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Autore: p a n d o r a    17/11/2013    4 recensioni
Harry Styles è un fiero ragazzo omosessuale, non molto popolare ma con abbastanza amici quanto basta. Louis Tomlinson è, invece, un ragazzo solo, strano e triste, ma soprattutto nei suoi occhi non c'è niente, è come se fosse morto. Ed è quando Harry nota che in Louis c'è qualcosa che non va, sarà per il suo corpo troppo magro, per la sua espressione sempre triste o altro che decide di volerlo conoscere e, possibilmente, aiutarlo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dead eyes.
- Ottavo Capitolo.




Sistemo per la milionesima volta il papillon, prendo un respiro profondo e abbasso la maniglia della porta. Mia madre arriva nel preciso istante in cui la apro. Al centro del mio vialetto c’è la perfezione che sta prendendo a calci un piccolo filo d’erba. È incredibilmente bello. Così semplice, ma allo stesso tempo sembra così irraggiungibile ed io, io che al suo confronto sono un granello di sabbia nell’oceano, io sto per uscire con lui. Ha una maglia bianca a righe blu, un pantalone rosso (si, rigorosamente sopra la caviglia), vans bianche, una felpa rossa appoggiata al braccio ed un cappello blu, stranamente abbassato fino alla guancia. La mia adorata mammina si accorge del fatto che sono rimasto imbambolato a guardarlo e ne approfitta per mettermi in ridicolo. «E così tu sei Louis.» Lo vedo sobbalzare mentre mia mamma si avvicina a lui. «Sì.» Sorride e le stringe la mano. «Mio figlio parla spesso di te.» Sono sicuro che adesso sono rosso fino alla punta delle orecchie. «Lo stesso figlio che ora -si gira verso di me alzando la voce - è imbambolato sulla veranda e non muove il culo ad uscire con te.» Ridacchia. Dio, quanto amo la sua risata. Mi riprendo dallo stato di trans nel quale ormai cado sempre quando c’è lui e mi precipito verso di loro. Mia madre mi sorride e si dilegua. «Andiamo?» Propongo. So che in realtà è dietro alla tenda del soggiorno a spiarmi. Ti conosco troppo bene, mammina cara. Louis annuisce. Ci incamminiamo. È di qualche passo più avanti di me, trema. Si abbassa il cappello ogni due secondi visto che risale. Vorrei tanto prendergli la mano e poter passeggiare accanto a lui, abbracciato a lui. Vorrei potergli togliergli il cappello per vedere cosa nasconde e potergli dire, qualsiasi cosa ci sia, che ora non deve più preoccuparsi. «Cosa ti va per cena?» L’ansia mi fa venire fame, molta fame. «Oh, ehm.. in realtà non ho molta fame.» Cazzo. Non posso mangiare solo io, che figura ci farei?! Perché non vuole mangiare? Non ci credo che non ha fame. Camminando arriviamo in una rosticceria, entro e ne esco due minuti dopo con una busta piena di crocchette di pollo, ketchup e maionese. Mi dirigo verso una panchina, come se fossi solo. Aspetto che si sieda. «Mi dispiace, ma stasera mangerai anche tu.» È stupito. Tutto secondo i miei piani. Quali piani? Non lo so, sto agendo d’impulso visto che è l’unica cosa che so fare. «Ma non ho fame!» Si giustifica. Io prendo una crocchetta e la immergo nella maionese, ho come la strana sensazione che non gradisca l’altra salsa rossa, chiamiamolo intuito. Gliela piazzo davanti alla bocca, non la accetta, ma posso sentire a kilometri che il suo stomaco brontola. «Apri!» Trattengo una risata perché un pensiero perverso mi è balenato in testa. Scuote la testa. Mi ficco la crocchetta in bocca, e «L’hai voluto tu.» dico. Caccio una lattina di Coca-Cola che fino a quel momento avevo nascosto, la agito e la apro. Indovinate su chi è finita la bevanda? Esatto! Il signorino che si rifiuta di mangiare. Mi guarda allibito. Avrò esagerato? Poi scoppia a ridere e, sotto il mio sguardo confuso, prende della maionese sul dito e me la spiaccica sul naso. Vuole la guerra? Ebbene l’avrà. Prendo anche io della maionese e gliela spiaccico sulla guancia. Ridiamo come due stupidi, continuando a sporcarci di salse e lanciandoci crocchette e Coca-Cola. Mi alzo di scatto dalla panchina e raggiungo la fontana al centro della piazza, lui mi raggiunge. Lo guardo per qualche secondo e lui guarda me, senza smettere di ridere, poi, lo faccio. Lo butto nella fontana. All’inizio non ci capisce molto, è solo confuso. Poi, mi guarda con aria di sfida, vendetta e un pizzico di maliziosità. Mi prende per una manica della giacca e, anche se ha poche forze, riesce a tirarmi nell’acqua. C’è un piccolo intoppo. Quando apro gli occhi, mi ritrovo letteralmente ‘disteso’ su di lui e le sue labbra sono così … vicine. Avrei sette milioni cinquecentoventicinquemila modi per descriverle, ma in quel momento, per me, sono soltanto vicine, molto vicine, pericolosamente vicine. Sento che qualcosa nei miei pantaloni si muove e non è l’acqua della fontana, perciò decido che è meglio alzarsi. Per un attimo mi sono specchiato nei suoi occhi color ghiaccio, ho sentito il suo respiro aumentare sotto di me e la sua anima così vicina alla mia. Mi alzo e gli do una mano ad alzarsi, usciamo dalla fontana ed è lì che lo osservo meglio. Anche bagnato è stupendo, ovviamente. Anzi, ora lo è ancora di più perché le piccole goccioline gli percorrono ogni centimetro di pelle, rendendolo ancor più estremamente sexy. «Domani ci verrà un accidente.» dice ridacchiando. «Chi se ne!» Sbotto io. Perché, in effetti, quando sto con lui, non mi frega di niente. Potrebbe finire il mondo in questo preciso istante ma non me ne accorgerei, perché credo che sia questo che effettivamente fa l’amore. Ti fa stare talmente bene che non ti rendi nemmeno conto del tempo che passa. Solo in quel momento, dopo che Louis si toglie il cappello di lana dalla testa per strizzarlo e nonostante si volti per non farmi vedere, solo in quel istante vedo qualcosa che avrei preferito non vedere. «Louis..» Lo chiamo con voce tremante, lui si volta ed io indico la sua guancia. Abbassa lo sguardo sforzando un sorriso. «Oh, questo. - Si porta una mano sul livido che gli ricopre la guancia destra. - Sono sbattuto vicino alla credenza. Non è niente.» Sei un bugiardo. Perché mi menti? Si vede benissimo che ti hanno picchiato. Perché non me lo dici? Mi avvicino senza dire niente e appoggio la mia mano sulla sua poi gli accarezzo pian piano la parte viola della guancia. «Chi è stato?» Non lo guardo negli occhi, li eviterebbe comunque. Guardo quel livido gigante, deve far male e parecchio. Ora che lo osservo meglio noto che al centro della macchia violacea c’è anche una ferita. Ha addirittura sanguinato. Vedo lui guardarmi senza capire. «Ne ho avute di queste ferite, da mio padre.» Dico io. Non so perché gliel’ho detto di solito non mi piace parlare di quel capitolo della mia vita; però lui sembra così bisognoso di aiuto e conforto e, soprattutto, non riesce a capire come faccia io a sapere che quello non è un incidente. «Chi è stato, Louis?» Sposto il mio sguardo nei suoi occhi color cielo, come previsto cerca di distogliersi ma glielo impedisco prendendogli il mento con l’altra mano. «Louis?» Il suo nome appena sussurrato da il via alla discesa delle sue lacrime. Non so perché, ma in quel momento il mio impulso non centra niente, eppure lo libero dalle mie prese e lo abbraccio. Lo sento singhiozzare sulla mia camicia perciò lo stringo ancora di più, mi distrugge vederlo così. Piccolo, ferito, debole, impotente, senza aiuti. Si stacca improvvisamente dal mio abbraccio, fa un sorriso non poco, non molto, troppo forzato. «Mio padre diventa un po’ violento quando la macchina arriva al terzo richiamo di clacson.» La mia mente torna alla mattina. Il padre ha suonato per tre volte e lui non aveva nemmeno intenzione di muoversi, questo perché era con me. Si è fatto picchiare per me? Anzi, no. Il padre lo ha picchiato per … questo!? Che razza di stronzo. Sento i nervi risalirmi lungo la schiena e devo chiudere la mano in un pugno per trattenermi. Come si fa a picchiare una creatura così fragile come Louis solo perché ti ha fatto aspettare un minuto in più? Che razza di mostro si deve essere? E non voglio immaginare perché lo ha ridotto a tagliarsi. Non ce la faccio, perché appena ci provo sento la rabbia farsi strada e la nausea invadermi. Perché ormai l’ho capito, già. Quei tagli. Non ci vuole un genio a capire cosa siano. Non bisogna essere tanto intelligenti per capire che quelli li ha procurati una lametta passata sulla pelle dalla mano tremante di un Louis in lacrime. Non posso pensarci, non credo nemmeno di riuscirci. Anche se siamo entrambi zuppi, ho bisogno di distrarre la mia mente. Lo prendo per mano, senza nemmeno rendermene conto, e lo trascino verso un posto nel quale, per la prima volta dopo tanto, riuscirò a farlo divertire, senza preoccupazioni, senza lacrime. Solo noi due, nient’altro. Gli lascio la mano solo una volta dopo essere arrivati, e dopo essermi accorto che effettivamente gliela stavo tenendo, portandomi le mie sui fianchi e sorridendo orgoglioso. Mi giro verso quella perfezione (perché lui non è un ragazzo, è la perfezione) e «Benvenuto nel luogo più divertente del mondo.» esordisco. Vedo una piccola risata affiorargli sulle labbra mentre realizza che l’ho trascinato al parco giochi.







angolino autrice:

evviva, finalmente! anche l'ultimo dei tre capitoli già pronti è stato pubblicato. *si asciuga le goccioline di sudore*
mado', peggio d'un parto. lol
sapete questo che vuol dire? che non ho più capitoli già pronti e, visto che ho di nuovo un blocco per la storia, dovrete aspettare di più.
chiedo venia :(
spero vi piaccia! se volete, lasciate una recensione e se volete seguirmi su twitter sono @deidalex :)
a presto (si spera).
panda.
  
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