Deliri
e chiarimenti:
Seconda
breve One shot della
raccolta! Finalmente sono riuscita a postarla (fiuu!), però vi devo
alcuni chiarimenti: è ambientata prima
della precedente (per la regola già accennata in
precedenza “la
raccolta non seguirà
l’ordine cronologico degli eventi, ma solo quello
malsano del mio cervello”), e forse Gaara
nella seconda parte potrà
sembrarvi un po’ OOC, ma volevo evidenziare il prima, e il
dopo Naruto
“vi salverò tutti, perché siete come me”
(fatemi sapere se ho
esagerato troppo).
Seconda cosa: io non ho idea di come funzioni i carceri minorili e le visite ai parenti, ma vi prego di perdonarmi eventuali inesattezze, l’unica cosa di cui sono certa è che i boys scout a volte entrano per fare attività con i ragazzi (o almeno questo succede nel carcere minorile della città vicino al mio paese), se avete più informazioni a riguardo fatemele pure presenti:)!
Questo capitolo è a rating
verde,
nessun avvertimento (non è
presente l'incest).
E
passiamo alla parte dei deliri: ma quanto è bello
Naruto???? *-* Cioè non è di certo il mio
personaggio preferito del manga, però
non potevo non inserirlo! Lui che ha cambiato così tanto Gaara, che lo ha reso il Kazekage
intelligente e fighissimo che è ora!
Grazie Naruto kun *-* ti dobbiamo tante belle cose! Speriamo tu riesca a conquistare il tuo bel Sasuke!
Vi lascio il mio profilo facebook :)
Detto
ciò, vi lascio alla lettura!
Peace, Love and Sabaku no Brothers! ♥
ANOTHER
BRICK
IN THE WALL
Buona
condotta.
Dietro
la schiena di Gaara, un muro alto e
sormontato da filo spinato, fa da barriera tra lui e il rumore caotico
della
città.
Ci
si schiaccia contro con forza, fino a sentire
sulla schiena la forma dei mattoni ruvidi e rossi, si graffia la felpa
troppo
vecchia e troppo grande, distingue tra le costole le
fughe e il cemento, si
fa del male, perché l’inferno gli ha lasciato solo
questo per sentirsi vivo.
L’unica,
terribile e allo stesso tempo dolcissima
coscienza è il dolore, in quel mare grigio e indistinto che
è il carcere
minorile.
Stringe
le ginocchia al petto e le circonda con le
braccia magre; gli fa male la testa, molto male, e i ragazzi, che
davanti a lui
continuano a giocare a pallavolo gridando e schiamazzando, peggiorano
la
situazione.
Se
fosse per lui avrebbe già tappato loro la bocca
con un pugno, ma le guardie, che da ogni parte del cortile li fissano e
seguono
i loro movimenti, lo fanno desistere.
Odia
questa situazione, odia il riformatorio, e a
dire la verità ci sono poche cose che non odia,
così poche che stenta a credere
di poterle contare sulle dita di una mano: la sabbia tra le dita dei
piedi, i
Pink Floyd e sua madre, probabilmente solo perché non se la
ricorda.
Quelle
che odia, invece, sono impossibili da tenere
a mente, ma al momento, sicuramente, in cima alla classifica ci sono i
boys
scout.
Loro,
con le quelle dannatissime uniformi beige,
tutte uguali, quei tovaglioli rossi e imbarazzanti, portati con
fierezza al
collo, e il loro ostentato finto buonismo del cazzo, che li porta, ogni
tanto,
a tentare di rallegrare il carcere.
Come
se le loro vite non fossero già abbastanza patetiche.
Ha
sedici anni lui, uno dei quali già passato in
riformatorio; dicono tutti che se non fosse così aggressivo
potrebbe uscire in
un paio di mesi, ma è certo che ce lo vogliono seppellire
dentro a quello
schifo.
Perché
lui è “un
soggetto socialmente pericoloso, recidivo, e violento”
scrive lo psicologo
sul suo taccuino nero “sembra non
provare
rimorso per ciò, che ha commesso”.
Una
persona, alla fine, non è altro che la somma di
ciò, che gli altri gli fanno credere si essere, e per quanto
ci abbia pensato,
Gaara, sa di non poter staccarsi da quei paletti posti intorno a lui,
ci si è
chiuso dentro da solo e ci rimarrà schiacciato dentro.
Qualcosa
gli sfiora la spalla e si schianta contro
il muro.
–
Palla! –
qualcuno grida, e il ragazzo si accorge
dell’oggetto a terra che ha
rischiato di spaccargli la testa.
Il
sorriso dei ragazzi, che gli fanno cenno con le
braccia, lo fa infuriare tremendamente: prende il pallone tra le mani e
quasi
vorrebbe lanciarla al di là del muro, solo per vederli
urlare, solo per sentire
i freni di una macchina stridere contro l’asfalto, dopo
esservi vista un bolide
schiantarsi contro il parabrezza.
“Sarebbe
magnifico” pensa, ma un biondino dalla
faccia scema si è già appropriato della sua arma
e lo guarda con un sorriso.
–
Ehi! Tu non vieni a giocare? – chiede allungando
la mano per tirarlo in piedi, ma Gaara la rifiuta scortese.
–
Stavo solo cercando di essere gentile – continua
un po’ sconsolato, alzando gli occhi azzurri al cielo
– tutti
hanno bisogno di un po’ di compagnia.
Tu che ci fai qua tutto solo?
La
divisa gli tira un po’ sul petto, le spalle sono
troppo larghe e muscolose per un viso così giovane e fresco,
tiene la bandana
legata alla fronte come un completo deficiente, un ninja o un marines,
e quasi
quasi glielo direbbe, ma per farlo allontanare decide di tacere.
Peccato
che Gaara non conosca ancora la leggera
impetuosità di Naruto Uzumaki.
È
passata solo un’ora e sa già tutto di lui: dei
suoi genitori morti, dei suoi voti a scuola, della ragazzina sempre
arrabbiata
e musona, che gli piace tanto, del suo tutore -vecchio amico del padre-
e di
tante altre cose che si sono perse in un vortice fumoso di parole
sconnesse.
– E io sarei
finito qua con te – dice quel ragazzo pieno di tatto e
finezza – se non fosse
stato per i miei amici e per Itachi, che mi ha convinto a fare il boy
scout.
Agli
occhi chiari di Gaara, Naruto, sembra
risplendere di una luce bellissima, come se solo con quelle parole
possa
davvero tirarlo fuori dall’inferno, e un poco di illude di
non essere solo un
delinquente, forse scavando in fondo alla melma, anche in se stesso
può trovare
un piccola fiammella.
E
non si stupisce, quando in una pausa tra i
vaneggiamenti del biondo, riesce a trovare il coraggio di parlare.
–
Io non volevo fare del male a mio padre – sussurra
cupo – tornava tutte le sere ubriaco, senza un motivo, se la
prendeva con me,
perché ho ucciso mia madre quando sono nato. Non ne potevo
più, i miei fratelli
avevano paura, di lui, di me, nessuno provava a capirmi.
I
ricordi di quella sera si accavallano: i piatti
rotti, il sangue, tanto sangue, Temari che urla, chiama
l’ambulanza, Kankuro
impietrito di fronte al padre senza sensi, ma non può fare a
meno di non
sentirsi in colpa.
Se
lo meritava, se lo meritavano tutti.
Naruto
annuisce, sembra incoraggiarlo a continuare,
a sfogarsi, ad abbracciare una nuova idea.
–
Forse se tu dessi una possibilità ai tuoi
fratelli, loro ne darebbero una a te. Forse tornerebbe tutto come prima.
Ma
nel prima di Gaara,
c’è poco di diverso, la
sua condizione di delinquente se l’è cercata
così presto, che non era nemmeno
punibile per legge.
Un ragazzo
moro, dall’aria arrogante e sfacciata, si avvicina a loro, a
grandi passi.
–
Baka ce ne dobbiamo andare, mio fratello sta dando
di matto perché non sapeva dove ti eri cacciato.
Naruto
si alza dal cemento, si spolvera i
pantaloncini, che gli arrivano fino al ginocchio, sorride al nuovo
arrivato e
lo stringe in un abbraccio.
–
Dillo che ti sono mancato brutto musone! Itachi
san non c’entra nulla!
L’altro
di divincola, cerca di sfuggire alla presa
dell’altro, – Idiota, stammi lontano –
gli intima, ma Naruto lo stringe ancora
più forte.
Gaara
li fissa stranito, se avesse avuto lui tutto
quell’amore, non sarebbe lì adesso, sarebbe a
casa, e disprezza l’amico di
Naruto, che sembra non accettare la sua dannata fortuna.
–
Ehi tu! Ricordati sempre dei ragazzi di Konoha! Vi
torneremo a trovare presto.
Il
biondo fa il saluto militare e lo lascia, per
trotterellare allegramente dietro all’altro.
“Che
buffo” pensa, quel ragazzo potrebbe persino
stargli simpatico.
Il
secondino gli fa cenno di poter entrare.
Sono
passati cinque mesi dal suo primo incontro con
Naruto, e i boys scout sono tornati altre tre volte.
Dal
vetro della porta riesce a vedere una figura
tutta ingolfata, e raggomitolata nella sciarpa, nel piumino viola:
persino al
chiuso riesce a soffrire il freddo.
La
ragazza si sposta i capelli biondi dalla fronte,
qualcosa la infastidisce, continua a tormentarsi le dita delle mani.
Sono
mesi che non si vedono, ogni volta lui decideva
di non presentarsi all’ultimo secondo e adesso non sa in che
modo comportarsi.
La
stanza è completamente bianca, il pavimento è
pulito, limpido, e tutti parlano sottovoce, per trattengono le
emozioni, però
sente che c’è qualcosa di sbagliato in
quell’atmosfera asettica, distorta ed
artificiosa.
La
guardia lo accompagna fino al tavolino. Davanti a
lui, Temari, sorride delicata come un fiore.
Da
quando sua sorella è diventata delicata?
Fa
cenno di sporgersi per toccarlo, ma si ritrae
immediatamente. È troppo presto.
–
Ciao – accenna – Kankuro non è potuto
venire, ha
un lavoro adesso, e sono i primi giorni, non può prendersi
ancora permessi. Ha
detto che gli dispiace, e che tornerà la prossima volta.
Kankuro
ha un lavoro? Ha messo la testa apposto?
Quante
cose si è perso?
Vorrebbe
dirle che non ci sarà una prossima volta,
tra un mese uscirà, eppure ritarda la notizia,
perché non ha idea di come la
prenderà la sorella.
–
Come stai? – prova ancora, visto che il fratello
non risponde.
–
Piuttosto bene, voi?
E
queste sono le prime parole non ostili, che sente
uscire dalla sua bocca da anni, le verrebbe quasi da piangere se non
fosse per
quel briciolo di dignità rimastale.
–
Ce la caviamo, la nonna è morta due mesi fa.
Lo
dice come se fosse una cosa della massima
importanza, come se ne valesse della loro vita, ma il ragazzo non
capisce e la
fissa con curiosità: a quella donna, non è mai
importato nulla di loro, anche
lei sta nascondendo qualcosa, lo sa, però decide di scoprire
le carte per
primo.
Si
alza dalla sedia e una guardia si allarma, anche
se lui fa cenno di stare tranquilla.
La
sedia di Temari stride contro il pavimento, ora è
in piedi anche lei, forse per difesa, che mantiene alta anche quando il
fratello le si getta tra le braccia, cercando quell’affetto
mai ricevuto.
L’abbraccio
di lei è tiepido, come se si aspettasse
qualcosa di negativo, di essere strozzata o trattata male, eppure lui
le si
appiccica addosso come un francobollo alla busta, nonostante
ciò è restia a
ricambiare.
–
Uscirò tra un mese. Buona condotta. – dice
sprofondando di più nella sciarpa nera di lei, che sa di
casa, dolci e Temari.
Lei
non è abituata ad associare a ciò che riguarda
il fratello la parola buono,
è un
collegamento difficile, quasi impossibile, ma passa una mano tra i suoi
capelli
rossi, come se fosse la cosa più normale del mondo.
–
Otouto – sospira – la vecchia ha lasciato tutto a
quei “ragazzacci in difficoltà” dei suoi
nipoti. Quando sarai fuori ce ne
andremo per sempre da Suna.
–
Portami a Konoha.
È
l’unico appiglio che conosce: Naruto e adesso
anche un poco d’amore.
Andrà
bene, andrà tutto bene adesso che ha Temari.