pensato e si era accorto che tutta l’ammirazione, tutta la voglia che aveva di lui erano diventate amore. Un amore così doloroso e caldo da struggerlo ogni volta. Con quella sottile nota di masochismo, ogni volta che Aominecchi sceglieva, inconsciamente o meno, Kurokocchi o Momoicchi al posto suo, che non faceva altro che convincerlo ad amarlo ancora di più, instaurandogli dentro quel desiderio di essere guardato, di essere importante per lui.
 
Aomine era ancora seduto accanto a lui, con la solita espressione dura e confusa. In silenzio, ascoltandolo con attenzione. Kise vedeva la sua mascella tendersi, il suo sguardo concentrarsi ad ogni nuova parola. Il vortice di parole che gli pesavano sul cuore stava prendendo forma in una catena di frasi sconnesse tra loro ma piene di significato, liberandosi dalla sua bocca.
 
- So che essere me non è sufficiente… non ha mai fatto la differenza per te. Tutte le volte che ho desiderato essere abbastanza… per farti tornare ad amare il basket come tu lo avevi fatto amare a me. Essere forte abbastanza da farti provare quell’impulso necessario ad essere di nuovo felice di giocare. Per farti provare tutto quello che provavo io giocando assieme a te...-
 
Gli occhi di Aomine si sgranarono appena, e la sua bocca si schiuse di nuovo.
 
- Ma quando gioco con te… quando sto con te… io sento che quello che mi circonda è vero. Amo la tua sincerità e il tuo coraggio. Amo così tanti aspetti di te che non riesco nemmeno a ricordarli tutti.-
 
Kise tacque, stordito dalle proprie parole e dall’enorme quantità che seguitava a formarglisi in bocca e nel cervello. Erano talmente tante, talmente confuse… talmente sincere ed urgenti che si costrinse a tacere guardandolo di nuovo. Aominecchi non si era mosso, anche se il suo sguardo era cambiato: allo stupore del suo volto si era aggiunta una leggera sfumatura sofferente, incarnata nella piega degli occhi. Chiuse lentamente la bocca per poi schiuderla di nuovo dopo pochi secondi.
 
-… Sei un idiota.- Rispose piano.
 
Kise strinse gli occhi per vederlo meglio, nel buio della stanza. Non c’era nessuna cattiveria o delusione nella sua voce. Solo un commento sbuffato ed imbarazzato, che aveva il sapore di scusa per riempire il silenzio. Immaginò che fosse arrossito appena, dal suono tremolante del suo respiro; e Kise sorrise guardandolo. Era ancora insopportabilmente pieno di dubbi, avrebbe voluto fargli mille domande su cosa pensava, su cosa avrebbe fatto d’ora in poi, come lo avrebbe guardato, come gli avrebbe parlato, se potevano ancora giocare insieme… E quel chiarore caldo lo avvolse di nuovo, quella consapevolezza tenue che, forse, non doveva pentirsi di quelle parole.
 
-… tornatene a dormire, ora.- Concluse Aominecchi ancora indeciso se ricominciare a guardarlo o meno.
 
Sospirò un ultima volta prima di avvicinarsi a Kise con fare deciso, passandogli un braccio intorno alla vita e poggiandogli il mento contro la spalla, preparandosi a sollevarlo. Il cuore di Kise mancò davvero qualche battito, tanto che sentì il sangue defluirgli dal volto per poi incendiarlo improvvisamente. Se Aominecchi glielo avesse chiesto, Kise avrebbe senz’altro negato o dato la colpa alle vertigini, ma il desiderio di toccarlo, di sfiorargli la bocca con la propria divenne incontrollabilmente doloroso.
 
- Possiamo restare così, solo per un po’?...-
 
Di nuovo le parole gli erano scivolate fuori dalle labbra. Aomine si scostò appena da lui con un sospiro sorpreso e allarmato, portando indietro il collo, interrompendo la stretta con cui lo teneva. La fronte di Kise finì col poggiarsi impacciatamente contro la sua mascella tesa mentre Aomine riprendeva a respirare, la bocca aperta e gli occhi un po’ sorpresi. Kise chiuse gli occhi rassegnato e si scostò nuovamente da lui, prendendo un unico fiato tremante, come chi si prepara a fare uno sforzo insopportabile. Aomine rimase immobile, gli occhi fissi nel vuoto e la mascella sempre rigida - come il collo, come le spalle, come tutto il corpo - continuando a tacere nel silenzio fragile di chi non sa cosa dire.
 
Pensandoci a mente fredda, Kise avrebbe giurato che, a quella domanda, Aomine avrebbe risposto con qualche parolaccia accompagnata, magari, da una faccia disgustata e da qualche ceffone. Se non eri una donna disposta ad andare fino in fondo e non avevi una quarta di seno (come minimo) non avevi il diritto di chiedere una cosa del genere ad Aomine Daiki. Kise lo sapeva, come sapeva che quella situazione era fuori da ogni immaginario possibile: ridicola, penosa e per certi versi anche un po’ patetica. Kise si definì semplicemente uno che non aveva più nulla da perdere consolato dal fatto che smuovere qualcosa come “la pietà” all’interno di uno come Aominecchi fosse impossibile; non tanto perché Aomine non fosse, a modo suo, generoso, ma perché un gesto fatto semplicemente per accontentare qualcuno che ti faceva pena non rientrava in alcun modo nella concezione di Aomine Daiki.
 
Si immaginò semplicemente le braccia di Aomine che lo circondavano di nuovo, aiutandolo a sollevarsi, in un muto ed ovvio rifiuto. Oppure il suo tono roco e seccato mentre diceva “Non ti sembra di esagerare con queste stronzate?”. Non ebbe il tempo di elaborare nessun’altra ipotesi e nemmeno di pentirsi a dovere per quanto aveva chiesto, che il tocco rude e imbarazzato di Aominecchi lo avvolse.
 
Nessuno dei due parlò, uno troppo imbarazzato, confuso ed orgoglioso, l’altro troppo stordito, felice ed innamorato. Stettero solo stretti per alcuni minuti, in un silenzio che non sembrava più così pesante, avvolti da un buio generoso e discreto.
 
 
 
Ma in quel momento, in quell’infinito e dolce momento, circondato dalle braccia forti di Aominecchi ed inebriato da quel delizioso profumo di sapone , Kise, stringendosi di più a lui e sfiorandogli la pelle scura del collo con le labbra, pregò seriamente Dio affinché il domani non arrivasse mai.
 
 
 
 
 FINE
 
 
 
 
 
 




Ok, devo dire che il risultato finale è completamente diverso da ciò che avevo premeditato all’inizio. Dire che scrivere la fine di questa fan fiction è stato facile sarebbe la più grossa cavolata dell’ultimo millennio! XD Avrò cancellato e riscritto il pezzo della “confessione” come minimo una ventina di volte; questo è uno dei mille motivi che mi hanno portato ad un così imperdonabile ritardo dal primo capitolo. Nonché il fatto che questo sia decisamente più lungo dell’altro ;_; Ma via via che scrivevo i pezzi che desideravo inserire aumentavano sempre di più… e io amo questi due davvero troppo per non donargli ogni traccia di tenerezza <3
 
Che dire, anche se non mi convince al 100% spero che questo secondo e ultimo capitolo sia stato di vostro gradimento. Non so se scriverò un prossimo capitolo a parte (magari come una one shot) davvero… non ne ho idea viste la fatica immane che ho fatto con questo ^^
 
Ad ogni modo spero in qualche vostro parere, e ringrazio chi ha commentato, preferito o inserito questa storia tra le seguite! <3 
  
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