Capitolo
Otto: Belial
Il
messaggero sussultò da capo a piedi, il viso imperlato da
vistose gocce di sudore.
Il
signor Vargas gli lanciò uno sguardo che avrebbe ucciso
perfino un drago.
«Cosa
hai appena detto?»
L’ambasciatore
passò la lingua secca sulle labbra
disidratate e pronunciò nuovamente:
«La
Prigione Caina necessita di ristrutturazione. Vi è
un’enorme breccia aperta sul lato nord
dell’edificio, come se un gigantesco
fuoco l’avesse sciolta. E molti Golem sono stati
uccisi…»
«Da
chi? Chi può
uccidere dei Golem in quel modo?»
«Abbiamo
ragione di ritenere, signore…» la voce
tremò
assieme al cuore, mentre l’uomo comunicava l’ultima
e peggiore notizia: «Che
sia stato l’Hellsing. La sua cella è
l’unica a essere stata aperta, e non
abbiamo ancora trovato il suo corpo…»
«Chi ha liberato
l’Hellsing?»
«C’era
del sangue sul luogo, signore!» esacerbò il
messaggero, impazzito di paura: «Lo abbiamo analizzato, e
appartiene a vostro
figlio!»
Avvertì
l’aria spezzarsi come un ramo secco in autunno. Il
signor Vargas lo fissò con occhi ribollenti e
proferì, con voce di fuoco:
«La
tua testa sarà su una picca, domani mattina.»
L’uomo
tentò inutilmente di liberarsi dalla presa erculea
delle guardie che si materializzarono alle sue spalle.
«Ho
solo riferito un messaggio!» si discolpò, gridando
mentre veniva trascinato fuori dalla stanza.
«Hai
detto una bestemmia» sibilò il signor Vargas alle
porte
chiuse. «Quell’abominio non è mai stato
mio figlio.»
Si
lasciò cadere sullo scranno imbottito, congiungendo le
dita a ponte davanti al volto.
Lovino
era ancora vivo, e chiaramente invischiato in affari
illegali. Sapeva che quel bambino non desiderato avrebbe portato solo
sciagure.
Ma era giunto il momento di porre fine alla sua esistenza blasfema.
Avrebbe
chiamato l’Accordatore. Era il solo in grado di
correggere Lovino, l’unica nota stonata nella sinfonia
perfetta della
Confederazione.
***
«Vorrei
vedere di nuovo la mia casa.»
Era
stata la prima cosa che Gilbert aveva chiesto, una volta
che gli entusiasmi della truppa di Antonio si erano parzialmente
placati: erano
bucanieri, e il modo più diretto per dimostrare la loro
gioia per il ritorno
dell’Hellsing era brindare alla sua salute il più
rumorosamente possibile.
«Mi
accompagnerai?» aveva poi domandato, rivolto al suo
vecchio compagno d’armi.
E
Antonio aveva annuito, come sempre.
Così
si erano ritrovati su quel pianeta brullo e inospitale,
a fissare un orizzonte di nebbia e desolazione. Gilbet li aveva guidati
fino
alla sua casa, ma era entrato da solo, forzando il legno logorato da
anni di
incuria. Nessuno si era affacciato per sbirciare all’interno,
rispettando
l’intimità dell’Hellsing. In quel modo,
solo Gilbert aveva contato quante
lacrime si erano infrante sul pavimento mentre guardava il giaciglio di
Ludwig
con la paglia marcita, o mentre ricordava i momenti passati con Matthew
su quel
letto che ormai era un cadavere di molle arrugginite. Un denso strato
di
polvere copriva ogni cosa come un triste sipario, e Gilbert non era
riuscito a
scendere in cantina: non era sicuro che avrebbe tollerato
l’assenza di due
enormi occhi azzurri che lo fissavano e gli chiedevano cosa occorreva
portare
di sopra. Era salito invece per la piccola scala a pioli che portava
alla
soffitta. Le armi che aveva lasciato riposavano sotto una spessa
coperta di
polvere e sporcizia, e Gilbert sollevò un nuvolone
irrespirabile quando soffiò
su una di esse. Recuperò un fucile arrugginito e una
sciabola bisognosa di
affilatura, e lasciò i loro compagni di metallo a giacere
nei detriti del
passato.
Si
affacciò di nuovo alla porta di casa con il volto e la
divisa appannati dai sedimenti.
«Credo
di aver bisogno di un bagno» notò, scrollandosi
dai
capelli un intero deserto di polvere.
«Potrai
farlo nella Fortezza Errante» consigliò Yao.
L’Hellsing
abbracciò con lo sguardo quel posto impervio,
quasi volesse cullarlo.
«No,
grazie. Non sono il tipo da rilassarsi in una vasca.
Preferisco il mio lago» declinò
l’invito, senza smettere di lambire la sua casa
con gli occhi.
«Allora
credo che vi precederemo nella Fortezza» annunciò
l’Asean, afferrando Lovino a tradimento e conducendolo
all’interno del palazzo
prima che avesse il tempo di replicare.
Gilbert
attese che il portellone della Fortezza Errante si
fosse chiuso dietro di loro prima di asserire, dando una gomitata ad
Antonio:
«Secondo
te, quanto scompiglio abbiamo creato ai piani alti?»
«Con
l’Hellsing in libertà e la Prigione Caina violata?
Sarà
venuto un infarto a tutti» decretò Antonio,
baldanzoso.
«Scuotiamo
le sottane di quei benpensanti come ai vecchi tempi!»
esclamò Gilbert.
Poi,
entrambi divennero seri. Il passato era un peso troppo
grande da sopportare, anche per due paia di spalle robuste come le
loro:
avevano troppe tombe da portare sulla schiena.
«Come
ai vecchi tempi…» ripeté Gilbert al
lago che occhieggiava
muto. «Ma questi non sono più i “vecchi
tempi”.»
Antonio
non replicò. Non vi era nulla da aggiungere a quella
verità.
Gilbert
tamburellò le dita sul calcio del fucile e
sospirò:
«Ho
dormito nove anni. Per un attimo ho sperato che,
svegliandomi, avrei scoperto che era stato tutto un incubo.»
«Invece
è la realtà.»
«Incredibile
come quella meretrice riesca sempre a essere peggio
delle peggiori fantasie,
vero?» scherzò amaramente Gilbert, acredine e
risentimento mescolati in una risata senza gioia. «Mi sono
risvegliato in un
mondo in cui la nostra battaglia con il Vaticano non è
ancora finita. Pare che
quel vampiro pasteggi sul sangue dei nostri compagni, per mantenersi
così in
forma nonostante la sua età secolare.»
L’Hellsing
mosse qualche passo verso il retro della casa, e
si chinò a scavare con le mani in un punto preciso. Dopo
qualche secondo,
sollevò il suo misero bottino: lo scheletro raggrinzito di
un bulbo.
«Lo
avevano piantato Ludwig e Matthew, per ridare un po’ di
verde a questo posto» Gilbert lasciò le armi
appoggiate alla parete, e si
inginocchiò sulla riva del lago. Portò le mani a
coppa sulla sua superficie
gelida, in modo che le onde glaciali potessero bagnare quel seme
rinsecchito.
«Non
basta piantare i semi» salmodiò
l’Hellsing, la voce
appesantita dai ricordi del passato: davanti ai suoi occhi, continuava
a vedere
Ludwig e Matthew che lo salutavano festosi, mostrandogli il risultato
del loro
duro lavoro. Dovette pugnalarsi gli occhi con la realtà per
scacciare quel
frammento di passato: il bulbo che avevano piantato era morto, come il
tempo
che avevano passato insieme. «Non basta. Bisogna prendersene
cura perché cresca
davvero qualcosa» Gilbert allargò le mani: le onde
si impadronirono gentilmente
del bulbo, portandolo a riposare nelle loro profondità senza
luce. «Per questo,
se vogliamo cambiare la Confederazione, non possiamo aspettare che
qualcuno lo
faccia per noi» l’Hellsing si rialzò,
afferrò la sciabola e la puntò verso
l’amico: «E per questo il vostro gruppo ha appena
guadagnato il più
meraviglioso combattente di tutta la Galassia.»
«Per
il momento, sei solo il più impolverato» lo
smontò
Antonio.
Un
ghigno sardonico si allargò sul volto di Gilbert quando
questo infierì:
«Non
sono di certo un virgulto tenero come il tuo vice. Da
quando ti piacciono i ragazzini pelle e ossa?»
L’Hellsing
si godette l’espressione impagabile di Antonio e
peggiorò, scuotendo la sciabola:
«Anche
se ho dormito per tanto tempo, non mi sono svegliato
rimbecillito. Ho visto come lo guardavi, ieri sera. E ho visto anche
come lo
tenevi stretto a te quando siamo usciti da Caina.»
«Lovino
è un aiuto prezioso. È il gemello
dell’Asse, e ha
dei poteri forti quanto i suoi» razionalizzò
Antonio.
Gilbert
conficcò la scimitarra a terra, appoggiandosi
sull’elsa come a un bastone.
«So
che sei un capitano che si preoccupa dei suoi uomini,
per quanto le dicerie di popolo possano dire il contrario. Ma non ti ho
mai
visto condividere la loro pena. Ed è giusto che un capitano
non empatizzi con
tutto il suo equipaggio, o impazzirebbe: soffrire per ognuno di loro
è
inconcepibile» l’Hellsing gli assegnò
uno sguardo a metà tra lo speculativo e
il derisorio:
«Come
mai con lui non riesci a mantenerti neutrale?»
«Dovevi
essere proprio a digiuno di pettegolezzi per
metterti a fare la comare appena uscito dal ghiaccio» lo
rimproverò Antonio.
«Nove
anni di mutismo creano scompensi» concesse con
eleganza beffarda Gilbert. «Ho anche notato come ti guardava
lui.»
La
replica si ritirò tempestivamente nella gola del
capitano, improvvisamente curioso di conoscere il resto.
«Aveva
un sacco di parole che gli ribollivano tra le labbra.
Sembrava un vulcano sul punto di esplodere. Peccato che non gliene sia
sfuggita
nemmeno una.»
Gilbert
calciò la scimitarra tenendola per l’elsa, in modo
che si appoggiasse sulla sua spalla dopo aver disegnato un semicerchio
nell’aria.
«Hai
detto che è il gemello dell’Asse, quindi
è un Vargas»
constatò l’Hellsing.
«Lo
era. Ha rimosso il loro stemma molto tempo fa. E, da
allora, si fa chiamare solo Lovino» spiegò Antonio.
La
sciabola picchiettò pigramente la spalla
dell’Hellsing
prima che questo decretasse:
«Belial»
e aggiunse, per sciogliere il quesito sul viso di
Antonio: «È il nome di un diavolo di cui mi
ricordo in modo particolare. Con i
demoni era sempre una lotta in mischia; con lui, invece, ho quasi
duellato. Ha
atteso che i suoi simili fossero stati uccisi, e solo dopo è
sceso sul campo di
battaglia. Abbiamo lottato per un’intera notte e non ha
chiuso gli occhi,
quando l’ho infilzato la mattina seguente. La sua
testardaggine mi ricorda
quella del tuo amato vice.»
Antonio
sorvolò sulla frecciatina finale e commentò:
«Belial.
Suona bene. Credo che gli piacerà.»
«Ne
sono certo» Gilbert soffocò le lacrime nella sua
voce,
mentre le immagini di un ragazzo senza ricordi e di un bambino che non
cresceva
emergevano nel suo cuore. «Sono molto bravo nel dare i nomi
alla gente.»
Antonio
restò in silenzio, non osando introdursi nel dolore
che aveva improvvisamente incupito i lineamenti dell’amico.
«Sei
sicuro che sia stata una buona idea venire qui?» si
preoccupò, quando il mutismo del collega si fece
insostenibile.
Gilbert
chinò la testa, una luce mesta negli occhi rossi.
«Ogni
sterminatore lo sa: devi affrontare il diavolo più
grande, per non aver più paura dei demoni»
gettò il suo sguardo oltre il lago,
fino ai rimasugli di bosco in cui aveva seppellito il corpo senza vita
di
Matthew. «Allo stesso modo, se vuoi superare un lutto non lo
devi scansare:
devi immergerti dentro di esso fino a quando non ti sembra che la tua
sanità
mentale stia per sbriciolarsi. Solo dopo puoi tornare in
superficie» Gilbert
permise al sole di ferirgli le pupille mentre concludeva:
«Solo dopo averlo
conosciuto fino in fondo puoi lasciartelo alle spalle.»
«Sei
voluto venire qui per soffrire fino al punto estremo?»
domandò Antonio.
«Sarebbe
un bel problema se mi facessi prendere dallo
sconforto nel bel mezzo di una battaglia, non credi?»
controbatté pratico
Gilbert. Inspirò a fondo l’aria gelida di quel
luogo, sentendola conficcarsi
come una tempesta di aghi di ghiaccio nei suoi polmoni. «Oggi
terminerò quello
che non sono riuscito a concludere nove anni fa. E poi dirò
addio a questo
posto.»
L’indice
dell’Hellsing andò a puntare gli alberi
striminziti
oltre il lago.
«Devo
andare là» annunciò. «Poi
tornerò indietro, mi farò il
bagno e ce ne andremo da questo posto. E cominceremo di nuovo la nostra
guerra.»
«Sarò
qui, se avrai bisogno di me» lo rincuorò Antonio,
guadagnandosi un sorriso grato.
«So
che ci sarai.»
L’Hellsing
gli diede le spalle, e assunse la posa più
pomposa che riuscì a inventarsi per coprire
l’incertezza della sua voce:
«Ludwig…
mi chiedo dove sia.»
Fu
come se i raggi del sole avessero veicolato fino a lui il
disagio nell’animo del compare: nonostante fosse rigido nella
sua postura da
grande uomo, percepì sulla propria pelle il suo timore. E si
sentì in dovere di
alleviarlo:
«Lo
hai istruito bene. Sicuramente, avrà trovato un modo per
sopravvivere. Possiamo chiedere al Figlio del Cielo di
localizzarlo.»
Gilbert
rovesciò il viso verso l’alto, nella speranza che
il
sole di ghiaccio bruciasse le sue incertezze. Chissà come
era cambiato Ludwig,
durante quei nove anni. Era cresciuto, almeno un poco, o era rimasto il
bambino
goffo dei suoi ricordi? Lo aveva odiato per averlo lasciato solo, o
aveva
pensato a lui con l’affetto che gli aveva sempre dimostrato?
Gilbert
inghiottì una boccata di aria invernale: era inutile
e dannoso arrostire in domande che non potevano trovare una risposta,
almeno
finché non si fosse ricongiunto con il fratello.
Scacciò quegli interrogativi
con un’altra domanda, che pose al capitano:
«E
tu, Antonio? Sei riuscito a tornare a casa?»
«Mai.»
«E
non desideri tornare?»
«Sempre.»
Gilbert
si voltò e vide un’ombra scura protendersi sul
viso
contratto del suo amico. Le vecchie ferite non guarivano mai:
lasciavano sempre
una cicatrice dietro di sé.
«Un
giorno riuscirai a fare ritorno.»
«Ma
quel giorno non è oggi» Antonio rialzò
verso di lui un
viso inamidato da un ottimismo forzato: «Oggi tocca a te
esorcizzare i tuoi
fantasmi.»
«Esorcizzare?»
sogghignò sarcastico Gilbert, avviandosi per
la sua strada. «Per una cosa del genere, servirebbe quel
beone di Francis…»
Antonio
osservò l’amico sparire nella sparuta boscaglia, e
ripensò a quanto appena detto.
Sarebbe
tornato sul suo pianeta, un giorno. Avrebbe parlato
a Lovino del suo passato, un giorno.
E
tremava all’idea che quel giorno sarebbe arrivato davvero.
«Madre de Dios» si
rinfacciò, critico. «Questo capitano è
vergognosamente debole.»
***
Aveva
accettato volentieri la proposta del Figlio del Cielo
di fare un bagno: sulla nave di Antonio, le possibilità di
avere acqua calda
erano minime, e di vedere una vasca praticamente nulle.
Ma
non aveva capito che l’Asean intendeva immergersi insieme
a lui.
Si
spogliò con rapidità quasi militaresca e si
tuffò nella
vasca il prima possibile, ringraziando l’acqua scura che
celava le sue nudità.
Yao,
al contrario, non provò il minimo imbarazzo nello
spogliarsi e nell’entrare assieme a lui. Lovino ricordava
che, durante una
lezione di storia e società, il maestro aveva detto qualcosa
riguardo al fatto
che nel Sistema Asean era piuttosto comune farsi il bagno tutti
insieme, e che
esistevano addirittura bagni pubblici in cui la gente di
un’intera città poteva
ristorarsi in contemporanea.
Trascorse
qualche secondo di imbarazzo totale prima che
Lovino trovasse la forza di alzare lo sguardo sull’orientale.
Non
aveva mai visto un uomo come lui nella ciurma di
Antonio. I bucanieri, di solito, erano uomini cui lo scorbuto aveva
annerito
qualche dente, e che la dura vita sulla nave aveva forgiato in fasci di
muscoli
e nervi d’acciaio. Lui e Antonio erano tra le poche persone,
all’interno
dell’equipaggio, a possedere fisici più gentili.
Tuttavia,
nessun uomo visto fino a quel momento aveva la
benché minima caratteristica in comune con
l’Asean. Il profilo del viso e i
lineamenti del corpo erano chiaramente maschili, ma possedevano una
delicatezza
che li rendeva quasi fluenti, come se scivolassero nello spazio
anziché
occuparlo. La pelle stessa sembrava liscia al pari della seta che
indossava di
solito, e non riusciva a scorgere nemmeno la più piccola
ombra di un pelo.
C’erano poi gli occhi, di quella forma così
stravagante, e i capelli, lunghi e
lucidi come non li aveva mai visti su di un uomo.
Non
possedeva una bellezza scultorea e perfetta, ma un
carisma sconosciuto permeava la sua figura aristocratica. Si chiedeva
se
fossero i suoi poteri ancestrali a conferirgli quell’aura di
irraggiungibilità
o se semplicemente l’orientale fosse nato con il dono di
affascinare le
persone.
Yao
si voltò nella sua direzione, e Lovino distolse
frettolosamente lo sguardo.
«Non
avevi mai visto un’orientale, prima?»
s’informò garbato
l’Asean.
«Non
sono mai uscito dalla Villa Topazio» liquidò
Lovino,
nuotando un po’ più lontano nella vasca.
Yao
inclinò la testa, e i capelli tracciarono un disegno
ondulato sulla superficie dell’acqua.
«Nemmeno
io avevo mai visto un uomo nudo, prima di Ivan»
rivelò placido l’Asean.
Lovino
quasi annegò per la sorpresa. Sputacchiò acqua e
incredulità, domandandosi come fosse possibile che un uomo
aggraziato come Yao
potesse trovare attraente un gigante malvagio come Ivan.
«La
notizia di stupisce così tanto?» l’Asean
stese la
schiena nell’acqua tiepida, perfettamente a proprio agio.
Lovino
faticò a racimolare le parole nella sua gola
traumatizzata.
«Pensavo
che voi foste… alleati.»
Yao
percorse con le dita tutta la lunghezza dei suoi capelli
prima di proferire:
«Siamo
alleati, ma prima di tutto siamo amanti» l’Asean si
divertì a vedere l’imbarazzo fiorire sulle guance
del giovane. «Pensi che Ivan
non sia capace di provare sentimenti?»
Il
ragazzo si strinse nelle spalle, pensando che fosse
troppo crudele confermare brutalmente.
L’Asean
reclinò la testa in modo che l’acqua calda potesse
accarezzargli la nuca. Ivan era come un forziere nascosto nel ghiaccio:
occorreva sciogliere la coltre gelida per poter finalmente scoprire
quanto
fosse meraviglioso il tesoro lì nascosto.
Nascose
il suo sorriso nell’acqua. Quel lato di Ivan non gli
dispiaceva: in quel modo, solo lui sapeva cosa l’uomo
serbasse nel suo Cuore
d’Inverno.
«Cerchiamo
di goderci il tempo che abbiamo insieme» disse
invece Yao, riaffiorando dall’acqua con il viso.
«Questi giorni non dureranno
per sempre.»
Lasciò
che una domanda inespressa circolasse per la mente di
Lovino per qualche secondo prima di spiegare:
«Io
sono il Figlio del Cielo, lui è il Custode dei Cancelli.
Se riuscirò a tornare sul mio trono, il mio ruolo mi
impedirà di vederlo
ancora. E, se non riuscissi a riottenere il mio posto…
sarebbe solo perché
sarei morto prima in battaglia» Yao portò le mani
a coppa sulla fronte, e
riversò sul viso la piccola cascata contenuta nei palmi.
«Per noi che nuotiamo
contro la corrente della Confederazione, il futuro ha solo due vie di
uscita:
il successo, o la morte. E, in ogni caso, dovrei separarmi da
Ivan.»
Le
spalle del giovane si incurvarono, e all’Asean
bastò quel
movimento per intuire i pensieri del giovane.
«Non
ci avevi ancora pensato, vero?»
Lovino
scosse il capo, gli occhi sbarrati a cercare di
afferrare le immagini di un futuro che non riusciva a figurarsi: era
inconcepibile l’idea di morire durante una missione, ma non
sapeva nemmeno cosa
aspettarsi in caso di successo. Passò un po’ di
acqua calda sulle spalle quando
queste rabbrividirono, ricordando le orride sensazioni provate a Caina:
la
testa che si apriva e il sangue che colava, le forze che svanivano e il
buio
che incombeva… non aveva intenzione di lasciare il mondo in
un modo così
orribile. E se si fosse ricongiunto al fratello, cosa sarebbe successo?
Sarebbero
fuggiti dal Palazzo e dalle Ville Vaticane. Ma Antonio sarebbe stato
disposto
ad accoglierli entrambi nella sua ciurma?
«Cosa
hai intenzione di fare, riguardo al capitano?»
La
domanda dell’orientale si conficcò come una
freccia nel
suo collo, facendolo trasalire.
«Cosa?»
Lovino si appiattì contro una parete della vasca
quasi volesse sfuggire agli occhi indagatori del Figlio del Cielo.
«Nella
Prigione Caina, non si è comportato come un capitano
si comporterebbe con un suo subalterno»
esemplificò Yao. «Pareva piuttosto un
uomo che proteggeva il suo amante.»
«Io
e lui non abbiamo quel tipo di rapporto» sbottò
Lovino,
arrampicandosi sulla vasca per uscire. La successiva annotazione
dell’Asean gli
fece scivolare la mano per la sorpresa:
«Perché
no? È così palese che siete innamorati. Per quale
motivo sprecate del tempo prezioso?»
«Mi
strozzerei con le mie stesse mani piuttosto che
innamorarmi di quel…»
«Ti
ha mai fatto del male?»
La
domanda di Yao interruppe il flusso della sua invettiva,
lasciandolo spiazzato.
«Non
ti ha mai fatto del male. Altrimenti avresti risposto
subito» si compiacque raffinatamente l’Asean.
«Ma ti ha protetto. Ha
sacrificato una caviglia per te, e ha affrontato i Golem pur di
difenderti. E
questo solo negli ultimi due giorni.»
«Non
è niente di eccezionale.»
«Non
dovresti essere così testardo. L’ostinazione fa
guardare in una sola direzione, perdendo i frutti che crescono ai lati
della
strada.»
Lovino
passò una mano nei capelli fradici come un animale
selvatico.
«Una
persona mi ha detto la stessa cosa, in passato.»
Yao
attese che il giovane fosse uscito dalla vasca e si
fosse avvolto nell’asciugamano prima di richiamarlo. Si
assicurò di avere la
sua completa attenzione prima di passarsi un dito sulle labbra con
dissimulata
lascivia e sussurrare:
«Baciare
ed essere baciati dalla persona di cui si è
innamorati è molto piacevole, lo sai?»
Lovino
si affrettò a uscire, le orecchie infuocate.
Al
contrario, Yao incrociò le braccia sul bordo della vasca
e vi appoggiò la guancia, in attesa che i passi a lui
familiari facessero
tremare il pavimento. Dovette attendere solo qualche secondo prima che
quel
suono si fermasse sulla soglia del bagno.
Il
Figlio del Cielo sollevò i suoi occhi scuri
sull’uomo che
lo attendeva sulla porta, avvolto nel cappotto e nascosto dalla sciarpa.
Yao
risalì il bordo lentamente e afferrò la vestaglia
con
calma. Come aveva previsto, due mani guantate si appoggiarono sulle
sue,
impedendogli di rivestirsi.
«Non
fare più il bagno insieme ad altre persone» lo
redarguì. Le braccia si strinsero sulla sua vita sottile, e
alcune gocce si
lanciarono dai suoi capelli per finire sul pesante cappotto.
L’Asean
accarezzò quei muscoli d’acciaio che lo
stringevano.
Ivan non tollerava l’acqua calda: il Cuore
d’Inverno sembrava impazzire, a
contatto con il calore. L’unico tepore che riusciva a
sopportare era quello
emanato dal Figlio del Cielo.
«Non
preoccuparti» lo tranquillizzò Yao, voltandosi nel
suo
abbraccio per poterlo vedere in viso. «È
innamorato del capitano. Ed era
talmente imbarazzato che non è riuscito nemmeno a sollevare
lo sguardo.»
Ivan
lo strinse ulteriormente, e sentenziò:
«Non
voglio che gli altri ti vedano.»
Yao
si arrampicò su di lui per potergli abbassare la sciarpa
e baciarlo. C’erano momenti in cui Ivan pareva non
comprendere le parole degli
altri, e aveva bisogno di altre vie per essere rassicurato, come un
bambino che
chiede costantemente una prova tangibile dell’affetto altrui.
Si
sentì sollevare dalle braccia dell’uomo, e la
porta dentata
a lato del bagno si aprì. Non si sorprese nel sentire il
materasso dare
ospitalità alla sua schiena, e il corpo dell’uomo
coprire il suo.
Dischiuse
le braccia e le gambe per accogliere il suo
amante.
Anche
quello era del tempo prezioso che non doveva essere
sprecato.
***
Era
ombroso come la via di cipressi prima del cimitero di
Villa Topazio.
Qualunque
possibile invettiva si rintanò nel punto più
lontano della sua gola quando i suoi occhi scorsero Antonio.
Stava
appoggiato alla balaustra semovente della Fortezza, lo
sguardo perso su un minuscolo punto che pian piano si rimpiccioliva nel
cosmo.
La serietà degli occhi aveva raddrizzato le labbra in una
riga rigida, e le
spalle erano tese a contenere le emozioni che si agitavano nel petto
del
capitano.
«Non
sapevo foste già tornati» si annunciò
Lovino, entrando
sul balcone.
Antonio
non riuscì a ricomporre totalmente una maschera di
affabile disinteresse; il suo camuffamento presentava qualche crepa, da
cui
strisciava fuori la tristezza inscritta nelle iridi.
«Siamo
arrivati qualche minuto fa. Gilbert doveva trovare
una persona.»
«E
questa persona sta bene?»
«Auspicalmente
sì.»
Antonio
gli lanciò un’occhiata vagamente sorpresa quando
Lovino si accostò a lui, appoggiandosi alla balaustra.
Riportò gli occhi sul
pianeta, ormai uno spillo di luce in lontananza.
«Gilbert
ha scelto un cognome per te. Belial» annunciò.
«È
il nome di un demone particolarmente tenace con cui ha combattuto una
volta.»
«Belial»
annuì Lovino. «Suona meglio di Vargas.»
Antonio
si piegò sulle sue stesse braccia, per osservare il
giovane da un’angolatura insolita.
«Lovino,
cosa c’è che non va?»
«Te
lo dico solo se tu prima mi dirai perché sei così
depresso»
contrattò spicciolo il ragazzo.
Se
fu stupito dal suo improvviso slancio, Antonio non lo
diede a vedere; raddrizzò la schiena, appoggiò i
gomiti alla balaustra e
raccontò:
«Rivedere
Gilbert e il suo pianeta dopo tanto tempo… mi ha
fatto pensare a molte cose» Antonio passò una mano
tra i capelli, disfacendo il
codino. Le ciocche ondulate ricaddero scomposte sul viso abbronzato.
«E mi sono
chiesto: quando tutto questo sarà finito, cosa
succederà? Gilbert, ad esempio…
non ha più un posto cui tornare. Il suo pianeta, che si
è sforzato tanto di
liberare dai demoni, ormai è un sepolcro freddo. Non
c’è più nessuno ad
aspettarlo, se non brutti ricordi.»
Il
capitano ristette un secondo, reimpostando la voce per
assicurarsi che non tremasse.
«Mi
sono chiesto se anche io accumulerò ricordi così
spiacevoli da non permettermi di risalire sulla Reina
de la Oscuridad.»
«Consideri
la nave la tua casa?» si lasciò sfuggire Lovino.
Un’espressione dolorosa come una pugnalata al fianco
trapassò il viso di
Antonio, che fu costretto a reimpostare la voce per farle assumere un
tono
normale:
«La
mia vera casa è un inferno, Lovino. Se mai ci
tornerò,
sarà solo per tagliare i ponti con il passato»
alzò il viso verso il cielo,
quasi cercasse una brezza che potesse spazzare via quella tristezza dal
suo
volto. «Così non avrò più
catene.»
Sorrise
amaro, mentre chinava la testa, gli occhi
dardeggianti attraverso le ciocche ondulate:
«Ci
vuole una grande forza per sopportare questa immensa
libertà, vero, Lovino?»
Il
giovane non rispose subito: il suo cuore aveva bisogno di
tempo per intrecciare i fili dell’arazzo sempre
più complicato che stava
diventando la loro vita. Lui e il capitano erano mostruosamente simili:
nessuno
di loro poteva tornare a casa, e lo avrebbero fatto solo per
ghigliottinare i
loro ultimi legami. E nessuno di loro sapeva cosa aspettarsi dal
futuro, ma
entrambi lo temevano: temevano che il domani potesse portargli via
anche le
briciole cui si stavano aggrappando per sopravvivere.
Lovino
voltò la testa, quasi a discolparsi dei movimenti
della sua mano, che scivolò ad appoggiarsi sul braccio
dell’uomo.
«Il
Figlio del Cielo mi ha chiesto cosa conto di fare in
futuro, quando tutto sarà finito. E mi sono accorto che non
ne ho la più
pallida idea.»
Antonio
fissò quella mano imbarazzata, arpionata al suo
braccio, e un sorrisetto divertito solcò le sue labbra.
«E
vuoi che io sia il tuo punto fermo?» insinuò,
mellifluo.
«Non
inventarti cose che non ho detto!» scalciò Lovino,
ma
Antonio gli impedì di ritrarre la mano imprigionandola tra
le proprie dita.
«Voltati»
lo invitò dolcemente.
«Non
voglio!» Lovino quasi si slogò
l’articolazione della
spalla per evitare di fissare l’uomo in viso.
Antonio
lo chiamò un altro paio di volte, prima di optare
per un metodo più diretto.
Lo
trascinò a sé tirandolo per il braccio, incurante
delle
sue proteste fasulle, e, non appena fu abbastanza vicino, lo costrinse
ad
alzare il volto afferrandogli il mento con le dita.
Lo
spettacolo offerto dalle guance in fiamme di Lovino
andava oltre ogni sua previsione, e il capitano rimase senza parole per
qualche
istante. Una lacrima di umiliazione spuntò
all’angolo dell’occhio del giovane,
e i suoi denti stridettero in un ringhio:
«È
colpa del Figlio del Cielo. Ha continuato a dire cose
strane per tutto il tempo.»
«Che
tipo di cose strane?» investigò gentile Antonio.
Le
gote del giovane quasi esplosero, ricordando l’ultima
frecciatina di Yao riguardo ai baci.
«Sei
troppo protettivo nei miei confronti!» deflagrò
Lovino.
Il
giovane approfittò dello spiazzamento del capitano per
sottrarre il mento alla sua presa e ricominciare a guardare in basso.
«Non
è normale che un capitano si preoccupi così tanto
per
un suo sottoposto» rimbrottò.
«È
quello che dice il Figlio del Cielo o è quello che pensi
tu?»
«Me
l’ha detto il Figlio del Cielo, ma, effettivamente, ha
ragione!» proruppe Lovino. «Non hai mai protetto
gli altri marinai nel modo in
cui proteggi me!»
«Perché
non penso a loro nel modo in cui penso a te.»
La
presa del capitano sul suo polso divenne quasi rovente,
così come il suo sguardo. Il giovane cercò di
sottrarsi a entrambi, senza
successo.
«Ieri,
nella Prigione Caina, sei quasi morto» gli ricordò
il
capitano, con un tono greve come il piombo. «Mentre ero sul
pianeta di Gilbert
ho pensato a quanto debba soffrire, non potendo più vedere
la persona di cui
era innamorato. E, subito dopo, ho pensato a quanto sarei stato stupido
io, se
avessi sprecato altro tempo.»
«Anche
il Figlio del Ciel ha parlato di tempo sprecato…»
barbugliò Lovino, completamente confuso
dall’atteggiamento del capitano.
«Il
Figlio del Cielo è davvero saggio come dicono» le
sue
labbra si piegarono in un ghigno furfante, prima di appiattirsi di
nuovo nella
serietà: «Lovino, non voglio più che il
tempo passi mentre io sto a osservare
le occasioni che sfumano. Voglio viverle insieme a te.»
Lovino
sentì i muscoli diventare nebbia. Aveva intuito dove
il ragionamento del capitano sarebbe terminato, ma non credeva che
avrebbe
davvero avuto il coraggio di confessarsi.
«Che
razza di discorsi sono… nel bel mezzo di una
guerra» si
risentì, ma Antonio replicò all’istante:
«Proprio
perché siamo nel bel mezzo di una guerra. Non sono
certo nemmeno del mio prossimo respiro, Lovino, ma so che voglio
esalare
insieme a te tutti i respiri che il Cielo ha calcolato per
me.»
Il
giovane non staccò gli occhi dal pavimento,
controbattendo:
«Non
è strano che tu preferisca un uomo a una donna?»
Antonio
non rispose con le parole: lo avvolse con le sue
braccia, comunicandogli la solidità della sua scelta con la
stretta attorno
alla sua vita.
«Se
non vuoi, Lovino, respingimi ora» lo consigliò
Antonio.
Lovino si ritrasse, sentendo il respiro dell’uomo
solleticargli l’orecchio, e
si ostinò a fissare in basso mentre masticava:
«Non
credo di odiarti.»
«Quindi?»
lo incalzò dolcemente Antonio. Il giovane restò
muto, e il capitano lo soccorse: «Non sei sicuro dei tuoi
sentimenti verso di
me?»
Lovino
fece un cenno vago con la testa. La mano dell’uomo
gli accarezzò il collo, prima di adagiarsi sulla mascella e
guidarlo verso
l’alto. L’imbarazzo aveva dipinto sul volto di
Lovino un bel colore purpureo, e
Antonio concluse il discorso su quelle gote rosse:
«Mi
farò bastare il dubbio, per ora.»
Il
giovane rimase completamente paralizzato dalla successiva
azione del capitano; le parole dell’Asean gli rimbombarono
nelle orecchie
assieme al sangue mentre il viso dell’uomo si avvicinava
tanto da permettergli
di vedere il proprio riflesso irrigidito nelle iridi di Antonio.
«Devi
chiudere gli occhi» il mormorio dell’uomo si
riverberò
sul suo viso, e le membra di Lovino divennero ancora più
simili a sassi per il
timore imbarazzato.
Antonio
avrebbe voluto essere un gentiluomo e lasciarlo
andare: Lovino aveva appena realizzato di provare qualcosa per lui, ed
era
chiaramente confuso e spaventato sia dai suoi sentimenti sia da quello
che
potevano implicare. Ma aveva aspettato per un tempo incalcolabile il
giorno in
cui finalmente il giovane avrebbe accettato, anche se solo
parzialmente, le sue
attenzioni. E poi, lui non era un gentiluomo: era un pirata, la Mano
Destra del
Diavolo.
Lovino
non comprese subito il motivo per cui il mondo
divenne buio all’improvviso: Antonio gli coprì gli
occhi con la propria mano,
prima di premere le labbra sulle sue.
Il
corpo del ragazzo guizzò e si intirizzì a quel
contatto,
le dita che affondavano nelle sue spalle in un misto di stupore e
rifiuto.
Antonio spostò con garbo la mano solo quando
sentì il fisico di Lovino
rilassarsi impercettibilmente tra le sue braccia. Le ciglia del giovane
fremettero sullo zigomo del capitano, e le sue labbra mugolarono un
verso di
disapprovazione quando la sua schiena sbatté contro il
parapetto.
Antonio
infilò le dita tra i capelli di Lovino, irrequieti
come il loro padrone, premendo il suo viso con ulteriore forza mentre
dischiudeva
la sua bocca. Il ragazzo trasalì quando la lingua del
compagno si fece strada
tra le sue labbra: la sensazione di un corpo estraneo che si muoveva
nella sua
bocca fu così strana che tentò immediatamente di
fuggire, ma fu bloccato dalla
balaustra che pressava sulla sua schiena e dalle mani
dell’uomo che
imprigionavano il suo viso.
Inghiottì
a stento la saliva, sforzandosi di adattarsi a
quello strano ritmo dettato da un’altra persona. Il tocco di
Antonio era
gentile, per quanto energico, e Lovino cercò di rispondere a
quei movimenti
sconosciuti. Il capitano lo strinse con ulteriore passione quando
sentì le mani
del compagno aggrapparsi alle sue spalle per trattenerlo, e non per
respingerlo, e quando la lingua del giovane rispose ai suoi stimoli,
tremolando
goffamente.
La
manica di Lovino fu strofinata senza alcun riguardo sulla
saliva appiccicata alle sue labbra.
«Mi
hai quasi soffocato» lo rimproverò il ragazzo.
«Perdonami»
soffiò Antonio sulla sua chioma ramata.
Il
suo stomaco dovette incassare un pugno prima che le
orecchie potessero deliziarsi del bubbolio del giovane:
«La
prossima volta cerca di essere più delicato,
idiota!»
Antonio
si chinò su di lui, le mani a circondargli il viso e
un ghigno inequivocabile a incurvargli le labbra.
«Sarò
più delicato, allora» patteggiò,
abbassandosi su di
lui. Ma fu preceduto dal giovane che lo avvertì:
«Sarà
meglio che tu lo sia davvero, bastardo!» prima di
schiantare le sue labbra su quelle del capitano, in quello che fu
più simile a
uno scontro di denti che a un bacio.
Antonio
abbracciò quel corpo magro allungato su di lui, e
viziò con calma la bocca del compagno, che diventava
più rossa e calda a ogni
nuovo bacio. E Lovino pensò che, forse, il Figlio del Cielo
dava davvero dei
buoni consigli.
***
Gilbert
si allontanò dal balcone con un sorriso contento e
un aculeo nel cuore.
Era
felice che finalmente Antonio avesse trovato qualcuno
disposto a stare al suo fianco, ma non poteva fare a meno di pensare a
quel
rettangolo di terra brulla sul suo pianeta.
Aveva
parlato a lungo con quei sassi pigiati insieme per
dare una sepoltura a Matthew: aveva riversato su di loro tutta la sua
rabbia,
tutto il suo dolore e tutte le sue lacrime. Nessuno lo aveva visto,
nessuno
avrebbe mai saputo quante cose disgustose fossero sgorgate dalle sue
labbra e
dai suoi occhi; Antonio avrebbe immaginato, ma non ne avrebbe fatto
parola.
Sfregò
la spilla a forma di corvo, rimuovendo un’invisibile
macchia. Avrebbe voluto vedere Matthew una volta ancora, prima di
raggiungerlo
nel regno dell’aldilà.
«Siete
inquieto, Hellsing?»
Anche
se improvvisa, la voce dell’Asean si srotolò come
seta
nel corridoio semibuio; per questo Gilbert non sobbalzò
nell’udirla.
L’orientale
era avvolto in una veste da camera di foggia
orientale, la spalla sinistra e il petto impreziositi dai capelli
lucidi,
lasciati liberi da qualunque laccio. La luce che trapelava dal tessuto
ricamato
e gli occhi pregni di secoli di storia conferivano all’uomo
un magnetismo non
comune. Gilbert dovette ammettere che la diceria secondo cui al
passaggio del
Figlio del Cielo perfino le montagne si sarebbero inchinate gli
sembrò
vagamente verosimile.
«Sono
stato rinchiuso nel ghiaccio per nove anni. Ho bisogno
di sgranchirmi un po’ le ossa. E suggerisco di evitare quella
balconata» aggiunse,
indicando alle sue spalle.
Yao
non ebbe reazioni visibili, se non un angolo della bocca
sollevato a esprimere la sua approvazione. Le sue parole non erano
state usate
invano, dopotutto.
«Vi
stavo cercando per chiedervi un parere» rivelò
l’Asean.
Gilbert
incrociò le braccia al petto, pronto a ricevere la
richiesta dell’uomo.
«Antonio
è venuto a salvarmi per amicizia, Lovino perché
vuole che lo aiuti a entrare nel Palazzo di Quarzo. Mi stavo appunto
chiedendo
cosa avesse spinto il Figlio del Cielo e il Custode dei Cancelli a
scendere
fino alla Prigione Caina.»
«Ivan
ha assecondato un mio desiderio» spiegò Yao.
«Mentre
io ho una motivazione personale.»
Gilbert
gli fece cenno di andare avanti, e l’Asean
proferì,
con tono e sguardo fermi:
«Siete
in grado di sradicare un demone da una persona?»
L’Hellsing
vide per un attimo il mondo perdere nitidezza,
mentre le immagini del passato si rovesciavano a cascata su di lui: gli
occhiali rotti, l’ultima lettera, il bagno al lago, il corpo
insanguinato, le
sere passate insieme e quel rettangolo di terra pressata.
«Perché
me lo chiedete?» domandò.
Una
vena di malinconia attraversò il corpo
dell’orientale
quando espresse i suoi intenti:
«Una
persona che ho cresciuto come un figlio è stata
posseduta da un demone. Voglio sapere se esiste un modo per separarli e
riavere
indietro il giovane che conoscevo. In caso contrario, porrò
fine alla sua vita
con le mie stesse mani.»
Perdonate il ritardo ç_ç
Avevo detto che avrei aggiornato il 13, poi, a causa di alcuni inconvenienti, sono riuscita ad aggiornare solo oggi .-.
Comunque… ecco a voi un po’ di Spamano, dopo un’attesa lunga otto capitoli 8D Proseguirà nel prossimo capitolo, ovviamente 8D Ormai che hanno preso il ritmo… <3
E per i sostenitori di Arthur in ascolto: il burbero inglese farà la sua apparizione nel capitolo dieci, attualmente in fase di scrittura<3
Il capitolo nove uscirà lunedì<3
Grazie per la vostra pazienza e la vostra costanza<3
A presto!
Red
P.S. Il banner, come sempre, è opera di Clau-tan ^^ Se qualcuno di voi dovesse riconoscere le immagini utilizzate, mi avvisi e procederò a mettere i credits<3