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Autore: dawnechelon    20/11/2013    5 recensioni
Quella che sto per raccontare non è la storia di una sola persona, ma la storia di molte di noi, di ogni singola sognatrice là fuori che si è innamorata del proprio idolo, e non se ne vergogna. Ne parla come se fosse l'amore più bello e più reale della sua vita, ed anche se non ha altro amore da raccontare, per lei è questo il migliore, perché è eterno, non morirà, ed ogni volta che ci penserà ne sarà felice perché quell'amore la fa stare bene.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2.
Waiting for the day to come.

 
Per la prima volta nella sua vita, il suono della sveglia, di quella stessa sveglia che l'aveva obbligata ad alzarsi per affrontare una banalissima giornata scolastica, non la infastidì. Al contrario, quel suono stridulo quasi le parve piacevole, come se in realtà nascondesse una melodia dolce, che le toglieva le coperte con una raffinata delicatezza, e la sollevava dal letto e poi l'accompagnava in una leggera danza che la cullava come fosse una piuma mentre si preparava per quel giorno.
Ancora sotto le coperte, ed ancora con gli occhi chiusi, sorrise e si rannicchiò su se stessa. Sospirò, e gettò via le coperte quasi con un calcio per poi alzarsi. Se fosse stata una bambina in quel momento si sarebbe messa a saltare sul letto dalla gioia, a correre per tutta casa urlando, ma non era il caso. Non tanto perché avesse diciannove anni - questo non le impediva di gioire spontaneamente, proprio come un bambino -  quanto per non guastare l'umore ai genitori che ancora dormivano e non voleva disturbarli. Aprì le finestre della sua camera, ed inspirò a pieni polmoni l'aria del mattino di Los Angeles e guardò verso l'orizzonte con un sorriso emozionato. Stava nascendo il giorno, e quello sarebbe stato il suo giorno. In quell'istante si sentì quasi protagonista di un cartone animato, e poteva davvero sembrare una scena puerile dato il suo sorriso inebetito che sembrava non voler lasciare il suo volto.
Scosse il capo come se volesse svegliarsi e cercò di trattenere l'euforia che l'avrebbe fatta cantare a squarciagola la sua canzone preferita, come per dimostrare al mondo che la vita era meravigliosa, e che lei aveva deciso di vivere quelle successive ore come se la fine del mondo fosse imminente.
Cominciò a prepararsi, in una serie di gesti talmente veloci ed automatici che in meno di dieci minuti si trovò ad essere pronta. Sapeva bene come affrontare un concerto, e quindi decise di indossare i vestiti più consoni e comodi per quell'occasione: indossò un paio di pantaloni della tuta neri, una canottiera rossa che aveva precedentemente preparato appositamente per quel concerto, scarpe comode, e una felpa, in caso avesse avuto freddo durante l'attesa e dopo il concerto. Su quella canottiera aveva disegnato uno dei tanti loro simboli, la triad, ed aveva scritto una delle sue frasi preferite dell'ultimo album: "in defence of our dreams". Era una sognatrice, forse lo era sempre stata, anche prima di conoscere loro, e sempre, in ogni caso avrebbe difeso i suoi sogni e si era cucita addosso quella frase come se fosse stata scritta per lei.
Non amava il trucco pesante, ed infatti aveva solo dato un po' di tono alle sue guance, a volte troppo pallide, ed aveva marcato il suo sguardo con po' di mascara e niente altro. Non era necessario apparire una stella del cinema, e non ne sentiva minimamente il bisogno, non era da lei. E poi aveva visto molte persone truccarsi al concerto, per riprendere lo stile che avevano loro in alcuni video: era un modo per affrontare l'attesa insieme, per condividere l'emozione, e per fare amicizia, per stringere quel rapporto che esisteva ancora prima di conoscersi che portava a sentirsi fratelli e sorelle nonostante le distanze, nonostante le differenze.
Quello che non poteva tralasciare, seppur non fosse mai stata una grande amante di accessori, erano il ciondolo della triad al collo, e il bracciale rosso che portava i loro simboli.
Una volta indossati anche quelli si sentì davvero pronta, per lo meno fisicamente. Emotivamente non si sarebbe mai sentita pronta, perché dentro di sé muovevano due forze contrastanti: la voglia che arrivasse finalmente l'ora del concerto per gustare l'emozione della loro musica, e allo stesso tempo la voglia di godersi ogni singolo minuto di attesa, perché l'attesa era tanto emozionante quanto il concerto stesso.
L'adrenalina cominciava a scorrere in ogni centimetro di lei che in quel momento era un fascio di ansia ed emozione, ed era arrivata l'ora di raggiungere il luogo che avevano scelto per il concerto, e prepararsi all'attesa. Aveva già detto ai genitori la sera precedente che sarebbe uscita senza svegliarli, così lasciò loro un biglietto sul tavolo della cucina, e presa la borsa uscì di casa.  Aveva deciso di lasciare a casa l'iPod perché sentire anche solo una singola canzone non faceva altro che aumentare l'ansia dentro di lei, ma nella sua mente riecheggiavano le note di quelle canzoni, e quelle parole che tante volte erano state in grado di lenire il suo cuore. Camminava e alzava lo sguardo al cielo, e di tanto in tanto sorrideva: vedeva le nuvole fluttuare leggere e pregustava la sensazione che avrebbe provato quella sera, che non era poi tanto lontana dal volare.
Libertà. Non si sentiva mai così libera di esprimersi, di cantare a squarciagola senza temere di disturbare, di urlare al mondo chi era, chi amava, senza vergognarsi di nulla, nemmeno del più evidente dei suoi difetti.
E provava quella sensazione soltanto quando la sua voce tremante si univa a quella chiara e distinta, talvolta provata, di quel cantante che aveva deciso di mettere la sua anima e il suo cuore nelle parole che scriveva. Accadeva ogni volta che li ascoltava, sull'autobus mentre andava a scuola, circondata da persone così lontane da quella che era la sua natura, da persone che  vivevano freneticamente, meccanicamente, come se fossero non tanto delle persone con passioni e sogni, ma automi destinati a ripetere le stesse identiche azioni ogni giorno, senza tregua, senza darsi l'opportunità di sognare.
Grace si ritrovava spesso a sentirsi sola nella sua stessa cerchia di amici, perché loro erano più vicini alla vita mondana, e lei invece stava sempre con la testa fra le nuvole perché sognava, e sognava, e sognava ancora, e si sentiva molto più vicina ad un Peter Pan che ad una sua coetanea. Grace non si curava di un'unghia rotta, o di quale vestito scegliere per la festa del più popolare del liceo. Da sempre si era sentita diversa, talvolta sola, ma sapeva di avere una storia da raccontare, di avere qualcosa da dare. Era una bomba ad orologeria quando si trattava di emozioni e passava dal ridere al piangere in pochi secondi. No, era ben lontana dall'essere lunatica, ma bastava davvero ben poco per farla scattare. Una foto, una canzone, un dipinto, persino una sola parola bastava per bloccarla, per farla riflettere, pensare. E si perdeva in quei pensieri, si astraeva dalla realtà in cui era collocata. Fisicamente magari era a tavola con i propri genitori, ma con la mente era lontana, rifugiata in un ricordo, o in una speranza, o molto spesso in un sogno. E la cosa bella di un ricordo, è che seppur imperfetto, anche dopo anni può farti sorridere.
Quel giorno sapeva che ne avrebbe creati tanti di ricordi, ed avrebbe collezionarli uno ad uno, rinchiuderli in un'ampolla e conservarli gelosamente come fossero diamanti. I ricordi avevano un valore decisamente più inestimabile di delle semplici pietre scintillanti che si regalavano per convenzione, o per fare semplicemente una bella figura. I ricordi toccavano le corde del cuore, i diamanti toccavano solo il portafogli.
I pensieri come sempre l'avevano trascinata via, lontano dalla realtà terrena, e si era sentita così vicina a quelle nuvole bianche che guardava da lontano quasi da poterne percepire l'ineffabile sostanza. Tornò con i piedi a terra quando riconobbe una canzone che delle voci all'unisono stavano cantando poco distante da lei.
"No I'm not saying I'm sorry, one day maybe we'll meet again. No I'm not saying I'm sorry, one day maybe we'll meet again. No, no, no, no!"
Un ritornello che conosceva bene, e sorrise mentre raggiungeva il gruppo di ragazze e ragazzi che stavano seduti vicino a delle transenne, evidentemente i primi arrivati di quel giorno. Si sentì pervadere da una sensazione di calore, e di affetto e non li conosceva nemmeno, ma sapeva che anche quei ragazzi e quelle ragazze condividevano la grande passione, il grande amore, e l'incredibile devozione per loro e questo la faceva sentire immediatamente meno sola.
Li raggiunse e si sedette con loro, dopo aver chiesto se erano i primi arrivati, e l'accolsero con abbracci e sorrisi che nemmeno nel giorno di Natale ci si scambia. Talvolta si è costretti a stare in famiglia in giornate come il Natale, o il Ringraziamento, ma non ci si sente esattamente in famiglia. La cosa meravigliosa degli echelon, era che quella famiglia la sceglievano loro stessi, ed erano così simili l'uno all'altro nonostante le differenze di età e provenienza, che era impossibile per loro non andare d'accordo. Di certo non era sempre tutto rose e fiori, perché l'invidia e le controversie imperversavano anche tra di loro, e non erano certo episodi piacevoli; tuttavia non era quello il caso.
Conobbe ragazzi e ragazze che venivano da ogni angolo degli Stati Uniti che avevano viaggiato per centinaia di miglia per assistere all'ultimo concerto del tour dei loro idoli. Ed era straordinario scoprire come una band - anche se erano molto di più - fosse riuscita ad unire tante persone in quel modo, quasi viscerale.
Le ore passarono senza che nemmeno se ne rendessero conto, perché si ritrovarono a parlare di loro, a confessare il loro amore, a commentare le canzoni, le interviste più divertenti. C'erano persone che erano al loro primo concerto quel giorno, e sembrava quasi assurdo che fosse il primo e l'ultimo allo stesso tempo.
Speravano tutti che quello non fosse proprio l'ultimo, confidavano molto in un nuovo album, ed in un nuovo tour dopo il meritato riposo. Erano già curiosi di vedere come avrebbero potuto ancora sorprenderli, ed infatti nel corso della giornata formularono diverse ipotesi, anche se finirono più che altro con lo straparlare per l'emozione perché le ore passavano sempre più in fretta e si avvicinava l'apertura dei cancelli.
Arrivavano sempre più persone, e ad un certo orario nel pomeriggio - non ricordava nemmeno con chiarezza che ore fossero - li fecero alzare per preparare bene la coda e fortunatamente la security riuscì a mantenere il controllo, formando una coda ben distribuita lungo la serpentina. Grace si trovava tra le prime trenta persone circa, ed era la prima volta che era così vicina al suo obiettivo, e molti l'avevano rincuorata in quel giorno dicendole che sicuramente ce l'avrebbero fatta, e che tutti insieme si sarebbero presi la prima fila ed avrebbero vissuto pienamente quel concerto. L'adrenalina cominciava a salire, e l'ansia pulsava in lei, e reprimerla era davvero difficile. Controllare il cuore che pareva volerle esplodere nel petto non era facile, semplicemente perché era impossibile essere razionali quando si era ad un passo dal sogno.
Il momento più difficile arrivò quando annunciarono che stavano per aprire i cancelli, e dilagò il caos: urla, spinte, e impazienza. Cercò di mantenere la calma mentre le persone davanti a lei procedevano verso i cancelli, e li vedeva correre, correre verso il loro sogno che stava per realizzarsi e sapeva che lei avrebbe fatto lo stesso di lì a poco. Fu il suo turno, e porse il biglietto al personale addetto a quello specifico momento, che le rivolse un sorriso amichevole e le augurò buon concerto. Rispose con un sorriso a sua volta, quasi urlando un grazie isterico e prese a correre.
  
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