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Autore: Lady_Cassandra    19/11/2013    1 recensioni
Spencer viene costretto ad uscire una domenica sera, nonostante la sua mancanza di desiderio di divertirsi, ha ancora bisogno di riprendersi dopo la morte di Maeve, ma Derek Morgan non può accettare l'ennesimo rifiuto, perciò mette da parte i suoi pensieri per una sera ed esce. Inconsapevole che quella sera farà una nuova conoscenza che si rivelerà preziosa.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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“La tempesta perfetta”

 
 
Madison affettava una zucchina sul tavolo della cucina mentre in salotto risuonava la voce monocorde di uno dei tanti reporter del notiziario delle 18,30. Aveva acceso la televisione per compagnia, si sentiva un po’ sola; infatti, quella settimana aveva visto Spencer in pratica due volte per un totale di tre ore scarse, sapeva che doveva iniziare a farci abitudine giacché il lavoro svolto dal suo fidanzato presso l’unità di analisi comportale di Quantico non sarebbe diventato meno impegnativo solo perché lei lo desiderasse, tuttavia nonostante tale consapevolezza continuava a domandarsi se i serial killer si sarebbero mai presi una pausa. “In ferie voi non ci andate mai?” si trovò a chiedere a voce alta a un immaginario killer puntando il coltello in aria.
In quel momento la sigla del meteo attirò la sua attenzione e tornò in salotto. “In tarda serata sulla città di Washington e zone limitrofe sono previsti forti temporali. I meteorologi stimano che la tempesta, che fra poche ore colpirà la città, sarà tra le più devastanti degli ultimi cinquanta anni” sciorinava il reporter mentre illustrava diversi grafici a conferma della notizia appena diffusa.
“Bene, la tempesta del secolo si sta per abbattere su Washington e io sono da sola a casa” si lamentò Thompson terrorizzata, infatti, la sua paura dei temporali non faceva che peggiorare più andava avanti nel tempo.
Prese il cellulare e scrisse un lungo messaggio a Spencer chiedendogli se quella sera avrebbe avuto il piacere di vederlo; il messaggio recitava così: ‘A.A.A cercasi fidanzato perduto di nome Spencer Reid. L’ultima volta che è stato avvisato risale a martedì 21 gennaio nel suo appartamento. Prima di uscire promise alla sua fidanzata che sarebbe tornato il prima possibile, da allora la suddetta fidanzata lo avrebbero visto due volte per un totale approssimativamente di 169 minuti (sì, ho fatto il conto!). Sappiamo che è vivo grazie ai messaggi mandati e fugaci telefonate effettuate, ma il dubbio sul suo ritorno permane.
Spence, tornerai oggi oppure devo stampare una tua fotografia a dimensione naturale per fare finta che ci sei?’
Premette il tasto ‘invio’ e rimase in attesa di una risposta, che sperava vivamente fosse positiva.
 
Nel frattempo che Madison rimpiangeva l’assenza del suo fidanzato, il dottor Reid, che in quel momento si trovava assieme alla squadra della BAU nel Iowa, era sdraiato su uno dei divani del dipartimento e con gli occhi chiusi cercava di fare mente locale sul caso che stavano seguendo; sentiva che era vicino alla conclusione, tuttavia un dettaglio gli sfuggiva e non riusciva a capire quale fosse. Il suo cellulare vibrò deconcentrandolo, pensò di leggere il messaggio ricevuto più tardi ma sapeva che era sicuramente della sua fidanzata e non riuscì a trattenersi dalla curiosità.
Non appena lesse il messaggio, scoppiò a ridere, pensando che Maddie non mancava di fantasia oltre che d’ironia. Stava scrivendo una risposta in cui accennava alla possibilità di non riuscire a rientrare nemmeno quella sera quando ebbe un’illuminazione; aveva finalmente trovato la connessione che li avrebbe condotti alla chiusura delle indagini. ‘Torno stanotte, promesso. Non stampare nulla’: le scrisse come risposta e raggiunse il resto della squadra nell’altra sala per comunicare quanto scoperto.
L’intuizione di Reid si mostrò subito valida e la squadra riuscì finalmente a portare a termine il caso con grande sollievo da parte di tutti che non vedevano l’ora di tornare a casa dopo quella settimana di fuoco che non aveva lasciato a nessuno nemmeno un attimo di respiro.
“Non so se riusciremo a rientrare questa sera. Sono previsti forti temporali nella zona di Washington per cui ci saranno diversi problemi di visibilità” accennò l’agente Hotchner al resto della squadra; aveva parlato con il pilota del loro jet privato che aveva proposto di partire l’indomani mattina se erano tutti favorevoli.
“Ma io ho promesso a Maddie che sarei tornato stanotte” protestò Spencer con tono un po’ infantile, facendo sorridere il resto della squadra che si stava abituando lentamente alla trasformazione del dottor Reid. Infatti da quando era tornato dalle ferie, ma soprattutto da quando si era fidanzato con Madison, il suo atteggiamento era completamente diverso: era più sorridente, più vivace, un po’ più spigliato e sicuro di sé; era decisamente migliorato, come avevano sottolineato i suoi colleghi, che avevano accolto la notizia con grande piacere, in particolar modo Morgan che era consapevole di quanto Madison tenesse a Spencer, perciò fu certo che fra i due sarebbe nata una bellissima storia d’amore.
“Beh, se lo hai promesso a Maddie, sono sicuro che Harry partirà senza alcun dubbio” lo scherzò Derek dandogli una pacca sulla spalla, il dottor Reid si voltò verso di lui e gli lanciò un’occhiataccia.
“Sinceramente non dispiacerebbe nemmeno a me tornare. Vorrei vedere Henry..” disse a sua volta JJ, anche Blake si unì alla richiesta dei due sostenendo di non poterne più di dormire in alberghi.
Hotchner che, dal canto suo desiderava ritornare a casa almeno quanto i suoi colleghi, promise di fare il possibile per convincere il pilota a partire quella sera e andò a parlare con quest’ultimo.
Dopo circa un quarto d’ora, Hotch fu di ritorno nella hall dell’albergo dove il resto della squadra era rimasto in attesa. “Siamo in partenza” annunciò sorridente ai suoi colleghi che si alzarono immediatamente dai divani; ognuno recuperò il proprio bagaglio e in meno di mezz’ora il jet fu in volo verso Quantico.
Una volta sistemato sul jet, Spencer scrisse un altro messaggio a Thompson:  ‘Sono appena partito. Fra massimo tre ore sarò a casa’ , che fece molto piacere a Madison che non vedeva l’ora di rivederlo.
 
Come aveva previsto il pilota, l’arrivo nello Stato di Virginia non fu dei più accoglienti; la tempesta, battezzata dai meteorologi con il nome di Florence, era in pieno regime e fu necessaria tutta l’abilità ed esperienza dei due piloti, oltre che una buona dose di fortuna, per riuscire ad atterrare.
Arrivarono a Quantico con un’ora di ritardo non a caso e, appena scesero dal jet, la pioggia a dirotto li inzuppò fino alle ossa nonostante avessero percorso la breve distanza che separava la pista di atterraggio dagli uffici del bureau di corsa.
Morgan si offrì di dare un passaggio a Spencer per tornare a casa dato che era diretto verso l’appartamento di Paget e sarebbe dovuto passare davanti al palazzo del dottor Reid, che accettò senza indugi.
Si cambiarono velocemente negli spogliatoi per togliersi i vestiti bagnati e infine si avviarono verso casa. “Tra me e Paget la situazione sta decisamente peggiorando” affermò Derek di colpo mentre erano in viaggio. Spencer si voltò verso di lui sorpreso, era strano che il suo collega si confessasse così repentinamente.
“Come mai?” gli domandò, Derek scosse la testa dicendo che non ne aveva idea. “Pensavo che portandola a casa mia si sarebbe calmata, ma la verità è che non è mai contenta. Si lamenta sempre” spiegò concitato l’agente di colore lanciandosi in un monologo per sfogarsi. “Io non capisco. E’ vero, il nostro lavoro è impegnativo: spesso siamo fuori casa e a volte anche se sono a casa sono impegnato a compilare qualche rapporto, ma cosa dovrei fare? Licenziarmi?”
“L’altro giorno mi ha scritto che si era scocciata e che forse era meglio prendersi una pausa. Io non vorrei, però forse è meglio così, tu che ne pensi? ” concluse Derek domandando un parere al dottor Reid che aveva ascoltato l’amico senza fiatare e che non poté non stupirsi del fatto che Derek Morgan stesse chiedendo un parere a lui in fatto di donne.
“Sei sicuro che vuoi sapere cosa ne penso?” gli chiese infatti, gli sembrava troppo strano, Derek annuì.
“Fra noi due direi che quello che ha una relazione perfetta sei tu quindi sì, voglio sapere cosa ne pensi” disse l’uomo.
Spencer rise. “Madison ed io non abbiamo affatto una relazione perfetta. Anche a noi capita di discutere e a volte anche lei si lamenta del fatto che sono sempre in viaggio. Tuttavia, alla fine, riusciamo a trovare sempre un punto d’accordo e cerchiamo di sfruttare al massimo il tempo che passiamo insieme” tentò di spiegare Spencer con tono serio.
Derek gli lanciò un’occhiatina maliziosa. “Chissà come lo sfruttate il vostro tempo”
Spencer, contrariamente a quanto avrebbe fatto meno di un mese fa, non s’imbarazzò della frecciatina ricevuta e rispose per le rime. “Forse è proprio per quello che non litighiamo per ogni cosa, magari se voi..”
“Alt, ragazzino!” lo bloccò Derek prima che potesse concludere la frase. “Non sono pronto psicologicamente a parlare di certe cose con te”
I due si scambiarono un’occhiata divertita. “Comunque credo che sia la decisione giusta, quella di prendersi una pausa, intendo. Magari riuscirete a schiarirvi le idee e capirete cosa è meglio per voi” affermò Spencer tornando sull’argomento principale della conversazione. Derek rispose che anche lui pensava che fosse la cosa migliore da fare ed infine salutò Spencer che era arrivato a destinazione augurandogli di trascorrere una bella serata.
 
 
Spencer aprì il portone il più in fretta che riuscì e salì di corsa le scale diretto al secondo piano. Bussò alla porta della sua fidanzata e dopo nemmeno un minuto si trovò davanti Madison che cacciò un urlo e gli saltò addosso facendogli quasi perdere l’equilibrio. “Finalmente sei arrivato” esclamò elettrizzata mentre tentava ancora di aggrapparsi meglio al dottor Reid. 
“Come ti avevo promesso” le rispose dandole un bacio sulle labbra. Si stavano ancora baciando quando spuntò la figlia dark 16enne in piena fase di abnegazione verso il mondo di una delle inquiline che si lamentò non appena li vede. “Ma quanto amore! Non potete entrare in casa invece di stare qui a sbattere in faccia la vostra felicità alle persone?” commentò acida la ragazzina, Spencer si girò verso di lei intenzionato a risponderle male, ma Madison scoppiò a ridere dicendogli di lasciar perdere.
“Che brutta categoria i fidanzatini felici” commentò ancora la ragazza mentre apriva la porta del suo appartamento.
“Che brutta categoria gli adolescenti arrabbiati” ribadì Madison a voce alta, la ragazza fece una smorfia senza nemmeno girarsi ed entrò in casa.
“Io quando avevo la sua età non ero così”disse Spencer scioccato ancora dalla sfacciataggine della 16enne. “Chissà perché ma non ne avevo dubbi!” esclamò invece Madison dandogli un buffetto sulla guancia, a quel punto il suo fidanzato la mise giù e insieme entrarono in casa anche loro.
“Sto morendo di fame!” dichiarò Spencer non appena fu dentro, Madison gli disse prontamente che aveva già riscaldato la sua porzione di risotto con zucchine e gamberetti e di accomodarsi a tavola.
Mise davanti a lui il piatto che non aspettò nemmeno un secondo e cominciò a mangiare; nel frattempo la sua fidanzata riaccese lo stereo iniziando a cantare e ballare per tutta casa mentre rimetteva in ordine.
Spencer ogni tanto le gettava un’occhiata divertito, ormai era più che certo di essere fidanzato con una pazza, ma era la sua pazza e lui la adorava così come era.
Finì di cenare, lavò subito il piatto e le posate usate per evitare di farsi rimproverare da Madison e la raggiunse in salotto.
“Cenerentola, smettila di pulire” la scherzò lui cingendole la vita, lei si voltò e gli scoccò un bacio sulle labbra.
“Hai lavato i piatti?” domandò con tono accusatorio, Spencer annuì dicendole che era stato il suo primo pensiero.
“Bravo, impari in fretta” commentò lei soddisfatta. In quel momento un fulmine correlato da un rumoroso tuono illuminò il cielo di Washington, Madison scattò in avanti aggrappandosi al dottor Reid, che l’afferrò subito, stava tremando.
“Ecco perché eri così desiderosa che io tornassi a casa stanotte, non volevi dormire da sola!” la incalzò lui che non ancora non riusciva a capacitarsi della paura dei temporali che provava Madison.
“Non è vero” replicò lei. “Volevo soprattutto rivederti, poi se tornavi questa notte era ancora meglio” specificò mordendosi il labbro inferiore.
Spencer scosse la testa. “Sai, Maddie, il tuono è provocato dall’enorme spostamento d’aria causato dal fulmine nell’atmosfera a seguito dell’improvvisa espansione termica del plasma nel canale ionizzato. Non c’è proprio niente di cui avere paura”  provò a spiegarle, ma la dottoressa Thompson non ne voleva sapere.
“Sì, lo so. Ho studiato fisica anche io, ma mi fa paura, ok? E’ come per i palloncini. So che non c’è nulla di pauroso nei palloncini, ma mi fanno paura” ribadì lei sedendosi sulle gambe di Spencer che nel frattempo si era accomodato nella poltrona.
“Ti fanno paura i palloncini?” domandò lui divertito dalla confessione di Madison che annuì aggiungendo che quasi non riusciva nemmeno a prenderli in mano.
Spencer scoppiò a ridere. “Ma quanto sei pillola”
“Pillola? Piccola semmai!” lo prese in giro mentre lui si giustificava dicendo si era confuso per la stanchezza.
“Però mi piace ‘pillola’, d’ora in poi sarò la tua pillola” affermò lei decisa ridendo per il buffo soprannome, anche Spencer rise.
“Pillola, che ne dici se andiamo a dormire?” le propose Spence che stava morendo di sonno, Madison annuì sostenendo di aver sonno anche lei.
Fecero a gara per chi entrava per primo in bagno e, come accadeva ogni volta, a spuntarla fu Madison.
Un quarto d’ora dopo, Spencer s’infilò sotto le coperte e guardò Madison che era seduta sul letto con lo sguardo fisso sulla finestra. “Hai intenzione di rimanere in quella posizione tutta la notte?”
“Secondo te ci saranno altri tuoni, fulmini e compagnia bella?” chiese invece lei ignorando la sua domanda.
Spencer si sedette sul letto, era chiaro che la sua fidanzata non aveva intenzione di mettersi a dormire. “E’ probabile che ce ne siano, però avverranno fuori e noi siamo dentro …” la rassicurò Spencer sperando che bastasse per convincerla a mettersi a dormire. “E poi tu hai me” aggiunse dandole un bacio sulla fronte, a quel punto Maddie si convinse e s’infilò sotto le coperte.
Dopodiché il dottor Reid si stiracchiò per spegnere la lampada del comodino, si accomodò e venne prontamente abbracciato da Madison, che nonostante tutte le rassicurazioni del giovane continuava ad avere paura.
“Buonanotte, pillola” le sussurrò dopo averle dato il bacio della buonanotte e si addormentarono.
 
Qualche ora più tardi mentre Florence continuava a imperversare sulla città, qualcuno per le strade deserte della capitale implorava aiuto.
“C’è nessuno? Vi prego, aiutatemi!” implorò più volte mentre correva. Sapeva che era vicino, percepiva la sua presenza. Non aveva tempo, doveva mettersi al riparo.
Provò a correre più veloce, ma ormai il suo corpo stremato non riusciva a sostenere lo sforzo. Sentì le forze venire meno, scivolò cadendo sull’asfalto. Provò ad alzarsi, i suoi muscoli sembravano non rispondere.
Guardò i suoi piedi scalzi insanguinati e il vestito strappato. Si toccò la nuca, le aveva rasato i lunghi capelli color miele.
Non restava nulla di lei.
Sapeva che la fine era ormai arrivata. I suoi piedi non sarebbero guariti, i capelli non sarebbero ricresciuti.
Udì qualche passo alle sue spalle e le sue narici furono penetrate da quel forte odore di naftalina e vodka che aveva contraddistinto i suoi ultimi giorni.
L’ultimo odore che avrebbe sentito, gli ultimi rumori che avrebbe udito, dopodiché sarebbe scesa la notte eterna che trascinava con sé dolore e desolazione. Sarebbe stata vendicata?
Una consapevolezza s’insinuò nella sua mente, un ultimo baluardo di lucidità. Il suo ultimo pensiero. “Mai più sole per te, Carol”
Infine, il suo pugnale si accanì squartando la debole carne mentre una scia di sangue colorava le strade di Washington.
 
 
Il cellulare dell’agente Hotchner squillò quando ancora il sole non era sorto sulla città. Fissò l’orologio sul comodino, segnalava le 5,25.
“Agente Hotchner” rispose assumendo il suo solito tono professionale. Una voce pacata e spenta lo informò dell’omicidio avvenuto nelle ore precedenti.
“L’omicidio è uguale a quello avvenuto circa una settimana fa” illustrò l’agente  a capo della squadra omicidi del 3° dipartimento di polizia di Washington. “Le ho inviato tutta la documentazione via fax”
Hotchner sentì il rumore del suo telefono segnalante l’arrivo di un nuovo documento. “Saremo sulla scena il prima possibile”lo  informò Aaron, dopodiché chiuse la telefonata e rintracciò Penelope Garcia. Bisognava contattare il resto della squadra.
 
“Mi prendi in giro? Sono le 5,40!” esclamò Madison dopo che il suo fidanzato la svegliò per informarla che doveva recarsi negli uffici del bureau. La squadra aveva appena assunto un nuovo caso.
Spencer fece spallucce, per lui era routine. “Ci sono i tuoi vestiti nell’armadio. Sono puliti” gli riferì rassegnata, aveva lavato i vestiti che Spencer aveva lasciato l’ultima volta che era stato lì.
“Sei proprio una brava fidanzata” le disse lui dandole un bacio sulla testa. “Dove vai questa volta?” domandò lei sedendosi sul letto mentre lui si vestiva. “Da nessuna parte, il caso è a Washington” rispose, dopodiché sparì in bagno per finire di prepararsi.
Ritornò in camera, prese distintivo e  cellulare. “Ci vediamo stasera, ok?” la rassicurò, Madison annuì e gli offrì una guancia su cui Spencer posò un bacio. “Te l’ho detto che sei bellissima?” le domandò mentre l’abbracciava.
“Me lo avrai detto più di cento volte in meno di un mese” lo scherzò lei, dopodiché rimase un attimo pensierosa.
“Fra poco fa un mese!” esclamò lei realizzando che era il 29 gennaio. “Già! Il primo febbraio” ricordò lui.
“Niente regali, ok? Io sono contraria ai mesiversari” lo rabbonì, non lo aveva mai festeggiato con nessuno.
“Ok, niente regali” memorizzò lui, a quel punto la salutò di nuovo dandole un altro bacio e partì alla volta di Quantico.
 
“Stavo facendo un sogno bellissimo. Sognavo la mia prima moglie che mi chiedeva scusa e mi restituiva il mio vecchio giradischi” raccontava l’agente David Rossi a JJ mentre entravano nell’open space.
 “Mi diceva: ‘Sono stata una stupida, David!’. Magari fosse accaduto davvero” aggiunse con tono divertito mentre JJ rideva. “Io invece non stavo sognando proprio nulla, ma non avevo molta voglia di svegliarmi lo stesso” accennò Derek con un tono brusco che non lasciò dubbi sul suo pessimo umore.
JJ e Rossi lo fissarono mentre l’agente di colore si recava nel proprio ufficio per sistemare le proprie cose. “E’ successo qualcosa?” domandò la bionda a Reid che nel frattempo era ritornato dalla cucina con una tazza di caffè in mano, il giovane alzò le spalle anche se immaginava cosa fosse successo.
Infine si avviarono verso la sala riunioni dove Penelope era pronta per riferire i dettagli del caso.
“Mary Sarandon, 26 anni, studentessa di Giurisprudenza della Georgetown University, prossima alla laurea e Caroline Lynn, 28 anni, biologa marina in cerca di un’occupazione, entrambe originarie di Washington” presentò Garcia le due vittime del caso appena assunto. “Sono state trovate entrambe sul ciglio di una strada nella stessa posizione”
“Le vittime sono coperte da un telo bianco, molto probabilmente il nostro S.I. prova rimorso dopo averle uccise” osservò Blake dopo aver dato un’occhiata alle fotografie. “Ha anche rasato loro la testa, sta cercando di depersonalizzarle? Forse vuole annullare la personalità” ipotizzò la donna.
“In effetti, i capelli sono da sempre considerati un simbolo di femminilità oltre di seduzione”confermò Reid facendo un cenno affermativo con il capo.
“Quando è stata trovata la prima vittima?” domandò Morgan. “Una settimana fa. Secondo il medico legale era morta quella notte stessa intorno alle tre del mattino” riferì Garcia.
“Lo stesso orario in cui è stimato l’ora della morte della seconda vittima” commentò Rossi che leggeva i rapporti del medico legale. “Mary Sarandon è stata uccisa con un unico colpo secco di pistola alla nuca, mentre Caroline Lynn è stata pugnalata a morte” lesse Reid. “Sta esperimentando nuovi modus operandi e si sta evolvendo in modo piuttosto veloce, forse sta acquisendo più fiducia in se stesso” suppose il giovane.
“Oppure sta diventando sempre più rabbioso. È evidente che le vittime siano il sostituto di qualcuno, magari si tratta di una precedente fidanzata” suggerì Derek.
“Il fidanzato di Caroline aveva denunciato la scomparsa della donna il giorno del ritrovamento del corpo di Mary Sarandon, dunque è molto probabile che il nostro S.I. abbia già per le mani una nuova vittima”affermò l’agente Hotchner con il suo solito tono serio. “Dobbiamo muoverci in fretta”
“Reid, Morgan voi andate dal medico legale, JJ contatta i famigliari delle vittime, Blake e Rossi andranno sulla scena del crimine” divise i propri colleghi Hotch, che si misero prontamente all’opera.
 
 
 
Durante il tragitto in macchina verso il medico legale, Derek e Reid non si dissero molto. Spencer non aveva bisogno di domandargli nulla per capire cosa fosse successo, tuttavia ad un certo punto Derek, mosso da un impeto che non seppe trattenere, si sfogò ancora una volta. “E’ finita. Abbiamo discusso per più di due ore, sembra che in questi mesi io non abbia fatto altro che complicarle la vita. Ti rendi conto? Io avrei complicato la vita a lei!” esclamò stizzito, non riusciva ancora a crederci.
Spencer lo fissò per qualche secondo aspettando che si calmasse prima di parlare. “Magari è stato solo il momento, era arrabbiata e avrà detto cose che non pensava” provò a giustificarla Reid. Aveva avuto modo di conoscere meglio Paget in quel mese grazie a Madison, che le era molto affezionata, ed era convinto che, nonostante il suo essere troppo impulsiva e spesso incontentabile, non fosse affatto una cattiva persona.
“E’ solo una capricciosa egoista” replicò Derek, che era rimasto molto scottato dalla chiusura di quella fugace relazione. Era da tempo che non aveva una relazione fissa, non aveva trovato nessuno di sufficientemente interessante al punto da riuscirlo a coinvolgerlo pienamente; Paget con il modo di essere sbarazzino e provocante lo aveva completamente travolto, però qualcosa non aveva funzionato.
“Mi dispiace che sia andata a finire così. Forse dopotutto non era quella giusta” aggiunse l’agente di colore rassegnato, Spencer lo guardò stupito. “Stai cercando quella giusta? E da quando?” lo stuzzicò, pensava che il suo amico avesse intenzione di continuare a fare il Casanova per almeno altri dieci anni.
“Reid, non hai bisogno di qualcuno accanto soltanto tu” ribadì leggermente offeso. “E’ piacevole tornare a casa e sapere che c’è qualcuno che ti sta aspettando” continuò. In quel momento si rese conto che più che Paget quello che gli sarebbe più mancato di quella relazione era l’idea di quello che Paget rappresentava.  
“E che ti lava i vestiti” completò la frase Reid sorridente. “Madison ti ha lavato i vestiti?” domandò Derek incredulo, gli sembrava strano pensare a Madison come ad una brava casalinga.
Spencer annuì entusiasta e allungò il braccio verso il collega perché odorasse la manica del cardigan. “Ci ha messo anche l’ammorbidente profumato!”
Derek scosse la testa. “Beh, sarà una brava mogliettina allora” commentò divertito, a quel punto scesero dalla macchina. Erano appena arrivati dal medico legale.
 
“Buongiorno, sono l’agente speciale Morgan e lui è il dottor Reid” presentò Derek entrambi non appena fecero ingresso nell’obitorio.
L’uomo strinse la mano offertagli da Derek e si adeguò al consueto saluto con la mano di Spencer. “Ho determinato l’ora del decesso con più accuratezza, Caroline Lynn è morta alle due e quarantacinque circa”
“L’orario combacia con quello del primo decesso. La vittima è stata pugnalata 23 volte, ma solo due di queste 23 sono state mortali” spiegò il medico legale mostrando le pugnalate a cui faceva riferimento.
“E’ probabile che sia stato un caso oppure l’S.I. sapeva che solo quelle due pugnalate potevano essere mortali?” chiese Reid per conferma, era convinto che il killer sapesse perfettamente quali pugnalate avrebbero causato la morte alla vittima. Conferma che non tardò ad arrivare: “A mio parere, il vostro killer sapeva che solo queste due avrebbero causato la morte alla povera Caroline”
“Dunque il nostro uomo ha una formazione medica?” domandò Derek, l’uomo annuì sostenendo che era un’ipotesi del tutto probabile.
“Ho trovato qualcos’altro di piuttosto curioso. Guardate qui” disse ai due agenti voltando la vittima sulla cui schiena era stata tatuata una frase: ‘bianca come il latte, rossa come il sangue’.
“Anche sulla prima vittima ho rinvenuto la stessa frase e nello stesso punto, tuttavia non ci avevo fatto caso. Mary Sarandon aveva diversi tatuaggi per cui non pensai che fosse stato il suo assassino a tatuarla” accennò l’uomo mostrando il corpo della prima vittima.
“Il nostro S.I. potrebbe essere un tatuatore quindi” affermò Derek pensieroso. “Oh, no! Io non credo” obiettò il medico legale. “Vede, ho confrontato l’inchiostro usato dal vostro assassino con quello dei tatuaggi della Sarandon”espose l’uomo. “Ho riscontrato diverse irregolarità nell’inchiostro utilizzato. È piuttosto grezzo, di sicuro non può essere usato da un professionista” concluse mostrando due campioni per rendere più chiara la sua ipotesi.
“Bene, la ringrazio” lo salutò Derek prima di uscire seguito da Spencer che fece altrettanto.
Infine, dopo aver aggiornato l’agente Hotchner di quanto appena appreso, si avviarono verso la sede del F.B.I. di Quantico.
 
Nel frattempo la dottoressa Thompson si preparava per recarsi al lavoro, quella mattina l’aspettavano cinque ore di ambulatorio.
Aveva acceso la televisione mentre faceva colazione, ancora una volta aveva beccato la trasmissione del telegiornale.
“Questa mattina alle prime luci dell’alba è stato rinvenuto un secondo corpo..” esponeva la giornalista intanto che le fotografie delle vittime venivano mostrate.
“Il caso di Spence” pensò la rossa mentre ascoltava la notizia. “In mattinata la squadra dell’unità di analisi comportale del F.B.I. rilascerà una dichiarazione sul presunto killer, ora vediamo le altre notizie.. ”sciorinò la donna passando ad un’altra notizia riguardante una manifestazione nazionale a favore dei diritti dei cittadini omosessuali.
Madison finì la colazione e scappò in ospedale, era in ritardo ancora una volta e il traffico di Washington non avrebbe certo agevolato la situazione; pensò, infatti, di prendere la metro ma il temporale, che non accennava a smettere, la scoraggiò perciò prese la sua auto e s’immise nel traffico sperando di non fare troppo tardi.
Arrivò in ospedale con quasi venti minuti di ritardo e fu subito richiamata dal responsabile dell’ambulatorio, Jonathan Finley. “Thompson, pessima giornata per arrivare in ritardo!” affermò l’uomo trascinandola dentro il consultorio.
“Stamattina l’ospedale è nel caos. Tre infermiere e due dottori si sono dati malati e il temporale di questa notte ha causato diversi incidenti per cui  il pronto soccorso è gremito, per non parlare della pazza che è arrivata stanotte” la aggiornò Finley.
“La pazza?” domandò Madison incuriosita. “Si, la tengono al reparto di Psichiatria. Credono sia malata di schizofrenia, non faceva che delirare mentre la visitavano. Ci sono voluti tre infermieri per riuscire a tenerla” le raccontò l’uomo.
“Com’è arrivata qui?” chiese la rossa decisa a voler scavare a fondo in quella curiosa storia.
L’uomo fece spallucce. “E’ arrivata da sola qui”, a quel punto la salutò dicendole che le avrebbe mandato il primo paziente e sparì.
Le visite si susseguirono una dopo l’altra senza darle un attimo di tregua. Verso le undici si concesse una piccola pausa, dopo aver chiesto ad una sua collega di prendere il suo posto in ambulatorio.
La curiosità di vedere la famosa pazza di cui parlavano tutti in PS era troppo alta per cui si recò al reparto di Psichiatria; “Russell, ciao!” salutò uno degli psichiatri che era fuori dal reparto, aveva appena finito di discutere con il famigliare di una paziente. “Ciao Madison” ricambiò l’uomo mentre passava il proprio cartellino perché le porte del reparto si aprissero.
“Fammi indovinare! Sei qui per vedere la nuova celebrità del nostro reparto” disse l’uomo con tono divertito, infatti, Madison non era la prima che si era recata al reparto di Psichiatria quella mattina.
“Beh, sinceramente la storia mi ha incuriosita. Siete riusciti ad identificarla?” indagò Madison, aveva un strano presentimento riguardo quella donna.
L’uomo scosse la testa. “No, purtroppo no. Dice di chiamarsi Patty, abbiamo contattato la polizia per sapere se era stata denunciata la scomparsa di qualche Patty, ma nulla” le riferì lo psichiatra.
“Posso vederla?” chiese il permesso la dottoressa, anche se non era una psichiatra, voleva provare a parlarle.
“Prego! È nella stanza 104” rispose l’uomo, dopodiché la salutò, doveva iniziare il suo giro di visite mattutino.
Madison aprì la porta della stanza che trovò immersa nel buio ed entrò lasciando la porta aperta perché filtrasse un po’ di luce. La donna era seduta sul letto, si dondolava avanti e indietro mentre cantava una ninna nanna, non sembrava essersi accorta della presenza della giovane.
Thompson prese una sedia e si sedette di fronte a lei. “Ciao! Io sono la dottoressa Thompson, tu come ti chiami?” le chiese con tono gentile, la donna alzò lo sguardo verso di lei. “Patty, Patty” ripeté più volte senza interrompere la propria cantilena. “Un bellissimo nome Patty” disse Madison per guadagnarsi la sua fiducia.
La donna allungò una mano verso i capelli di Madison e glieli sfiorò. “Rosso” farfugliò, poi si alzò in piedi.
“Si, ho i capelli rossi” ripeté Madison alzandosi in piedi anche lei. “Rosso, rosso …” continuava a farfugliare, poi s’interruppe e rimase a fissare il muro, a quel punto Thompson accese le luci. “Bianco” disse con la voce ferma.
“Bianca come il latte, rossa come il sangue”disse ancora con chiarezza, sembrava avesse appena avuto un momento di lucidità.
Madison aggrottò la fronte. “Chi è bianca come il latte e rossa come il sangue?” le domandò andandole vicino.
“Lei” rispose allontanandosi dalla dottoressa. “Tante urla sentiva Patty” aggiunse spaventata, poi si rannicchiò per terra e iniziò a dondolarsi di nuovo. “Urlava sempre”
“Patty, chi urlava?” provò a domandarle, ma la donna entrò in uno stato di agitazione, cominciò ad urlare e battersi la testa, in quel momento entrarono due infermieri che sedarono la donna e Madison fu costretta ad uscire dalla stanza.
“Ok, questo è davvero strano” pensò mentre continuava ad osservare la donna che si dibatteva per liberarsi.
Dopodiché  uscì dal reparto di Psichiatria e chiamò subito Spencer. Era convinta che il suo fidanzato avrebbe trovato la storia interessante.
 
 
Spencer era nell’open space intento ad ascoltare quanto riferiva l’agente Rossi quando il suo cellulare squillò, lesse il nome che lampeggiava sul display e sorrise, era Maddie.
Rossi, che nel frattempo aveva ultimato il proprio racconto, gli disse che poteva rispondere e il giovane si allontanò facendo segno di scusarlo. “Maddie!” la salutò rispondendo alla telefonata.
“Amore, ho una storia stranissima da raccontarti” annunciò la dottoressa piuttosto eccitata. “Stanotte è arrivata in ospedale una donna, dice di chiamarsi Patty. È in uno stato confusionale, molto probabilmente soffre di schizofrenia” riferì, Spencer fece spallucce. “Vuoi che chieda a Penelope di cercarla?” le domandò, non capiva perché dovesse interessargli.
“Hanno già contattato le autorità e dicono che non sia stata denunciata la scomparsa di nessuna Patty” rispose. “Beh, in effetti, Patty come sola indicazione è un po’ poco” commentò Reid.
“Sì, ma non è questo il punto della situazione. Sono andata a parlarle prima e ha iniziato a fare un discorso strano sul fatto che sentiva sempre urla” parlò d’un fiato Madison, quella storia la metteva in agitazione.
“Pillola, se soffre di schizofrenia ed è scappata, è probabile che abbia allucinazioni oppure semplicemente ricorda l’esperienza in clinica. È frequente che i degenti urlino” ribadì Spencer.
“Sì, ok, ma poi si è fissata con il rosso dei miei capelli e ha detto una frase stranissima ‘rossa come il sangue, bianca come il latte’ ” insistette Madison, era sicura che avesse qualcosa di strano quella donna.
“Rossa come il sangue, bianca come il latte?”domandò Spencer, forse Madison aveva ragione ad insistere sul fatto che quella donna avesse qualcosa di strano, la sua fidanzata confermò la frase.
“E’ la stessa frase che è stata tatuata sulle vittime” le spiegò lui. “Vedi! Te l’avevo detto che c’era qualcosa di strano” affermò con evidente soddisfazione, adorava avere ragione. “Forse è una vittima, magari è scappata..” ipotizzò Spencer parlando più con se stesso che con la sua fidanzata.
“Non credo sia una vittima. La vittimologia non corrisponde” replicò lei, aveva visto le fotografie delle vittime ed era certa che Patty, se era questo il suo vero nome, non avesse nulla a che fare con loro.
“La vittimologia non corrisponde? Ma tu che sai?” domandò lui divertito. “Ho visto le fotografie, le vittime hanno un’altezza media intorno ai 170 cm, occhi chiari e capelli biondi” chiarì lei.
“Patty è alta circa 162 cm e ha gli occhi e i capelli scuri. Senza contare l’età, è molto più grande delle vittime” concluse sperando di risultare convincente.
Spencer annuì. “Beh, in tal caso potresti avere ragione, ma qualche connessione dovrà averla con l’S.I.”sottolineò lui. “Il profiler sei tu, che ne so io! Ora scusami, Spence, ma devo scappare. Fammi sapere se vieni qui” lo salutò frettolosamente e riattaccò.
Spencer rimase in ascolto mentre dall’altro capo del telefono risuonava un ‘tuu, tuu, tuu’, non gli aveva dato nemmeno il tempo di salutarla, come al suo solito, tuttavia, nonostante la cosa lo irritasse un po’, non la rimproverava mai. Nessuno è perfetto, d’altronde.
Ritornò dagli altri e riferì quanto gli aveva raccontato Madison dopo aver richiamato anche Hotch. “Dovremmo provare a parlare con questa Patty. Blake, Reid andate all’ospedale”
“Garcia, tu prova a cercarla, magari siamo più fortunati” ordinò all’analista informatica che annuì dicendo che avrebbe portato a termine il compito vittoriosamente. “Mi chiamano il mago del computer non a caso” aggiunse e si ritirò nel suo santuario.
“Bene, Reid, andiamo a fare un giro all’ospedale allora” commentò Blake facendogli l’occhiolino. “Mi raccomando, chiama la fidanzatina così le dici cosa hai mangiato finora di persona” lo prese in giro Derek.
“Madison ed io non ci diciamo cosa abbiamo mangiato” replicò Spencer leggermente imbarazzato. Tutti i presenti lo fissarono sollevando un sopracciglio che fece avvampare Reid. “Ci raccontiamo solo quello che abbiamo mangiato a pranzo” confessò. “Ora, per favore, potremmo andare?” implorò Blake che trattenne una risata.
La donna annuì e si avviarono verso l’uscita mentre Derek lanciava finti baci in aria fra le risate di JJ e Rossi.
 
“Quando ce la presenterai?” domandò Blake a Reid non appena questi si rilassò. Il giovane si voltò verso di lei stranito. “Ma voi la conoscete già!” replicò. “Intendevo ufficialmente! Sai, come la tua fidanzata” chiarì la donna.
Spencer socchiuse le labbra, stava replicare di nuovo, ma si bloccò. “Farebbe piacere anche a me che voi la conosceste meglio. Sono convinto che vi piacerà tantissimo” esclamò sorridente.
“Ne sono sicura” rispose Blake sorridendo a sua volta. Nel frattempo erano arrivati al Georgetown university hospital e chiesero del responsabile. “Salve, sono l’agente speciale Blake e lui è il dottor Reid” si presentò Alex.
“Siete qui per Patty?” domandò l’uomo, i due agenti fecero un cenno col capo e furono accompagnati nella stanza della degente presso il reparto di Psichiatria.
“Prego! È tutta vostra!” disse un’infermiera che non nascose la propria fretta ad allontanarsi dalla stanza, infatti, non appena i due agenti furono dentro, sparì.
Blake e Reid si scambiarono una veloce occhiata e si avvicinarono alla donna sdraiata sul letto con lo sguardo fisso sul soffitto. “Patty, siamo due agenti del F.B.I., vorremmo farti qualche domanda. Vuoi aiutarci?” le domandò Blake tenendo un tono piuttosto cortese, non voleva irritarla.
La donna si voltò verso di lei e rimase a fissarla. “Io non ho fatto nulla” disse fredda d’un tratto.
“Lo sappiamo, Patty. Noi non vogliamo incolparti di nulla, vogliamo solo parlarti. Da dove vieni?” le chiese il dottor Reid.
La donna non rispose, sembrava essere ritornata nel proprio stato catatonico. “Patty, chi urlava nel posto dove stavi?” domandò ancora Reid, sperando che quella frase risvegliasse dei ricordi nella donna.
“Lei. Tante urla, soprattutto di notte” rispose la donna con tono leggermente spaventato. “Lei chi?” chiese a sua volta Blake. Forse sarebbero riusciti a interagire con la donna.
“Soffriva molto. Io pregavo però non stava meglio” disse Patty, fu allora che si alzò dal letto e si piazzò davanti la finestra. Il dottor Reid si avvicinò, facendo segno a Blake di restare dov’era. “Era malata oppure qualcuno le faceva del male?”
“Il suo sangue era malato” rispose la donna con voce malferma, poi scosse la testa e sfregò gli occhi. “No, piangere no”
“Patty, tu ti prendevi cura di lei?” le chiese Reid; ormai gli era chiaro di cosa avesse sofferto la donna di cui parlava Patty: leucemia. La frase ‘bianca come il latte, rossa come il sangue’ alludeva proprio alla suddetta malattia, tuttavia avevano ancora diversi lacune da colmare. Chi era questa donna? Come era relazionata con Patty e con gli omicidi?
Patty scosse la testa. “Io non mi avvicinavo mai. Lui non voleva” rispose con tono triste. Prese una bambola che le era stata lasciata dallo psichiatra che l’aveva visitata e iniziò a lisciarle i capelli.
“Lui le spazzolava i capelli. Io volevo farlo, ma lui si arrabbiava” aggiunse. “Perché si arrabbiava?” domandò Blake. La donna guardò Blake e scosse la testa. “Jim diventò molto triste quando non c’erano più”
Spencer e Blake si scambiarono un’occhiata, la donna stava ricordando finalmente. “Chi è Jim?” chiese Reid.
La donna socchiuse le labbra e poi scosse la testa. Lanciò la bambola contro il muro e iniziò ad urlare. Blake e Reid sconvolti ebbero un momento di esitazione, in quel momento entrarono due infermieri che immediatamente sedarono la donna. “Forse è meglio chiudere l’interrogatorio qui” consigliò lo psichiatra accorso assieme ai due infermieri. I profiler annuirono e si allontanarono dalla stanza, infine, dopo aver raccomandato l’uomo di avvisali nel caso la paziente desse maggiori informazioni in un momento di lucidità, uscirono dal reparto.
Spencer camminava dietro a Blake quando ricevette un messaggio da parte di Madison su Whatsapp; la sua fidanzata lo aveva convinto a cambiare cellulare dopo essersi lanciati in un estenuante dibattito sui presunti pregi della tecnologia, durante il quale lo costrinse anche a scaricare l’applicazione, infatti, Spencer aveva accettato solo perché che non ne poteva più di sentirla parlare, nonostante ancora non capisse perché non potessero ricorrere ai normali messaggi, come aveva sottolineato. “Sei bellissimo anche sotto le luci al neon dell’ospedale”
Reid bloccò la propria andatura e si voltò, non c’era nessuno alle spalle.  Dove si era cacciata?
“Torna indietro ed entra nel primo stanzino” scrisse la dottoressa svelando la sua posizione. Spencer rimase per un attimo immobile, non sapeva cosa dire a Blake.
“Dì a Blake che vai in bagno, ce n’è uno all’inizio del corridoio” suggerì la sua fidanzata tempestivamente facendo pensare a Spencer che Maddie fosse in grado di leggerlo nel pensiero. “Blake, scusami, io andrei un attimo in bagno” accennò alla donna con un tono nervoso che la insospettì. “Sì, certo. Non metterci troppo, ok?” gli disse con un sorriso leggermente malizioso e se ne andò.
Spencer entrò nello stanzino, che fungeva da ripostiglio per le uniformi delle infermiere, e fu ‘assalito’ da Madison che gli saltò al collo. “Un giorno di questi mi verrà il colpo della strega” disse il giovane genio con tono scherzoso, la sua fidanzata fece la linguaccia. “Ti sono mancata?” gli chiese facendo un grosso sorriso. “Tanto” rispose nonostante fossero passate poco più di sei ore dall’ultima volta che si erano visti. Madison stampò un bacio sulle labbra a Spencer spostandosi poi sul collo candido del giovane genio, cosa che ogni volta gli faceva perdere l’autocontrollo; “Maddie, per favore. Devo andare” le disse senza tuttavia accennare di volersi scostarsi da lei. A quel punto la giovane dottoressa si abbandonò ad una risata e lo lasciò andare. “Ok, rispetto la tua volontà” affermò abbozzando un mezzo sorriso. Spencer si sporse verso di lei e le diede un bacio a fior di labbra. “Ci vediamo dopo?” domandò.
“Vado da Paget prima, però ci vediamo lo stesso” lo informò sorridente. Aprì la porta dallo stanzino, sbirciò sul corridoio assicurandosi che non ci fosse nessuno ed uscì dicendo a Spencer di aspettare un paio di secondi prima di uscire. Spence obbedì e uscì poco dopo, beccando però un’infermiera che lo guardò con aria scandalizzata avendo visto uscire prima Madison; “Non è come pensa, noi due non..” farfugliò provando a giustificarsi nonostante risultasse poco credibile giacché aveva i capelli arruffati e un’espressione leggermente colpevole.
La donna borbottò un “che schifo” e si allontanò lasciando Spencer in mezzo al corridoio che fece spallucce e uscì. Francamente non gli interessava molto quello che pensavano gli altri.
 
 
Nel frattempo che Madison ritornava alle sue normali occupazioni nel reparto di medicina diagnostica, Spencer Reid fissava la lavagna magnetica su cui aveva annotato alcune parole solo a lui comprensibili.
Hotch, alle sue spalle con le braccia conserte, aspettava il momento in cui il giovane profiler avrebbe reso partecipe il resto dei presenti delle sue confabulazioni. Momento che tardava a giungere.
“Sinceramente non ne ho idea” affermò ad un certo punto Spencer, Hotch lo fissò sollevando un sopracciglio. Che significava che non ne aveva idea?
“Patty! Non riesco a collegarla. La donna di cui parla Patty è morta di leucemia e sembrerebbe essere un’ipotesi de tutto coerente con la frase tatuata. Abbiamo cercato donne con la stessa descrizione fisica delle vittime che siano morte di leucemia nell’ultimo mese, ma non abbiamo trovato nulla. Anche il nome Jim non porta a nessuno” sbottò il giovane genio.
“Credo che stiamo sbagliando a cercare. Magari la donna non è morta ancora” ipotizzò Aaron.
“Quale dovrebbe essere allora la motivazione che ha indotto l’S.I. ad uccidere le proprio vittime? Abbiamo convenuto che l’S.I. stesse rivivendo la morte di questa donna tramite le proprie vittime” s’intromise Rossi.
“O forse uccide le proprie vittime perché non può ucciderla” sottolineò l’agente Hotchner, Spencer aggrottò la fronte. “Questo spiegherebbe perché sta diventando sempre più rabbioso. Lei sta peggiorando e lui non sa come farla stare meglio, vorrebbe che morisse, tuttavia non può ucciderla. Questa situazione lo rende estremamente frustrato e allora uccide donne che le somiglino” suppose il giovane. I due agenti più anziani annuirono, non era un’ipotesi priva di fondamenti.
“Reid, vai da Garcia e cambia i parametri della ricerca” ordinò l’agente Hotchner mentre lui assieme al resto della squadra si recava nel dipartimento della polizia. Erano pronti per il profilo.
Spencer obbedì e raggiunse Garcia che continuava a cercare connessioni fra il nome Patty, Jim e la presunta malata di leucemia. 
“Hey, Jack. Cosa posso fare per te?” lo accolse offrendogli un lecca-lecca che Spencer accettò senza fare complimenti.
“Jack?” le domandò il giovane, Garcia annuì. “Sì, come Jack e Sally, i protagonisti di ‘The Nightmare before Christmas’. Tu sei Jack e Mads è Sally”
Il giovane si passò una mano fra i capelli. “Mhm.. ed è una bella cosa?” le chiese, non aveva idea di chi o che cosa fossero Jack e Sally perciò gli sembrò d’obbligo chiedere maggiori delucidazioni. Garcia si abbandonò ad una risata. “Sì, Reid. È una bella cosa”, a quel punto gli domandò di nuovo cosa volesse e insieme cominciarono la ricerca.
“Sai, io non credo di essere l’unico in grado di poter leggere 20.000 parole al minuto. Secondo me, tu ne leggi almeno 10000” affermò Spencer dopo aver assistito alla performance di Penelope che rise. “Ma che dici? Comunque io l’ho sempre detto di essere un genio non riconosciuto” rispose la bionda dandogli una leggera scossa.
“Reid, forse ho trovato qualcosa. Senti qui, Sandra Green: le è stata diagnosticata la leucemia circa un anno fa, da allora la donna è stata sottoposta a diversi cicli di chemioterapia e radioterapia, tuttavia la malattia è avanzata. La Green è sposata con James Allen, laureato in scienze infermieristiche, la cui sorella è una frequentatrice accanita di cliniche psichiatriche. Il suo nome? Patrice Allen” illustrò puntando la matita con la cima contornata dal peluche rosa contro il viso di Spencer che annuì.
“E’ decisamente lei” disse infatti, a quel punto telefonò il resto della squadra per informarli dei dettagli appresi.
 
Il resto della giornata dei nostri profiler fu incentrata sulla ricerca di James Allen; l’uomo aveva impegnato i suoi risparmi nell’inutile tentativo di guarire sua moglie, investendo somme consistenti nella ricerca di terapie alternative e visite con i più importanti specialisti degli Stati Uniti.
Era completamente accecato dal dolore, non riusciva ad accettare che sua moglie non avesse possibilità di guarire, al punto da non poter più a sopportare la sua vista.
Vederla peggiorare giorno dopo giorno rimanendo impotente davanti a quel declino lo aveva spinto al limite, arrivando a desiderare addirittura di ucciderla. Diverse notti si era alzato dal proprio letto matrimoniale dove per diciotto lunghissimi anni aveva dormito con la sua Sandra e si era diretto nella sterile stanza dove sua moglie, il cui viso era ormai sfigurato in una smorfia di dolore, con i suoi profondi occhi blu lo aveva implorato di porre fine a quella sofferenza infinita senza tuttavia riuscire in quella richiesta estrema.
La frustrazione di James Allen, avvelenato da quel sangue che si rifiutava di tornare rosso e nauseato dal biancore cadaverico del corpo sciupato di Sandra, si era alimentata giorno dopo giorno con ogni rantolo di sua moglie, conducendolo a desiderare la morte, a volerla causare.
Lo aveva capito dopo aver colto quel lampo nei suoi occhi guardandosi nello specchio, lui doveva uccidere. Sfogando la propria furia contro quelle donne aveva ritrovato un’insana pace che si contrapponeva al lerciume e disperazione, a cui si era abituato, dal sapore di vodka e naftalina.
Si stava accanendo contro la sua ultima preda quando la squadra dell’unità comportamentale di Quantico supportata dagli SWAT entrava nella sua cantina. Seguirono degli spari dal suono lontano e confuso, una scia di sangue rosso macchiò il muro bianco, un corpo pesante si accasciava a terra.
I singhiozzi che impedivano il respiro s’impadronirono del fragile corpo di Mackenzie Evans, l’ultima vittima di Allen. “Sei salva, tesoro” la rassicurò una voce materna che la prendeva per le spalle trascinandola via da quello squallore.
Mackenzie si voltò un’ultima volta incontrando lo sguardo di quello che sarebbe stato il suo carnefice, poté vedere la luce spegnersi nei suoi occhi. Aveva visto la vita abbandonare il suo corpo lentamente mentre tutto attorno si muoveva freneticamente.
Quell’esperienza l’aveva cambiata, nulla poteva essere come prima, ci sarebbe stata una nuova Mackenzie.
Della vecchia Mackenzie solo una vecchia cicatrice sarebbe rimasta: quel tatuaggio sulla schiena, quella frase apparentemente senza significato. Bianca come il latte, rossa come il sangue.
Un’altra donna sarebbe uscita da quella putrida cantina e ritornata nel mondo dopo aver visto l’inferno. Dopotutto, anche lei aveva visto la morte quel giorno. “Ma non la mia” fu il primo pensiero di Mackenzie Evans.
 
“Dave, sai di cosa avrei bisogno? Di uno dei tuoi piatti ricchi di carboidrati e salse!” dichiarò Blake mentre la squadra rientrava negli uffici del bureau.
“Chiedi e ti sarà dato” affermò l’uomo, poi si rivolse al resto della squadra. “Cena da me?”
JJ e Derek si mostrarono subito d’accordo, d’altronde rientrava anche nei loro desideri una buona dose di carboidrati.
“Jack è andato da un amichetto quindi io accetto volentieri l’invito” rispose Aaron con un sorriso. “Anche io, anche io” si sbracciò Penelope aggiungendo che stava morendo dalla fame. “Reid, che fai? Ti unisci a noi?” domandò a quel punto il più anziano membro del team al giovane genio che finora non si era espresso.
“Io.. dovevo andare da Madison..” balbettò fissandosi le scarpe, nonostante avesse acquistato un po’ di sicurezza, ogni volta che pronunciava il nome della sua fidanzata gli sembrava di tornare all’asilo.
Dave si strinse le spalle. “Porta anche lei” suggerì, a quel punto si congedò dando appuntamento a tutti nella sua dimora per le nove e mezza. I membri del team lo seguirono a ruota. Avevano tutti bisogno di una lunga, calda e rilassante doccia.
Spencer, che era arrivato con la sua auto quel giorno, diede un passaggio a Penelope. “Sappi che se non ti vedo arrivare con Mads, me la prenderò con te quindi vedi di portarla” lo avvisò lei.
“Farò il possibile per convincerla” la rassicurò, la bionda gli fece un occhiolino, chiuse la portiera ed entrò in casa mentre Spencer ripartiva. “Spero solo di riuscirci” pensò a voce alta.
 
Spencer non appena arrivò al secondo piano fu sicuro che la sua fidanzata fosse in casa. Sentiva la musica a tutto volume provenire da dietro la porta dell’interno 5b già da quando saliva le scale al primo piano.
Suonò il campanello premendo il pulsante a lungo e rimase in attesa. “Come mai tutta quest’insistenza?” gli chiese Maddie non appena aprì. “Temevo non mi sentissi” rispose alzando la voce per cercare di ‘scavalcare’ la musica.
La rossa scosse la testa. “Risposta errata” sussurrò al suo orecchio, Spencer le lanciò uno sguardo interrogativo. “Qual è la risposta giusta?”
“Non vedevo l’ora di rivederti. È scritto anche questo nel manuale del bravo fidanzato” lo scherzò alzandosi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia. “Devo procurarmi questo manuale” le disse, dopodiché l’afferrò e l’avvicinò a sé, sollevandole la frangia per scoprire i suoi occhi verdi che, a detta del giovane, brillavano di una luce particolare, anzi il dottor Reid si era convinto che l’intero mondo nei suoi occhi diventasse più luminoso.
Chinò la testa e sfiorò le labbra rosse con le sue avvertendo il solito brivido lungo la schiena, nonostante il fugace contatto.
Anche Madison era convinta che nei grandi occhi color nocciola del dottor Reid ci fosse un altro mondo in attesa di essere esplorato. Ci si poteva perdere in quegli occhi un po’ malinconici e pieni di curiosità; a lei era successo tante volte, anche prima di iniziare quella relazione che non smetteva di sorprenderla. Stava vivendo il suo momento magico, era questo il pensiero fisso della dottoressa Thompson che si mordicchiava le labbra ogni volta che il dottor Reid la sfiorava.
“Vieni con me da Rossi? Oggi ci ha invitato a casa sua” le domandò interrompendo quello scambio di sguardi.
Madison deglutì. “Non lo so” mormorò spegnendo lo stereo. “Perché?”
“Perché mi vergogno! Insomma ci sarà un intero team di profiler che studierà ogni mia mossa per decretare se sono la persona giusta per te!” esclamò con la voce leggermente alterata. Spencer scoppiò a ridere, per la prima volta in vita sua rise dell’insicurezza di un’altra persona.
“Pillola, innanzitutto Morgan e Garcia sono già tuoi amici e JJ pensa che tu sia carinissima. Ma in ogni caso, io sono sicuro che a loro piacerai un sacco e sai perché?” la interrogò, Madison scosse la testa. “Perché solo un idiota potrebbe non adorarti e i miei amici non sono idioti” rispose facendo un sorriso.
“Ok, verrò” si convinse la dottoressa abbozzando anche lei un sorriso. “Ci vediamo fra mezz’ora, ok? Dobbiamo essere da Rossi per le nove e mezza” la raccomandò e scappò nel suo appartamento.
Non era nemmeno arrivato davanti alla porta quando ricevette un messaggio. “Sei sicuro che mi adoreranno, vero?”
“Sicurissimo” rispose prontamente, d’altronde per il dottore Reid non poteva essere diversamente.
 
 
Madison e Spencer scesero dall’automobile e percorsero lentamente il vialetto che separava la casa dell’agente David Rossi dalla strada. Il giovane genio sfiorò diverse volte la mano della sua fidanzata che continuava a torturarsi le dita.
“Pillola rilassati, è solo una cena non un’operazione chirurgica” provò a tranquillizzarla, aveva l’impressione che la sua fidanzata stesse andando in iperventilazione.
“Credimi, preferirei eseguire un’operazione a cuore aperto in questo momento” confessò lei facendo un timido sorriso, Spencer la prese per mano e bussò alla porta.
“Cucciola!” trillò Penelope, accorsa ad aprire la porta, non appena si trovò la figura di Madison davanti; l’analista l’abbracciò e le diede un rumoroso bacio sulla guancia, ricambiata da Madison che fece altrettanto. Spencer osservò la scena divertito e stupito al tempo stesso, non pensava che le due fossero così amiche.
“Siete finalmente arrivati” commentò Derek parlando con Spencer che si scusò per il ritardo.
“Sì, scusateci. È colpa mia” confermò Madison mettendosi i capelli dietro le orecchie. “Tranquilla, Spence è sempre in ritardo” la rassicurò JJ che si era sposata in salotto per accogliere la coppia.
“Beh, in tal caso, è colpa sua” affermò indicando Spencer che si voltò verso di lei socchiudendo le labbra per replicare. “Ah ah! Non si contraddice mai la propria fidanzata in pubblico. Altra regola del manuale del bravo fidanzato” lo bloccò lei muovendo un dito in aria e facendo ridere i presenti.
Il giovane genio avvertì un leggero imbarazzo nel vedere gli occhi dei presenti puntati su di loro; in effetti, l’intero quadretto era un’assoluta novità per Spencer. Era la prima volta che presentava qualcuno alla squadra e non si trattava di una persona qualunque, ma della sua fidanzata. Considerazione che lo rendeva ancora più nervoso.
Madison, dandogli la conferma che fosse in grado di leggerlo nel pensiero, tirò fuori la bottiglia di vino rosso che aveva in borsa per spostare l’attenzione dei presenti su un altro oggetto dando a Spencer un attimo di respiro.
Rossi, che si era unito ai commensali avendoli sentiti ridere, prese la bottiglia in mano e fece un segno col capo di approvazione. “Un Chianti e anche di ottima annata” commentò l’uomo leggendo l’etichetta.
“L’abbiamo portato per farci perdonare per il ritardo. Sa, Spence mi ha detto che lei ha origini italiane e ho pensato che avrebbe assolutissimamente gradito questo regalo” affermò entusiasta gesticolando come al suo solito. D’altronde si stava rilassando al punto da non preoccuparsi più di contenere il proprio entusiasmo; se le stavano facendo il profilo, bisogna ammettere che erano parecchi discreti.
Rossi annuì compiaciuto. “Hai pensato bene”, a quel punto invitò la giovane a stappare la bottiglia e a versare il vino nei bicchieri facendo gli onori di casa. Madison eseguì il proprio compito volentieri e dopo essersi assicurata che tutti i presenti avessero il proprio calice pieno, invitò il padrone di casa a fare un brindisi.
“A noi e alla nuova arrivata. Benvenuta in famiglia, Madison” le disse rivolgendo un caldo sorriso che la giovane non esitò a ricambiare.
La serata proseguì in modo del tutto naturale; come accade nelle vere famiglie riunite a cena, non mancarono le risate e gli aneddoti. Derek, infatti, raccontò alcuni degli episodi più divertenti del giovane genio di quegli otto anni di lavoro insieme che imbarazzarono terribilmente Spencer, il quale più volte implorò l’agente di colore di smetterla, fra le risate della sua fidanzata che invece implorava Derek del contrario.
Stavano aiutando Rossi a sparecchiare quando Madison notò il pianoforte abbandonato in fondo alla sala. “Dave, suoni il piano?” gli domandò dandogli del tu, in effetti, aveva smesso di dargli del lei a metà della  cena.
L’agente dalle origini italiane scosse la testa. “E’ un ricordo della mia seconda moglie”
Madison sollevò un sopracciglio. “Seconda moglie? E quante ce ne sono?” domandò la giovane mentre si avvicinava al piano. Blake che aveva notato l’espressione sorpresa della giovane, prese in giro David dicendole che il numero delle mogli di Rossi era sconosciuto anche a loro.
“Vuoi suonarlo?” le domandò a quel punto l’anziano profiler, notando Madison che sfiorava i tasti dello strumento con le punte delle dita come se stesse accarezzando un bambino. La giovane si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso radioso. “Posso?” chiese per conferma, l’uomo annuì e la dottoressa si sedette allo sgabello mentre tutti i presenti si disponevano a cerchio attorno a lei.
Madison chiuse gli occhi, come faceva ogni volta che suonava il piano, quello strumento divino che l’accompagnava da quando aveva sei anni, con una sola mano sfiorò i tasti facendo una leggera pressione, doveva entrare in confidenza. Avvertì l’emozione impossessarsi di sé quando suonò le prime note. Le bastò un solo suono per rendersi conto di quanto le mancasse suonare. “Ci siamo” sussurrò, aprì gli occhi e lasciò le sue mani scorrere velocemente sulla tastiera. Man mano che la melodia si diffondeva per la stanza, avvertì una sensazione di libertà  e sorrise.
Il piano sarebbe rimasto sempre il suo primo amore.
La melodia si sfumò nelle note finali lasciando lo spazio ad un applauso. “Caspita, cucciola. Ma sei bravissima!” esclamò Penelope esprimendo in quelle poche parole i pensieri dei presenti. Madison si voltò verso di loro e sorrise lusingata dal complimento, le faceva sempre piacere sapere che le persone apprezzassero il suo modo di suonare, che riteneva essere la forma di comunicazione più perfetta che lei conoscesse. Si alzò e andò vicino a Spencer che sembrava entrato in uno stato di trance.
“Quella canzone io la conosco” affermò scuotendo la testa, non riusciva a ricordare dove l’avesse sentita, eppure ne era sicuro che l’aveva ascoltata in precedenza.
“E’ una famosa sonata di piano, la conoscono in tanti” spiegò al suo fidanzato facendo spallucce. Ma Reid non ne era convinto, non era la sonata ma il modo in cui era stata suonata. “Yale. La sentivo ogni pomeriggio quando andavo al dipartimento di scienze naturali, mi stavo prendendo il dottorato in chimica” esclamò Reid.
“Passando davanti al dipartimento di filosofia, c’era sempre questa ragazza che suonava. Era bravissima” ricordò lui, non l’aveva mai vista o conosciuta, si era sempre limitato ad ascoltarla anche se ricordava ancora quel piacevole suono come fosse ieri.
Madison aggrottò la fronte, lei aveva sempre suonato nella sala musica vicino al dipartimento di filosofia ogni pomeriggio, ma erano gli stessi pomeriggi del dottor Reid?
“Quando ti sei preso il dottorato in chimica?” gli domandò infatti.
“Che domande! Molto probabilmente all’età di otto anni” disse Derek scherzando, Spencer scosse la testa dicendo che aveva circa venti anni quando si era preso il suddetto dottorato.
Madison a quel punto scoppiò a ridere. “Io so chi era questa ragazza e lo sai anche tu” affermò scettica, non riusciva a crederci. Spencer le lanciò uno sguardo attonito sottolineando che non l’aveva mai conosciuta.
“Ero io” disse sorridendogli, anche Spencer sorrise. “Beh, era destino allora” dichiarò Blake che stringeva un bicchiere di vino. “Io proporrei un altro brindisi” suggerì Aaron incontrando i pareri concordanti dei presenti.
“Al destino” disse l’uomo guardando la giovane coppia che continuava a ridere di quella inaspettata scoperta.
 
Qualche giorno più tardi, più precisamente il primo febbraio, Madison ricevette una sorpresa. Qualcuno bussò al citofono, la giovane domandò chi fosse, non aspettava nessuno.
“Salve, sono il fattorino di Aliflora. Ho una consegna per lei” le comunicò una voce squillante. “Scendo subito” rispose lei che immaginava di cosa si trattasse. Scese e si trovò un ragazzo che le tendeva un piccolo bouquet di tulipani gialli e bianchi dai petali arruffati. Il tulipano era il suo fiore preferito.
“Ecco il bigliettino” aggiunse il ragazzo consegnando un piccolo cartoncino dentro una busta di colore rosso cremisi.  Madison ringraziò il ragazzo prima che ripartisse sul motorino, offrendogli una mancia che questi accettò senza indugi, e si sedette sulle scale. Ammirò quel prezioso bouquet che sembrava essere il frutto di una ricerca molto accurata, lo annusò e lo posò delicatamente sul gradino accanto a sé.
Prese il bigliettino e lo lesse. “Potremmo vivere come Jack e Sally se lo vogliamo, dove tu mi puoi sempre trovare. Festeggeremo Halloween a Natale. E nella notte ci augureremo che questo non finisca mai”
Madison si sorprese nel leggere la frase della canzone I miss you dei Blink. “E questa dove l’hai scovata?” pensò infatti divertita.
“Penelope ci ha paragonati a Jack e Sally, ho fatto le mie ricerche e sono d’accordissimo, siamo proprio loro.  Festeggeremo Halloween a Natale, ma anche Capodanno, il Ringraziamento, persino Hanukkah, tutte insieme.
Grazie per questo bellissimo mese.
PS: So che non volevi regali, ma non ho saputo resistere. So anche mi perdonerai”

Madison sorrise, certo lo avrebbe perdonato. Lo avrebbe perdonato cento volte.

 
 
 
 
 
 Salve, eccomi di nuovo qui. Prima di tutto, ringrazio chi ha inserito la mia FF fra le preferite. E' bello sapere che ci sono persone che apprezzano davvero la mia storia, ovviamente ringrazio anche chi recensisce sempre e chi legge anche senza commentare. Una storia senza lettori non è una storia :D

Tornando a noi. Ho provato a calarmi nella mente del S.I. per riuscire a spiegarvi come mai fosse giunto ad uccidere. E' la prima volta che lo faccio, dunque, se ho fatto schifo, vi prego, ditelo! Stessa cosa vale per i pensieri delle vittime :D criticatemi se non vi è piaciuto; se, invece, pensate che non sia pessimo, fatemi un fischio! Magari ci riprovo!
Parlando di Maddie e Spence, stanno diventando troppo appiccicosi, quindi credo che prima o poi li farò litigare XD (sì, sono un po' psicopatica!)
Credetemi però, quando vi dico che certe uscite mi vengono spontanee, per esempio quella del piano XD nemmeno ci pensavo quando ho iniziato a costruire la loro storyline, perchè voi non la sapete ma io l'ho già scritta tutta nella mia testa :D
Se ritenete che stiano esagerando con la stranezza dei vicini, sappiate che è solo l'inizio XD la 16enne, ispirata ad una mia amica, tornerà :p
Bene, vi lascio e alla prossima!

 
 
 
 
  
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