Amor vincit mortem
Forze
sovrannaturali si erano riversate
sulla Vecchia Capitale, quella notte.
La tregua stabilita secoli prima dalla
Rosa di Blackmore con i Presidiales era stata infranta e sulla
città
si erano riversate le nebbie del Presidio, e con esse i suoi
abitanti.
L'intera popolazione della città
era impazzita, e l'unica cosa veramente certa di quelle ore di pura
follia era che i cancelli erano stati aperti; le efferatezze, i
crimini più orrendi che macchiarono quella notte furono poi
perdonati, tanto si era assottigliato il confine tra raziocinio e
pazzia.
Quella notte, così come per
tutti gli anni a seguire, la popolazione puntò il dito
contro
i Blackmore, condannandoli per ciò che era successo, vista
la
loro vicinanza ed il loro stretto legame con il Presidio stesso.
Era risaputo, infatti, che Clarisse
Blackmore possedesse innato il potere di Evocatores, che le dava la
facoltà di richiamare a sé le creature demoniache
che
abitavano la nebbia.
Quella notte, l'intera famiglia
Blackmore, o almeno i membri ancora in vita, vennero sterminati.
Nessuno sopravvisse, o per lo meno,
questo era ciò che, ormai, i cittadini credevano.
Il
fuoco divampava ovunque,
accompagnando crimini che, in condizioni normali, sarebbero stati
puniti con la pena capitale. Mariti che violarono le donne amate,
madri che strapparono la vita a coloro cui la vita loro stesse
avevano donato; la popolazione era ormai dominata e controllata dalle
forze soprannaturali del Presidio, le loro menti incapaci di
intendere e volere, e soprattutto di controllare i corpi in cui
risiedevano.
Pochi parevano veramente immuni a tale
effetto. I membri dell'Ordine della Croce, capaci di distruggere
ciò
che di demoniaco esisteva, combattevano con ogni mezzo per frenare
l'avanzata incontrollata dei Presidiales.
Corpi mutilati o dilaniati, sangue e
viscera erano sparsi ormai sul selciato polveroso delle strade,
calpestati da coloro che tentavano invano la fuga in quegli ultimi
istanti di completo controllo delle proprie facoltà.
I cadaveri venivano dati alle fiamme,
unico modo per eliminare la minaccia invisibile per coloro che non
erano protetti dalle armi della Croce.
Accanto agli umani combattevano senza
esclusione di colpi i vampiri di stirpe Blackmore, con la speranza di
arginare quello scempio che non erano riusciti ad evitare per cause
di forza maggiore.
Adrian ed Ashton Blackmore, favoriti
dalla loro immortalità e dalle loro capacità ben
oltre
l'umano laceravano con i loro canini le membra rubate dai
Presidiales, spaccavano con pugni rapidi e silenziosi costati ed ossa
di coloro che dal Presidio erano ormai soggiogati e corrotti.
Sangue fresco consentiva loro di
mantenere inalterata la loro straordinaria capacità
rigenerativa, preservando quei corpi graniti da ferite potenzialmente
mortali.
I colpi dei due vampiri giungevano
inesorabili e rapidi come dardi; la loro vera natura, quella notte,
si era palesata in tutta la sua mirabile e terrificante potenza.
I loro corpi si muovevano rapidi ed
eleganti nonostante la violenza dei colpi, i loro muscoli scattavano
costantemente accompagnati dalle ombre, serve e compagne dei
Blackmore, che permisero loro di spostarsi indisturbati,
riconoscibili solo dagli sguardi più attenti come un'ombra
particolarmente più vibrante e profonda.
Le
macerie ricoprivano le strade,
macchiate di sangue innocente; la Rivolta era ormai prossima al
termine, quando Adrian rinvenì il corpo ormai prossimo alla
morte del primogenito di Clarisse e Brian, futuro erede al trono di
Altieres, il principe Haydan Luisian Blackmore.
Della giovane Sophia Blackmore, invece,
nata da pochissimi mesi, non c'era traccia.
Il corpo della madre di Haydan giaceva
nella polvere, la pelle macchiata dal suo stesso sangue e da quello
di chissà chi altro ancora.
La mano di Adrian saettò a
stringere quella del giovane Haydan, che con le ultime forze residue
tentava di sorridere al vampiro, suo cugino ed amato.
Lacrime scarlatte scivolarono lungo gli
zigomi affilati di Adrian, cadendo sulla pelle del giovane che adesso
stringeva saldamente tra le braccia; la spada del ragazzo, con la
quale aveva tentato in ogni modo di difendere se stesso e la propria
famiglia, giaceva pochi metri più avanti, la punta spezzata.
In un sussurrò riuscì a
dire ad Adrian che, ormai da qualche ora, non era riuscito a vedere
né trovare Ashton, il quadricentenario vampiro che era stato
padre di sangue dello stesso Adrian.
La mano del vampiro si strinse più
forte su quella del giovane, il viso trasformato in una maschera di
pura rabbia e dolore; si riscosse solamente quando avvertì
distintamente la presa del principe iniziare ad affievolirsi.
Lo guardò, avvertendo il
pericolo imminente, e senza esitazione lasciò un rapido e
rabbioso bacio sulle labbra pallide del giovane; infine, poggiando le
labbra sul suo collo lacerò la carne morbida del ragazzo,
imprimendo a quel corpo la speranza di una nuova vita, preservata nel
tempo dal sangue di vampiro che sarebbe diventato.