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Autore: venusia    22/11/2013    1 recensioni
Prima parte - POV Bella (cap.1-19)
Siamo alla vigilia del matrimonio di Bella ed Edward quando Alice ha una visione: i Volturi piomberanno a Forks il giorno della cerimonia! Perché? Qualcuno ha violato le regole dei signori di Volterra? E come mai Alice non riesce a prevedere l'arrivo di Tanya?
Seconda Parte - POV Rosalie (cap.20-49) POV Bella (cap.50-59)
Desirèe, la figlia adottiva di Tanya, è stata dichiarata fuorilegge dai Volturi, e così pure Bella che le ha dato rifugio. Come si comporteranno i Cullen, tutti, tranne Rosalie, indifferenti alle vicissitudini di Desirèe? E il branco, che anch'esso ha voltato le spalle a Desirèe, pur essendo per metà umana e oggetto dell'imprinting di Seth?
Terza parte - POV Jacob (cap.60-epilogo)
L'inaspettata decisione di Bella di lasciare Edward aveva spalancato le porte del paradiso a Jacob, ma il combattimento con Demetri gliel'ha strappata, forse, per sempre. Mentre i Volturi si preparano alla battaglia finale per eliminare i ribelli, Jacob raccoglierà il difficile ruolo di Alfa del branco e capirà finalmente che il sole e la luna non sono poi così distanti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Rosalie Hale
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse
Capitoli:
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Eccomi qua! Vi ringrazio per avermi seguita con costanza e pazienza finora. La ff si sta avviando alla fine e la mia mente ha partorito un finale che forse non sarà di gradimento a tutte ma sicuramente non vi lascerà indifferenti.
Ah, il titolo del capitolo prende il nome da una raccolta di poesie di Pavese.
Un bacio e aspetto vostri commenti (anche insulti, io non me la prendo mai).
Baci!

 
 
 
 
“Santo cielo, Jacob! Sei ancora a letto! E’ tardissimo!” urlò mia sorella, entrando in camera simile a una tempesta e spalancando la finestra. La luce entrò insolente, inondando come prima cosa il mio letto, e mi ferì gli occhi. Mugugnai qualche parolaccia e mi girai dall’altra parte. Non si riusciva mai a dormire in questa casa!
“Lo sai che ore sono? Le dieci e mezzo! E tu devi ancora prepararti!” mi sgridò, mani sui fianchi.
Sollevai una palpebra, svogliato e furente, replicando:“Sono andato a letto tardi ieri sera”.
“Beh, questi sono affari tuoi! Lo sai perfettamente che giorno è oggi! Se la tua ragazza non ha bisogno di dormire, non è colpa mia e tu dovresti darti una regolata da solo!”.
Non risposi perché sarebbe costato troppa fatica e volevo continuare a dormire. Ricordavo perfettamente l’impegno delle undici. Potevo sonnecchiare un altro quarto d’ora… Questa sarebbe stata la mia risoluzione ma Rachel non aveva nessuna intenzione di lasciarmela attuare. Mi strappò il cuscino dalle braccia e me lo scagliò in testa, con violenza. Tanto sapeva che non mi avrebbe fatto male.
“Allora vuoi darti una mossa?! Vuoi fare tardi proprio oggi?”.
Sbadigliai a bocca spalancata e senza alcun decoro. Mi grattai la testa, mettendomi stancamente a sedere. “Sta’ tranquilla. Tanto non possono cominciare senza di me…”.
“Certo che possono!”.
“Bella non lo farebbe mai…”.
Rachel sbuffò e aprì l’armadio deponendo sul letto lo smoking che aveva preso a nolo una settimana fa. Appena lo vidi, fui assalito da un conato di vomito. Dio quanto odiavo queste cerimonie in pompa magna! Anche Bella le odiava ma la famiglia dello sposo aveva insistito per una cerimonia in grande stile e quindi anch’io mi ero dovuto adeguare. Il testimone della sposa non poteva presentarsi in bermuda, vero? Troppo innovativo.
“Muoviti! Papà è pronto e Paul è già arrivato” mi intimò Rachel, uscendo dalla camera, con passo da sergente.
Cazzo, anche Paul era già qui! Non potevo neanche buttare la colpa di un eventuale ritardo addosso a lui. Nonostante questo, mi ridistesi a letto, esplorando il soffitto. Era dunque arrivato anche il giorno del matrimonio di Bella ed Edward. A quattro mesi dalla vittoria contro i Volturi, avevano deciso di sposarsi e Bella aveva chiesto nuovamente a me di essere il suo testimone, con la differenza che stavolta avevo accettato senza riserve e smanie di rivincita. Anzi, in un certo modo ero contento per loro. Lo desideravano entrambi ed era giusto che fossero felici, se questo poteva aiutarli ad esserlo. Dopo tutti quei morti e ciò che ne era seguito, una delle poche notizie allegre.
Ruotai la testa verso il comodino: sempre le solite foto, a parte due. Una di Rose che aveva sostituito il poster dell’attrice che tanto me la ricordava e quella del nostro pomeriggio a Port Angeles, fatta subito dopo il cinema. L’avevo fatta ingrandire e incorniciare. La guardavo spesso perché era l’unica nostra foto insieme ed era meglio che niente.
Infine mi alzai dal letto e andai in bagno, almeno a lavarmi la faccia e i denti. Decisi di non mangiare anche perché non avrei avuto tempo e Bella mi aveva assicurato che il rinfresco sarebbe stato faraonico, visto che avrebbe dovuto soddisfare i palati dei membri del branco. Erano stati invitati tutti quanti e tutti quanti avevano accettato se non con gioia, almeno con moderato entusiasmo, simbolo del rinnovato accordo con i Cullen. Non sapevo se per merito mio, ma era accaduto.
Mentre mi pettinavo, dopo essermi vestito con grande solerzia dato che temevo che una mia possibile goffaggine potesse rompere la giacca o la camicia, ripensai alla sera precedente. Rosalie ed io avevamo litigato. Era stato il primo screzio e nemmeno particolarmente intenso ma mi aveva fatto male, perché temevo fosse il sintomo di un’ansia crescente, di qualcosa che non sarei riuscito a controllare e che ci avrebbe distrutto.
“Domani non ci sarò al matrimonio” mi aveva detto a chiusura della nostra discussione. Non era una ripicca verso di me, suo fratello o Bella, ma semplicemente un dato di fatto per evitare il problema. Il nostro problema. Quello che ci stava avvelenando la vita.
Respirai forte in virtù della paura di trasformarmi e rovinare il completo nero e lucente. Ogni volta che pensavo a quello mi sentivo avvampare e il controllo venire meno, come un vulcano pronto a esplodere.
Perché proprio a me, a noi? Che cosa abbiamo fatto di male?
Rachel irruppe, inattesa, nel bagno e mi fissò, contrariata. “Allora sei pronto? Dobbiamo andare!”.
“Puoi mettermi il gel? Sai che non riesco…” le dissi porgendole il tubetto e assumendo un atteggiamento distaccato.
“Non sarebbe ora di tagliarsi i capelli?” domandò, afferrandolo seccata.
“A Rose piacciono così” la liquidai e Rachel non replicò.
Lo premette leggermente, spalmò una noce di gel sulle dita e poi me la passò fra i capelli. Non disse una parola, troppo concentrata a sistemare suo fratello. Rachel non era competitiva, però a volte sembrava mi mostrasse come un animale pregiato. In questo caso il bel fratello di cui andare fiera, anche se io tutta questa bellezza non la vedevo proprio.
“Rose ci sarà?” domandò con noncuranza.
“No, dice che non c’è abbastanza posto per entrambi…”.
“Come?! Il giardino dei Cullen è grande. Ci stiamo tutti tranquillamente e…” si interruppe. Non osai guardarla negli occhi perché sentii un respiro strozzato e la conoscevo abbastanza bene da sapere che doveva avere gli occhi lucidi. E non avevo la forza di affrontarli adesso. Li vedevo già troppo spesso in lei, Emily e Bella.
Quando sfilò le mani dai capelli, mi alzai dal bordo della vasca dove mi ero accomodato e osservai il risultato allo specchio. Ma sì, forse ero belloccio davvero! Non potevo lamentarmi!
“Sei bellissimo. Sarai più ammirato dello sposo” commentò orgogliosa.
“Su questo nutro molti dubbi” ridacchiai.
Presi la porta, per scendere le scale, quando Rachel mi afferrò delicatamente per un braccio:“Le cose si sistemeranno, Jake. Tutto andrà a posto. Tu e Rose dovete solo avere pazienza…”.
“Lo so” dissi per tranquillizzarla nello stesso modo in cui lei lo faceva con me ma in realtà ormai le consideravo parole di circostanza. Erano passati quattro mesi e non era cambiato niente. Forse eravamo destinati ad essere torturati e allora la morte quel giorno sarebbe stata di gran lunga più desiderabile.
Scesi le scale, seguito da Rachel, e trovai mio padre e Paul in attesa, entrambi fin troppo eleganti, anche se mai quanto me. Accidenti ai Cullen e alle loro manie antidiluviane! Non era meglio un bel matrimonio a Las Vegas, tutti vestiti da surfisti? Almeno sarebbe stato originale! Forse se l’avessi proposto a Bella, avrebbe accettato…
Quando uscimmo di casa, mi diressi automaticamente alla rimessa. “Non vorrai venire in moto, spero?” aggrottò la fronte Rachel, già pronta alla battaglia.
“Perché?” domandai come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
“Jake, ma sei pazzo?! Con lo smoking in moto? E poi se ti metti il casco, rovinerai il gel…”.
“Andrò senza casco”.
“Bravo, così i capelli si rovineranno ugualmente” rimbrottò. “No, tu vieni in macchina con noi e poche storie”.
Sbuffai. Non era passato un giorno senza che avessi utilizzato la mia nuova e fiammante Yamaha e proprio oggi mi scocciava non usarla però effettivamente, per come mi avevano bardato, la moto non era proprio opportuna. Uffa! Seguii come un cane bastonato gli altri e salimmo sulla nostra vecchia Golf, verde militare. Beh, tra una macchina scassatissima e una moto nuova faceva sicuramente più figura la seconda però la comodità reclamava le sue necessità. Mi sedetti alla guida e papà accanto a me, Rachel e Paul mano nella mano da bravi fidanzatini sui sedili posteriori.
Durante il tragitto ebbi modo di constatare che anche oggi il sole non ci avrebbe allietato: i Cullen erano davvero fortunati anche in questo! Mi sarei divertito un mondo a vedere come li avrebbe guardati il prete se i due sposi avessero iniziato a brillare durante la cerimonia. Sarebbe stato comico. E invece a giudicare dalle nuvole, sarebbe stata l’ennesima insulsa giornata, rallegrata solo da quel lieto evento.
Esattamente come quel 18 maggio. Sospirai forte ma gli altri non ci prestarono attenzione.
Sam ed io avevamo fatto il giro di tutte le famiglie che purtroppo avevano perso i loro figli e in tutte avevo dovuto affrontare la disperazione più profonda e irrefrenabile. Non sapevo come avevo retto a tanto dolore, senza versare una lacrima. La madre di Brady aveva addirittura avuto un malore.
Quando ero tornato a casa, nel primo pomeriggio, Rachel e papà mi avevano abbracciato a lungo senza dire una parola, sollevati dal mio ritorno e allo stesso tempo condividendo il dolore per la perdita dei miei amici. Ero talmente stanco e sfinito che mi ero buttato a letto senza mangiare il coniglio che mia sorella, mantenendo la parola, aveva preparato. Avevo dormito tutto il pomeriggio e per l’ora di cena mi ero svegliato con un solo pensiero: Rosalie. Raccontarle quello che era successo, ciò che provavo per lei, come il mondo si fosse capovolto in una manciata di istanti. No, non si era capovolto. Era semplicemente tornato a girare nella giusta direzione.
Avevo spazzolato via il coniglio e stavo per uscire di casa quando mi ero ritrovato Sam sulla soglia. “Dove stai andando?” domandò acre, all’apparenza infastidito.
“Dai Cullen. Problemi?” domandai con aria di sfida. Aveva già cambiato idea? Voleva impedirmi di vedere Rosalie? Doveva solo provarci e non avrei esitato a ucciderlo.
“Vengo con te. Devo parlare con Edward” rispose con un’alzata di spalle. Ma la sua voce era bassa e colma di una promessa terribile.
Aggrottai la fronte: cosa poteva volere da Edward? Forse un nuovo accordo? Di qualunque cosa si trattasse, niente avrebbe rovinato la mia serata.
Una volta davanti a casa Cullen, notai con sorpresa che Bella ci stava aspettando, seduta nel patio. Ci venne incontro e, dopo avermi abbracciato con molto, troppo, calore, come se fosse l’ultima volta che mi vedeva, ci fece strada all’interno del bosco. Contestai che io non avevo tempo da perdere con loro e che volevo vedere Rose, ma Bella mi invitò a seguirla. Prima dovevamo fare una cosa.
Mentre camminavamo, sotto una luna grande e luminosa che si era fatta largo a gomitate tra le nuvole e dipingeva un sentiero d’argento attraverso il bosco, avevo un orribile presentimento, come se mi stessero tendendo un’imboscata. Mi rincuorava la presenza di Bella perché lei non mi avrebbe mai fatto del male, tuttavia non bastava a far calare i battiti del cuore. I miei occhi si spostavano freneticamente dalla schiena di Bella a quella di Sam, controllando ogni movimento. Un brivido irriverente e quasi derisorio mi fece vergognare della mia paura.
Quando arrivammo in un piccolo spiazzo, creato dall’abbattimento di un paio di pini, mi calmai perché la vidi. Rosalie era seduta su uno dei tronchi tagliati; accanto a lei Edward, in piedi. Sam si fermò e io feci altrettanto, mentre Bella li raggiunse. Quando Rose mi vide, si alzò di scatto e fece per correre da me, ma Edward la fermò. “Lasciala” ruggii, profondo, pronto per lo scontro se avesse tentato di tenerla lontana.
“Calma, Jake” intervenne Bella. “C’è una cosa che dobbiamo fare, poi vi lasceremo soli”.
Non mi calmai, ma la sua voce mi confortò, insieme alla convinzione che Bella non si sarebbe mai opposta alla nostra relazione, anzi l’avrebbe appoggiata in pieno, quindi di qualsiasi cosa si trattasse, in lei avrei avuto un’alleata. O almeno così speravo.
Edward le lasciò il braccio, dopo averle fatto promettere che non si sarebbe mossa da lì. Perché più istanti ci scivolavano tra le mani e più avevo il presentimento che la mia serata da favola sarebbe diventata un inferno?
“Rosalie” la invitò Bella con una calma e una gentilezza troppo pronunciate perché non facessero presagire qualcosa di male. “Prova ad andare da Jake, lentamente…”.
“Che significa?” domandò con il suo solito sguardo insolente.
“E’ un esperimento. Niente di più…”.
Sospirai, esasperato. Non importava che razza di giochetto stessero facendo, ma almeno se fosse venuta da me, ce ne saremmo potuti andare via, lasciandoli ai loro folli progetti. La incalzai ad accontentare Bella e lei, vista la mia accondiscendenza, annuì. Avanzava verso di me misurando i passi come se stesse camminando su un filo in equilibrio su un burrone. Aveva preso alla lettera il suggerimento di Bella che le stava accanto come se dovesse realmente cadere nel vuoto da un momento all’altro. Vedendola procedere e aspettando che mi fosse finalmente accanto, il cuore cominciò a galoppare a briglia sciolta. Dapprima fu un lieve batticuore, poi con il suo avvicinarsi, divenne quasi ansia perché era sempre troppo lontana. Il cuore batteva con tanta forza e violenza da sembrare che urtasse contro la cassa toracica e la gioia si dissolse in sofferenza. Stavo provando dolore, come un piolo piantato nel cuore. Mi piegai sulle ginocchia respirando forte.
“Jake, che succede? Jake?” mi domandò Sam, senza alcuna sorpresa. Alzai il viso e scoprii che Bella aveva fermato Rose e anzi, la stava trascinando indietro, mentre la mia bambina mi fissava spaventata. Non sapevo cosa stesse succedendo ma volevo solo che il dolore cessasse. Non doveva preoccuparsi per qualcosa che quasi sicuramente era solo un doloretto dovuto alla battaglia della mattina. Forse mi avevano rotto una costola e si era cicatrizzata male. Questa era la spiegazione. Infatti da lì a un paio di minuti il dolore passò e mi rialzai, tranquillo, come se non fosse accaduto niente. Ma se per me era così, per gli altri non lo era. Edward si era seduto sul tronco e con le mani si portava all’indietro febbrilmente i capelli ramati; Bella lo guardava sgomenta; Sam aveva lo sguardo fisso a terra e appariva avvolto da una pungente irritazione; Rosalie saltellava da un viso all’altro cercando un spiegazione che nessuno voleva darle. E io non capivo quale fosse il problema.
Edward unì le mani in preghiera e ci si appoggiò sopra. “E’ come pensavamo…” affermò fremente.
“Può essere un caso…” replicò Sam e solo allora capii che stava parlando con lui.
“Per tre volte a fila? Mi piacerebbe crederlo ma non possiamo farci illusioni…”.
Tre volte a fila? Di che parlavano? Del mio doloretto? Forse non avevano capito quale fosse la stupida ragione per cui ero stato male.
“Jacob, credo che tu debba dire qualcosa a Rose…” affermò Edward con voce neutra.
“Non qui e non davanti a voi” risposi risoluto. Non erano affari loro: era la nostra serata e volevo dirglielo a modo mio e con i miei tempi.
“Non possiamo aspettare… Devi farlo adesso” continuò, impaziente.
“Che cosa mi devi dire?” domandò Rosalie in un coraggioso tentativo di apparire disinvolta, mentre i suoi occhi erano spalancati e fissi. Ecco, grazie alla prontezza e delicatezza di suo fratello, era spaventata da morire. Probabilmente credeva che le stessi nascondendo chissà che orribile segreto e invece si trattava solo della più bella realtà. Si erano messi d’accordo per rovinarmi la sorpresa e c’erano riusciti perché ora non potevo più esimermi dal rivelarglielo: i suoi occhi color cobalto invocavano pietà e rassicurazione. Non potevo negargliela, ma quei tre me l’avrebbero pagata alla prima occasione.
“Stamattina, durante il combattimento…” iniziai poco convinto. Mi ero studiato il discorso e ora mi era saltata ogni frase a effetto che avevo preparato. “Ho lasciato Bella per venire da te, nonostante mi fosse stato imposto di proteggerla e starle vicino. Il fatto è che ero molto, molto più preoccupato al pensiero che ti fosse successo qualcosa. Ti avevo sistemato Joe come guardia ma lui ti aveva perso nel combattimento e io non sapevo più dove fossi e se stessi bene. In quel momento ho fatto una scelta, una scelta non dettata dalla ragione ma dal cuore. Quello che intendo dire è che non ho pensato che Bella fosse al sicuro, ma semplicemente che tu dovevi esserlo e che era l’unica cosa che mi importasse…”.
“Che stai cercando di dire? Non ti seguo…” balbettò con la voce sempre più fioca e debole come quella di un uccellino. Aveva intuito dove volevo arrivare ma si rifiutava di crederlo possibile.
“Ho capito che ho perso un sacco di tempo dietro a una persona, solo per ossessione, per ripicca, per orgoglio, mentre io volevo stare da un’altra parte. Non importava quale fosse questo posto, bastava che ci fossi tu, amore mio”.
I suoi occhi si fecero improvvisamente vivi. “Mi stai dicendo che…”.
Annuii. Non mi piacevano le dichiarazioni pubbliche, anzi le odiavo, ma le parole uscirono di getto, come se fossero state liberate da una lunga prigionia:”Ti amo”.
Rose fece un passo verso di me ma Bella la trattenne, afferrandola per mano. Decisi di vuotare definitivamente il sacco. “C’è un’altra cosa… Quando sono arrivato e ti ho visto vicino all’albero, è stato strano, come se ti avessi visto per la prima volta, come se fossi una persona diversa, eppure familiare. Credo che siano stati i tuoi occhi, così poco sovrannaturali, così umani. Non riesco a esprimermi a parole perché è troppo grande per spiegarlo però so cosa ho sentito in quel momento. Imprinting…”.
Rosalie inclinò la testa, con gli occhi sgranati. Non capii se ne fosse contenta o meno. “Imprinting? Con me?” domandò.
“Sì. So che ti potrà sembrare strano ma è così. Te lo posso giurare su tutto quello che vuoi…”.
“E’ imprinting” si intromise Sam, rafforzando le mie parole. “L’abbiamo avvertito tutti durante la battaglia. Lo riconosco per esperienza e sei tu l’oggetto…”.
“Ma com’è possibile? Io non posso avere figli, sono un vampiro…”.
“Non lo so” scrollai le spalle. “E non mi interessa saperlo perché a me va bene così. Io ti avevo già scelta e adesso so che sarà per sempre, come volevo. E come volevi anche tu…”.
Mi guardò ammutolita. Lo sguardo perso, le labbra contorte in una smorfia. Non era felice, non lo sembrava. Mi si ghiacciò il sangue. Non voleva l’imprinting? Com’era possibile? Mi aveva detto a chiare lettere il giorno prima che avrebbe tanto voluto esserne l’oggetto e ora mi rifiutava? L’avevo fatta aspettare troppo? L’oggetto dell’imprinting non è obbligato a ricambiare i sentimenti ma aveva detto che mi amava. Non poteva avere già cambiato idea. Dio, no! Non poteva. Mi sentii bruciare come sui carboni ardenti e nel frattempo sudore gelato mi imperlò la nuca.
“Non è possibile… Non posso essere così fortunata” esclamò scioccata. Poi il suo sguardo incontrò il mio: gli occhi luccicavano, i tratti rilassati, un meraviglioso sorriso. E ripresi a respirare. Quello fu il momento più bello della mia vita; e il successivo fu il peggiore.
“C’è un problema però…” interloquì Sam, fissandoci entrambi.
“Di che parli? Stamattina avevi detto che eri d’accordo!” sottolineai con impeto. Volevano ostacolarci: ecco il motivo di tutto questo. Guardai Bella, cercando un appoggio e lei intuì la mia implorazione.
“Jake, nessuno di noi si vuole opporre alla vostra relazione. Il problema è diverso e, da quello che abbiamo potuto constatare poc’anzi, è solo tuo e di Rosalie” mi spiegò, con voce spezzata dalla tensione.
Scossi la testa, smarrito. Di cosa parlavano? Se volevano terrorizzarci, ci stavano riuscendo in pieno perché sia io che Rosalie eravamo ghiacciati nell’immobilità, confusi e lacerati dai loro sguardi sinceramente preoccupati.
“All’alba, durante l’imprinting, ti sei sentito male, esattamente come adesso. Lo ricordi, vero?” domandò Edward, strappando il velo di silenzio nel quale sembrava essersi volutamente nascosto finora.
“Sì, ma mi sono ripreso subito” minimizzai. “Come adesso”.
“Già. E poi sei stato male anche subito dopo la conclusione della battaglia…” continuò, alzandosi dal tronco. “Ho avvertito chiaramente il tuo dolore e non dirmi che era una cosa da poco perché non lo è, esattamente come non lo è stato il dolore di qualche minuto fa. Ne ho parlato con Sam nel pomeriggio perché ho trovato un’analogia in entrambe le situazioni. Insieme abbiamo pensato una cosa…”.
“Cosa?” domandò Rosalie, consumata dall’ansia che potessi essere malato o ferito gravemente.
“Potrebbe essere la tua vicinanza…”.
La sua affermazione concisa mi fece tremare le ginocchia, sia per l’assurdità sia per il timore che potesse essere vera in qualche modo.
“No, lei è il mio imprinting. Non può essere la causa del dolore al petto…” scossi la testa, con autorevolezza, per ostentare la poca rilevanza che stavo dando alla sua spiegazione.
“Non è un imprinting normale” lo appoggiò Sam, che si affiancò a Edward. “E’ già assurdo il fatto che l’oggetto sia un vampiro, quindi potrebbe essere che l’imprinting respinga se stesso…”.
“Respingere se stesso? Stai vaneggiando?” domandai, ruotando il dito vicino alla tempia. Stavano diventando tutti pazzi: ecco la spiegazione.
“Ascoltami, Jake” disse Sam, cerimonioso e insieme paterno. “L’imprinting è una magia, d’accordo, e non ne sappiamo granché. Non sappiamo perché accada con una ragazza piuttosto che con un’altra, perché esista, ma di una cosa siamo sicuri: è l’istinto animale che guida nella scelta della compagna e madre migliore. E’ evidente che in Rosalie, complici come pensi anche tu, gli occhi da umana, il tuo istinto abbia riconosciuto la compagna migliore, quella che ti renderebbe indubbiamente felice… Ma non la madre migliore, perché lei è un vampiro e non può avere figli. Io credo che… So che è difficile da capire e ancora di più da spiegare, ma i tuoi geni stanno cercando di bloccarti in una qualche maniera e l’unico modo per farlo, visto che l’imprinting una volta accaduto non può essere annullato, è tenervi lontani”.
“Tenerci lontani?” ripetei come un automa.
“Il dolore si manifesta soltanto quando Rose si avvicina… Prova a pensarci lucidamente. Edward ed io abbiamo pensato che sia la tua natura che si ribella a una vampira come compagna. Il cuore, il cervello ti dicono che lei è la migliore per te, ma il corpo è controllato dalle tue radici animali e temiamo che…”.
Sam non riuscì a terminare la frase, improvvisamente sommerso da un’ondata di rimpianti. Sembrava mi stesse chiedendo scusa con lo sguardo. Raramente avevo visto Sam così partecipe del dolore e quasi compassionevole e questo mi affliggeva ancora di più, perché voleva dire che non mentiva, che non lo stava dicendo con astuta cattiveria. Era ciò che pensava.
“Tutto questo è assurdo” sbottò Rosalie, allontanandosi da suo fratello e da Sam. “Se l’imprinting non è annullabile e la scelta è stata fatta, il problema non sono io, ma magari ha qualcosa di rotto di cui non vi siete accorti. Dovremmo andare in ospedale e non restare qui a parlare”.
“Ti posso assicurare che Jake non ha nulla di rotto” replicò schietto Edward. “Con la sua velocità di guarigione dovrebbe già essere guarito e se si trattasse di una costola che si è saldata male, farebbe fatica a respirare, cosa che non accade”.
“E allora? Ci deve essere un’altra spiegazione. Per forza! Vero, Jake?” si voltò verso di me alla ricerca di conforto.
Le donai un sorriso e in quel momento tutti i tasselli presero il loro posto. Non era stato un caso che le fitte si fossero verificate quando lei mi era stata vicina. Era così? La mia felicità era già finita? Le leggi di natura si stavano ribellando? “Vieni da me” la invitai, tendendole una mano.
Rosalie annuì compiaciuta e si avvicinò a passo sostenuto, ma quando fu a pochi metri sentii di nuovo quella fiammata nel petto, incontrollabile e lamentosa. Mi sembrava di sentire la sua voce, il suo urlo che mai e poi mai mi avrebbe lasciato ad un vampiro. Edward afferrò Rose per un braccio, trascinandola indietro, mentre Bella e Sam mi furono subito vicini per farmi sedere, mentre respiravo, rubando ogni alito di vita che non mi era concesso. Nessun lamento, nessun grido, solo le lacrime di Rose che rigavano il suo bel viso. “Cosa succede se gli vado troppo vicina?” domandò con frenesia. Si era arresa.
“Considerando che è un dolore che parte dal cuore, forse potrebbe avere un infarto o qualcosa del genere” rispose Edward.
“Potrei ucciderlo?”.
“Non lo so”.
“Quanto devo stargli lontana perché stia bene?”.
“Da quello che abbiamo avuto modo di verificare, una decina di metri… Più o meno”.
“Una decina di metri…” ripeté. Si mordicchiò le nocche delle dita, volgendo il viso a destra e sinistra alla ricerca di un indizio che potesse farle pensare che fosse un incubo. Mi guardò un istante e il pensiero che sfiorò entrambi fu lo stesso: mai abbracciarsi, baciarsi, prendersi per mano… Nessun contatto. Rimpiansi che Caius non mi avesse ucciso.
Rosalie se ne andò di corsa e io non ebbi la forza di inseguirla. Rimasi imbambolato, svuotato e affondato nella consapevolezza che quello che avevo provato quando ero stato respinto da Bella non fosse niente rispetto ad ora. Avrei conosciuto l’inferno reale, dove cadi e nessuno ti può aiutare a venirne fuori, dove sei condannato per l’eternità e non puoi fare altro che compiangere i tuoi errori. E io avevo un solo errore da rimpiangere: tutto quel tempo perso dietro a Bella. Mi alzai di scatto, ben deciso a correrle dietro: al diavolo tutto quanto! Non importava se sarei morto, ma almeno l’avrei abbracciata.
“Jacob, aspetta” si parò Edward davanti a me. “Lasciala stare. E’ scossa e deve riflettere”.
“Sarò io a consolarla”.
“Non è facendo sciocchezze che le cose miglioreranno… Ascolta, non siete soli e non lo sarete mai. Sam ed io studieremo la situazione e cercheremo di porvi rimedio. Intanto ti prenoterò una serie di esami in ospedale, sfruttando il nome di Carlisle. Li farai e magari con un po’ di fortuna, potrebbe essere davvero un problema slegato dall’imprinting; nel frattempo cercheremo notizie ed informazioni e se esistono precedenti fra un vampiro e un licantropo. Tu e Rose dovrete mantenere la calma e non avvicinarvi troppo quando sarete soli. Mi raccomando, Jake: conosco mia sorella e so che questa cosa la abbatterà perciò ti prego di distrarla e di non farle perdere la speranza. Io farò di tutto per sistemare le cose. Te lo giuro” disse e non furono le sue parole ma il suo sguardo a tranquillizzarmi. Lo conoscevo abbastanza da fidarmi, da pensare che avrebbe fatto di tutto per rendere felice sua sorella, anche salvare me.
“Lo so” ammisi.
Quella fu la serata più orribile della mia vita e i giorni seguenti non furono migliori.
I genitori dei ragazzi morti vollero dare degna sepoltura ai loro figli, e quindi fecero ritrovare i cadaveri dalla polizia. Ovviamente tutto questo sollevò un vespaio, date le ferite profonde e inconsuete. Ufficialmente avevano fatto una scampagnata nel bosco, erano stati assaliti e i loro corpi ritrovati in pessime condizioni due giorni dopo. La polizia ci interrogò più volte chiedendoci se avessimo qualche tipo di informazione ma le risposte sottolineavano completa ignoranza dei fatti. Grazie a Charlie, che in via confidenziale, era stato informato da Bella su cosa fosse realmente accaduto quella mattina, sapevamo che le indagini si stavano dirigendo verso la ricerca di un branco di lupi che poteva essere responsabile della strage anche se non erano stati riscontrati morsi ma solo lacerazioni: le autorità brancolavano nel buio e pensare che un essere umano avesse così tanta forza da spaccare ossa in quella maniera, per loro era inimmaginabile.
Per i Cullen invece era stato facilissimo. Carlisle aveva avuto un incidente in macchina ed era morto. Jasper ed Edward si erano presentati all’ospedale di Forks con un certificato di morte e avevano ricevuto le condoglianze di tutto il reparto. Ma come diavolo avevano fatto ad ottenere un certificato di morte? Avevo sempre sospettato che conoscessero dei falsari perché altrimenti come avrebbero fatto a procurarsi documenti che attestavano sempre la medesima età? E adesso ne avevo la certezza. Ad ogni modo, sfruttando la buona fama e gli innumerevoli favori che Carlisle aveva fatto ai vari colleghi, Edward mi fece fare dozzine e dozzine di esami che rivelarono sempre lo stesso stato: sano come un pesce! E non era un buon indizio perché ogni tanto Rosalie ed io provavamo ad avvicinarci ma non riuscivamo mai a superare quei dieci metri. Ormai i dubbi che non fosse dovuto all’imprinting si erano completamente dissipati. Tuttavia l’unica speranza per ottenere indicazioni sicure sarebbe stato fare un esame con Rosalie accanto ma come fare a spiegare al dottore che era lei la causa? Chi ci avrebbe creduto? Intanto le settimane passavano, mentre Rose ed io continuavamo a vederci tutte le sere, nel bosco, l’unico posto che potesse garantirci una certa distanza e allo stesso tempo intimità nelle conversazioni.
Le previsioni iniziali di Edward riguardo alla possibile incapacità di reagire di Rosalie erano andate completamente disattese. E ne ero ben contento perché vederla sorridere era una fonte inesauribile di soddisfazione: era così felice di essere il mio imprinting che stava facendo passare in secondo piano la totale assenza di contatto fisico. Inoltre la sicurezza che suo fratello avrebbe trovato una soluzione, come era riuscito a fare in ogni situazione, rendeva tutto ciò solo una spiacevole seccatura. Questione di settimane poi tutto sarebbe tornato a posto: ce lo ripetevamo ogni sera in cui restavamo a parlare per ore, seduti sotto la quercia. Non c’erano grosse novità da raccontarsi ma bastava sentire la sua voce. Avrebbe potuto parlarmi delle cose più stupide e non mi sarei lamentato. Adesso capivo cosa provavano Sam, Paul e gli altri. Era l’unica stella a splendere nel buio, l’unica che avrei seguito ovunque me lo avesse chiesto.
Ma intanto erano già passati due mesi e non avevamo concluso nulla. Una sera Bella ed Edward mi invitarono a passare da casa Cullen e obbedii senza chiedere spiegazioni. Una volta là, mi ritrovai nel laboratorio di Carlisle, davanti a un macchinario enorme su cui spiccava un monitor.
“E’ una macchina che può fare un’ecocardiografia tridimensionale” spiegò Edward, invitandomi a sdraiarmi sul lettino.
“E a cosa serve?” domandai.
“Con questa si può esaminare l’endocardio, il miocardio e il pericardio. Può rivelare soffi cardiaci, alterazioni del ritmo cardiaco, dolori toracici persistenti, post infarti del miocardio, sospetti tumori, dimensioni di atri e ventricoli, e…”.
“Alt, alt!” lo fermai scuotendo le mani. “Non perderti in paroloni. Può essere utile al mio caso o no?”.
“Sì, può esserlo. Anche perché voglio farla con Rosalie presente. Finora sei risultato sano come un pesce e gli esami non sono stati di nessuna utilità. Dobbiamo vedere cosa succede quando si avvicina lei perché, se abbiamo fortuna, a questo punto potrebbe essere solo un dolore di origine nervosa”.
“Ma farà male?”.
“Figuriamoci! Ti spalmerò solo un po’ di gel sull’addome e dovrai stare fermo per una ventina di minuti. Niente di più, cuor di leone!”.
Non mi piacevano gli ospedali e non mi piacevano gli esami. Per di più questo vampiro non era un medico ed ero sicuro che non sapesse nemmeno maneggiare quell’affare. Come diavolo avrebbe capito se avevo qualcosa o meno?
“Ho quattro lauree in medicina e ho spesso assistito Carlisle in passato quindi so perfettamente come funziona questa macchina” replicò esasperato dalla mia ignoranza e reticenza a riconoscere le sue abilità. E va bene: pur di abbracciare Rose, mi sarei lasciato squartare. Mi sdraiai sul lettino, come indicato, mentre Edward preparava la macchina. La osservai scrupolosamente. Le immagini erano diverse da quelle che avevo riscontrato nelle altre ecografie, molto più nitide e, proprio in virtù di questo, doveva essere costata un sacco di soldi.
“Come hai fatto ad averla? Te l’hanno prestata dall’ospedale?” domandai mentre mi spalmava il gel.
“L’ospedale di Seattle liquidava alcune macchine e noi l’abbiamo comprata”.
“Quanto è costata?”.
“Non importa. I soldi sono fatti per essere spesi e noi ne abbiamo in abbondanza grazie ad Alice. Ora sta zitto” tagliò corto. Abbassai il viso per controllare la sonda che faceva scorrere lentamente sul mio petto e che procurava un lieve solletico.
Ecco, l’ultima cosa che volevo era essere in debito nei suoi confronti. D’accordo, io non avrei mai potuto permettermi un acquisto di quel tenore e da come stavano le cose quella era la nostra ultima speranza per capire cosa succedesse effettivamente durante i miei attacchi, però avrei dovuto lavorare tutta la vita per risarcirli.
“Non voglio soldi e non lo faccio per te. Ora per favore smetti anche di pensare perché mi distrai” replicò Edward con voce neutra non distogliendo lo sguardo dal monitor.
“Agli ordini, dottore” convenni con un ghigno.
Bella rise e si avvicinò al suo fidanzato, guardando le immagini che scorrevano. Non credevo che ne capisse più di me e appariva più attratta dalla competenza e dalla gestualità di Edward che dagli effettivi risultati. Osservava tutto quello che faceva con la massima attenzione e adorazione.
In quel momento entrò Rosalie, che rimase prudentemente sulla soglia. C’erano più di dieci metri di distanza e il cuore prese a battere più velocemente, ma per un sano e generoso sentimento. “Vieni avanti lentamente…” sussurrò Edward, facendole un cenno con la mano. “Non ti preoccupare se starà male. Segui le mie istruzioni, ok?”.
“D’accordo” balbettò, a voce bassa.
Bastarono pochi passi perché cominciassi a sentire dolore e non feci niente per nasconderlo. Lo lasciai trapelare perché ormai ero convinto che non ci fosse una reale malattia ma soltanto una sorta di repulsione che si manifestava in questa bizzarra maniera. Probabilmente i miei cromosomi pensavano di riuscire a fermarmi con questi trucchetti vili ma gli avrei insegnato io ad obbedire. Serrai la mascella con fermezza perché il dolore era così forte da farmi urlare ma non volevo spaventare Rose che appariva già scossa. Si bloccò più volte, e altrettante volte Edward dovette invitarla a proseguire fino a che, a tre metri circa, dovette fermarla. Provai a guardare lo schermo ma non ci capivo niente, mi sembrava tutto come prima e se lui non mi avesse detto che era il mio cuore, avrei potuto pensare si trattasse di qualsiasi altro organo. Fece arretrare Rosalie che pian piano ritornò sulla soglia, mentre il mio respiro tornava regolare e il battito normale. Spiavo, cercavo uno sguardo di Edward, qualcosa che mi facesse capire se aveva visto qualcosa. Ed effettivamente qualcosa colsi, ma non quello che mi aspettavo.
“Cazzo!” esclamò e fu la prima volta che lo sentii dire una parolaccia. Non fu un buon segno e quello che ne seguì fu peggio.
Una volta lavato dal gel e rivestito, diede a me e a Rosalie le foto che aveva scattato con la macchina. Saltellando da uno all’altra ci fece vedere qualcosa che secondo le sue spiegazioni dovevano essere lacerazioni, ma che per me, supremo ignorante, potevano essere macchie.
“In poche parole, Jake, quando Rosalie si avvicina, si formano queste, chiamiamole ferite, sul muscolo cardiaco, le quali possono essere più o meno profonde e fino a una vicinanza di tre metri ne ho contate cinque. Queste ferite sono di fatto piccoli infarti che compromettono la circolazione sanguigna e ti fanno sentire dolore. Agli altri esami non sono stati rilevati perché la natura di licantropo fa sì che il tessuto si rimargini e quindi già adesso, se ti rifacessi l’esame, probabilmente non vedremmo più niente…”.
“Quindi?” insistette Bella.
“Sono infarti, amore, e come tali molto pericolosi. Credo che se Rose si fosse avvicinata ulteriormente, il numero e la profondità delle ferite avrebbe potuto essere più consistente…”.
“Quanto consistente?” domandai muovendo a malapena le labbra.
“Il cuore poteva spaccarsi in due e tu morire”.
Rosalie si appoggiò pesantemente al muro, lasciandosi scivolare a terra mentre io non riuscivo a muovere un muscolo, improvvisamente stanco. Ero malato dunque? La dovevo considerare una sorta di malattia? Ma no, non era possibile. “Io sono un licantropo. Non posso ammalarmi…” quasi gridai.
“Però puoi morire, Jake. Come un essere umano. E questa non è una malattia qualsiasi: è qualcosa di molto peggio e dobbiamo trovare la cura…”.
“Ecco la cura: stargli lontana, perché altrimenti lo ucciderò…” fu la voce di Rosalie, aspra, come un vetro spezzato e strozzata dalle lacrime. Non diede tempo a nessuno di replicare perché si alzò di scatto e uscì. Bella la seguì, sparendo nel corridoio. Io avrei fatto altrettanto ma Edward mi prese per il collo e mi sbatté contro il muro. “Che cosa vuoi fare?” la sua voce si alzò di un’ottava. “Puoi lasciarci la pelle se le corri dietro, lo capisci o no? Non potete lasciarvi prendere dai nervi o dal panico. Dovete stare calmi”.
“Per fare cosa? Se devo morire, allora meglio vicino a lei!” ribadii, subito in piedi.
Edward sospirò e con una calma esasperante si sedette su uno sgabello, ai piedi del lettino dove ero stato sdraiato fino a poco prima. “Adesso che sappiamo da dove partire e qual è il problema, possiamo cercare la cura” iniziò pacato. Stavo già per sbottare nuovamente quando continuò:“Carlisle conosceva molti vampiri, anche più vecchi di lui, e ha continuato nei secoli a mantenere i contatti. Penso che comincerò da loro e sentirò se hanno conoscenze di imprinting fra licantropi e vampiri; Sam mi ha detto che è riuscito a trovare un branco nel nord del Canada e sta cercando di mettersi in contatto con loro. Gli passerò i risultati di stasera e vedremo di raggiungere una soluzione. Ti ho già detto, Jake, che non siete soli e che ne verremo fuori. Però dovrete stare calmi e soprattutto non dovrai mai avvicinarti a meno di dieci metri. Promettilo”.
Lui e Sam si stavano adoperando perché fossimo felici mentre io davo in escandescenze come un bambino di due anni. Cosa mi costava promettere mentre altri facevano il lavoro sporco per me? Sam aveva una famiglia da mandare avanti, Emily era ormai prossima al parto e lui faceva ricerche di cui avrei dovuto occuparmi io; Edward non mi doveva niente eppure aveva speso una montagna di soldi e probabilmente le spese non sarebbero finite. E io non avevo il fegato di resistere ancora? “Te lo giuro” dissi, cercando di camuffare la rabbia nel dolore.
“C’è una cosa…” aggiunse, sottovoce.
Non ebbi il coraggio sufficiente per fare la domanda successiva perciò proseguì:“Rosalie aveva creduto finora che la situazione si sarebbe risolta a breve e probabilmente dopo stasera potrebbe innervosirsi più facilmente. La conosci, sai cosa intendo, no?”.
“No, non capisco”. In verità lo immaginavo, però volevo fosse lui a dirlo.
“Lei è molto… fisica” sorrise amareggiato. “Il mancato contatto con te e, soprattutto, la consapevolezza che questa situazione potrebbe prolungarsi per molto tempo la porteranno all’esasperazione. Dovrai cercare di smorzare la tensione che si creerà, distrarla e rassicurarla…”. Infine, il problema più grosso. Quello che balenava agli occhi immediatamente.
“Parli con la persona sbagliata. Io la desidero più di quanto lei voglia me e mi chiedi di nicchiare su questo argomento?!”.
Con uno sforzo evidente, Edward placò la collera che vidi fiammeggiare per un attimo nelle sue pupille e si alzò in un moto dolente, avvicinandosi. “Lo so che è difficile, Jake. Voi due vivete il sentimento in maniera diversa, ma dovrete controllarvi altrimenti diventerà ancora più insostenibile. Tu sei il più forte mentalmente e devi aiutarla. Verranno i brutti momenti, molto presto, e dovrai essere pronto. Tutti noi cercheremo di tenerla tranquilla ma quando siete soli, il compito sarà tuo. Intesi?”.
Un argomento leggero e frivolo, ma in realtà pesante come un macigno. Edward sosteneva che il desiderio inappagato ci avrebbe distrutto e aveva ragione. Avere la torta davanti, sapere che è tua e non poter allungare neanche una mano per assaggiarla era logorante e brutale. Conoscevo Rosalie, sapevo come ragionava, il suo bisogno continuo di essere abbracciata e baciata. L’avevo sperimentato in quei due mesi di relazione clandestina. Il punto era che io volevo lo stesso e dovevo promettere a Edward che avrei cercato di distrarla ma non ero per niente convinto di farcela.
Annuii ma Edward percepì i miei pensieri. Sorrise, lasciando perfettamente leggibile il suo scetticismo, come se mi sfidasse a dargli torto. Un tempo avrebbe funzionato, adesso l’abbattimento era troppo forte.
Avrei voluto vedere Rose ma Edward mi pregò di tornare a casa e lasciarla sola. Doveva elaborare la situazione e vedermi avrebbe reso tutto più difficile. Per fortuna, la sera successiva la mia luna si mostrò, sempre a dieci metri di distanza, ma se il desiderio di abbracciarla sarebbe diventato presto una tortura, la beatitudine di un suo sguardo avrebbe placato la rabbia. E così passarono altri due mesi durante i quali, forse per trovare un motivo per gioire, o forse, molto più semplicemente, per appagare un desiderio da tempo rimandato, Edward e Bella organizzarono il loro matrimonio, nel quale io, per decisione inderogabile e vincolante della sposa, avrei dovuto essere il suo testimone. Non potei rifiutare e non mi sarei sognato di farlo perché la sua felicità era un po’ anche la mia, perché l’avevo delusa per tanto tempo e ora volevo essere almeno all’altezza di questo compito.
A guastare l’entusiasmo giunse il nostro “problema”. Edward avrebbe voluto che Rosalie fosse la sua testimone, ma per quanto si fossero impegnati a sistemare le panche in modo tale da farci stare il più lontani possibili, non erano riusciti a creare una voragine di dieci metri fra i due testimoni. Sei, sette metri al massimo. Io avrei rinunciato, ma Bella puntò i piedi in maniera quasi detestabile, ed Edward dovette ripiegare su Alice che accettò, abbondantemente soddisfatta.
Durante i preparativi che videro coinvolta anche Rosalie nella scelta del menù e nella cernita degli invitati, la vidi dapprima eccitarsi e poi progressivamente spegnersi. Potevo immaginare il perché ma non glielo chiesi mai. La delusione lasciò ben presto il posto a una legittima collera che, mi aveva confidato Bella, sfogava con shopping selvaggio oppure in battute di caccia inutili visto che uccideva animali senza neanche nutrirsene. Davanti a me si mostrava dolce e allegra, positiva e speranzosa; tuttavia sapevo che prima o poi sarebbe scoppiata. E accadde la sera prima del matrimonio, quando mi disse che non avrebbe partecipato alla cerimonia, nemmeno come semplice invitata. Non potei astenermi dal rimproverarle la sua irragionevolezza visto che Bella ed Edward le volevano bene e avrebbero voluto averla vicino in quel grande momento. Dopo tutto quello che avevano fatto, sarebbe stato suo preciso dovere partecipare ma lei sbottò, senza mezze misure. “Come puoi venirmi a dire questo?! Tu non capisci, nessuno capisce quanto io stia male. Loro sono felici, saranno felici, mentre io dovrò guardarti per sempre da dieci metri, chiedermi in continuazione come sarebbe stata la nostra vita insieme senza mai avere una risposta! Io non ce la faccio…” aveva urlato, tra le lacrime. “Perché mi è successo questo? Non ho patito abbastanza in questa vita? E’ ingiusto, tremendamente ingiusto”.
“Lo so che cosa provi, ma non è un buon motivo per riversare su di loro i nostri problemi. Se ne sono fatti carico già abbastanza e tu devi…”.
“Io non devo niente a nessuno! Né a te, né a loro. Possono andarsene al diavolo! Quando mai?! Quando mai siamo venuti a stare in questa orrenda cittadina?! A quest’ora potevo essere a New York o a Boston a fare spese o seduta su un comodo divano abbracciata ad Emmett, invece di…” si bloccò come se avesse ricevuto una bacchettata. Mi fissò, soltanto angustiata, mentre io tentavo di nascondere la delusione per quelle parole uscite incontrollate e con asprezza. Ne era già pentita, ma non si sarebbe scusata. Abbassò lo sguardo a terra, ribadendo che non sarebbe venuta al matrimonio, poi scomparve fra gli arbusti.
   
 
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