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Autore: Chamberlains    21/11/2013    0 recensioni
Sarò breve e brutale. Lei è una casinista in sovrappeso, mentre lui è uno stupido nerd abitudinario. Sono ironici, o almeno è così che mi piacerebbe farli sembrare, incongruenti fra loro, o così sembra.
Ci lavoro su da un po' e forse in realtà non sono un granché, ma provo lo stesso a farveli conoscere, nella loro perfetta imperfezione.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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HER
Questo pomeriggio inauguriamo un nuovo inizio, perché è da circa una settimana che siamo universitarie e non più semplici liceali, perché non potremo più vederci ogni giorno fra i banchi di scuola. La nostra amicizia passa ad uno stadio superiore, dobbiamo metterla alla prova. Finora è stata comodamente adagiata fra i nostri grembiulini dell’asilo, le tute della scuola elementare, le prime cotte delle medie, il pallone da pallavolo e il dizionario di latino del liceo. Adesso rimane nell’aria, c’è ma non ha più forma, tocca a noi mantenerla in vita.
Vuoi perché c’è meno casino, vuoi perché ho un letto di una piazza e mezzo, vuoi perché ci sono sempre schifezze da mangiare, sono sempre venute a casa mia tutte insieme e stavolta non sarà diverso.
Van è arrivata prima di tutte e scommetto che se lo ha fatto è perché ha qualcosa di importante da dirmi. Infatti, giusto il tempo di far scomparire gli occhiali da sole in mezzo alla borsa e sputa subito il rospo:
-Chiara te lo ha detto? Di Lorenzo, dico.
Chiara e Lorenzo, Lolla e Lollo fino ad una settimana fa circa, si sono lasciati dopo cinque anni. Chiara è una di noi, la conosco da quando aveva sei anni eppure non ho mai saputo che avesse una voce straordinaria fino all’anno scorso, è stato Lorenzo a convincerla a cantare in pubblico e a studiare al conservatorio quest’anno. Quel Lorenzo che, oltre ad essere stato nostro compagno di liceo, è anche un mio amico di infanzia, paragonabile persino ad un fratello.
-Sì me lo ha detto, gran bel casino.
-Tu che pensi?
-Non penso nulla, sono affari loro. Mi preoccupo solo di perdere l’amicizia di uno dei due.
-Chiara la teniamo stretta noi, tranquilla. Se provasse a scappare io la rincorrerò fino allo sfinimento e sai benissimo che lo farò.
Vanessa mi sorride rassicurante ed io sto più tranquilla. Mi fido di lei e so anche che è così cocciuta e tenace che lo farebbe davvero.
Ce la vedo proprio a prendere Chiara per il polso, mentre la sgrida ricordandole i valori dell’amicizia. Ho sempre pensato che, a parte per il suo neo dell’impulsività, sarebbe stata perfetta per entrare nei Marines, ma mio zio le ha voluto lasciare l’azienda di famiglia, per cui rimarrà a Milano, fra le solide mura di Brera, cercando di mantenere i nervi saldi.
-Lorenzo sai benissimo che non mollerà, sua madre lo striglierà a dovere se dovesse farlo!
Ridiamo insieme sta volta, decidendo di accantonare questa situazione almeno per questo pomeriggio, soprattutto perché a suonare il citofono è proprio Chiara.
E’ quella di sempre, un metro e cinquanta di energia allo stato puro. Piccola, dolce e sempre con una parola giusta al momento giusto, non si perde mai d’animo. Quando ci capitava di litigare era proprio lei a mettere le cose apposto con la sua positività, la sua voce calma e serena riusciva a rassicurarci, a darci un motivo per smettere.
-Bon jour! Che si dice?! – esclama sull’uscio della porta.
-Da me sono tutti snob, tranne un tipo con cui ho fatto squadra. – rispondo io.
Chiara e Van si dimostrano d’un tratto tutte orecchi per ciò che sto per raccontare.
Racconto di Alberto e di come ci siamo conosciuti, delle osservazioni incredibilmente simili alle mie, della sua noncuranza riguardo alla mia figuraccia all’entrata.
Vanessa, come al solito, è quella che più insiste: parla già di rimorchiare studiando insieme oppure passandogli i suggerimenti per i quiz scritti. Chiara invece è più tranquilla, osserva mia cugina insistere con le sue teorie, ride ed infine conclude che il tizio potrebbe essere interessante.
Vic arriva con un disastroso ritardo, mezz’ora, non è da lei. Ci liquida dicendo che era troppo presa dallo studio e non si è accorta che il tempo passava e che era in un fottuto ritardo per venire qui. Io in realtà non me la bevo proprio, non so cosa pensi Vittoria ma io non sono per nulla scema e, anche se in un primo momento mi sembrava un’ipotesi esagerata, come dice Vanessa si sta frequentando con qualcuno e non vuole dircelo. Sempre secondo le teorie  kassandresche, il tipo in questione sarebbe Emilio Scala, il nostro compagno di classe con cui fino all’anno scorso aveva un rapporto di imposta sopportazione ma che si è trasformata in una sorta di feeling, come abbiamo potuto notare noi circa due settimane fa, ad un’uscita di classe. Non capisco però perché non voglia parlarne con noi, di cosa ha paura? Sa bene che non verrebbe giudicata. Sicuramente sta aspettando un po’ per posticipare lo shock, rispettiamo i suoi tempi.
Della mia stessa idea non è, come previsto, quella sconsiderata di Van che subito lancia la sua battutina assassina:
-Oh che caldo! – agita le mani in un gesto quasi teatrale – Vic, non senti caldo con quella sciarpa?
Il suo sguardo furbo è puntato sul collo di Vic, impazienti di individuare le “prove del delitto”, ma purtroppo la preda sa bene come rispondere agli attacchi:
-E’ un foulard, neanche lo sento addosso.
-Non sapevo avessi dei foulard, credevo non ti piacessero!
Ribatte mia cugina sempre più curiosa.
-Infatti è di mia madre questo, comunque ho deciso di cambiare un po’ look, che te ne pare?
-E’ molto, mmh… misterioso.
Le fa l’occhiolino, Vittoria fa finta di nulla e cambia subito discorso:
-Ho incontrato Silvana ieri, in centro.
-Come sta?
Chiede Chiara.
-A suo dire bene, è un po’ triste perché Dario è a Torino però l’università l’ha colpita positivamente ed è parecchio entusiasta.
-E’ entrata alla Iulm alla fine, no?
Chiedo io, abbiamo perso un po’ i contatti durante l’estate e la mia pessima memoria non mi aiuta di certo a ricordare cosa fa ognuno dei miei venticinque compagni di scuola.
-Sì, lingue ed interpretariato. Ho pensato che una sera di queste potremmo uscire insieme, che ve ne pare? Lo diciamo anche ad Alice.
-Se ci sarò io Alice non verrà sicuro.
Ribatte subito Vanessa, non si decide proprio a mollare le vecchie faide del liceo.
-Avanti, Van! E’ passato tanto tempo, è acqua passata! – risponde Vic – E poi non possiamo escluderla se invitiamo Silvana.
-Sì appunto, diciamolo allora anche ai ragazzi!
Dico io per incoraggiare Van.
-Sì dai, Adriano non lo vedo da un secolo!
Aggiunge infine Chiara. Vanessa ci sorride, acconsente.
-La Marti?
Chiedo io, ma forse sbaglio, non dovevo chiedere di Martina. Cade il silenzio, la Terra si ferma.
-E’ con Michele. – risponde mia cugina, percepisco un filo di rabbia nella sua voce, la stessa che io e le altre reprimiamo.
-Quel tipo non va bene per lei, lo sanno tutti. Io l’ho avvertita, faccia come crede adesso.
Non ho ben capito se Vittoria si è rassegnata o sta ancora cercando di farlo.
      - Speriamo solo che non le capiti nulla. – sospira Chiara.
-Speriamo -  faccio eco io.

 
 

HIM
Lo ricordo ancora il primo giorno delle medie, siamo capitati insieme per caso, entrambi in ritardo e ci è toccato il primo banco a destra. Era un coglione, proprio come lo è adesso – forse un po’ meno- non si era reso conto di cosa fossi, l’etichetta che avevo stampata sulla fronte per lui non era che una parola incomprensibile. Ricordo che me lo chiese, cosa significasse, mi chiese anche cosa avesse a che fare con la violenza, non capiva proprio. Gli altri mi disprezzavano oppure avevano paura e poi c’era lui, un cretino che non mi lasciava in pace: gli piaceva il mio Game Boy, quando suo padre glielo avrebbe portato da Amsterdam avremmo giocato assieme ai Pokemon, diceva. La sua console non arrivò mai e questo gli consentì di importunarmi ancora per giocare con la mia. All’inizio era mia madre che insisteva: aveva fatto amicizia con Sara, nonostante fossero su due pianeti differenti, quando lei era a lavoro suo figlio veniva da noi, giocava con la mia Playstation e si fregava i miei Calciatori Panini, ero stato sul punto di pestarlo quando non ritrovai più Zanetti. Non so cosa ci trovasse di speciale in me, tutt’ora non sono riuscito a capirlo; io non davo conto a nessuno, mi rinchiudevo nel mio mondo fatto di paure, insicurezze e fissazioni, ero più alto, mio padre faceva un lavoro più figo, ma lui aveva il potere di leader e non importava che fosse tappo o che giocasse a calcio con delle vecchie scarpe bucate, il mondo girava intorno a lui quando faceva le capriole a lezione, rideva chiunque, anch’io che lo odiavo.
Non avevamo niente in comune, se non il fatto di sentirci delusi per un qualche motivo. Delusi per un padre che non c’era oppure delusi da una malattia, perché questo mi sembrava. Ognuno aveva la sua delusione e ci convivevamo in modo diverso: io la mia la portavo come un peso, ne facevo un limite, lui la sua la soccombeva, cercava di evitarla, ma rimaneva sempre lì, strisciante nei bassifondi della sua mente. Ed è scrutando l’uno nella vita dell’altro che pian piano lui cominciò a sfogare la rabbia che aveva dentro, mentre la mia iniziò ad affievolirsi, a diventare cenere sul pavimento. Da bianco e nero siamo diventati grigio, un mondo grigio fatto delle nostre paure e dei nostri sogni. Con il passare del tempo diventammo amici di tutti gli altri, ma il grigio rimaneva sempre lì, come sfondo.
E’ proprio per questo che oggi dopo la scenata del bar chiamo lui, lui che saprà sicuramente cosa fare per riguadagnare il tempo perduto.



Lo so, la mia condotta è alquanto deplorevole, visto che l'ultimo caricamento risale a marzo se non sbaglio. Sappiate che ho molte novità in serbo per voi e che mi farò assolutamente perdonare.
Tanto amore, 
la vostra Pao dei Chamberlain.

 

 
  
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