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Autore: Luine    23/11/2013    2 recensioni
[…] qualcosa diceva a Bloom che non era così e che la minaccia che stava incombendo su di loro non era terrestre, ma magica e non erano gli Stregoni. Qualcosa di più antico e più familiare. Non sapeva come poteva avere questa sensazione, ma preferiva scoprirlo nelle sembianze di una fata,[...]
Un nuovo nemico minaccia Alfea e la Terra, Roxy è stata attaccata e solo lo Scettro di Domino può salvarla. Cosa accadrà? E chi è il nuovo nemico delle Winx? Scopritelo leggendo!
(Ambientata tra le puntate 13 e 14 della quarta serie)
Fanfiction vincitrice dei premi Best Long Fic e Best Work-In-Progress nel Ventinovesimo Turno di Never Ending Story Awards
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Oritel, Roxy, Specialisti, Winx
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 17

L'assedio



Lo spettacolo che si era presentato davanti a Flora, Musa e Aisha era devastante. Sembrava che Gardenia fosse stata presa da un'ondata di follia collettiva altamente distruttiva: le strade erano nel caos più completo, la gente litigava, combatteva con le mani e i denti snudati, distruggeva quello che trovava. Vetrine, automobili, idranti. Niente era al sicuro.

Il Frutti Music Bar era diventato un cumulo di macerie, due parchi di Gardenia erano stati dati alle fiamme e Flora e Aisha non erano riuscite a sanare quella follia dilagante in nessun modo, il potere Believix sembrava non avere alcun effetto sui terrestri inferociti. Era successo tutto così, una scintilla che aveva dato luogo ad un incendio di proporzioni colossali e adesso era impossibile estinguerla. Solo un miracolo, e forse non sarebbe bastato.

Nella luce del giorno che scemava, la tranquilla cittadina dove Bloom era cresciuta e dove ora lei e le sue amiche vivevano in armonia si era trasformata nella patria dei demoni, non c'era un angolo di strada che non fosse distrutto, dove ci fosse un'auto che non bruciava o un albero che non fosse stato divelto. Mentre volavano, Musa, Aisha e Flora guardavano tutto questo e sentivano una grande preoccupazione non solo per i tre che erano scomparsi in mezzo alla folla, ma anche per Nabu e Timmy che proseguivano con le loro ricerche via terra.

«E se anche loro impazzissero in quel modo?» domandò Flora, ricordando bene cosa era successo a Helia, quando era stato il suo turno. «Senza una spiegazione. Non ha senso!»

Musa non sapeva cosa rispondere e preferiva tacere: ogniqualvolta lanciava un'occhiata sotto di sé per tentare di riconoscere nel buio sempre crescente un viso familiare, lo stomaco le si contorceva in modo doloroso, come se le viscere si fossero trasformate in serpenti velenosi. Aisha era nelle stesse condizioni e Flora aveva sempre paura di riconoscere, in questa o quella persona brutale che sollevava le spranghe in direzione di poveri incauti e ignari passanti ancora liberi dall'effetto delle Furie, il suo Helia. Ma anche questi poveri sventurati, non appena la spranga si calava sopra di loro, prima ancora di venire colpiti, venivano posseduti e diventavano più forti e feroci.

La fata dei fiori, dopo l'ennesimo spettacolo di violenza, non poté rimanere a guardare: una ragazza, con quello che pareva un grosso tubo, resto di una delle tubature di scolo al di fuori dei palazzi, stava minacciando un bambino che chiamava la sua mamma a gran voce, una madre indifferente che era impegnata a distruggere i vetri delle auto i cui allarmi avevano cominciato a suonare tutti insieme e a rendere Gardenia il regno del caos sonoro.

Flora, però, sembrava non sentirlo. Vedeva solo quella ragazza che le dava le spalle e che stava stringendo con tutta la sua forza sul tubo, incurante delle grida di protesta e di preghiera del bambino che non riusciva più a muoversi. Il bisogno di salvarlo fu più forte di tutto il resto: alla fata dei fiori non importava di perdere la vita o di dover affrontare lei stessa una Furia, l'avrebbe fatto, avrebbe riportato indietro Helia; aveva paura, ma aveva più paura di quello che sarebbe potuto succedere a quel bambino innocente.

Si lanciò verso la ragazza con una mano tesa, come se anche da quella distanza avesse potuto fermare quel tubo di ferro arrugginito che si stava per abbattere sulla testa del bambino. Era arrivato all'apice della sua altezza e stava compiendo una parabola diretta verso di lui.

Flora non poteva permettere quella brutalità, ma non ce l'avrebbe fatta ad arrivare in tempo, lo vedeva dalla sua mano che era sempre troppo lontana, troppo impotente e piccola.

Non era abbastanza veloce.

Liberò il proprio potere con un urlo lacerante che le fece male alla gola. Ma almeno le liane cominciarono a rompere l'asfalto e tutte si concentrarono, incalzate dalla fretta della loro padrona, sulla minaccia che stava per abbattersi sul bambino. In un attimo, la ragazza impazzita si ritrovò stretta in una morsa di rampicanti d'edera, ma resistente come l'acciaio.

Quella dovette lasciare andare il suo tubo arrugginito, anche se continuò, quel poco che poteva, a scalciare e gridare di essere lasciata andare. Flora, con un sospiro di sollievo, atterrò tra lei e il bambino che, piangendo, andò ad aggrapparsi alle sue gambe, dimostrandole la sua gratitudine con parole sconclusionate, intervallandole ad un racconto su come anche la sua mamma fosse impazzita.

«Andrà tutto bene, vedrai.» gli disse Flora, abbracciandolo in modo che tenesse la testa premuta contro la sua spalla e che non potesse vedere quello che stava succedendo intorno a loro: quella strada era stata completamente distrutta, non solo dai suoi rampicanti, ma anche dagli istinti selvaggi risvegliati dalle Furie.

Le auto incendiate e i vetri sparsi per terra delle vetrine e dei lunotti posteriori che rendevano scintillante quella parte ancora intatta del manto stradale, il puzzo di bruciato e il suono degli antifurto, la sporcizia e gli elettrodomestici che erano stati lanciati dalle finestre rotte erano solo l'inizio dell'orrore.

Guardando in alto verso la ragazza che continuava a dibattersi e a gridare, per poco non le scappò da ridere, quando Aisha si concesse una risatina nervosa.

«Non ci posso credere!» esclamò Musa, invece. «Guarda un po' chi hai preso... ciao, Mitzi!»

Sentendosi chiamare, Mitzi gridò ancora più forte e si dibatté ancora di più, come un pesce che lotti per tornare in acqua. Se non fosse stata una scena drammatica, ci sarebbe stato da ridere davvero.

D'un tratto, forse stanca, si fermò, rigida e paonazza per il troppo sforzo. Per un attimo, le tre fate pensarono che stesse per soffocare e che le liane fossero strette troppo strette, tanto che Flora stava chiedendosi se allentarle, ma si ritrovò a stringere più forte la nuca del bambino che ancora teneva tra le braccia, quando Mitzi gettò in avanti la testa e strabuzzò gli occhi tanto che sembrava che la Furia che l'aveva posseduta glieli volesse far saltare via.

«Fate!» cominciò a gridare con una voce deformata che non sembrava più neanche la sua. «Fate! Fate! Fate! Uccidete le Fate!»

Il suo richiamo riscosse coloro che ancora stavano distruggendo ciò che era rimasto intatto.

Si voltarono tutti come se fossero stati uno solo. Come in uno di quei videogiochi di zombie che piacevano tanto a Tecna e Timmy.

I loro sguardi si fecero così furiosi che tutte e tre le Winx dovettero a fare un passo all'indietro. Gli occhi di quelle persone erano attraversate da un bagliore che le rendeva ancora più pericolose, le occhiaie erano profonde e i loro denti digrignati; non avrebbero fatto più paura se fossero stati aguzzi come quelli delle bestie. Alcuni avevano fatto solo qualche passo avanti, altri invece, si limitavano a leccarsi le labbra come se stessero per fare effettivamente un banchetto succulento.

«Uccidete le Fate!» continuava a gridare Mitzi con quella sua voce raschiante e profonda che non le apparteneva.

«Credo che non ci voglia Tecna per capire che siamo nei guai.» dichiarò Musa, spostando lo sguardo da una parte all'altra, forse per stemperare quella sensazione di gelo che aveva atterrito tutte e tre.

Un piccolo esercito si stava riversando su di loro, tutti con delle armi in mano, tutti spediti e pronti a farle a pezzi, tutti decisi ad ubbidire alla voce che li incitava ad eliminarle.

Uno si lanciò su di loro. Tutte e tre scattarono in volo e cercarono di raggiungere un punto fuori dalla sua portata, ma gli altri non si lasciarono intimidire da così poco: tirarono le loro armi improvvisate e a volte anche i loro cappelli o scarpe, gioielli e quant'altro purché potesse raggiungerle. Qualunque cosa, pur di ubbidire alla voce che continuava a lanciare quel raccapricciante richiamo.

Flora sentiva il bambino tremare tra le sue braccia, mentre si libravano in volo il più velocemente possibile. Lei non lo fu abbastanza, però: qualcuno la afferrò per un piede.

Gridando, per poco, non aveva lasciato andare il bambino per la sorpresa e lo spavento. Si voltò per guardare chi l'avesse afferrata e vide uno di quegli invasati con quello strano luccichio negli occhi e un principio di bava alla bocca, che si sporgeva in modo pericoloso da una finestra distrutta al secondo piano di un palazzo.

La fata dei fiori strillò per la paura e lottò, strattonò forte il proprio piede, che perse la scarpa, e schizzò verso il centro della strada, dalla quale continuavano ad arrivare oggetti di tutti i tipi. Fu colpita al viso da qualcosa di affilato che le graffiò il viso e sentì il proprio sangue scorrere lento sul suo viso. Non le importò, perché il suo urlo di angoscia era rivolto all'uomo che l'aveva afferrata e che stava cadendo giù, verso la strada, sempre stringendo tra le dita lo stivale di Flora come se fosse stato ciò che l'avrebbe protetto da ogni male.

«Ci penso io!» gridò Aisha e tese le braccia in avanti, creò una gabbia Morphix intorno all'uomo che non sentì minimamente l'impatto con l'asfalto e, almeno, rimase illeso, sebbene intrappolato.

«Allontaniamoci da qui!» esclamò Musa, schivando alcuni oggetti. «Oh, adesso basta!» fece cenno alle altre due di imitarla e poi salì ancora di qualche metro. Allungò le braccia in avanti come aveva fatto Aisha e gridò: «Onde sonore!» al che un'onda d'urto molto potente spinse tutti gli oggetti a terra, insieme ai loro proprietari che caddero a terra come birilli. La stessa Mitzi, ancora legata ai rampicanti, fu stordita abbastanza da smettere di urlare. Gli antifurto stessi si zittirono e un po' del caos che regnava intorno a loro fu placato.

«Ottima idea, Musa!» la lodò Aisha. «Adesso andiamo a cercare Riven e gli altri.»

«E del bambino che ne facciamo?» domandò Flora, accarezzando la testa del bambino ancora stretto tra le sue braccia, volando via velocemente insieme alle amiche, per impedire a quelle persone di riprendersi dalle onde sonore di Musa. «Non può venire con noi! Sarebbe sempre in pericolo!»

«Non possiamo neanche lasciarlo, o lo sarà comunque!» le fece notare Aisha.

«Che possiamo fare, allora?»

Fu il bambino a decidere per loro: libero di muoversi tra le braccia di Flora, allungò una mano e la colpì sul viso con così tanta violenza da procurarle un dolore tale che la fece gridare. Non precipitò solo perché il suo istinto di protezione glielo impedì. E non ebbe bisogno di chiedergli perché l'avesse fatto, perché capì solo guardandolo: era stato anche lui catturato da una Furia; i suoi occhi erano stati attraversati dallo stesso lampo dorato degli altri e, come era successo per gli altri, anche lui aveva scritto nel suo sguardo cattivo l'intento di ucciderle.

Le venne da piangere, mentre lottava contro di lui e le sue piccole mani, con quelle unghie che, aguzze, sembravano volerle strappare la faccia. Si muoveva molto e con violenza, tanto che lei sentiva che le braccia non lo avrebbero retto ancora per molto.

«Ti prego!» esclamava, scostandosi da quelle mani che le graffiavano le guance e, a volte, si impigliavano tra i suoi capelli. «Ti prego, smettila! Potresti prec... ah!»

La mano le artigliò la pelle del viso, come se volesse davvero strappargliela via. Erano le Furie che gli facevano fare quello che faceva, non era colpa sua, forse non ne era neanche consapevole; il solo pensiero faceva fremere Flora di orrore: era a quello che le Furie le avevano condannate, a quel clima di terrore e di disperazione, era quello che volevano, era quello che avevano creato nel regno prima di Domino, il terribile dominio che avevano sperimentato su Obsidian prima di essere liberate. Volevano rendere il mondo un posto infernale, e lo volevano fare attraverso quel bambino e tutte le persone innocenti che, invece, avrebbero voluto vivere le loro vite in pace e serenità.

«Flora, lascialo andare!» gridavano Musa e Aisha, alternativamente. «Flora!»

Ma lei non poteva lasciarlo andare: da quell'altezza, forse, il Morphix non avrebbe potuto fare niente. Non poteva farlo, non poteva lasciare che quel bambino si facesse male, anche in leggera misura. Non voleva.

Non lasciarlo andare, Flora, non importa la tua vita, lascia che vivano, lascia che vivano la loro vita, lasciati andare, lascia che succeda quel che deve, in modo che lui possa vivere. Lui vivrà solo se tu lascerai che faccia quello che vuole.

Se solo avesse saputo che sarebbero davvero stati tutti davvero al sicuro! Se solo fosse stata certa di questo, allora l'avrebbe fatto. Non poteva esserlo, però. Perché era quello che le Furie volevano: la sua distruzione. Come poteva essere certa che quello che diceva era la verità? Come?

Stanne sicura, Flora: le Furie vogliono le fate, non le persone innocenti. Fidati, Flora. Te l'hanno detto anche le tue amiche, che l'hanno sentito da Faragonda. Ricordi, Flora? Ricordi che sono state proprio loro a dirlo?

Sì, Flora lo ricordava. Erano state le sue amiche a riferirle le parole di Faragonda, era perfettamente consapevole di quello che le Furie volevano... e sarebbe stata disposta a darglielo, pur di salvare quel povero bambino che lottava strenuamente contro di lei.

L'avrebbe fatto, glielo doveva: quella guerra che il piccolo stava combattendo non era soltanto contro di lei, ma anche contro se stesso, lo stava facendo per liberarsi della Furia che si era impossessata di lui, stava facendole del male solo per liberare se stesso.

Flora riuscì a vedere le lacrime che scorrevano copiose sul suo viso per convincersene e smise di lottare contro di lui. Voleva che facesse ciò che doveva. Perché era vero: le Furie non volevano lui, ma solo lei, una fata.

Uccidete le Fate!

L'urlo di Mitzi echeggiava ancora nell'aria. Forse anche l'antica rivale di Bloom si era liberata della prigionia cui l'aveva costretta; benché fosse stata anche normalmente una persona cattiva, Flora non pensava che meritasse di venire imprigionata da una Furia.

Flora!

Chissà. Forse sarebbe riuscita a rivedere Helia e a dirgli quanto lo amava, prima di...

«Flora!» il grido di Aisha spezzò il filo dei suoi pensieri. Tutto accadde molo velocemente: il bambino le scivolò di mano, il volto di Aisha apparve nel suo campo visivo con un'espressione carica di rabbia e subito dopo la sua mano aperta le tirava uno schiaffo così forte da farle ruotare la faccia da una parte. «Ma sei impazzita?!»

Flora sentì mozzarsi il respiro per la violenza del colpo e il grido furioso di Aisha la investì con la stessa veemenza, tanto che la mente annebbiata tornò lucida immediatamente. Il mondo intorno a lei, che aveva perso consistenza e colore, tornò ad essere quello di una Gardenia devastata e distrutta, in un lugubre paesaggio notturno di una fresca serata primaverile. Era terribile tutto quello e le faceva più male dello schiaffo di Aisha.

Guardò in basso, posandosi una mano sulla guancia e vide che il bambino era salvo, grazie al potere di Musa. Gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre pensava a ciò che stava per combinare.

«Flora...» la voce di Aisha si fece flebile. «Non devi... non devi mai più...»

«Pensavo che, se avessi ceduto ad una Furia, allora questa avrebbe... avrebbe lasciato in pace gli abitanti di Gardenia e...» Flora tremava e aveva gli occhi colmi di lacrime che tentava in tutti i modi di trattenere invano.

Aisha sollevò di nuovo una mano per aiutarla a tranquillizzarsi.

«Non è giusto!» continuò la fata dei fiori, tra i singhiozzi. «Non è giusto, Aisha! Non è giusto che queste persone soffrano a causa nostra!»

«Sì, ma non è neanche giusto rinunciare alle nostre vite!» sbottò Aisha, allora, improvvisamente più dura. «Non per degli esseri spietati e malvagi, dei parassiti che hanno bisogno che qualcun altro faccia il lavoro sporco per loro! Non piangere, Flora, non ce n'è bisogno!»

«Ma che dobbiamo fare?» domandò lei, che nonostante le esortazioni dell'amica proprio non riusciva a smettere. Sentì un fremito di paura e di dolore, quando qualcuno, da qualche parte, incendiò degli alberi lontani, ma non abbastanza perché lei non sentisse spezzarlesi il cuore. Vedeva e percepiva quelle piante che tentavano di dimenarsi, sentiva i loro aguzzini che strappavano le loro radici e gli alberi che crollavano a terra, morti.

Gridò per il dolore e si strinse forte le mani sulla testa; non seppe neanche lei quanto durò, ma abbastanza perché si sentisse stremata; quando finì, Musa dovette sorreggerla per non lasciarla cadere verso il suolo.

Aisha scambiò con la fata della musica un'occhiata. «Il sacrificio non è la soluzione, mi hai capito?» disse però rivolta a Flora.

Quest'ultima non rispose. Sapeva che Aisha aveva ragione, che quelli erano solo esseri malvagi, ma ormai era sfiduciata.

«Flora!» la richiamò Musa; la sua voce era tetra e le sue mani, sebbene fossero strette intorno alle spalle della fata dei fiori, la sua presa non era salda e le dita le tremavano. «Helia non vorrebbe che tu lo facessi. Sacrificarti per questo non ha senso, te lo dico io che sono stata tra le grinfie di una Furia: non si fermeranno, Flora. Non appena avranno finito di prosciugare i sentimenti di una fata, andranno alla ricerca di un'altra. Non sono mai abbastanza sazie. Credimi, so di cosa parlo, l'ho capito nel momento stesso in cui una di loro mi aveva presa! Ho creduto anche io, ad un certo punto, che se io mi fossi sacrificata, tutti sarebbero stati risparmiati, erano loro che volevano farcelo credere, perché sapeva che noi avremmo fatto qualunque cosa! Ma mentono, Flora!» la voce le tremò appena. «Mentono solo per farci del male! Se io non mi fossi svegliata, se Stella – chissà come – non fosse arrivata, a quest'ora, la Disperazione sarebbe già a caccia di un'altra preda!»

Flora capì. Percepì dalla voce di Musa e dal suo dolore che era vero, che il suo sacrificio sarebbe stato insensato e che non avrebbe protetto nessuno, ma solo favorito quegli esseri spietati. Provava disgusto, adesso, per loro, e una gran pena.

Abbassò lo sguardo, incapace di non provare vergogna per essersi fatta ammaliare in quel modo, dopo che Musa aveva provato sulla propria pelle quelle sensazioni. «Sono proprio una sciocca.» disse. «Mi dispiace, ragazze.»

Musa scosse la testa. «E' normale. Quei parassiti si nutrono dei nostri sentimenti e giocano sulla nostra natura.»

«Sono spregevoli!» rincarò la dose Aisha.

«Non preoccuparti, Flora.» continuò la fata della musica. «È normale, quello che hai provato.» ghignò. «Meno male che c'era Aisha!»

Aisha si guardò la mano. «Scusami, Flora. Sono stata un po' brusca, ma avevo paura che potesse succederti qualcosa!»

Flora scosse la testa. «L'hai fatto per salvarmi, non hai davvero motivo di scusarti!»

Si abbracciarono forte, tutte e tre.

Forse lo fecero in un momento che non lo richiedeva, forse lo fecero perché tutte e tre provavano le stesse, forti e contrastanti emozioni su quella situazione e avevano bisogno del reciproco conforto per tutto ciò che avevano visto e provato, per tutte le battaglie – anche interiori – che avevano dovuto sopportare; volevano sentirsi vicine l'une alle altre adesso più che mai, per non cadere mai più preda delle Furie. Ma questo comportò che abbassassero la guardia e che non vedessero cosa accadeva più in basso.

Quelli che avrebbero dovuto cercare, quei due che erano riusciti a liberarsi dalla loro prigionia di Morphix e di piante nel locale dove avevano combattuto contro le Winx, erano sotto di loro e stavano aspettando il momento migliore per attaccare. Riven, con un ghigno malvagio stampato in faccia e gli occhi riempiti di un bagliore dorato, sollevò la spada stretta nella mano destra e fece un cenno a Helia, con lo stesso scintillio che gli illuminava le iridi, indicando verso l'alto con la spada.

Lo Specialista annuì e allungò la mano, dalla quale fece partire le sue corde verdi che, letali, si mossero veloci verso le fate abbracciate, con un unico scopo.

Uccidere le Fate.


§


«Faragonda!» la preside comparve come ologramma portatile di Re Oritel, nella biblioteca superiore, dove lui stava sfogliando un grande librone che conteneva tutta la storia di Flabrum, seduto sulla scala appoggiata alla grande libreria che seguiva il percorso circolare della sala. Lo chiuse, tenendo il segno con l'indice, non appena lei fluttuò di fronte a lui. Ci volle poco perché l'espressione di Re Oritel divenisse preoccupata. «Che è successo? Bloom sta bene?»

«E' su Flabrum.» disse lei. «E perciò Sky e Brandon vogliono andare a riprenderle. Per fermarli, ho detto che avrei chiesto a te, ma... lo Scettro di Domino... a che punto sono le tue ricerche? Come faccio a mandarli in missione, allo sbaraglio?»

«Ne ho abbastanza. Se vedo altra carta stampata, andrò al manicomio.» sospirò Re Oritel. Gettò il libro nel vuoto e quello atterrò sul pavimento della biblioteca con un tonfo secco. «Sono ore che sto leggendo... e non ho ancora trovato niente!» si tirò i capelli indietro in un gesto di frustrazione. «Mandarli su Flabrum? Perdere mia figlia e le sue amiche e adesso anche i loro ragazzi? Bah!»

«Consigli di non partire?» l'espressione di Faragonda era carica di preoccupazione.

Lui sorrise appena. «Come possiamo fermarli? Se fosse Marion, io correrei! È già tanto che si siano trattenuti finora!»

«Già...» la preside chiuse gli occhi, nella sua affermazione un sacco di significati.

Oritel grugnì, perché lui, quei significati, li aveva colti tutti. «Falli preparare, allora! Non abbiamo più molto temp e Dafne è via, ma confido che torni con qualcosa di più che il nulla!»

«C'è dell'altro.»

Re Oritel imprecò. «Altro? Cos'altro ci può essere?»

«Le Furie... ho appena avuto una comunicazione da Gardenia. Pare che le Furie abbiano infestato la città e adesso le ragazze siano in grave pericolo.»

Re Oritel non disse niente. La lingua gli si era incollata al palato.

La preside non attese oltre, chiuse la comunicazione e solo allora Oritel si rese conto che non era più solo, nella stanza. Sua figlia Dafne fluttuava a mezz'aria con l'aria di dovergli dire qualcosa.

«Parlavo proprio di te.» la salutò re Oritel, senza nessuna gioia. «Dimmi che hai trovato qualcosa di molto interessante.»

«Sono stata su Flabrum.» cominciò la ninfa.

«Ah! Flabrum non è mai stata la meta più gettonata per le vacanze come in questi ultimi giorni.» Oritel fece un gesto come per scacciare quest'ultima affermazione gratuita. Gardenia era stata attaccata e lui era ancora lì, i ragazzi stavano andando su Flabrum per riprendersi le Winx... ma erano tutti storditi da quelle parti? Lo Scettro ce l'aveva lui, dannazione, qualcuno doveva andarlo a prendere, no?

«Padre, c'è qualcosa che devi sapere su Flabrum!» gli disse Dafne. Oritel credeva di sapere già tutto di quel pianeta ostile, ma quando la figlia cominciò a raccontare, rimase stupefatto di quello che scoprì mano a mano che lei andava avanti, ogni passaggio era incredibile, ogni più piccolo pezzo del puzzle andava al suo posto e comprendeva anche quello che aveva voluto dire il resoconto che aveva letto, quello che gli aveva fatto intraprendere quella ricerca estenuante che si era conclusa con il lancio di un libro.

«Avevamo ragione.» mormorò, alla fine.

Dafne annuì.

Re Oritel si passò una mano sul pizzetto, pensava a quello che aveva appena scoperto e cercava di farlo collimare con ciò che aveva letto... sarebbe stato facile, adesso, arrivare su Flabrum è finirla una volta per tutte... così facile... ma aveva bisogno di una fata per usare lo Scettro di Domino e le tre che erano su Flabrum erano state catturate, c'era Maestral che era un pazzo furioso che avrebbe potuto scatenare una guerra al solo sentire parlare di un re in avvicinamento dalla Dimensione Magica. Inoltre c'era la questione del pianeta Terra da considerare, le Furie che impazzavano. Ma lui che ci faceva ancora lì?

«Devo andare a prendere le Winx rimaste sulla Terra.» decise, alzandosi in piedi. «Chiamo subito Faragonda.»

«Cosa hai in mente, padre?»

Re Oritel alzò lo sguardo per guardare la figlia che fluttuava nell'aria e lo guardava preoccupata. «Debellare la minaccia delle Furie dal pianeta Terra, ovviamente.» rispose, come se, invece, le avesse proposto una scampagnata. «E farmi una vacanza su Flabrum. Tu...» la indicò, cercando un compito adeguato per lei.

«Avvertirò la mamma della follia che stai per commettere.»

«Sì... e dille che raggiungerò Alfea, non appena avrò finito a Gardenia.»

«Non è detto che ce la farai, questo lo sai, vero?» la voce di Dafne era venata di preoccupazione, ma Re Oritel sorrise.

«Tranquilla, figliola.» rispose. «So quello che faccio. Per la prima volta da quando è cominciata questa storia, credo che sia la cosa giusta!»



_________________________


Rieccomi, dopo mesi e mesi, finalmente riesco a scavarmi un buco per riuscire a pubblicare questa storia. *me balla*

Grazie per la vostra pazienza e per la vostra fiducia, perché i seguiti continuano ad aumentare nonostante i miei tempi e le mie promesse da marinaio (siete 15!), più 2 preferiti e 1 ricordato! Grazie davvero, a voi e a chi commenta. Bacioni a tutti! :)

  
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