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Autore: dawnechelon    13/11/2013    4 recensioni
Quella che sto per raccontare non è la storia di una sola persona, ma la storia di molte di noi, di ogni singola sognatrice là fuori che si è innamorata del proprio idolo, e non se ne vergogna. Ne parla come se fosse l'amore più bello e più reale della sua vita, ed anche se non ha altro amore da raccontare, per lei è questo il migliore, perché è eterno, non morirà, ed ogni volta che ci penserà ne sarà felice perché quell'amore la fa stare bene.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Time to live, time to love.

Quella che sto per raccontare non è la storia di una sola persona, ma la storia di molte di noi, di ogni singola sognatrice là fuori che si è innamorata del proprio idolo, e non se ne vergogna. Ne parla come se fosse l'amore più bello e più reale della sua vita, ed anche se non ha altro amore da raccontare, per lei è questo il migliore, perché è eterno, non morirà, ed ogni volta che ci penserà ne sarà felice perché quell'amore la fa stare bene.

Capitolo 1
Jump and touch the sky.

 
Avete mai sentito parlare dell'adrenalina prima di un concerto? Avete idea di cosa vuol dire sentire lo stomaco accartocciarsi per l'ansia e l'emozione quando si realizza che di lì a poco si vedranno i propri idoli ed il puzzle sarà perfettamente completo? Perché accade questo quando i Thirty Seconds to Mars e gli echelon si riuniscono in un concerto: si incastrano perfettamente ed il puzzle è completo.
Grace stava fissando il suo riflesso allo specchio, tentando di decifrare dal suo volto le emozioni che si muovevano dentro di lei, ma erano così tante che non avrebbe saputo descriverle nemmeno con le parole del più grande degli scrittori. Sul suo volto era dipinto un sorriso incredulo, come quello di uno che per la prima può vedere dopo anni di cecità. Nei suoi occhi verdi, dalle sfumature castane, scintillava un'euforia che provava ogni volta che sapeva di andare ad un concerto della sua band preferita, anche se non le piaceva né definirsi una fan, né definire loro una band.
Era troppo riduttivo, sia per loro che per se stessa, perché era qualcosa che andava ben oltre il classico rapporto tra idolo e fan. Non pensava di poter arrivare a pensare a loro come fossero una fede, un credo religioso, ed invece si trovava ogni volta senza parole di fronte a loro, in una silenziosa devozione che la portava a credere che nulla al mondo avrebbe potuto essere più vero o più eterno.
Non poteva di certo dire di essere una donna vissuta, perché aveva soltanto 19 anni, e si considerava ancora piccola, ancora bambina, ancora con molto da imparare, ma aveva il suo piccolo bagaglio di esperienze, non molte, ma significative.
Stava rimuovendo dal suo viso il trucco di una giornata come le altre, passata ad ammazzare l'attesa con le amiche, a cercare di non pensare troppo all'ansia che sentiva nascere dentro di lei minuto dopo minuto, anche se con scarsi risultati. Quel giorno era inevitabile non pensare a quanto sarebbe accaduto il giorno seguente, era impossibile non infilare loro in ogni discorso, di qualsiasi genere fosse. Avrebbero potuto parlare di cibo, e lei avrebbe pensato a loro, avrebbero potuto parlare di condizioni meteorologiche, e lei avrebbe comunque trovato qualcosa che l'avrebbe riportata con il pensiero a quei tre volti che il giorno dopo avrebbe finalmente rivisto. Era euforica, entusiasta, si sentiva la persona più felice e fortunata sulla faccia della Terra, e doveva condividerlo con tutti. Chiunque l'avrebbe vista, avrebbe riconosciuto su di lei la gioia di vivere, la voglia di vivere, nonostante la realtà difficile, e non sempre favorevole a giovani come lei.
Si scostò una ciocca di capelli dal viso, portandola dietro l'orecchio, e prese un lungo respiro. Si perse in quel riflesso, non tanto per contemplare la propria bellezza - nemmeno considerava un pensiero simile che mai avrebbe potuto sfiorare la sua mente - , quanto per leggersi, per conoscersi.
Era curiosa di vedere quale era l'immagine che dava di sé in un'occasione simile. E riconobbe su di sé la felicità data da una forte passione quale era la sua per quella band, per quella musica, per la forza che erano in grado di infonderle le note e le parole delle loro canzoni.
Non era mai stata una ragazza vanitosa, guardarsi allo specchio era qualcosa di molto profondo per lei in quel momento. Stava andando oltre il suo sguardo, oltre il suo sorriso di tanto in tanto inebetito, per guardare dentro di sé, per ricercare il proprio cuore, ed infatti portò una mano sul proprio petto e prese un respiro lungo e profondo. Isolò anche il più singolo rumore esteriore, come il leggero ticchettio della pioggia fuori dalla finestra, e si concentrò sul proprio cuore, sul ritmo irregolare che aveva preso da qualche minuto. Correva il suo cuore, correva come lei avrebbe fatto il giorno dopo, per raggiungere quella meta tanto sognata e agognata: la transenna, la prima fila. Non era mai riuscita a guadagnarla in tutti quegli anni, forse perché in realtà non aveva saputo osare abbastanza, forse perché non si era fidata abbastanza di se stessa, forse perché semplicemente la paura di non farcela l'aveva schiacciata prima che lei potesse tentare.
Quella volta però era la determinazione a dominarla, e quasi le imponeva che lei quella sera ce l'avrebbe fatta, che lei avrebbe raggiunto il suo sogno, l'avrebbe potuto toccare con le dita, e avrebbe vissuto quella serata così intensamente che le avrebbe cambiato per sempre la vita.
Non sapeva bene da dove provenisse quella forza, non sapeva perché quella sera avrebbe dovuto essere diversa dalle altre volte, ma sapeva che sarebbe stato così.
Chiuse gli occhi, abbandonando il suo riflesso e lasciandosi andare, in caduta libera nel buio della sua interiorità. Sentiva il battito del suo cuore rimbombare in ogni singolo centimetro della sua pelle, come se effettivamente potesse essere così, come se potesse percepirle la propria pelle pulsare, e quel suono irregolare rimbombare in lei, come se fosse la sua marcia, quella che l'avrebbe portata a vincere.
Si abbandonò al sogno di quel momento e la sua mente proiettò le immagini che diverse volte aveva potuto vedere, nei suoi desideri trasformati in sogni. E sentì l'adrenalina scorrere nelle sue vene, i brividi sulla pelle, l'euforia colmarla, e la felicità pizzicare in ogni angolo di sé, la felicità che solo un sogno diventato realtà può donarti.
Aprì gli occhi e tornò a guardarsi allo specchio. Sorrise mentre una voce dentro di lei le ricordava di non smettere mai di sognare, di non arrendersi, e di sognare sempre in grande.
Il sogno che aveva era decisamente grande, era decisamente qualcosa per cui avrebbe lottato con tutte le forze che aveva. Lo aveva sfiorato così tante volt, senza mai riuscire a tastarlo con ogni fibra di se stessa che era arrivata a pensare che forse non meritava di realizzarlo, che forse era giusto così. Lei doveva restare in disparte, osservare, vivere dell'emozione di una sorella o di un fratello che mostrava loro l'infinita devozione e felicità che provava nell'essere in quella prima fila. Poteva gustare l'emozione di amare con lo sguardo i suoi idoli, soltanto attraverso gli occhi di qualcun altro. Si era convinta di questo, e diverse volte si era lasciata abbattere dall'idea di non farcela, ma quella volta doveva farcela, e ce l'avrebbe fatta.
Annuì con convinzione come se dovesse assicurarsi di quanto pensava, e sospirò abbozzando un sorriso. Uscì dal bagno, e andò nella sua camera, che parlava di lei più di quanto lo facesse il suo nome, o il suo volto. La libreria che aveva costruito grazie all'aiuto del padre aveva la forma del suo sogno: la triad. E vi erano riposti i racconti di tanti sognatori come lei, di persone che avevano saputo osare, che si erano affidati al loro sogno, e l'avevano portato a termine, lottando contro le critiche, contro la povertà, contro la guerra, contro mali ben peggiori dei lividi che ti lasciava un concerto. La osservò, e sentì la loro forza scivolare in lei. Chi meglio di scrittori e artisti avrebbero potuto infonderle il coraggio di andare fino in fondo? Dopotutto, anche loro erano nessuno fino a quando non avevano deciso di sognare.
Si mise a letto, e si lasciò avvolgere dal tepore delle coperte che si adagiavano sul suo corpo curvilineo come se lo stessero accarezzando. Chiuse gli occhi e spenta la luce, si lasciò trascinare nella dimensione che aveva costruito tutta per sé. Quella dimensione fatta di tutti i sogni che aveva, di tutta la speranza che una semplice ragazza di diciannove anni aveva nella vita, e nel futuro.
E come ogni volta, pensò a come sarebbe stato tornare in quel letto, a dormire, dopo aver realizzato quel sogno. Come avrebbe potuto affidarsi ad una dimensione che ormai era stata completata? Avrebbe potuto trovare un altro sogno dopo aver realizzato il più grande? E poi, quello era l'ultimo concerto del tour, che avevano deciso di fare proprio nella città in cui si sentivano a casa, e poi si sarebbero presi una lunga pausa. Ne avevano bisogno, e Grace in realtà lo voleva per loro più di quanto loro stessi lo volevano. Se fosse stato per loro, sarebbero andati avanti altri mesi, perché non ne avevano mai abbastanza, perché amavano stare con la loro grande famiglia, quella che loro stessi avevano creato, ma avevano bisogno di riposo e lo sapevano bene. La notizia che quello sarebbe stato l'ultimo per lungo tempo la rattristava, perché sentiva il bisogno di averli accanto a sé, e non solo tramite le casse del suo stereo, o le cuffie dell'iPod. Aveva bisogno di viverli, aveva bisogno della sensazione di appartenenza che provava quando stava in mezzo ad una folla sconosciuta, ma si sentiva perfettamente a suo agio.
E sinceramente, non sapeva come avrebbe fatto per tutto quel tempo a stare senza di loro, affidandosi soltanto ad una compagnia relativa come poteva essere quella della loro musica incisa in un cd.
Ma non voleva pensarci, non era quello il momento adatto. Non aveva tempo per rattristarsi, non aveva tempo per pensare alla loro prossima assenza. Voleva e doveva concentrarsi soltanto sul concerto imminente, sul sogno che aveva a pochi passi da sé e che avrebbe raggiunto con ogni mezzo.
Silenziosamente, sopraggiunse la stanchezza che riuscì a farla addormentare, anche se quella notte dormì ben poco serenamente. Continuava a svegliarsi, ad ogni ora, forse anche più spesso, pensando che fosse giunta l'ora di alzarsi, di prepararsi, di indossare i vestiti che aveva scelto e di correre a vivere il sogno. Ma non era ancora arrivato il mattino, e così tentava di addormentarsi nuovamente, di abbandonarsi al sonno per combattere l'attesa, ma diverse volte vinse su di lei. Finalmente, quando la notte era ormai inoltrata, riuscì ad ignorare l'ansia, o forse più semplicemente la rimandò al mattino, e non pensò più a nulla. La dimensione che la proteggeva dalla realtà l'avvolse, e fino al mattino seguente la tenne con sé. Almeno fino a quando la sveglia non iniziò a trillare, e le ricordò che il sogno, quello vero, stava per cominciare.

 
  
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