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Autore: HamletRedDiablo    18/11/2013    4 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Otto: Belial

 

Il messaggero sussultò da capo a piedi, il viso imperlato da vistose gocce di sudore.

Il signor Vargas gli lanciò uno sguardo che avrebbe ucciso perfino un drago.

«Cosa hai appena detto?»

L’ambasciatore passò la lingua secca sulle labbra disidratate e pronunciò nuovamente:

«La Prigione Caina necessita di ristrutturazione. Vi è un’enorme breccia aperta sul lato nord dell’edificio, come se un gigantesco fuoco l’avesse sciolta. E molti Golem sono stati uccisi…»

«Da chi? Chi può uccidere dei Golem in quel modo?»

«Abbiamo ragione di ritenere, signore…» la voce tremò assieme al cuore, mentre l’uomo comunicava l’ultima e peggiore notizia: «Che sia stato l’Hellsing. La sua cella è l’unica a essere stata aperta, e non abbiamo ancora trovato il suo corpo…»

«Chi ha liberato l’Hellsing?»

«C’era del sangue sul luogo, signore!» esacerbò il messaggero, impazzito di paura: «Lo abbiamo analizzato, e appartiene a vostro figlio!»

Avvertì l’aria spezzarsi come un ramo secco in autunno. Il signor Vargas lo fissò con occhi ribollenti e proferì, con voce di fuoco:

«La tua testa sarà su una picca, domani mattina.»

L’uomo tentò inutilmente di liberarsi dalla presa erculea delle guardie che si materializzarono alle sue spalle.

«Ho solo riferito un messaggio!» si discolpò, gridando mentre veniva trascinato fuori dalla stanza.

«Hai detto una bestemmia» sibilò il signor Vargas alle porte chiuse. «Quell’abominio non è mai stato mio figlio.»

Si lasciò cadere sullo scranno imbottito, congiungendo le dita a ponte davanti al volto.

Lovino era ancora vivo, e chiaramente invischiato in affari illegali. Sapeva che quel bambino non desiderato avrebbe portato solo sciagure. Ma era giunto il momento di porre fine alla sua esistenza blasfema.

Avrebbe chiamato l’Accordatore. Era il solo in grado di correggere Lovino, l’unica nota stonata nella sinfonia perfetta della Confederazione.

 

***

 

«Vorrei vedere di nuovo la mia casa.»

Era stata la prima cosa che Gilbert aveva chiesto, una volta che gli entusiasmi della truppa di Antonio si erano parzialmente placati: erano bucanieri, e il modo più diretto per dimostrare la loro gioia per il ritorno dell’Hellsing era brindare alla sua salute il più rumorosamente possibile.

«Mi accompagnerai?» aveva poi domandato, rivolto al suo vecchio compagno d’armi.

E Antonio aveva annuito, come sempre.

Così si erano ritrovati su quel pianeta brullo e inospitale, a fissare un orizzonte di nebbia e desolazione. Gilbet li aveva guidati fino alla sua casa, ma era entrato da solo, forzando il legno logorato da anni di incuria. Nessuno si era affacciato per sbirciare all’interno, rispettando l’intimità dell’Hellsing. In quel modo, solo Gilbert aveva contato quante lacrime si erano infrante sul pavimento mentre guardava il giaciglio di Ludwig con la paglia marcita, o mentre ricordava i momenti passati con Matthew su quel letto che ormai era un cadavere di molle arrugginite. Un denso strato di polvere copriva ogni cosa come un triste sipario, e Gilbert non era riuscito a scendere in cantina: non era sicuro che avrebbe tollerato l’assenza di due enormi occhi azzurri che lo fissavano e gli chiedevano cosa occorreva portare di sopra. Era salito invece per la piccola scala a pioli che portava alla soffitta. Le armi che aveva lasciato riposavano sotto una spessa coperta di polvere e sporcizia, e Gilbert sollevò un nuvolone irrespirabile quando soffiò su una di esse. Recuperò un fucile arrugginito e una sciabola bisognosa di affilatura, e lasciò i loro compagni di metallo a giacere nei detriti del passato.

Si affacciò di nuovo alla porta di casa con il volto e la divisa appannati dai sedimenti.

«Credo di aver bisogno di un bagno» notò, scrollandosi dai capelli un intero deserto di polvere.

«Potrai farlo nella Fortezza Errante» consigliò Yao.

L’Hellsing abbracciò con lo sguardo quel posto impervio, quasi volesse cullarlo.

«No, grazie. Non sono il tipo da rilassarsi in una vasca. Preferisco il mio lago» declinò l’invito, senza smettere di lambire la sua casa con gli occhi.

«Allora credo che vi precederemo nella Fortezza» annunciò l’Asean, afferrando Lovino a tradimento e conducendolo all’interno del palazzo prima che avesse il tempo di replicare.

Gilbert attese che il portellone della Fortezza Errante si fosse chiuso dietro di loro prima di asserire, dando una gomitata ad Antonio:

«Secondo te, quanto scompiglio abbiamo creato ai piani alti?»

«Con l’Hellsing in libertà e la Prigione Caina violata? Sarà venuto un infarto a tutti» decretò Antonio, baldanzoso.

«Scuotiamo le sottane di quei benpensanti come ai vecchi tempi!» esclamò Gilbert.

Poi, entrambi divennero seri. Il passato era un peso troppo grande da sopportare, anche per due paia di spalle robuste come le loro: avevano troppe tombe da portare sulla schiena.

«Come ai vecchi tempi…» ripeté Gilbert al lago che occhieggiava muto. «Ma questi non sono più i “vecchi tempi”.»

Antonio non replicò. Non vi era nulla da aggiungere a quella verità.

Gilbert tamburellò le dita sul calcio del fucile e sospirò:

«Ho dormito nove anni. Per un attimo ho sperato che, svegliandomi, avrei scoperto che era stato tutto un incubo.»

«Invece è la realtà.»

«Incredibile come quella meretrice riesca sempre a essere peggio delle peggiori fantasie, vero?» scherzò amaramente Gilbert, acredine e risentimento mescolati in una risata senza gioia. «Mi sono risvegliato in un mondo in cui la nostra battaglia con il Vaticano non è ancora finita. Pare che quel vampiro pasteggi sul sangue dei nostri compagni, per mantenersi così in forma nonostante la sua età secolare.»

L’Hellsing mosse qualche passo verso il retro della casa, e si chinò a scavare con le mani in un punto preciso. Dopo qualche secondo, sollevò il suo misero bottino: lo scheletro raggrinzito di un bulbo.

«Lo avevano piantato Ludwig e Matthew, per ridare un po’ di verde a questo posto» Gilbert lasciò le armi appoggiate alla parete, e si inginocchiò sulla riva del lago. Portò le mani a coppa sulla sua superficie gelida, in modo che le onde glaciali potessero bagnare quel seme rinsecchito.

«Non basta piantare i semi» salmodiò l’Hellsing, la voce appesantita dai ricordi del passato: davanti ai suoi occhi, continuava a vedere Ludwig e Matthew che lo salutavano festosi, mostrandogli il risultato del loro duro lavoro. Dovette pugnalarsi gli occhi con la realtà per scacciare quel frammento di passato: il bulbo che avevano piantato era morto, come il tempo che avevano passato insieme. «Non basta. Bisogna prendersene cura perché cresca davvero qualcosa» Gilbert allargò le mani: le onde si impadronirono gentilmente del bulbo, portandolo a riposare nelle loro profondità senza luce. «Per questo, se vogliamo cambiare la Confederazione, non possiamo aspettare che qualcuno lo faccia per noi» l’Hellsing si rialzò, afferrò la sciabola e la puntò verso l’amico: «E per questo il vostro gruppo ha appena guadagnato il più meraviglioso combattente di tutta la Galassia.»

«Per il momento, sei solo il più impolverato» lo smontò Antonio.

Un ghigno sardonico si allargò sul volto di Gilbert quando questo infierì:

«Non sono di certo un virgulto tenero come il tuo vice. Da quando ti piacciono i ragazzini pelle e ossa?»

L’Hellsing si godette l’espressione impagabile di Antonio e peggiorò, scuotendo la sciabola:

«Anche se ho dormito per tanto tempo, non mi sono svegliato rimbecillito. Ho visto come lo guardavi, ieri sera. E ho visto anche come lo tenevi stretto a te quando siamo usciti da Caina.»

«Lovino è un aiuto prezioso. È il gemello dell’Asse, e ha dei poteri forti quanto i suoi» razionalizzò Antonio.

Gilbert conficcò la scimitarra a terra, appoggiandosi sull’elsa come a un bastone.

«So che sei un capitano che si preoccupa dei suoi uomini, per quanto le dicerie di popolo possano dire il contrario. Ma non ti ho mai visto condividere la loro pena. Ed è giusto che un capitano non empatizzi con tutto il suo equipaggio, o impazzirebbe: soffrire per ognuno di loro è inconcepibile» l’Hellsing gli assegnò uno sguardo a metà tra lo speculativo e il derisorio:

«Come mai con lui non riesci a mantenerti neutrale?»

«Dovevi essere proprio a digiuno di pettegolezzi per metterti a fare la comare appena uscito dal ghiaccio» lo rimproverò Antonio.

«Nove anni di mutismo creano scompensi» concesse con eleganza beffarda Gilbert. «Ho anche notato come ti guardava lui.»

La replica si ritirò tempestivamente nella gola del capitano, improvvisamente curioso di conoscere il resto.

«Aveva un sacco di parole che gli ribollivano tra le labbra. Sembrava un vulcano sul punto di esplodere. Peccato che non gliene sia sfuggita nemmeno una.»

Gilbert calciò la scimitarra tenendola per l’elsa, in modo che si appoggiasse sulla sua spalla dopo aver disegnato un semicerchio nell’aria.

«Hai detto che è il gemello dell’Asse, quindi è un Vargas» constatò l’Hellsing.

«Lo era. Ha rimosso il loro stemma molto tempo fa. E, da allora, si fa chiamare solo Lovino» spiegò Antonio.

La sciabola picchiettò pigramente la spalla dell’Hellsing prima che questo decretasse:

«Belial» e aggiunse, per sciogliere il quesito sul viso di Antonio: «È il nome di un diavolo di cui mi ricordo in modo particolare. Con i demoni era sempre una lotta in mischia; con lui, invece, ho quasi duellato. Ha atteso che i suoi simili fossero stati uccisi, e solo dopo è sceso sul campo di battaglia. Abbiamo lottato per un’intera notte e non ha chiuso gli occhi, quando l’ho infilzato la mattina seguente. La sua testardaggine mi ricorda quella del tuo amato vice.»

Antonio sorvolò sulla frecciatina finale e commentò:

«Belial. Suona bene. Credo che gli piacerà.»

«Ne sono certo» Gilbert soffocò le lacrime nella sua voce, mentre le immagini di un ragazzo senza ricordi e di un bambino che non cresceva emergevano nel suo cuore. «Sono molto bravo nel dare i nomi alla gente.»

Antonio restò in silenzio, non osando introdursi nel dolore che aveva improvvisamente incupito i lineamenti dell’amico.

«Sei sicuro che sia stata una buona idea venire qui?» si preoccupò, quando il mutismo del collega si fece insostenibile.

Gilbert chinò la testa, una luce mesta negli occhi rossi.

«Ogni sterminatore lo sa: devi affrontare il diavolo più grande, per non aver più paura dei demoni» gettò il suo sguardo oltre il lago, fino ai rimasugli di bosco in cui aveva seppellito il corpo senza vita di Matthew. «Allo stesso modo, se vuoi superare un lutto non lo devi scansare: devi immergerti dentro di esso fino a quando non ti sembra che la tua sanità mentale stia per sbriciolarsi. Solo dopo puoi tornare in superficie» Gilbert permise al sole di ferirgli le pupille mentre concludeva: «Solo dopo averlo conosciuto fino in fondo puoi lasciartelo alle spalle.»

«Sei voluto venire qui per soffrire fino al punto estremo?» domandò Antonio.

«Sarebbe un bel problema se mi facessi prendere dallo sconforto nel bel mezzo di una battaglia, non credi?» controbatté pratico Gilbert. Inspirò a fondo l’aria gelida di quel luogo, sentendola conficcarsi come una tempesta di aghi di ghiaccio nei suoi polmoni. «Oggi terminerò quello che non sono riuscito a concludere nove anni fa. E poi dirò addio a questo posto.»

L’indice dell’Hellsing andò a puntare gli alberi striminziti oltre il lago.

«Devo andare là» annunciò. «Poi tornerò indietro, mi farò il bagno e ce ne andremo da questo posto. E cominceremo di nuovo la nostra guerra.»

«Sarò qui, se avrai bisogno di me» lo rincuorò Antonio, guadagnandosi un sorriso grato.

«So che ci sarai.»

L’Hellsing gli diede le spalle, e assunse la posa più pomposa che riuscì a inventarsi per coprire l’incertezza della sua voce:

«Ludwig… mi chiedo dove sia.»

Fu come se i raggi del sole avessero veicolato fino a lui il disagio nell’animo del compare: nonostante fosse rigido nella sua postura da grande uomo, percepì sulla propria pelle il suo timore. E si sentì in dovere di alleviarlo:

«Lo hai istruito bene. Sicuramente, avrà trovato un modo per sopravvivere. Possiamo chiedere al Figlio del Cielo di localizzarlo.»

Gilbert rovesciò il viso verso l’alto, nella speranza che il sole di ghiaccio bruciasse le sue incertezze. Chissà come era cambiato Ludwig, durante quei nove anni. Era cresciuto, almeno un poco, o era rimasto il bambino goffo dei suoi ricordi? Lo aveva odiato per averlo lasciato solo, o aveva pensato a lui con l’affetto che gli aveva sempre dimostrato?

Gilbert inghiottì una boccata di aria invernale: era inutile e dannoso arrostire in domande che non potevano trovare una risposta, almeno finché non si fosse ricongiunto con il fratello. Scacciò quegli interrogativi con un’altra domanda, che pose al capitano:

«E tu, Antonio? Sei riuscito a tornare a casa?»

«Mai.»

«E non desideri tornare?»

«Sempre.»

Gilbert si voltò e vide un’ombra scura protendersi sul viso contratto del suo amico. Le vecchie ferite non guarivano mai: lasciavano sempre una cicatrice dietro di sé.

«Un giorno riuscirai a fare ritorno.»

«Ma quel giorno non è oggi» Antonio rialzò verso di lui un viso inamidato da un ottimismo forzato: «Oggi tocca a te esorcizzare i tuoi fantasmi.»

«Esorcizzare?» sogghignò sarcastico Gilbert, avviandosi per la sua strada. «Per una cosa del genere, servirebbe quel beone di Francis…»

Antonio osservò l’amico sparire nella sparuta boscaglia, e ripensò a quanto appena detto.

Sarebbe tornato sul suo pianeta, un giorno. Avrebbe parlato a Lovino del suo passato, un giorno.

E tremava all’idea che quel giorno sarebbe arrivato davvero.

«Madre de Dios» si rinfacciò, critico. «Questo capitano è vergognosamente debole.»

 

***

 

Aveva accettato volentieri la proposta del Figlio del Cielo di fare un bagno: sulla nave di Antonio, le possibilità di avere acqua calda erano minime, e di vedere una vasca praticamente nulle.

Ma non aveva capito che l’Asean intendeva immergersi insieme a lui.

Si spogliò con rapidità quasi militaresca e si tuffò nella vasca il prima possibile, ringraziando l’acqua scura che celava le sue nudità.

Yao, al contrario, non provò il minimo imbarazzo nello spogliarsi e nell’entrare assieme a lui. Lovino ricordava che, durante una lezione di storia e società, il maestro aveva detto qualcosa riguardo al fatto che nel Sistema Asean era piuttosto comune farsi il bagno tutti insieme, e che esistevano addirittura bagni pubblici in cui la gente di un’intera città poteva ristorarsi in contemporanea.

Trascorse qualche secondo di imbarazzo totale prima che Lovino trovasse la forza di alzare lo sguardo sull’orientale.

Non aveva mai visto un uomo come lui nella ciurma di Antonio. I bucanieri, di solito, erano uomini cui lo scorbuto aveva annerito qualche dente, e che la dura vita sulla nave aveva forgiato in fasci di muscoli e nervi d’acciaio. Lui e Antonio erano tra le poche persone, all’interno dell’equipaggio, a possedere fisici più gentili.

Tuttavia, nessun uomo visto fino a quel momento aveva la benché minima caratteristica in comune con l’Asean. Il profilo del viso e i lineamenti del corpo erano chiaramente maschili, ma possedevano una delicatezza che li rendeva quasi fluenti, come se scivolassero nello spazio anziché occuparlo. La pelle stessa sembrava liscia al pari della seta che indossava di solito, e non riusciva a scorgere nemmeno la più piccola ombra di un pelo. C’erano poi gli occhi, di quella forma così stravagante, e i capelli, lunghi e lucidi come non li aveva mai visti su di un uomo.

Non possedeva una bellezza scultorea e perfetta, ma un carisma sconosciuto permeava la sua figura aristocratica. Si chiedeva se fossero i suoi poteri ancestrali a conferirgli quell’aura di irraggiungibilità o se semplicemente l’orientale fosse nato con il dono di affascinare le persone.

Yao si voltò nella sua direzione, e Lovino distolse frettolosamente lo sguardo.

«Non avevi mai visto un’orientale, prima?» s’informò garbato l’Asean.

«Non sono mai uscito dalla Villa Topazio» liquidò Lovino, nuotando un po’ più lontano nella vasca.

Yao inclinò la testa, e i capelli tracciarono un disegno ondulato sulla superficie dell’acqua.

«Nemmeno io avevo mai visto un uomo nudo, prima di Ivan» rivelò placido l’Asean.

Lovino quasi annegò per la sorpresa. Sputacchiò acqua e incredulità, domandandosi come fosse possibile che un uomo aggraziato come Yao potesse trovare attraente un gigante malvagio come Ivan.

«La notizia di stupisce così tanto?» l’Asean stese la schiena nell’acqua tiepida, perfettamente a proprio agio.

Lovino faticò a racimolare le parole nella sua gola traumatizzata.

«Pensavo che voi foste… alleati.»

Yao percorse con le dita tutta la lunghezza dei suoi capelli prima di proferire:

«Siamo alleati, ma prima di tutto siamo amanti» l’Asean si divertì a vedere l’imbarazzo fiorire sulle guance del giovane. «Pensi che Ivan non sia capace di provare sentimenti?»

Il ragazzo si strinse nelle spalle, pensando che fosse troppo crudele confermare brutalmente.

L’Asean reclinò la testa in modo che l’acqua calda potesse accarezzargli la nuca. Ivan era come un forziere nascosto nel ghiaccio: occorreva sciogliere la coltre gelida per poter finalmente scoprire quanto fosse meraviglioso il tesoro lì nascosto.

Nascose il suo sorriso nell’acqua. Quel lato di Ivan non gli dispiaceva: in quel modo, solo lui sapeva cosa l’uomo serbasse nel suo Cuore d’Inverno.

«Cerchiamo di goderci il tempo che abbiamo insieme» disse invece Yao, riaffiorando dall’acqua con il viso. «Questi giorni non dureranno per sempre.»

Lasciò che una domanda inespressa circolasse per la mente di Lovino per qualche secondo prima di spiegare:

«Io sono il Figlio del Cielo, lui è il Custode dei Cancelli. Se riuscirò a tornare sul mio trono, il mio ruolo mi impedirà di vederlo ancora. E, se non riuscissi a riottenere il mio posto… sarebbe solo perché sarei morto prima in battaglia» Yao portò le mani a coppa sulla fronte, e riversò sul viso la piccola cascata contenuta nei palmi. «Per noi che nuotiamo contro la corrente della Confederazione, il futuro ha solo due vie di uscita: il successo, o la morte. E, in ogni caso, dovrei separarmi da Ivan.»

Le spalle del giovane si incurvarono, e all’Asean bastò quel movimento per intuire i pensieri del giovane.

«Non ci avevi ancora pensato, vero?»

Lovino scosse il capo, gli occhi sbarrati a cercare di afferrare le immagini di un futuro che non riusciva a figurarsi: era inconcepibile l’idea di morire durante una missione, ma non sapeva nemmeno cosa aspettarsi in caso di successo. Passò un po’ di acqua calda sulle spalle quando queste rabbrividirono, ricordando le orride sensazioni provate a Caina: la testa che si apriva e il sangue che colava, le forze che svanivano e il buio che incombeva… non aveva intenzione di lasciare il mondo in un modo così orribile. E se si fosse ricongiunto al fratello, cosa sarebbe successo? Sarebbero fuggiti dal Palazzo e dalle Ville Vaticane. Ma Antonio sarebbe stato disposto ad accoglierli entrambi nella sua ciurma?

«Cosa hai intenzione di fare, riguardo al capitano?»

La domanda dell’orientale si conficcò come una freccia nel suo collo, facendolo trasalire.

«Cosa?» Lovino si appiattì contro una parete della vasca quasi volesse sfuggire agli occhi indagatori del Figlio del Cielo.

«Nella Prigione Caina, non si è comportato come un capitano si comporterebbe con un suo subalterno» esemplificò Yao. «Pareva piuttosto un uomo che proteggeva il suo amante.»

«Io e lui non abbiamo quel tipo di rapporto» sbottò Lovino, arrampicandosi sulla vasca per uscire. La successiva annotazione dell’Asean gli fece scivolare la mano per la sorpresa:

«Perché no? È così palese che siete innamorati. Per quale motivo sprecate del tempo prezioso?»

«Mi strozzerei con le mie stesse mani piuttosto che innamorarmi di quel…»

«Ti ha mai fatto del male?»

La domanda di Yao interruppe il flusso della sua invettiva, lasciandolo spiazzato.

«Non ti ha mai fatto del male. Altrimenti avresti risposto subito» si compiacque raffinatamente l’Asean. «Ma ti ha protetto. Ha sacrificato una caviglia per te, e ha affrontato i Golem pur di difenderti. E questo solo negli ultimi due giorni.»

«Non è niente di eccezionale.»

«Non dovresti essere così testardo. L’ostinazione fa guardare in una sola direzione, perdendo i frutti che crescono ai lati della strada.»

Lovino passò una mano nei capelli fradici come un animale selvatico.

«Una persona mi ha detto la stessa cosa, in passato.»

Yao attese che il giovane fosse uscito dalla vasca e si fosse avvolto nell’asciugamano prima di richiamarlo. Si assicurò di avere la sua completa attenzione prima di passarsi un dito sulle labbra con dissimulata lascivia e sussurrare:

«Baciare ed essere baciati dalla persona di cui si è innamorati è molto piacevole, lo sai?»

Lovino si affrettò a uscire, le orecchie infuocate.

Al contrario, Yao incrociò le braccia sul bordo della vasca e vi appoggiò la guancia, in attesa che i passi a lui familiari facessero tremare il pavimento. Dovette attendere solo qualche secondo prima che quel suono si fermasse sulla soglia del bagno.

Il Figlio del Cielo sollevò i suoi occhi scuri sull’uomo che lo attendeva sulla porta, avvolto nel cappotto e nascosto dalla sciarpa.

Yao risalì il bordo lentamente e afferrò la vestaglia con calma. Come aveva previsto, due mani guantate si appoggiarono sulle sue, impedendogli di rivestirsi.

«Non fare più il bagno insieme ad altre persone» lo redarguì. Le braccia si strinsero sulla sua vita sottile, e alcune gocce si lanciarono dai suoi capelli per finire sul pesante cappotto.

L’Asean accarezzò quei muscoli d’acciaio che lo stringevano. Ivan non tollerava l’acqua calda: il Cuore d’Inverno sembrava impazzire, a contatto con il calore. L’unico tepore che riusciva a sopportare era quello emanato dal Figlio del Cielo.

«Non preoccuparti» lo tranquillizzò Yao, voltandosi nel suo abbraccio per poterlo vedere in viso. «È innamorato del capitano. Ed era talmente imbarazzato che non è riuscito nemmeno a sollevare lo sguardo.»

Ivan lo strinse ulteriormente, e sentenziò:

«Non voglio che gli altri ti vedano.»

Yao si arrampicò su di lui per potergli abbassare la sciarpa e baciarlo. C’erano momenti in cui Ivan pareva non comprendere le parole degli altri, e aveva bisogno di altre vie per essere rassicurato, come un bambino che chiede costantemente una prova tangibile dell’affetto altrui.

Si sentì sollevare dalle braccia dell’uomo, e la porta dentata a lato del bagno si aprì. Non si sorprese nel sentire il materasso dare ospitalità alla sua schiena, e il corpo dell’uomo coprire il suo.

Dischiuse le braccia e le gambe per accogliere il suo amante.

Anche quello era del tempo prezioso che non doveva essere sprecato.

 

***

 

Era ombroso come la via di cipressi prima del cimitero di Villa Topazio.

Qualunque possibile invettiva si rintanò nel punto più lontano della sua gola quando i suoi occhi scorsero Antonio.

Stava appoggiato alla balaustra semovente della Fortezza, lo sguardo perso su un minuscolo punto che pian piano si rimpiccioliva nel cosmo. La serietà degli occhi aveva raddrizzato le labbra in una riga rigida, e le spalle erano tese a contenere le emozioni che si agitavano nel petto del capitano.

«Non sapevo foste già tornati» si annunciò Lovino, entrando sul balcone.

Antonio non riuscì a ricomporre totalmente una maschera di affabile disinteresse; il suo camuffamento presentava qualche crepa, da cui strisciava fuori la tristezza inscritta nelle iridi.

«Siamo arrivati qualche minuto fa. Gilbert doveva trovare una persona.»

«E questa persona sta bene?»

«Auspicalmente sì.»

Antonio gli lanciò un’occhiata vagamente sorpresa quando Lovino si accostò a lui, appoggiandosi alla balaustra. Riportò gli occhi sul pianeta, ormai uno spillo di luce in lontananza.

«Gilbert ha scelto un cognome per te. Belial» annunciò. «È il nome di un demone particolarmente tenace con cui ha combattuto una volta.»

«Belial» annuì Lovino. «Suona meglio di Vargas.»

Antonio si piegò sulle sue stesse braccia, per osservare il giovane da un’angolatura insolita.

«Lovino, cosa c’è che non va?»

«Te lo dico solo se tu prima mi dirai perché sei così depresso» contrattò spicciolo il ragazzo.

Se fu stupito dal suo improvviso slancio, Antonio non lo diede a vedere; raddrizzò la schiena, appoggiò i gomiti alla balaustra e raccontò:

«Rivedere Gilbert e il suo pianeta dopo tanto tempo… mi ha fatto pensare a molte cose» Antonio passò una mano tra i capelli, disfacendo il codino. Le ciocche ondulate ricaddero scomposte sul viso abbronzato. «E mi sono chiesto: quando tutto questo sarà finito, cosa succederà? Gilbert, ad esempio… non ha più un posto cui tornare. Il suo pianeta, che si è sforzato tanto di liberare dai demoni, ormai è un sepolcro freddo. Non c’è più nessuno ad aspettarlo, se non brutti ricordi.»

Il capitano ristette un secondo, reimpostando la voce per assicurarsi che non tremasse.

«Mi sono chiesto se anche io accumulerò ricordi così spiacevoli da non permettermi di risalire sulla Reina de la Oscuridad

«Consideri la nave la tua casa?» si lasciò sfuggire Lovino. Un’espressione dolorosa come una pugnalata al fianco trapassò il viso di Antonio, che fu costretto a reimpostare la voce per farle assumere un tono normale:

«La mia vera casa è un inferno, Lovino. Se mai ci tornerò, sarà solo per tagliare i ponti con il passato» alzò il viso verso il cielo, quasi cercasse una brezza che potesse spazzare via quella tristezza dal suo volto. «Così non avrò più catene.»

Sorrise amaro, mentre chinava la testa, gli occhi dardeggianti attraverso le ciocche ondulate:

«Ci vuole una grande forza per sopportare questa immensa libertà, vero, Lovino?»

Il giovane non rispose subito: il suo cuore aveva bisogno di tempo per intrecciare i fili dell’arazzo sempre più complicato che stava diventando la loro vita. Lui e il capitano erano mostruosamente simili: nessuno di loro poteva tornare a casa, e lo avrebbero fatto solo per ghigliottinare i loro ultimi legami. E nessuno di loro sapeva cosa aspettarsi dal futuro, ma entrambi lo temevano: temevano che il domani potesse portargli via anche le briciole cui si stavano aggrappando per sopravvivere.

Lovino voltò la testa, quasi a discolparsi dei movimenti della sua mano, che scivolò ad appoggiarsi sul braccio dell’uomo.

«Il Figlio del Cielo mi ha chiesto cosa conto di fare in futuro, quando tutto sarà finito. E mi sono accorto che non ne ho la più pallida idea.»

Antonio fissò quella mano imbarazzata, arpionata al suo braccio, e un sorrisetto divertito solcò le sue labbra.

«E vuoi che io sia il tuo punto fermo?» insinuò, mellifluo.

«Non inventarti cose che non ho detto!» scalciò Lovino, ma Antonio gli impedì di ritrarre la mano imprigionandola tra le proprie dita.

«Voltati» lo invitò dolcemente.

«Non voglio!» Lovino quasi si slogò l’articolazione della spalla per evitare di fissare l’uomo in viso.

Antonio lo chiamò un altro paio di volte, prima di optare per un metodo più diretto.

Lo trascinò a sé tirandolo per il braccio, incurante delle sue proteste fasulle, e, non appena fu abbastanza vicino, lo costrinse ad alzare il volto afferrandogli il mento con le dita.

Lo spettacolo offerto dalle guance in fiamme di Lovino andava oltre ogni sua previsione, e il capitano rimase senza parole per qualche istante. Una lacrima di umiliazione spuntò all’angolo dell’occhio del giovane, e i suoi denti stridettero in un ringhio:

«È colpa del Figlio del Cielo. Ha continuato a dire cose strane per tutto il tempo.»

«Che tipo di cose strane?» investigò gentile Antonio.

Le gote del giovane quasi esplosero, ricordando l’ultima frecciatina di Yao riguardo ai baci.

«Sei troppo protettivo nei miei confronti!» deflagrò Lovino.

Il giovane approfittò dello spiazzamento del capitano per sottrarre il mento alla sua presa e ricominciare a guardare in basso.

«Non è normale che un capitano si preoccupi così tanto per un suo sottoposto» rimbrottò.

«È quello che dice il Figlio del Cielo o è quello che pensi tu?»

«Me l’ha detto il Figlio del Cielo, ma, effettivamente, ha ragione!» proruppe Lovino. «Non hai mai protetto gli altri marinai nel modo in cui proteggi me!»

«Perché non penso a loro nel modo in cui penso a te.»

La presa del capitano sul suo polso divenne quasi rovente, così come il suo sguardo. Il giovane cercò di sottrarsi a entrambi, senza successo.

«Ieri, nella Prigione Caina, sei quasi morto» gli ricordò il capitano, con un tono greve come il piombo. «Mentre ero sul pianeta di Gilbert ho pensato a quanto debba soffrire, non potendo più vedere la persona di cui era innamorato. E, subito dopo, ho pensato a quanto sarei stato stupido io, se avessi sprecato altro tempo.»

«Anche il Figlio del Ciel ha parlato di tempo sprecato…» barbugliò Lovino, completamente confuso dall’atteggiamento del capitano.

«Il Figlio del Cielo è davvero saggio come dicono» le sue labbra si piegarono in un ghigno furfante, prima di appiattirsi di nuovo nella serietà: «Lovino, non voglio più che il tempo passi mentre io sto a osservare le occasioni che sfumano. Voglio viverle insieme a te.»

Lovino sentì i muscoli diventare nebbia. Aveva intuito dove il ragionamento del capitano sarebbe terminato, ma non credeva che avrebbe davvero avuto il coraggio di confessarsi.

«Che razza di discorsi sono… nel bel mezzo di una guerra» si risentì, ma Antonio replicò all’istante:

«Proprio perché siamo nel bel mezzo di una guerra. Non sono certo nemmeno del mio prossimo respiro, Lovino, ma so che voglio esalare insieme a te tutti i respiri che il Cielo ha calcolato per me.»

Il giovane non staccò gli occhi dal pavimento, controbattendo:

«Non è strano che tu preferisca un uomo a una donna?»

Antonio non rispose con le parole: lo avvolse con le sue braccia, comunicandogli la solidità della sua scelta con la stretta attorno alla sua vita.

«Se non vuoi, Lovino, respingimi ora» lo consigliò Antonio. Lovino si ritrasse, sentendo il respiro dell’uomo solleticargli l’orecchio, e si ostinò a fissare in basso mentre masticava:

«Non credo di odiarti.»

«Quindi?» lo incalzò dolcemente Antonio. Il giovane restò muto, e il capitano lo soccorse: «Non sei sicuro dei tuoi sentimenti verso di me?»

Lovino fece un cenno vago con la testa. La mano dell’uomo gli accarezzò il collo, prima di adagiarsi sulla mascella e guidarlo verso l’alto. L’imbarazzo aveva dipinto sul volto di Lovino un bel colore purpureo, e Antonio concluse il discorso su quelle gote rosse:

«Mi farò bastare il dubbio, per ora.»

Il giovane rimase completamente paralizzato dalla successiva azione del capitano; le parole dell’Asean gli rimbombarono nelle orecchie assieme al sangue mentre il viso dell’uomo si avvicinava tanto da permettergli di vedere il proprio riflesso irrigidito nelle iridi di Antonio.

«Devi chiudere gli occhi» il mormorio dell’uomo si riverberò sul suo viso, e le membra di Lovino divennero ancora più simili a sassi per il timore imbarazzato.

Antonio avrebbe voluto essere un gentiluomo e lasciarlo andare: Lovino aveva appena realizzato di provare qualcosa per lui, ed era chiaramente confuso e spaventato sia dai suoi sentimenti sia da quello che potevano implicare. Ma aveva aspettato per un tempo incalcolabile il giorno in cui finalmente il giovane avrebbe accettato, anche se solo parzialmente, le sue attenzioni. E poi, lui non era un gentiluomo: era un pirata, la Mano Destra del Diavolo.

Lovino non comprese subito il motivo per cui il mondo divenne buio all’improvviso: Antonio gli coprì gli occhi con la propria mano, prima di premere le labbra sulle sue.

Il corpo del ragazzo guizzò e si intirizzì a quel contatto, le dita che affondavano nelle sue spalle in un misto di stupore e rifiuto. Antonio spostò con garbo la mano solo quando sentì il fisico di Lovino rilassarsi impercettibilmente tra le sue braccia. Le ciglia del giovane fremettero sullo zigomo del capitano, e le sue labbra mugolarono un verso di disapprovazione quando la sua schiena sbatté contro il parapetto.

Antonio infilò le dita tra i capelli di Lovino, irrequieti come il loro padrone, premendo il suo viso con ulteriore forza mentre dischiudeva la sua bocca. Il ragazzo trasalì quando la lingua del compagno si fece strada tra le sue labbra: la sensazione di un corpo estraneo che si muoveva nella sua bocca fu così strana che tentò immediatamente di fuggire, ma fu bloccato dalla balaustra che pressava sulla sua schiena e dalle mani dell’uomo che imprigionavano il suo viso.

Inghiottì a stento la saliva, sforzandosi di adattarsi a quello strano ritmo dettato da un’altra persona. Il tocco di Antonio era gentile, per quanto energico, e Lovino cercò di rispondere a quei movimenti sconosciuti. Il capitano lo strinse con ulteriore passione quando sentì le mani del compagno aggrapparsi alle sue spalle per trattenerlo, e non per respingerlo, e quando la lingua del giovane rispose ai suoi stimoli, tremolando goffamente.

La manica di Lovino fu strofinata senza alcun riguardo sulla saliva appiccicata alle sue labbra.

«Mi hai quasi soffocato» lo rimproverò il ragazzo.

«Perdonami» soffiò Antonio sulla sua chioma ramata.

Il suo stomaco dovette incassare un pugno prima che le orecchie potessero deliziarsi del bubbolio del giovane:

«La prossima volta cerca di essere più delicato, idiota!»

Antonio si chinò su di lui, le mani a circondargli il viso e un ghigno inequivocabile a incurvargli le labbra.

«Sarò più delicato, allora» patteggiò, abbassandosi su di lui. Ma fu preceduto dal giovane che lo avvertì:

«Sarà meglio che tu lo sia davvero, bastardo!» prima di schiantare le sue labbra su quelle del capitano, in quello che fu più simile a uno scontro di denti che a un bacio.

Antonio abbracciò quel corpo magro allungato su di lui, e viziò con calma la bocca del compagno, che diventava più rossa e calda a ogni nuovo bacio. E Lovino pensò che, forse, il Figlio del Cielo dava davvero dei buoni consigli.

 

***

 

Gilbert si allontanò dal balcone con un sorriso contento e un aculeo nel cuore.

Era felice che finalmente Antonio avesse trovato qualcuno disposto a stare al suo fianco, ma non poteva fare a meno di pensare a quel rettangolo di terra brulla sul suo pianeta.

Aveva parlato a lungo con quei sassi pigiati insieme per dare una sepoltura a Matthew: aveva riversato su di loro tutta la sua rabbia, tutto il suo dolore e tutte le sue lacrime. Nessuno lo aveva visto, nessuno avrebbe mai saputo quante cose disgustose fossero sgorgate dalle sue labbra e dai suoi occhi; Antonio avrebbe immaginato, ma non ne avrebbe fatto parola.

Sfregò la spilla a forma di corvo, rimuovendo un’invisibile macchia. Avrebbe voluto vedere Matthew una volta ancora, prima di raggiungerlo nel regno dell’aldilà.

«Siete inquieto, Hellsing?»

Anche se improvvisa, la voce dell’Asean si srotolò come seta nel corridoio semibuio; per questo Gilbert non sobbalzò nell’udirla.

L’orientale era avvolto in una veste da camera di foggia orientale, la spalla sinistra e il petto impreziositi dai capelli lucidi, lasciati liberi da qualunque laccio. La luce che trapelava dal tessuto ricamato e gli occhi pregni di secoli di storia conferivano all’uomo un magnetismo non comune. Gilbert dovette ammettere che la diceria secondo cui al passaggio del Figlio del Cielo perfino le montagne si sarebbero inchinate gli sembrò vagamente verosimile.

«Sono stato rinchiuso nel ghiaccio per nove anni. Ho bisogno di sgranchirmi un po’ le ossa. E suggerisco di evitare quella balconata» aggiunse, indicando alle sue spalle.

Yao non ebbe reazioni visibili, se non un angolo della bocca sollevato a esprimere la sua approvazione. Le sue parole non erano state usate invano, dopotutto.

«Vi stavo cercando per chiedervi un parere» rivelò l’Asean.

Gilbert incrociò le braccia al petto, pronto a ricevere la richiesta dell’uomo.

«Antonio è venuto a salvarmi per amicizia, Lovino perché vuole che lo aiuti a entrare nel Palazzo di Quarzo. Mi stavo appunto chiedendo cosa avesse spinto il Figlio del Cielo e il Custode dei Cancelli a scendere fino alla Prigione Caina.»

«Ivan ha assecondato un mio desiderio» spiegò Yao. «Mentre io ho una motivazione personale.»

Gilbert gli fece cenno di andare avanti, e l’Asean proferì, con tono e sguardo fermi:

«Siete in grado di sradicare un demone da una persona?»

L’Hellsing vide per un attimo il mondo perdere nitidezza, mentre le immagini del passato si rovesciavano a cascata su di lui: gli occhiali rotti, l’ultima lettera, il bagno al lago, il corpo insanguinato, le sere passate insieme e quel rettangolo di terra pressata.

«Perché me lo chiedete?» domandò.

Una vena di malinconia attraversò il corpo dell’orientale quando espresse i suoi intenti:

«Una persona che ho cresciuto come un figlio è stata posseduta da un demone. Voglio sapere se esiste un modo per separarli e riavere indietro il giovane che conoscevo. In caso contrario, porrò fine alla sua vita con le mie stesse mani.»

 

 

 

 

 

Perdonate il ritardo ç_ç

Avevo detto che avrei aggiornato il 13, poi, a causa di alcuni inconvenienti, sono riuscita ad aggiornare solo oggi .-.

Comunque… ecco a voi un po’ di Spamano, dopo un’attesa lunga otto capitoli 8D Proseguirà nel prossimo capitolo, ovviamente 8D Ormai che hanno preso il ritmo… <3

E per i sostenitori di Arthur in ascolto: il burbero inglese farà la sua apparizione nel capitolo dieci, attualmente in fase di scrittura<3

Il capitolo nove uscirà lunedì<3

Grazie per la vostra pazienza e la vostra costanza<3

A presto!

Red

P.S. Il banner, come sempre, è opera di Clau-tan ^^ Se qualcuno di voi dovesse riconoscere le immagini utilizzate, mi avvisi e procederò a mettere i credits<3
   
 
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