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Autore: Akune_Niives    20/11/2013    4 recensioni
Sogni. Raven ne ha fatti molti, nella sua vita. Ma mai come questo. Il sogno che le cambierà la vita, che le farà veramente scoprire chi è. Che le farà scoprire chi è Lui. Il giovane che sogna ogni notte. Un'illusione? O un avvertimento del destino?
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo un viaggio lungo settimane, arrivarono in Italia.
 
Sì, era strano anche per loro averci messo tutto questo tempo.
Tra la Francia e l’Italia non c’è molta distanza.
 
Ma il corpo di Drake pretendeva almeno una trasformazione al giorno e Shadow doveva nutrirsi in qualche modo.
Per questo si spostavano di notte e molto lentamente, attravestando i boschi.
La gente poteva insospettirsi, vedendo due giovani dall’aria strana vagare per le città senza bagagli.
 
Ma alla fine arrivarono.
 
La villa, chiamata dagli Italiani Tenuta di Camugliano, si innalzava maestosa davanti ai loro occhi. Ma prima di quella c’era l’enorme statua raffigurante un Ercole che uccide l’Idra, e prima ancora l’enorme cancello di ferro battuto alto almeno 4 metri.
 
Shadow sospirò.
 
La sua vecchia casa ormai stava quasi cadendo a pezzi, ma a quanto pare ciò non preoccupava la sua abitante.
 

«Entri a salutare?» chiese Drake, accanto a lui.
 

Shadow sorrise.
Rivedere sua sorella sicuramente non gli avrebbe fatto male.
Così entrarono.
 
Aprirono il grande cancello, percorsero il vialetto e arrivarono al grande portone di legno massiccio che era insolitamente aperto.
I loro occhi subito notarono come ogni singolo tendone dell’ingresso fosse stato tirato in modo da coprire ogni spiraglio di luce.
Tutti, a parte uno che illuminava precisamente il fondo della navata, dove era stato posizionato un enorme specchio.
 
Una donna, con i capelli rossi, che si stava mirando allo specchio, si voltò verso di loro.
 
 



 
 
Il timore che un giorno l'avessero scoperta si contorceva doloroso in tutto il suo essere.
Allo specchio sosteneva lo sguardo di una creatura singolare, evanescente ma sicuramente pronta a vivere: la pelle che quasi si tendeva spasmodicamente su di un corpo sinuoso, era pallida, quasi bianca.
Ricordava il colore delle statue romane in marmo, copie di quelle greche in bronzo che tanto le piacevano.
Una bocca vermiglia, piacente, elaborata nelle sue curve, denotava una grande passione che non amava nascondere. Il naso sottile, delicato, elegante elemento di un quadro già di per se egregio.
Gli occhi grandi, dalle ciglia lunghe e morbide, riflettevano quasi con deliberata violenza un verde sconvolgente, delimitato da una sottile linea nerissima che circondava l'intero iride.
I capelli lunghi, dai riflessi rossi in cui perdersi con le dita, le circondavano il tenero capo come uno splendido tramonto.
Le mani affusolate tradivano il suo amore per il piano e il violino, donandole una delicatezza commovente quando si accingeva a suonare.
I denti, perle bianche e fredde, che mal celavano un singolare elemento che catturava l'attenzione: due canini appuntiti, tremendamente sviluppati e dall'aspetto malignamente intrigante.
Ad un suo sorriso lo spettatore tratteneva il fiato, sconvolto come se avesse assistito alla morte di una Giulietta traboccante di dolore per la perdita del suo Romeo.
Ad una parola della donna, la notte calava nei cuori degli ascoltatori; ad un suo sospiro, i nervi dell'uomo crollavano come vetro infranto.
Il desiderio di vita le scorreva tormentandole i sensi, la voglia di dissetare corpo e anima le vibrava selvaggiamente in corpo, facendola tremare spasmodicamente.
 



 

Akune assottigliò lo sguardo e riconobbe i loro volti.
E quando i suoi occhi incontrarono quelli del gemello non potette fare altro che portarsi la mano al petto e correre verso di lui.
Si lanciò in un abbraccio che mai ci si sarebbe potuto aspettare da una creatura elegante come lei, ma il fratello la prese al volo e la strinse come avrebbe voluto fare in tutti quegli anni di distanza.
Non parlarono, si tennero stretti per qualche minuto, dondolando sul posto.
 
Cosa che creò un leggero imbarazzo in Drake, che rimase al suo posto fermo immobile, inclinando solo leggermente il capo per guardarsi la punta dei piedi.
 
Quando l’abbraccio si sciolse, i due non avevano ormai più niente da dirsi.
No, non per il fatto che entrambi erano potenti telepati.
Ma perché molto spesso un abbraccio vale più di mille parole.
 
Si guardarono un’ultima volta, con la promessa di incontrarsi di nuovo.
 
Poi lei voltò lo sguardo verso Drake.
 
Ma il sorriso le morì tra le labbra.
 
Uno schiaffo, un unico sordo rumore echeggiò nell’androne.
 
Lei girò i tacchi e se ne andò, arrivando alle scale e iniziando a salirle senza voltarsi.
 

«Sopravviverai senza di me, amico?» sussurrò Shadow prima che il Lycan inseguisse la sua amata.
 

«Se dovessi avere bisogno di te, mi sentirai ruggire.» mormorò il ragazzo, salutandolo con la mano prima di sparire sulle scale. [1]
 

«Un Lycan che ruggisce. Ma per favore.» mormorò tra sé e sé Shadow.
 

Scosse le spalle e uscì.
Ora doveva trovare Raven.
 
 
 

 
***
 
 
 




Iniziai a ridere.
Una bella risata isterica era proprio quello che ci voleva.
 
«Io non ci posso credere.» mormorai, cercando di trattenere le risate.
 
«La capisco, Signorina, ma..» cercò di dire Arthur.
 
«No, no.. Lei non capisce. Stamattina mi sono alzata convinta di essere.. Insomma, normale.. E adesso lei mi viene a dire che sono.. Che.. Oddio, nemmeno riesco a dirlo!!» risposi, decisamente troppo isterica.
 

«Una Lycan» mi aiutò l’uomo.
 

Mi fermai un attimo e lo fulminai con lo sguardo.
 

«Sì, grazie.» sibilai.
 

Iniziai a camminare in tondo nella stanza, portandomi le mani sulla faccia.
Come diavolo poteva essere possibile?
 

«Lei mi sta prendendo in giro. Andiamo, mi guardi! Sono la ragazza più normale di questo Paese, come diavolo posso essere una bestia??» gridai, indicando me stessa per enfatizzare le mie parole.
 
«Raven, la prego di calmarsi. Non ho intenzione di mentirle. Ma lei ha bisogno di aiuto. Ha bisogno di me.» rispose lui, nel modo più pacato del mondo.
 

Assottigliai lo sguardo e abbassai le braccia.
 

«Io non ho bisogno di nessuno.» sibilai, per poi fare retro front, prendere la mia borsa e uscire dalla stanza chiudendo la porta con il botto più forte che potesse venirne fuori.
 

Max, seduto sulle scale, sobbalzò e si portò una mano al petto.
 

«Ma sei impazzita? Che ti è preso?» mi chiese, guardandomi scendere le scale per poi corrermi dietro.
 

Mi diressi verso gli armadietti. Volevo prendere le mie cose e tornare a casa.
 

«Raven, mi stai ascoltando? Che cos’è successo lì dentro?» chiese nuovamente, bloccandomi la strada.
 

«E’ successo, mio caro Max, che quell’uomo è PAZZO!» gridai, senza ormai più controllo.
 

«Sì, ok.. Questo lo avevamo capito un po’ tutti..» mormorò, tappandosi le orecchie con le dita.
 

«Lycan, vampiri, pozioni magiche.. Ma stiamo scherzando??» continuai, cercando invano di aprire l’armadietto. Le mani mi tremavano talmente tanto che non riuscivo a trovare la giusta combinazione.
 

«Beh, molti dubitano della sua “sanità mentale” » continuò Max, mimando la voce dello scrittore «.. non capisco perché adesso tutto questo astio.. Eppure ti piaceva.»
 

«Sì, esatto mi piaceva. Ma adesso ho capito che è solo un pazzo. Mi ha dato della BESTIA e si aspettava anche che io gli credessi! MA PER QUALE MOTIVO QUESTO COSO NON SI APRE?!» gridai.
 

E lì successero due cose contemporaneamente.
 

Il pugno diretto verso l’armadietto non si fermò sullo sportello, ma sprofondò in fondo, attraversando il mio armadietto e accartocciandolo come se fosse carta straccia.
 

E Max, dallo shock, cadde, invece che a terra, atterrando sul Professor DuMondray.
 

Come se non bastasse, tutta la Scuola si bloccò, come se il tempo si fosse fermato.
 
Con non poca difficoltà, tolsi la mia mano completamente sana dal mio ex armadietto e osservai i due uomini accanto a me.
Abbassai lo sguardo e strinsi la borsa sul petto.
 

«Devo andare.» sussurrai e mi lanciai fuori dalla scuola.
 

In strada, iniziai a correre con la testa bassa, urtando alcuni innocenti passanti.
Uno di loro, mi fece quasi rimbalzare.
Alzai la testa e mi specchiai in degli occhiali da sole troppo grandi.
 

«Mi perdoni.» mormorai e corsi nuovamente via.
 

La persona mi guardò andare via e si voltò verso il portone, dal quale stavano uscendo uno schokkato Max e un disperato Arthur.
Mentre il primo continuava a inseguirmi, il secondo si pietrificò all’istante davanti a quello strano passante.
 

«Arthur.. E’ passato molto tempo dall’ultima volta..» mormorò serafico.
 

«Shadow Shinobu..» sussurrò, quasi senza fiato.



[1] "You gonna hear me roar" frase presa dalla canzone "ROAR" di Katy Perry.






 

***Spazio autrice***

BOOOM BABY! 
Sono tornata!! :D
Finalmente, dopo non so quanto, sono riuscita a scrivere questo capitolo.
Ve lo giuro, avrei voluto scriverlo prima, ma non riuscivo a visualizzare le situazioni,
e ciò ha richiesto più tempo del previsto.
Bon, spero vi piaccia :3

Baci, A.

 
   
 
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