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Autore: Fifth P The Catcher    24/11/2013    1 recensioni
Stargate SG1, 10a stagione, 12° episodio. Line in the Sand. Sam viene ferita gravemente da un soldato Ori. Sappiamo tutti come è andata a finire. Io vi mostro come sarebbe potuta andare diversamente, con tutte le conseguenze del caso. Preparate i fazzoletti & I hope you'll enjoy the story! :)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Samantha 'Sam' Carter
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fuori, come in tutto il complesso di Cheyenne Mountain, l’atmosfera era pesante. Tutti erano scossi per la perdita di uno dei pilastri portanti della base. La morte di un membro dell’SG1 sembrava una cosa impossibile, quelli là sembravano dotati di sette vite, come i gatti, ogni volta che credevano fossero morti, poi rispuntavano fuori, (più o meno) integri, mentre nel frattempo avevano salvato la vita di tutti.
E già l’NID progettava un’inchiesta sulle procedure seguite dal generale Landry; la morte di Carter, per loro una scusa come un’altra per cercare di tagliare i fondi al progetto Stargate.
Non era retorico affermare che alla base c’era tutto il personale, perché la folla non occupava solo la sala dello Stargate, ma anche buona parte dei corridoi circostanti. Da Atlantide erano venuti Rodney McKay e la dottoressa Weir. Da Chulak erano venuti Bra’tac e Rya’c, in rappresentanza della nazione dei Jaffa liberi. C’erano anche dei civili: Cassandra, che, dopo aver perso la madre tre anni prima, ora perdeva l’altra persona a cui teneva di più, Pete, che la amava ancora moltissimo, nonostante come fosse finita la loro storia, l’agente Barrett, che non aveva mai smesso di sciogliersi ai piedi del bel colonnello, e persino Woolsey. Mark, il fratello di Sam, non c’era, perché l’Air Force non l’aveva autorizzato, e probabilmente non l’avrebbe mai fatto, costringendo sia Landry sia Jacob a mentire ancora.
Sulla rampa dello Stargate un podio e una corona di fiori. Al centro della stanza una bara ricoperta dalla bandiera a stelle e strisce.
Il generale Landry inizia a parlare, e subito scende il silenzio sulla stanza.
Fuori dagli spogliatoi, c’erano tre persone, che parlavano sottovoce tra di loro.
- ..era questo quello che temevo ogni volta che mandavo una squadra su un pianeta alieno. Che una persona innocente morisse.. - affermava tristemente Hammond, che, in cuor suo, sentiva la responsabilità della morte di Sam quasi come se fosse stato lui ad ordinarle di andare su quel pianeta.
E Daniel, mentre annuiva, dentro di sé si chiedeva se la sua presenza avrebbe potuto cambiare qualcosa: non si considerava un grande combattente, ma, pensava, sarebbe stato utile anche solo se avesse preso il colpo del guerriero Ori al posto di Sam..ed invece se ne era stato comodamente alla base per lavorare sulla traduzione di un manufatto degli Antichi..
Teal’c, come al solito in silenzio, ascoltava con un peso sul cuore le parole degli altri.
Dagli spogliatoi venivano dei bisbigli confusi, le parole sussurrate di Jack e Jacob.
Venne un soldato, che con gentilezza comunicò ai tre che la cerimonia stava per iniziare.
Hammond si prese il duro compito di interrompere Jack e Jacob.
- Stanno per iniziare..
I due lo guardarono. Jacob si alzò a fatica. Jack a malavoglia.
Poi i cinque raggiunsero la sala dello Stargate. La folla, al solo vederli, si aprì, e li lasciò raggiungere la prima fila, dove li aspettavano tutti i più importanti.
Landry aveva appena iniziato: “...le parole non bastano ad esprimere tutto il nostro dolore…e la gratitudine che le dobbiamo..è solo grazie a lei che…”
Dopo il generale, parlò Mitchell, che raccontò a tutti come Sam, seppur agonizzante, aveva salvato un intero villaggio.
Poi Daniel, che parlò con il cuore, che parlò non del soldato, ma della persona che lei era.
Infine Hammond, che a metà discorso si dovette interrompere per asciugare le lacrime.
Né Jack, né Jacob intervennero, come molti si aspettavano. Ma come potevano trovare le parole per far capire a tutti cosa avevano perso? Sarebbe stato impossibile per gli altri capire..
Dopo i discorsi la rampa fu sgomberata e lo Stargate fu aperto. E, mentre il suono malinconico della tromba squarciava il silenzio ed i cuori di tutti, sei uomini in divisa scura, O’Neill, Mitchell, Landry, Hammond, Jacob e Reynolds, piegavano la bandiera americana, in 13 parti, come pretendeva il protocollo, e la lasciavano andare nello Stargate, seguita dalla corona di fiori.
Alla fine della cerimonia, mentre tutti se ne andavano in silenzio ed a testa bassa, Jack trovò il coraggio di avvicinarsi alla bara. Era insopportabile saperla così vicina, ma irraggiungibile, questa volta per sempre. Appoggiò una mano sul legno lucido, ed a quel punto crollò: smise la maschera impenetrabile che aveva mantenuto per tutta la commemorazione, abbassò la testa e mormorò “Ti amo Sam”. Chissene dei regolamenti, chissene se probabilmente aveva gli occhi di mezza base puntati addosso..
Ormai erano rimasti in pochi nella sala dello Stargate. Daniel avrebbe riaccompagnato Cassandra a casa, nel suo appartamento pagato dall’Air Force, che ora sarebbe stato ancor più solitario senza le abituali partite di scacchi del sabato tra le due donne. Teal’c andò con il figlio e Bra’tac a Chulak.
Degli altri, nessuno aveva voglia di parlare. Hammond si offrì di accompagnare Jack e di stare un po’ insieme, sperando di salvarlo, almeno per un po’, dall’ennesima ubriacatura, ma non fece resistenza quando Jack biascicò un “Grazie signore, ma non mi va..buona notte a tutti” e se ne andò.
Anche Vala e Cam si congedarono in silenzio, mentre i due generali si reacarono nell’ufficio; Landry non sapeva proprio che scrivere nella lettera ufficiale di condoglianze per il fratello del colonnello Carter e chiedeva aiuto al più “esperto” collega. Si salutarono alle tre di notte passate.

Si rividero due giorni dopo, in un cimitero alle porte di Washington. La stessa Sam aveva chiesto nel testamento di essere sepolta lì, proprio accanto alla madre.
Quella era la cerimonia religiosa e pubblica, dove Sam non era la persona che aveva salvato centinaia di vite umane, ma una scienziata  morta in un insulso incidente di laboratorio.
Quel giorno c’erano tutti i membri dell’SG1, oltre che molti soldati dell’SGC, i due generali ed i civili già presenti alla commemorazione “privata” alla base, ma anche molti volti sconosciuti agli occhi dei ragazzi dell’SG1, principalmente ex compagni di Sam al liceo ed all’accademia. Ovviamente c’era Mark, con i figli e la moglie. C’era anche il comandante in capo dell’Aviazione degli Stati Uniti, un generale “a cinque stelle”, che molti quel giorno guardarono con timore e rispetto, chiedendosi cosa avesse fatto di così speciale la “loro” Samantha per meritarsi addirittura la presenza di una persona così illustre. Certo, che cosa si può fare di così speciale nell’osservare la telemetria dello spazio profondo?
Nel vedere così vicine la madre e la figlia, i primi a crollare furono Jacob e Mark. E così accadde che si incontrarono gli occhi di un padre con quelli di un figlio, niente di più. E Mark aveva lo stesso sguardo di quando aveva cercato conforto negli occhi del padre al funerale della madre, di quando voleva dimostrare di essere coraggioso non solo a sé stesso, ma anche alla sorella, più grande ma così debole in quel momento, ed al padre, di quando aveva tentato di non piangere, ma, alla fine, non ci era riuscito e si era stretto al petto della sorella.

Quattro giorni prima

La casa di Mark, una tranquilla casa, tipicamente americana, in una tranquilla strada di un silenzioso quartiere di San Diego.
Jacob trovò a fatica parcheggio poco lontano dalla casa del figlio e percorse lentamente i metri che li separavano. Il caldo di certo non aiutava. Forse avrebbe voluto correre, per non avere il tempo di pensare, ancora una volta, alle parole da dire al figlio, per non lasciarsi sopraffare dalle emozioni. Lui non sapeva niente, lui si aspettava solo una visita pomeridiana di un padre che, nonostante avesse ricominciato a far parte della sua vita, vedeva assai di rado.
Mark era seduto nel salotto, ad intrattenere Lisa, mentre sua moglie, in cucina a preparare la torta di mele, teneva d’occhio David, che già, alla sua piccola età, si dimostrava un cuoco provetto, a detta della madre. Mark era abbastanza felice di quella visita, forse per il “contagio” dei figli, così eccitati di vedere il nonno, magari sperando in un qualche ninnolo per loro. Mark non si aspettava di ricevere notizie tristi, una lettera di condoglianze ufficiale e quattro biglietti, per lui e per la sua famiglia, per un volo a Washington, per assistere al funerale di sua sorella, tre giorni dopo.
Appena sente suonare il campanello, si precipita alla porta, trainato per una mano dalla piccola Lisa.
Dall’altra parte, Jacob aveva impiegato un minuto buono per riuscire a premere quel campanello.
La faccia sorridente di Mark che si scontra con lo sguardo serio del padre. Un punto interrogativo si forma sul viso del ragazzo, Lisa già chiede, a mezza voce, che succede. Vorrebbe confortarla, Jacob, ma non ci riesce, sul suo viso si forma più una smorfia che un sorriso tranquillizzante. “Come mentire anche a lei, quando dovrò dire così tante bugie nella prossima ora?
 Già dalla cucina si sente la voce squillante di David e quella della madre, che gli dice: “Su, David, lavati le mani e poi vai a salutare il nonno.” Poi aggiunge “Buonasera signor Carter. Metto in forno la torta e vengo a salutarla come si deve.”
Mark e Jacob si capiscono al volo, basta uno sguardo. Quello sguardo.
- Su, Lisa, vai un attimo dalla mamma, che io devo parlare in privato con il nonno. Poi veniamo in salotto e giochiamo tutti insieme ed il nonno ci racconta cosa ha fatto in questo tempo che non ci siamo visti.
- Sì! E io gli racconto della recita scolastica! - esulta lei, felice, prima di correre dalla madre.
- Che succede, Lisa? - fa lei.
- Niente mamma, il papà ed il nonno devono parlare da soli.
La donna sporge il viso fuori dalla cucina, solo per vedere le facce mute dei due. “Qualsiasi cosa sia, non è un buon segno questo.
Al piano superiore, nello studio, Mark esita a parlare. Così come Jacob.
Alla fine Mark riesce a chiedere, in un sussurro, con la voce rotta:
- C-c-cosa succede, papà?
È difficile risponderti, figlio mio. Succede che tua sorella è morta, che se ne è andata l’altra donna della mia vita. Succede che io sono rotto in mille pezzi. Succede che ti sto per mentire, che, ancora una volta, l’esercito e le sue regole ti feriranno, come ti avevano ferito alla morte di tua madre. Succede che vorrei dirti tante cose ed invece te ne dirò poche. E già so che a te non basteranno. Ecco cosa succede.
Silenzio, un lungo silenzio. Jacob risponde:
- Si tratta..- sospira - ..si tratta di tua sorella.
Mark si volta, guarda negli occhi il padre. Aveva già vissuto quel momento, quando, 27 anni prima, era tornato a casa col bus dalle lezioni di football e si era visto quello sguardo sul viso del padre. Non servivano le parole, aveva ancora quel volto stampato nella mente, una cicatrice ancora aperta.
Abbraccia il padre, non trattiene le lacrime. Si rivede bambino, quel bambino di nove anni che non voleva credere al padre, che, quella notte, era riuscito a dormire solo grazie al conforto della sorella, che l’aveva accolto nel suo letto. Avevano pianto insieme, quella notte, si erano fatti forza a vicenda. Si erano promessi di rimanere sempre uniti, avevano odiato insieme l’esercito e quel padre che, per il lavoro, aveva condannato la loro madre, l’unica ad esserci mentre il generale Jacob Carter era nei quattro angoli degli Stati Uniti. Poi l’esercito aveva portato via anche la sua amata sorella e non capiva perché: non odiava anche lei i militari e le guerre? Cosa era cambiato? Non l’aveva capito allora né lo capì mai dopo. Con il tempo si era mantenuto in contatto con la sorella, ma erano rare le volte in cui si incontravano, anche solo per un caffè. Per buona parte del tempo erano stati separati da oltre 3000 km, lui a San Diego, dove aveva trovato un lavoro redditizio, lei a Washington, prima in accademia, poi al Pentagono.
Sulla porta compare la moglie di Mark, che ormai aveva intuito che c’era qualcosa che non andava. Mark va dalla moglie, abbraccia forte pure lei, di nuovo si rivede al funerale della madre, quando si era stretto alla sorella.
I bambini, come dirlo ai bambini? Quella zia che vedevano poco, ma che aveva sempre un sorriso ed una parola dolce per loro.
Quasi gli avesse letto nel pensiero, la donna disse: “Ci penso io ai bambini.” E se ne andò. Non era affar suo - pensava - intromettersi tra un padre ed un figlio, ma doveva pensare ai due figli, che ormai non si potevano tener buoni solo con una caramella ed una ninna nanna. Era il modo migliore per aiutare il marito, quello di levargli il peso di dover dire la notizia anche ai due piccoli.
Nello studio era sceso di nuovo il silenzio, intervallato dai singhiozzi di Mark.
Jacob aveva pensato mille e mille volte nella sua testa le parole da dirgli, ma ora aveva la gola secca ed il cuore stretto in una morsa, e, di quelle parole, non gliene venne in mente nemmeno una. Aveva un tono di voce quasi distaccato quando disse:
- Fra tre giorni si terrà il funerale. È a Washington, per questo ti ho portato dei biglietti aerei..vuole essere seppellita vicino alla madre..
- E quindi? Sei venuto solo per dirmi questo? - replicò lui, asciutto.
- No, ti porto anche la lettera del generale Landry, il comandante di Sam. Non c’è scritto niente di interessante, le solite storie sul valore e..
- Tu non mi stai dicendo molto di più! - obiettò Mark, interrompendo bruscamente il padre, urlandogli quell’accusa in faccia.
Ci fu silenzio. Jacob sospirò.
Temeva quel momento, temeva che, come era prevedibile, Mark non si sarebbe accontentato di una semplice notizia, nemmeno di poche spiegazioni confuse. E lui non poteva offrirgli molto di più.
- Vuoi sapere come è morta.. - la sua era quasi una costatazione piuttosto che una domanda.
- Non è forse un mio diritto? - sbraitò di nuovo Mark.
- Sì. Sì, lo è. Ma io so che tu non ti accontenterai di sapere che tua sorella è morta in modo eroico, e che, per questo e per altro, il presidente in persona le voleva offrire una sepoltura ad Arlington, che ho rifiutato perché lei è stata ferma nel suo testamento.
- No, hai ragione, non mi basta.
- Non ti posso dire altro.
A Mark venne una risata sarcastica.
- Di nuovo questo maledettissimo esercito e le sue maledettissime regole? È per salvare queste regole di merda che mia sorella è morta?!
- Eppure dovresti già saperlo che quello a cui lavorava è classificato top secret..
- Certo..la telemetria radar dello spazio profondo! - altra risata sarcastica - Come si può essere eroi in un laboratorio? - gli urlò di nuovo.
Jacob sospirò. Si aspettava anche questa obiezione. Come biasimarlo? Sentiva una fitta al petto ogni volta che era costretto a mentire al figlio ed a non rendere giustizia alla figlia. Ovviamente lui sapeva per cosa era morta Sam, ma Mark non avrebbe mai potuto capire che persona era sua sorella, che era passata dall’essere l’angelo custode del fratello minore ad esserlo di tutta la galassia.
- Senti, non ti posso promettere niente..ma cercherò di farti avere un’autorizzazione. È vero, tu meriti di sapere. Però ora, ti prego, accontentati. Accontentati di quello che ti ho detto. E perdonami.
- Come faccio a perdonarti?? - gli gridò Mark di rimando - Dopo la mamma anche Sam!
Quell’urlo. Quella accusa implicita. Era come gettare il sale su una ferita già aperta. In verità si era anche arrabbiato: ora che stava così male, che avrebbero dovuto unirsi per affrontare quel dolore, ora il figlio si metteva a lamentarsi e ad accusarlo? Non gli aveva insegnato niente la morte della madre? Poteva capirlo quando era piccolo, ma ora..ora doveva crescere.
- Ci vediamo a Washington. Spero. Ecco qui i biglietti, è tutto pagato. Ciao, Mark.
Questo fu il suo saluto. Una voce rassegnata. Passi che scesero lentamente le scale. Un saluto silenzioso alla moglie di Mark ed un mezzo sorriso ai due bambini.
In fondo Mark sapeva che non era stata colpa del padre. Né per la morte della madre, meno che mai per quella di Sam. Accusare il padre era solo un meccanismo di difesa. Perché era lui che si sentiva colpevole: per tutte le volte che avrebbe voluto parlare, ed invece non l’aveva più fatto, anteponendo il suo orgoglio al bisogno di affetto; ed ora che vorrebbe, ora non ne ha più la possibilità.
Quella sera David e Lisa dovettero andare a letto senza il bacio della buonanotte del padre, quel giorno dovettero diventare un po’ più grandi, per il loro padre, che quella notte invece tornò bambino.
Mark non si presentò a cena e nemmeno a letto, passò la notte a sfogliare vecchi album di famiglia, ad inondarli di lacrime, e non sapeva nemmeno perché lo stava facendo.
Quella notte la moglie più di una volta sbirciò oltre la porta socchiusa dello studio, per poi tornare ad un sonno tormentato.
Quella notte, invece, Jacob la passò in aeroporto, ad aspettare il primo volo per Colorado Springs, contea di El Paso. A guardare i volti dei turisti affaticati con le valigie al seguito e degli impiegati sempre di corsa.
 
  
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