Buona domenica!
Perdonate il giorno di ritardo, visto che solitamente aggiorno di sabato, ma
questo capitolo ha subito un po’ di modifiche nelle ultime ore, sebbene fosse
già scritto eoni fa, e ieri non era ancora pronto.
C’era una parte che continuava a non convincermi
troppo, spero di aver fatto un buon lavoro!
E grazie, come sempre.
Non smetterò mai di ringraziarvi per il vostro sostegno, siete adorabili. *^*
Un abbraccio e buona lettura!
Marta.
Pietra
- sequel di Betulla -
17.
23 Settembre 3019 T. E.
Non vi fu riposo, in quei giorni, per i Nani di Erebor che
lavoravano alle difese di Minas Tirith. Erano trascorsi tre giorni da quando
avevano spedito la richiesta di aiuto a Rohan e, piuttosto che avvistare
l’esercito dei Signori dei Cavalli, continuavano a vedere le alte colonne di
fumo che si sollevavano verso Osgiliath. Coloro che non potevano combattere
erano giunti al riparo della Città Bianca il giorno prima e aveva subito notato
l’assenza della famiglia di Trán. Ne fu intimamente orgoglioso, ma la tristezza
e l’ansia negli occhi della donna che aveva scelto di corteggiare, lo fece
desistere dal gioirne troppo. Temeva per la loro vita così come lui per quella
dei suoi compagni e amici.
Interruppe un attimo il suo lavoro alla forgia, spostando lo
sguardo sulla Nana, concentrata e sudata. Thorin, nonostante tutto, sentì il
cuore scaldarsi piacevolmente mentre si beava della sua vista. Non avevano
ancora avuto modo di stare da soli, da quando avevano confessato di provare
qualcosa, l’uno per l’altra; ma entrambi erano consapevoli che i brevi istanti
in cui i loro occhi si incatenavano erano unicamente per loro.
E lo erano anche in quel momento, quando Trán, sentendosi
osservata, ricambiò il suo sguardo, arrossendo. Thorin si chiese se nemmeno il
tempo e l’abitudine le avrebbero impedito di imbarazzarsi alle sue attenzioni.
Era evidente che non fosse abituata, ma sperò che non cambiasse. Era oltremodo
deliziosa e gli ricordava costantemente che il cuore della Nana appartenesse a
lui e lui soltanto.
Il flusso dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto
dall’arrivo di un soldato, entusiasta. «Miei signori! Rohan è in vista!»
esclamò, sorridente. I Nani, nell’udire quelle parole, abbandonarono
momentaneamente i loro posti di lavoro, correndo verso le mura per poter
scorgere la macchia scura dell’esercito, ancora troppo lontana che pareva
ferma. Thorin si lasciò scappare un sorriso di sollievo e si chiese se la
vittoria fosse ancora possibile.
«Speriamo che non arrivino troppo tardi.» fece Kili,
poggiando le braccia contro la balaustra in pietra.
«Gli Esterling sono ancora accampati attorno Osgiliath.»
fece Káel, aguzzando la vista. «Gondor e la nostra gente sembrano ancora in
piedi.»
Thorin si voltò, nel sentire una presa forte alla mano, e
incontrò gli occhi azzurri di Trán, che si spostarono dai Rohirrim alla città
in rovina. Ricambiò la stretta, intrecciando le loro dita ed infondendole un
po’ di quel coraggio che, in quell’ultimo periodo, le stava mancando. «Andrà
tutto bene, vedrai.»
Lei lo guardò, finalmente, e annuì. «Riesco a vedere la
speranza, ora. E la stringo tra le mani.»
Quelle parole ebbero il potere di fargli saltare qualche battito
cardiaco e non riuscì ad attendere che il resto dei Nani tornasse alla fucina,
per accarezzarle il viso con i polpastrelli ruvidi. Si chinò per baciarle la
fronte e la sentì rabbrividire quando spostò la mano libera sulla sua nuca,
mentre il pollice le sfiorava il lobo dell’orecchio. «Dove è finito il tuo
immancabile pessimismo?»
«Ne senti la mancanza?»
Thorin rise piano, scuotendo il capo. «No. Ma mi lusinga che
sia stato io ad averlo fatto sparire.» La baciò nuovamente, questa volta sulla
tempia. Trán chiuse gli occhi, assaporando la morbidezza delle sue labbra e
l’asprezza della barba che le pungeva la pelle; e si chiese come avesse fatto,
in tutti quegli anni, ad aver potuto vivere senza l’affetto di quel Nano che le
aveva irrimediabilmente conquistato anima e cuore.
«Torneremo ad Erebor.» continuò Thorin, sfiorandole una
delle trecce che lui stesso le aveva fatto. «E lo faremo insieme. Te lo
prometto.»
«E noi possiamo venire con voi?» domandò Kili, birbante e
sveglio abbastanza da scappare per tempo, prima che la mano pesante dello zio
gli facesse girare la testa tre volte sul collo, per averlo interrotto. Trán
rise e tornarono a lavorare, la sua mano che si sciolse da quella del suo Re
solo quando raggiunsero la fucina.
«Mi domando come se la stia cavando dama Brethil.» fece
Fili, pensieroso. «Insomma, immagino che sappia fare il suo lavoro, ma... quei
due gemelli di Imladris non mi piacciono per niente.»
«Udite, udite!» esclamò il fratello, spintonandolo
amichevolmente. «Parla la gelosia!»
Fili schioccò sdegnato la lingua, incrociando le braccia. «Ebbene,
hai visto in che modo l’hanno abbracciata? Insomma, dove si è mai visto un Elfo
che abbraccia qualcuno? Spero tanto che il Sovrintendente li rimetta in riga,
una volta che siano tornati.»
«Mi duole ricordarti che il Sovrintendente ama la tua
adorata Prima Guardia. E pare che la cosa sia reciproca, fratellone.»
Il Nano biondo sbuffò, agitando le treccine dei baffi. «Beh,
sempre meglio lui che uno di quei due... o peggio ancora, entrambi!»
«Fili!» tuonò
Thorin.
Il nipote scoppiò a ridere, nascondendo i suoi timori con la
sfrontatezza. «Suvvia, zio, scherzavo!»
«Mi rincresce dirtelo, amico–» gli sussurrò Káel, con un
delizioso sorriso sulle labbra. «–ma come giullare non sei il massimo.»
Le buone speranze di Trán vacillarono un poco nel sentir
nominare la donna e ricadde nel mutismo. Lei sarebbe anche potuta tornare a
casa al fianco di Thorin, ma Brethil era lontana da loro, lontana dall’Uomo che
amava e che avrebbe potuto proteggerla. Sperò solo che Legolas e chiunque
l’accompagnasse tenesse un occhio aperto su di lei.
Il terzo attacco che avevano dovuto respingere, da quando
gli Esterling avevano osato spingersi oltre le linee di difesa, era stato anche
più fiacco dei precedenti. Gli arcieri dai volti nascosti avevano fatto cascare
una pioggia di dardi infuocati e bagnati nella pece, dando l’ennesimo
grattacapo all’esercito di Gondor che doveva spegnere i nuovi e numerosi incendi;
ma sebbene qualcuno rimase ferito e alcuni purtroppo caddero, i danni alla
città non furono molti, essendo interamente in pietra.
Aragorn aveva capito che stessero prendendo tempo, che
avessero intenzione di portarli all’esasperazione dell’attesa, prima del colpo
finale e mortale. Ma quell’idea stava lentamente svanendo e nuovi dubbi sorsero
nella sua mente. Il duplice pericolo dell’esercito del Sud di Haradrim e quello
degli Esterling giungeva contemporaneamente e non poteva essere solo una
coincidenza. E se il loro intento non fosse solo quello di stancarli
psicologicamente? E se i due popoli di Uomini si fossero alleati contro il loro
comune nemico?
Il pugno che tirò ad un innocente muro, che ebbe la sfortuna
di trovarsi nei paraggi, gli ferì le nocche, ma non se ne curò. Strinse gli
occhi, passandosi una mano tra i capelli sudati, e si guardò intorno. Osgiliath
era circondata. Non avevano alcuna possibilità di ritirarsi a Minas Tirith, né
di far trasportare i feriti alle Case di Guarigione della Capitale. Uno in
particolare aveva urgente bisogno di cure e temeva che quell’attesa gli sarebbe
costata la vita, già appesa ad un filo.
Boromir, che sedeva con Éomer a poca distanza dal suo Re,
alzò il capo, udendo il gemito di frustrazione dell’amico. Lasciò la cura della
sua spada, che stava affilando e lucidando, per avvicinarsi ad Aragorn. Gli
posò gentilmente una mano sulla spalla, stringendogliela per infondergli forza.
«Sono passati tre giorni da quando abbiamo acceso i Fuochi di Amon Dîn. Rohan
giungerà presto, lo sai. Rispose già alle nostre richieste d’aiuto, lo farà nuovamente;
soprattutto ora che il suo sovrano è con noi.»
Il Re spostò gli occhi grigi in quelli chiari e carichi di
rabbia repressa dell’amico. «Non dubito dell’aiuto che ci daranno e confido
sulle nostre forze per sconfiggerli. Ma mi preoccupo per Minas Tirith. E per Brethil.»
Non ci fu niente che poté impedire al Sovrintendente di
stringere i denti al pensiero della donna in marcia verso morte certa. Loro
avrebbero potuto salvarsi, ma lei? E gli Uomini che la seguivano? Suo zio e suo
cugino? Quella di Aragorn era stata un’idea folle, ma forse anche l’unica
possibilità tra le poche che avevano. Non avrebbe potuto continuare a
biasimarlo a lungo.
Così, gli domandò quali fossero i suoi pensieri, evitando lo
spinoso argomento riguardante la donna, e Aragorn gli rivelò i suoi timori e le
sue idee. Anche lui aveva pensato che le coincidenze non esistessero, o almeno
non così eclatanti, e avere la conferma dall’amico lo turbò più del dovuto.
«Cosa comandi, mio Re?»
Egli non rispose subito. Si rizzò sulla schiena, inspirando
l’aria fresca di quel pomeriggio di fine settembre. Una strategia stava
lentamente prendendo forma ed era altrettanto suicida come quella di marciare
verso il Morannon, solo qualche mese prima. Ma erano spalle al muro e l’unica
speranza che avevano era quella di tentare. E finché lui e i suoi Uomini
avessero avuto forza nei muscoli e sangue nelle vene, non si sarebbero arresi.
Con una mano sul braccio di Boromir, i due si avviarono
verso Éomer, che ora discuteva con Dáin e Glóin e che appena li vide si alzò
dalla sua postazione, in attesa.
«Parleremo.» disse Aragorn, assaggiando il significato di
quella singola parola per qualche secondo e studiando le reazioni perplesse degli
altri. «Chiederò udienza con il loro Comandante, poiché è l’ultima cosa che si
aspettano.»
«Sei per caso impazzito?» esclamò Boromir. «Quell’animale ha
tentato di privarmi il collo della mia testa!»
«Giocheremo con le loro regole: prenderemo tempo, poiché è ciò
che loro stessi stanno facendo. Non mi è ancora chiaro cosa stiano attendendo,
ma non possiamo stare rinchiusi in queste mura mentre la disperazione e la
paura s’insinua nei nostri animi.» Aragorn strinse due mani sul viso di Boromir
e lo obbligò a volgersi verso i soldati. «Guardali, amico mio. Guarda i loro
volti e dimmi cosa vedi, se non disperazione e rassegnazione? Gli Elfi mi
chiamano Estel per una ragione, e io voglio dare loro speranza. Non ho intenzione di permettere a degli invasori di
dettare verbo nella nostra terra.»
«E cosa credi di fare andando a parlamentare?» domandò
Éomer, anche lui scettico. «Quelli sono pronti ad abbatterti appena ti vedranno
varcare i cancelli.»
Aragorn sorrise, con un luccichio di entusiasmo negli occhi.
«Non se ci crederanno parte del loro esercito.»
Dáin si ficcò le mani sui fianchi e fu il primo a parlare. «Ah!
Se non fossi alto la metà e grasso il doppio sarei il primo a farlo!» scherzò,
ghignando sotto i folti baffi ingrigiti.
«Fammi capire bene.» disse lentamente Boromir, sperando di
aver inteso male. «Stai proponendo di vestirci con gli abiti dei loro caduti
e... raggiungere gli Esterling come se niente fosse? Non credi che si
accorgeranno dell’inganno?»
«No, se useremo un pizzico di furbizia e avremo un po’ di
fortuna.»
Il Sovrintendente brontolò. «Parli come Gandalf, spero te ne
renda conto.»
«Ahimè, quanto vorrei che egli fosse qui a consigliarci
un’idea migliore!» Il viso stanco di Aragorn si distese nuovamente. «Ma siamo
soli, ora, e vorrei che ascoltaste il mio piano e che mi aiutate a raffinarlo.
È l’ultima cosa che si aspettano da noi.»
«Ebbene, illuminaci.» replicò Boromir, incrociando le
braccia al petto.
Il Dúnadan illustrò la sua idea e lentamente i suoi
interlocutori iniziarono ad appoggiarlo; era un piano assurdo, ma aveva senso.
Eppure, nessuno di loro appoggiò la sua ferma decisione di andare da solo.
Boromir per primo gli chiese se fosse impazzito del tutto.
«Mi stai chiedendo di lasciar andare nella tana del lupo il
mio Re?» esclamò rabbioso, alzandosi e puntandogli uno sguardo furente in viso.
«Dopo tutto quello che abbiamo vissuto per metterti la corona sul capo, vuoi
lanciarti verso la morte?»
«È pericoloso e non metterò a rischio la vita di qualcun
altro, se non la mia.»
«E non pensi al tuo popolo che rimarrebbe nuovamente senza
il suo sovrano? O credi che gli anni trascorsi sotto la reggenza dei
Sovrintendenti ci abbia allenato abbastanza da non farci accusare il colpo?»
«Lo farò volentieri, proprio per il nostro popolo, Boromir. Non
sono un codardo, né mi ritirerò dalla prima linea, se si tratta di combattere
per Gondor, per le nostre famiglie. E non cambierò idea, neppure se dovessi
minacciarmi con la tua lama. Il mio è un ordine e non si discute.»
Dopo un lungo istante di silenzio, in cui pareva che il
resto degli interlocutori avesse trattenuto il fiato per l’intero litigio,
Boromir parlò nuovamente, con preoccupante calma. «Vuoi travestirti da
Esterling? Ebbene, fallo. Ma verrò con te. Questo
non si discute.»
«No, Boromir, non posso permetterlo. Se io dovessi cadere–»
«–io cadrò con te. Tua moglie è la Regina e non lascerà un
trono vacante, né mio fratello non sarà in grado di ricoprire il ruolo di
Sovrintendente.»
Non spesero altre parole, perché capirono che nessuno dei
due avrebbe ritirato le proprie decisioni. Così Aragorn annuì e non trascorse
più di un’ora quando iniziarono a rovistare tra i cadaveri degli Esterling,
cambiandosi d’armatura e coprendosi il volto con quegli elmi e veli dorati e
neri.
«È la cosa più stupida e disgustosa che abbia mai fatto in
vita mia.» borbottò Boromir, sistemandosi una corazza ammaccata e sporca di
sangue. «Se questi poveri disgraziati non avessero tentato di uccidermi,
proverei anche vergogna.»
Dáin, che insieme ad Éomer, sarebbe rimasto ad Osgiliath per
comandare il resto dell’esercito, trovò la forza di riderne. «Beh, converrai
con me che non gli servirà più tutto quell’armamentario.» Diede un leggero
calcio al cadavere, che giaceva pancia in terra, per rivoltarlo e guardarlo in
viso. Aveva gli occhi sbarrati e una brutta e profonda ferita al capo, ma era
stato ucciso da una lama che gli aveva perforato un polmone.
Aragorn osservò il deceduto e sospirò. «Quello era un
ragazzo che probabilmente non superava i venti inverni. E i genitori
aspetteranno invano il suo ritorno. Non vi è onore in ciò che ha fatto, e in
ciò che stiamo facendo noi ora.»
«Siamo in guerra, Re Elessar.» replicò Dáin, che parve
arrossire per quel velato rimprovero. «Tutti noi siamo a conoscenza dei rischi
che corriamo; anche il ragazzo e la sua famiglia. Magari lui non voleva partire
e ha dovuto arruolarsi nell’esercito per forza; o magari era un folle
sanguinario che meritava di morire. Non lo sapremo mai. Ebbene, ora ciò che più
mi importa è che io, voi e la mia gente sia viva. Non mi interessa omaggiare il
nemico, né il suo ricordo. Neppure quando tutto questo sarà finito, perché sarò
più occupato a pregare per l’anima dei miei caduti, piuttosto che per quella di
chi li ha uccisi.»
Aragorn annuì, comprendendo la rabbia nelle parole del Nano,
e nessuno di loro osò aggiungere altro. Lui e Boromir si scambiarono una veloce
occhiata e furono pronti a muoversi poco dopo. Al chiaro di luna e vestiti come
degli Esterling, nessuno avrebbe potuto distinguerli.
«Ricorda, Boromir.» fece il Dúnadan, prima di lasciare la
città in rovina. «Lascia parlare me e sii disinvolto. Siamo soldati che gli
Uomini di Gondor hanno deciso di lasciar andare, dopo aver ucciso il resto dei
prigionieri, perché vuole mandare loro un messaggio. Cercheremo di avvicinarci
al Comandante, che sembra avere un certo interesse in te, a quanto pare.»
L’altro grugnì qualcosa, ma il Re continuò. «Non lasciarti prendere dalla
rabbia. Dobbiamo invece diffondere il seme del dubbio e la paura. Gli
confideremo di aver udito i soldati parlare di un immenso esercito proveniente
da Rohan, di gran lunga superiore al loro, che sarà su di noi entro la fine
della giornata. Speriamo solo di riuscire a carpire le loro intenzioni.»
«Non mi è ancora chiaro come faremo a scappare, quando i
Rohirrim giungeranno. Rischiamo di essere uccisi, scambiati per Esterling.»
fece notare il Sovrintendente.
«Di questo non mi preoccuperei. Sgattaioleremo quando Rohan
sarà quasi su di noi e ci libereremo di queste corazze e degli elmi. La cotta
di maglia che indossiamo sarà sufficiente a proteggerci. O almeno, ce la faremo
bastare.»
Boromir sospirò, rassegnato. «È davvero la cosa più stupida
che abbia mai fatto.»
«E tu sei il folle che mi segue! Andiamo, ora. Il tempo ci è
nemico.»
Con un’ultima occhiata ai rimasti, Éomer fece un cenno ad
Erkenbrand e Elfhelm di far aprire il malandato cancello della città e i
fasulli Esterling corsero con tutte le poche forze di cui disponevano verso
l’accampamento al di fuori le mura.
«Buona fortuna, amici miei.» sussurrò il Re di Rohan,
chinando il capo e volgendo loro le spalle, per discutere dei nuovi piani di
difesa con i suoi soldati e i Nani.
Aragorn si buttò a terra, stremato, e Boromir lo seguì,
respirando con fatica. Avevano corso con tutto li fiato di cui disponevano, le
mani alzate in segno di pace, e alcuni Esterling, che li avevano avvistati da
parecchio, gli si avvicinarono, aiutandoli a rimettersi in piedi.
«Yes ts’ankanum yem khosel vor
Arrajnordi. Da hratap.*» disse il Re di Gondor nella
loro lingua. Boromir sbarrò gli occhi per la sorpresa, ignorando completamente
che potesse conoscere il linguaggio degli Esterling. L’altro non poté dirgli
che, durante i suoi lunghi anni di vagabondaggio come Dúnadan, avesse avuto
modo di impararne più d’una, oltre che l’Elfico.
Un soldato annuì, conducendoli dal loro Comandante, che
trovarono al di fuori della sua regale tenda rossa e dorata. Alzò lo sguardo
scuro su di loro e il Sovrintendente dovette far ricorso a tutto il suo poco
autocontrollo, pur di non saltargli alla gola e strangolarlo con le sue stesse
mani. Si chinò, invece, al suo cospetto, imitando Aragorn, mentre quello
sollevò un sopracciglio, con perplessità.
«E voi da dove giungete, così conciati?» disse Azdor,
spostando l’attenzione sui nuovi arrivati e studiandoli con cautela; si
soffermò su Boromir, che mantenne ostinatamente gli occhi rivolti verso la
terra umida, nascondendo gli occhi irati sotto le folte ciglia brune.
«Noi e molti altri eravamo ostaggi dei... Gondoriani.» rispose Aragorn, tenendo anch’esso
lo sguardo basso e marcando l’ultima parola con il disprezzo che aveva sentito
nelle loro voci, solo qualche ora fa. «Siamo gli unici sopravvissuti.»
«Lo vedo.» mormorò il Comandante, continuando a scrutarli. «Mi
sorprende vedervi qui.»
«Siamo stati rilasciati, mio signore.»
«E per quale motivo avrebbero dovuto farlo?»
«Sono stupidi, mio signore. E molli come il burro al sole.»
Con una risata, Azdor gli si avvicinò, sollevandogli il
mento e costringendolo a guardarlo. Gli occhi neri dell’Esterling parevano due
buchi scavati in profondità e mal celavano la sua cattiveria. Tuttavia continuò
a sorridere sbiecamente. «Non ne dubito. Mi è stato detto che l’Elessar sia un
Uomo privo di spina dorsale che si circonda di donne per proteggersi.»
Boromir strinse i pugni, in un gesto che non passò
inosservato, e pensò che, se avesse saggiato la lama di Brethil quel cane non
avrebbe potuto ridere ancora per molto di lei.
«Immagino che la tua stizza sia di disgusto, amico.»
commentò Azdor, osservando ora l’altro soldato.
Il Capitano di Gondor represse un sospiro di collera e parlò
con voce tremendamente bassa. «Pensavo, mio signore, che vorrei personalmente mettere
in riga le donne di cui parli e ricordare loro quale sia il proprio posto nella
civiltà.»
Azdor sorrise apertamente, una fossetta sinistra comparve ai
lati delle labbra carnose. Aragorn ghignò, più per il sollievo di quella
risposta, che per compiacere il Comandante; quello, d’altro canto, gli diede un
buffetto sul viso, riprendendo il discorso.
«Dici di avere notizie urgenti. Parla.»
Il Ramingo gli raccontò di ciò che avevano udito durante le
loro presunte ore di prigionia. «Ci sbeffeggiavano, dicendo che l’ora della
nostra rovina sarebbe giunta presto. Il capo dei Gondoriani ci ha rilasciati
per avvisarti: per dirti di arrenderti all’evidente sconfitta.»
Come a sottolineare le parole di Aragorn, un soldato levò la
voce, gridando di guardare il polverone che si alzava verso Ovest. «Rohan
arriva!»
Gli Uomini di Gondor sorrisero sotto gli elmi, sentendo la
speranza divampare nuovamente nei loro animi. Ma furono delusi dalla reazione
del nemico, poiché non vi fu la paura che avevano auspicato.
Azdor, infatti, scoppiò a ridere e sputò in terra. «Che i
Signori dei Cavalli vengano! Li accoglieremo nel migliore dei modi.» Si
avvicinò a Boromir, afferrandolo per il collo e levandogli l’elmo; lo colpì il
viso con un poderoso pugno, che gli annebbiò la vista per parecchi secondi. «Mi
credevate tanto stupido, Gondoriani? Neppure
quest’armatura potrebbe nascondere l’odio che trasuda dalla tua pelle, né io dimentico facilmente gli occhi
di chi voglio vedere morto.»
Aragorn sentì il proprio cuore mancare qualche battito e
sbiancò; il sorriso vittorioso gli si spense immediatamente. Incontrò lo
sguardo divertito del Comandante degli Esterling e vide la sua sete di sangue
iniettargli gli occhi.
«La mia fonte mi aveva messo in guardia su quanto il Re di
Gondor fosse stupido.» disse con lentezza, mentre trascinava con la forza di
una sola mano il corpo indebolito del Sovrintendente. «Solo, devo fargli i
complimenti, poiché ha superato di gran lunga le mie aspettative.»
Aragorn si tolse l’elmo, rivelando il suo volto stanco e
mortalmente serio, e si alzò con dignità. «Complimenti a te per la tua
perspicacia, Esterling.»
«Suvvia, sei venuto qui per civettare o per combattere? Che
cosa vuole realmente il tuo Re?»
Il Ramingo fu almeno sollevato dal fatto che non avesse
indovinato chi fossero i due Gondoriani
che aveva di fronte. «Vuole darti la possibilità di fare la scelta migliore per
la tua gente. Rohan sta arrivando e sarà devastante come un’onda sullo scoglio.
O avete dimenticato cosa accadde proprio in questi campi solo qualche mese fa?»
«No, non lo dimentico; ed infatti, eccomi qui, a reclamare
vendetta.» Il Comandante sorrise. «Con la differenza, Gondoriano, che lo
scoglio sono io.»
«Chi è la tua fonte?»
«Bada bene!» esclamò l’altro, colpendolo con un calcio
all’addome, che lo spedì in ginocchio. «Le domande le pongo io. Ma dato che la
vostra piccola visita mi ha rallegrato, ti dirò questo: il tuo Re è davvero talmente
stupido da non rendersi conto delle persone di cui si circonda.»
Aragorn respirò a fatica, cercando di riprendere fiato dopo
il colpo, e le parole di Éomer gli risuonarono in mente.
Mardil... quel dannato
cane.
«La tua fine e quella del tuo amichetto è già scritta.»
continuò Azdor. «Non lascerete questo accampamento vivi. E neppure Minas Tirith
rimarrà in piedi così a lungo. Essi saranno ormai quasi arrivati.»
I due Uomini di Gondor si scambiarono un’occhiata di
terrore. Minas Tirith era in pericolo? Chi
era quasi arrivato?
In sottofondo, il resto degli Esterling stava esultando,
battendo i piedi per terra e le lance sugli scudi, e gridando Mahvan! Mahvan!**
per tutto l’accampamento.
Azdor alzò una mano per zittirli e il silenzio tornò a
regnare. «Ma prima di uccidervi, ho in mente qualcosa. Un banchetto di
benvenuto per i nostri amici di Rohan. E uno spettacolino per te, così... per ammazzare il tempo. Patrastel hank’yeri!***»
Nessuno di loro capì cosa stesse per succedere, finché non
lo videro con i loro occhi. Cinque Uomini si prepararono ad erigere un palo,
conficcandolo con forza nel terreno e fissando una corda sull’estremità che
volgeva verso il cielo. Lì Boromir venne legato per i piedi e issato a testa in
giù; fu Azdor in persona a ferirgli la gola, con un sorriso di sadico piacere.
A nulla servì agitarsi per liberarsi, poiché ad ogni sua mossa avventata, un
soldato era pronto a colpirlo con sempre più forza, finché neppure la
caparbietà di Boromir ebbe più la voglia di resistere. Aragorn fu fatto inginocchiare davanti all’amico,
affinché potesse guardarlo morire dissanguato; passò inosservato, però, il suo tentativo
di liberarsi i polsi dalle strette corde che gli legavano le mani dietro la
schiena. Non avrebbe permesso che Boromir morisse in quel modo pietoso, appeso
come un pollo prima di uno spiedo; no, non lo avrebbe permesso.
Lui lo aveva trascinato con sé, e lui avrebbe salvato il
salvabile.
Boromir gli rifilò l’ennesima occhiata, ma questa volta fu
di rassegnata sconfitta. «Ti promisi che ti avrei seguito ovunque, anche verso
la morte mio Re.» gli sussurrò. «Non mi pento della mia parola, né tu devi
pentirti della tua scelta.»
«Mi dispiace di averti trascinato in questa follia.» mormorò
Aragorn in un sospiro.
«Sciocchezze. Sono felice che sia con me, amico mio.»
Il Re sorrise, tristemente, e Boromir chiuse gli occhi,
chiedendosi cosa sarebbe stato di lui tra qualche anno, se fosse sopravvissuto
a quell’ennesima dura prova.
Brethil...
L’idea che non l’avrebbe più vista gli serrò dolorosamente
la gola, più della consapevolezza che sarebbe morto lentamente.
Quanto avrebbe voluto poterla abbracciare un’ultima volta,
affondare il naso tra i suoi capelli neri e disordinati, inspirare il suo
profumo e baciare ogni centimetro della sua pelle martoriata dalle cicatrici.
Non aveva mai pregato in vita sua, poiché non credeva nei Valar;
ma quel giorno, quando Azdor passò lentamente con la punta di un pugnale a
bucare il punto più delicato della sua gola e sentì il caldo sangue fluire
lentamente dalla ferita, Boromir pregò.
E chiese ad Eru, o chi per lui, di proteggere l’unica donna
che avesse mai amato e, ne era sicuro, avrebbe amato anche dopo la morte.
Pregò che tornasse a casa sana e salva e che si rifacesse
una vita, lontano dal dolore e dalle guerre, magari tra le foreste
dell’Ithilien con il giovane Elegost che pareva così tanto innamorato di lei.
Pregò che i gemelli di Imladris le rimanessero accanto,
finché la morte non si fosse portata via anche lei.
E pregò che continuasse a sorridere e che vivesse felice,
anche per lui.
Non mancava che un giorno di marcia alle mura di Minas
Tirith. Avevano superato il Rammas Echor con una facilità imbarazzante, a ben
pensarci. Mardil, del resto, era ben conosciuto soprattutto alla Porta Sud, che
attraversava spesso e volentieri, e le sentinelle di guardia al cancello
l’avevano accolto come sempre con un saluto e un inchino. Solo che, quel
giorno, nessuno di loro fece in tempo a raddrizzare nuovamente la schiena. I
dieci Haradrim che lo avevano accompagnato in avanscoperta – e che avevano
scambiato per una delegazione di pace – li avevano uccisi prima ancora che
potessero farlo.
E ora che il penultimo ostacolo era stato superato, avevano
atteso il resto delle silenziose truppe, prima di proseguire verso l’ultima
tappa del viaggio. Visti gli attacchi degli Esterling, Minas Tirith aveva
sicuramente messo il coprifuoco a tutti gli abitanti del Pelennor e della Città
Bianca, cosicché quei campi fossero pressoché deserti e potessero muoversi
liberamente senza destare sospetti. Ma Mardil era anche un Uomo altamente furbo
e con una maniacale attenzione ai dettagli, e non volle correre il rischio che
qualcuno li scoprisse prima che raggiungessero il loro obiettivo e svelasse la
loro posizione. Così spiegò ai suoi Haradrim che avrebbero proseguito lungo il
limitare della catena montuosa, rifugiandosi dalla vista delle vedette della Città
di Pietra lungo i sali e scendi dei pendii e la fitta vegetazione rigogliosa.
Si erano fermati lì per il resto della giornata, nascosti
tra gli abeti del Mindolluin, in attesa del calare delle tenebre, quando si
sarebbero mossi; non accesero fuochi, né parlarono. Il segreto di tutta la
complicata missione, che Mardil aveva pianificato da tempo con Azdor, si basava
sulla discrezione e non avrebbe potuto rischiare di rovinare tutto proprio durante
l’ultima parte del piano.
Ghignò, compiaciuto della sua mente. Nessuno avrebbe
sospettato di lui, fintanto che non fosse comparso a calare la distruzione sul
regno degli Uomini. Persino Ecthirion, che aveva mostrato qualche perplessità
sul comportamento del suo ultimo periodo aveva creduto alla mole infinita di
bugie che gli aveva rifilato per coprire le sue scappatelle. Era sempre stato
silenzioso e fedele, eppure nessuno pareva dargli ciò che meritava: il
rispetto. In tutti quegli anni, Gondor non era mai stata veramente la sua casa;
sebbene vi fosse cresciuto per la maggior parte della vita, nel suo sangue
scorreva quello dell’Harad, e tutti continuavano a ricordarglielo: lo
guardavano con diffidenza, per il colorito troppo scuro della sua pelle, per
quegli occhi neri e penetranti che parevano pece; aveva udito le malelingue
alle sue spalle, che lo additavano come strano e diverso, e che non si erano
attenuate neppure quando Ecthirion lo aveva nominato sua Prima Lancia. Nessuno
di loro, però, ricordava il nome della sua buona famiglia, che tanto tempo
addietro essi stesso avevano ucciso senza pietà.
Poi la Guerra dell’Anello era giunta e con quella la
promessa di una vita migliore, tra la sua gente che non lo avrebbe ripudiato, ma anzi!, lo avrebbe nominato il proprio
capo da seguire. Perché lui avrebbe sconfitto Gondor con l’astuzia, più che con
la forza; e l’occasione era giunta proprio con Azdor, il nuovo Comandante degli
Esterling che aveva sostituito quello precedente, così arrendevole di fronte
alle richieste di Re Elessar, mentre egli era così assetato di vendetta per la
sua gente uccisa dagli Uomini dell’Ovest.
Un comune nemico e il profondo odio che entrambi avevano
covato per anni era stato il loro punto d’incontro.
Il tempo dei giochi era ormai finito.
Eppure Ecthirion, a differenza di ciò che credeva Mardil,
non si era bevuto l’ultima ed eclatante scusa per lasciare Minas Tirith alla volta
di chissà quali affari. Aveva preferito sottostare al suo gioco almeno
all’apparenza e, appena la sua Prima Lancia era sparita oltre il Grande
Cancello in costruzione, aveva sellato velocemente il suo cavallo, preso
qualche scorta di viveri e aveva seguito le sue tracce a distanza, affinché non
si accorgesse di lui.
Non aveva avvisato nessuno, nella Cittadella, sulla sua
partenza. Sapeva che il suo posto, in mancanza del Re e del Sovrintendente
fosse accanto alla Regina, per proteggere la città e prendere il comando delle
armate nel caso ve ne fosse stato il bisogno, ma quella era una faccenda che
voleva risolvere da solo, senza l’intervento di nessuno. Si trattava, del
resto, della sua Prima Lancia, dell’uomo di cui avrebbe dovuto fidarsi
ciecamente, e che invece gli aveva dato prova di tiri mancini e di numerosi segreti.
E ne ebbe la terrificante prova quando raggiunse il Cancello
Sud del Rammas Echor, tristemente silenzioso. L’odore della morte era giunta
fino alle sue narici prima ancora che si avvicinasse alla muraglia difensiva e
guardò con orrore i cadaveri circondati da mosche e beccati da qualche uccello
in cerca di cibo. Una rabbia cieca gli annebbiò la vista per qualche secondo e
strinse con così forza le briglie del suo cavallo che, se non fosse stato per i
guanti in pelle che indossava, si sarebbe ferito con le sue corte unghie.
Guardò il terreno, cercando possibili tracce da seguire per
individuare il nemico che si era introdotto entro i confini del Rammas Echor e
per un attimo, un solo attimo, si dispiacque per il fatto che la Sfregiata non
fosse con lui per aiutarlo. Non era un Ramingo, non era abituato a leggere ciò
che la terra aveva da raccontargli; ma non fu difficile, infine, riuscire a
scorgere il pesante passaggio di qualche migliaio di piedi, diretti verso la
vegetazione delle pendici montuose.
In quel momento, l’unica cosa che riuscì a fare fu di
calciare con forza i talloni contro il ventre del suo destriero e di galoppare
fino allo sfinimento. Sapeva solo che, qualsiasi cosa si muovesse silenziosa e
letale, era diretta a Minas Tirith, ormai priva di una difesa adeguata, e
doveva raggiungerla in tempo, prima che fosse troppo tardi. Ebbe così la
possibilità di ricomporre tutti gli enigmi che si erano sommati in quegli
ultimi giorni e si maledisse per non averlo capito prima. L’attacco degli
Esterling ad Osgiliath e la notizia di un esercito proveniente dal Sud erano
giunte quasi contemporaneamente, con un tempismo pessimo – o perfetto, secondo
quelli che erano gli evidenti piani del Nemico. Si domandò, addirittura, se
l’esercito di cinquemila lance esistesse realmente, o se fosse stato una
semplice scusa per sguarnire Minas Tirith in vista dell’attacco a sorpresa.
Mardil era stato così accorto da far nascondere i suoi alleati, durante il passaggio
dell’esercito comandato dalla Sfregiata, e lui si sentì ancora una volta così
stupido ed impotente per non averlo impedito prima.
E come se anche il suo cavallo avesse capito l’urgenza di
quella corsa, non rallentò il galoppo neppure un istante, volando sul Pelennor
come una freccia verso il suo obiettivo.
*
* Vorrei parlare con il Comandante. È urgente.
** A morte!
***
Preparate i pali!
Una piccola nota sulla lingua utilizzata: è armeno.
Il Professore, che io sappia, non ha scritto qualcosa sul linguaggio degli
Esterling, quindi ho dovuto arrangiarmi. Ho provato diverse lingue, prima di
scegliere l’armeno; alla fine era quella che più mi piaceva come suono e che
secondo me potrebbe rispecchiare il loro linguaggio. Ad ogni modo, ringraziate
Google Translator per qualsiasi errore. :D
E dopo questo, lascio a voi il parere. Pomodori
marci e uova scadute sono gratuitamente a vostra disposizione da lanciare ad
Aragorn e alle sue geniali idee. :P
A presto! *^*
Marta.