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Autore: Xiyouji    07/11/2004    1 recensioni
La fan fiction è stata composta cercando di rimanere aderenti il più possibile al manga di Kazuya Minekura. Ogni riferimento non meglio chiarito andrà dunque ricercato all'interno della storia originale! leggete e commentate!
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Non sapeva bene cosa dire o come affrontare l’argomento, ma non appena Konzen raggiunse la porta dell’ufficio di Kanzeon Bosat

Non sapeva bene cosa dire o come affrontare l’argomento, ma non appena Konzen raggiunse la porta dell’ufficio di Kanzeon Bosatzu decise che era ora di finirla con i tentennamenti.

“Chissà se lo sa già…” si chiese, bussando. Non attese l’invito ad entrare, non lo aveva mai fatto, tanto più che sua zia se ne stava tutto il giorno a languire… non l’avrebbe di certo disturbata.

“Sommo Konzen!” esclamò il servitore della dea, Jiroshin, nel vederlo entrare.

“Mia zia…”

“Da questa parte, prego.” Rispose l’altro, invitandolo a seguirlo.

Come immaginava, la divinità karmica assoluta e vanagloriosa se ne stava tranquillamente adagiata su una comoda sedia, intenta al nulla.

“Konzen…” mormorò, non appena scorse il nipote. Forse per le voci che aveva sentito o forse per il pallore del viso di quest’ultimo, la dea si trattenne dal fare le sue solite battute.

“Non sei qui per i soliti documenti.” Lo anticipò, “Sei particolarmente pallido… che è successo?”

Ci volle un po’ prima che il biondo riuscisse a trovare il modo più breve ed esauriente per raccontare quanto era accaduto in quegli ultimi due giorni.

“Ti direi che mi dispiace molto… se non suonasse così banale. Cosa conti di fare adesso?” domandò la dea, dopo aver ascoltato il racconto del nipote. E così, quello che aveva sentito proprio quella mattina era vero. Kazue era morta. Una storia davvero triste; ma quel che – fortunatamente o sfortunatamente – in giro ancora non si sapeva era il modo in cui tutto ciò era accaduto e il perché.

“Dopo tutto quello che mi hai detto, non c’è da stupirsi che Li Touten voglia vedere alcuni di voi morti. Starei molto attenta, se fossi in voi… Comunque, per quanto riguarda Kazue, in giro ancora si sa poco. Sono solo voci. Io stessa ho pensato che si trattasse di un malinteso, prima che tu mi confermassi questa storia.” Assicurò Kanzeon.

“Prima o poi si verrà a sapere comunque… ma, Tenpou ritiene che sia meglio tenerlo nascosto il più a lungo possibile. Inoltre, non mi va di doverne parlare con estranei.”

“Tenpou è un ragazzo molto saggio. Hai la mia parola che me ne starò zitta. Ma a parte questo? Non sei venuto qui per raccontarmi l’accaduto!” intuì la dea, i cui occhi si erano fatti improvvisamente scuri e attenti.

“No.” Fu la risposta del dio, diretta e precisa, tagliente e sferzante come il morso di un nerbo.

 

Maya balzò a sedere sul letto, portandosi una mano alla bocca, ma la sua mano si rivelò incapace di trattenere il grido che le era esploso dal cuore. Per qualche istante rimase terrorizzata, stringendo le coperte, come se potessero esserle utili per proteggersi … poi, stordita e stupita dalla sua stessa reazione, si lasciò ricadere sulla testiera del letto. Si sentiva ricoperta di sudore freddo e il cuore le batteva così forte da lasciarla quasi senza respiro. E soprattutto si sentiva incapace di recuperare la lucidità necessaria per ragionare, incapace di scacciare con la forza della ragione il terrore che la stava attanagliando… ma il tempo passava e attorno a lei non accadeva niente. Perciò deglutì e, cercando di calmarsi, si guardò intorno alla ricerca di punti di riferimento. Quel sogno terribile che l’aveva svegliata le aveva strappato completamente ogni sicurezza, e si ritrovava ad annaspare in una tempesta di confusione ed incertezza. Mentre, respirando profondamente, tentava di recuperare la calma, cominciò a mettere ordine nei suoi ricordi recenti. E ci mise un po’ prima di ricordarsi che quella sera non era tornata a casa, che era rimasta a dormire da Tenpou, per cui quella doveva essere la sua stanza. Maya lo cercò nell’altra metà del letto ma, tristemente, notò che quella era rimasta vuota.

Tenpou di certo voleva farle un favore, andandosene senza svegliarla: dopo tutto quello che le era capitato tra capo e collo, aveva bisogno di riposare per recuperare le forze. Sicuramente aveva pensato così: non poteva sapere che, invece, quel sonno che le aveva regalato aveva finito solo per farle vivere quell’incubo. E che in quel momento Maya avrebbe dato qualunque cosa pur di non doversi ritrovare da sola.

Con passo malfermo uscì timidamente dalla stanza, ma non era solo quella ad essere vuota. Anche la casa lo era. La ragazza si guardò attorno, sentendo un groppo salirle in gola: libri sparsi nei posti più impensati, bicchieri vuoti o quasi rovesciati sul tavolo, sedie spostate… solo queste cose, solo i segni del passaggio di Tenpou e Kenren le erano rimasti per farsi forza.

Si sedette su una sedia e si prese la testa tra le mani: chi l’avrebbe detto? Aveva ancora lacrime per piangere… sospirò, cercando di scuotersi un po’, ma l’inquietudine che l’aveva presa da quando aveva aperto gli occhi non le dava tregua. Con rabbia sbatté un pugno sul tavolo: possibile che fosse così debole da farsi condizionare a quel modo solo da un sogno?

Un raggio di sole attraversò una finestra, appoggiandosi sul suo viso e scaldandoglielo. Quello era segno che ormai era giorno fatto, anche se le tende, tirate quasi completamente, non permettevano di dirlo con certezza.

Maya sorrise amaramente: fin da bambina le era stato detto che gli spettri della notte si dissolvono a cospetto della luce del giorno… ma allora perché i suoi continuavano a tormentarla?

Era perché, inconsciamente prima che razionalmente, si era resa conto di quanto fosse precaria la sua condizione in quel momento? Era perché, in fondo al suo cuore, assieme al coraggio e alla rabbia, c’era anche la paura di non essere abbastanza forte per riuscire a fare giustizia? Era questo che la spaventava tanto?

Si alzò e raggiunse la finestra: le tende erano ancora tirate, ma non del tutto, così la luce riusciva a farsi largo, anche se a fatica, tra le pieghe della stoffa. Lentamente prese tra le mani il leggero tessuto, con sguardo perso: ancora una volta l’immagine che le era apparsa in sogno le attraversò la mente.

Quella era Kazue. Era senz’altro lei, Kazue si muoveva in quel modo, portava quei vestiti l’ultima volta che l’aveva vista…ma il viso no. Non era quello di Kazue. Era il suo.

Un nuovo singhiozzo la scosse: non era cambiato niente in lei, il fuoco che le bruciava dentro, che la divorava, quello stava ancora divampando. Ma, sottile, una sensazione terribile aveva cominciato a stringerla piano. Una sensazione che, più passava il tempo, più si trasformava in qualcosa di simile ad una certezza. E quella sensazione le diceva che quello di vendicare Kazue sarebbe stato il suo ultimo desiderio.

Maya scosse la testa e risollevò lo sguardo: i suoi occhi neri bruciavano tra le lacrime.

“Non morirò prima di finire quello che ho cominciato…” mormorò con un soffio di voce, stringendo più forte le tende con i pugni serrati, “Non è giusto… non è…”

Sospirò piano. “Affidarsi alle sensazioni è come cercare di costruire una casa sulla sabbia. Inutile e pericoloso, perché in esse non c’è nulla di razionale.” Di certo Tenpou le avrebbe risposto così. E anche Kazue.

Il pensiero dei due amici l’aveva appena fatta sentire meglio quando, ancora una volta, quell’immagine le si riaffacciò alla mente, terribile e angosciante anche più di prima.

“Sparisci!” gridò con rabbia, spalancando di colpo le tende e lasciandosi travolgere dalla luce del mattino.

 

“Il generale Gojuin ha chiesto di voi.” si era limitato ad informarla Kuronuma, presentandolesi poco dopo che era uscita di casa. Maya era rimasta molto sorpresa da quell’inaspettato e tempestivo incontro: aveva appena svoltato l’angolo e se lo era ritrovato davanti.

“Mi stavi forse aspettando, Kuronuma?” gli chiese aggrottando leggermente le sopracciglia.

Quello sostenne il suo sguardo, anche se rispose con una certa nota di tentennamento: “Sì… infatti.”

“E dov’è ora il generale?” domandò ancora Maya.

“Vi ci conduco io. Seguitemi, da questa parte.” concluse Kuronuma col suo solito tono accomodante. Un tono che a Maya non era mai piaciuto, e che – quel giorno – le piaceva ancora di meno.

 

Da dietro ad un albero, Homura si sporse per guardare i due allontanarsi. Ormai era così bene abituato a vivere nell’ombra e a defilarsi non appena qualcuno compariva, che era in grado di non far nemmeno sentire la propria presenza. Ma questo non significava che ciò che accadeva attorno non gli lo interessasse minimamente. Lui non dimenticava. Non dimenticava nulla. Si ricordava benissimo di quel soldato e del trattamento che gli aveva riservato neanche tanto tempo prima. E si ricordava anche dell’intervento di quella donna. E così era una sottoposta di Gojuin. Era proprio la Maya di cui aveva tanto sentito parlare… e veramente poche volte in termini lusinghieri. Ecco perché se l’era tanto presa quando quel gruppetto si era messo a insultarlo. Doveva sapere più che bene che cosa significasse essere disonorati da parole ingiuste e cattive.

Homura rimase a guardare i due allontanarsi per qualche attimo ancora; poi, silenzioso come si era rivelato, scomparve tra le ombre.

 

“Non stiamo andando all’ufficio di Gojuin…” fece notare Maya. Forse era troppo condizionata dalle raccomandazioni di Tenpou e dalle sue stesse paure, ma non riusciva a stare tranquilla.

“No, infatti.” si limitò a rispondere quello, continuando a camminarle davanti.

“Perché no?” lo incalzò lei.

“Semplicemente perché non si trova lì.” la liquidò nuovamente il soldato.

Maya si sentì molto sciocca, e non aggiunse altro. Continuò a seguire Kuronuma, concentrandosi nei suoi pensieri: doveva sospettare? Vista la posizione che ricopriva nel piano di Tenpou, sarebbe stato saggio dubitare di tutto e tutti. Ma Kuronuma… per quanto fosse subdolo, era troppo vigliacco per essere veramente pericoloso. In tutto quel tempo, l’aveva conosciuto bene. E poi che legame poteva esserci tra lui e Li Touten? Perché il vero pericolo, per lei, era Li Touten… chi altri avrebbe potuto volerle fare del male?

Kuronuma, davanti all’ennesimo bivio, si incamminò con passo deciso verso la meta. Quella meta che conosceva solo lui. Maya, prima di prendere la stessa strada, esitò un istante e si voltò all’indietro.

“Qualcosa non va?” le chiese Kuronuma, notando il suo ritardo. Maya non gli rispose, ma si rimise in cammino, sperando con tutto il suo cuore di sentire alle sue spalle il rumore dei passi di Tenpou o Kenren accorrere per aiutarla.

 

“Maya sta forse male?” chiese una voce alle loro spalle. Tenpou e Kenren si voltarono, ritrovandosi di fronte a Gojuin. Kenren non riuscì a fare a meno di esibirsi in una smorfia davvero poco educata, ma d’altro canto nemmeno Gojuin fece molto per nascondere la sua scarsa felicità nel doversi rivolgere proprio a lui. Tuttavia, pensò Tenpou, nonostante questo il generale aveva messo da parte l’orgoglio ed era venuto a cercarli personalmente: per cui valeva davvero la pena di rispondergli.

“Il suo turno è cominciato qualche ora fa, ma non si è ancora presentata…” continuò a spiegare Gojuin, rivolgendosi a Tenpou.

“No…” fece quello, guardandolo con i suoi occhi verdi attenti, “È solo che da quando…” Tenpou si bloccò immediatamente: doveva stare attento a quello che diceva. Stava per dire “… da quando Kazue è morta”, ma non sapeva ancora se la notizia della morte della ragazza era diventata di dominio pubblico oppure no. E in quell’ultimo caso, avrebbe commesso una leggerezza imperdonabile dimostrando di saperlo già.

“… Da quando hanno cominciato a modificare di continuo i turni e gli orari, capita spesso che si faccia confusione.”

Gojuin lo fissò attentamente per qualche istante; Tenpou sostenne il suo sguardo, anche se quegli occhi rossi gli facevano capire che l’altro non aveva mangiato la foglia.

“Sono andato a chiamarla a casa sua, ma mi è stato detto che ieri notte non è tornata a casa.” Spiegò brevemente il generale.

Kenren alzò un sopracciglio, e si voltò per non guardarlo. Quel suo modo di insinuare le cose gli faceva venire i nervi. “Se sapevate già che era a casa nostra, avreste potuto fare meno giri di parole e dircelo subito.” sbottò, mettendosi le mani in tasca.

Gojuin gli dedicò solo uno sguardo piuttosto freddo, per poi ignorarlo di nuovo completamente.

“E ad ogni modo…” riprese il moro, sprezzante, “…non ne uscirà contaminata, non temete…”

“Kenren…” lo ammonì Tenpou. Non potevano permettersi di farsi altri nemici.

Gojuin rimase imperturbabile. Continuando a guardare il generale dagli occhi verdi, rispose: “Ieri Maya non stava bene, e nessuno al mondo riuscirà a farmi credere che mi sono sbagliato. Dal momento che voi conoscete di lei molte più cose di quante ne sappia io, mi ero chiesto se per caso voi… ma non fa niente. Del resto, non sono affari che mi riguardano.”

Tenpou abbassò lo sguardo: Gojuin era preoccupato per lei. A suo modo, voleva aiutarla e si era rivolto a loro per farlo. Ma lui non poteva rivelargli che cosa stava facendo soffrire Maya.

“Credo che… qualunque cosa sia successo… Maya abbia fatto bene a restare con voi, ieri, se era quello che voleva. Ma il suo turno è già cominciato da ore. Non posso continuare a coprirla per tutto il giorno.” continuò il generale, pacatamente.

“Certo, me lo immagino.” annuì l’altro, sistemandosi gli occhiali, “Seguitemi. Probabilmente starà ancora dormendo.” Detto questo, si incamminò verso casa sua. Gojuin e Kenren rimasero per un istante a guardarsi torvi. Poi il primo, senza dire nulla, si voltò e cominciò a seguire Tenpou. Kenren tardò qualche secondo ancora, sbuffando. Poi, di cattivo umore e con passo strascicato, si unì al gruppetto.

 

Homura sentì altri passi muoversi verso di lui. Passava molta gente di lì, quel giorno. Fin troppa. Come faceva sempre, si mosse per ritirarsi nell’anonimato degli angoli, ma quando si accorse di chi stesse passando, si fermò di botto.

Il primo ad accorgersi di lui fu ovviamente Tenpou, che stava in testa al gruppo. Ma lo sguardo di Homura era fisso su Gojuin, non su di lui. Senza capire, il generale guardò coi suoi occhi verdi verso l’altro. Anche Gojuin si era accorto dello sguardo di Homura, ma nemmeno lui sembrava conoscere il motivo di tanto interesse.

“Voi…” balbettò quello, aggrottando preoccupato le sopracciglia.

Gojuin si fermò, guardandolo interrogativamente.

“Quel soldato ha detto che la stavate aspettando…” continuò Homura, fissandolo gravemente.

“Chi stavo aspettando?” chiese Gojuin.

“Quella donna… Maya…” rispose l’altro.

Appena ebbe pronunciato quel nome, Tenpou e Kenren gli furono addosso: “Quale soldato? E dove l’ha portata?” gli chiese il moro, pallido e tirato come mai in vita sua.

Homura indicò loro con lo sguardo la direzione che gli altri due avevano preso, e immediatamente si lanciarono in una corsa a rotta di collo lungo quella strada. Davanti alla loro reazione, Gojuin non esitò un istante, e si fiondò a sua volta dietro agli altri due.

 

“Avete qualche problema?” le chiese Kuronuma, voltandosi appena a guardarla. Maya sussultò all’osservazione del soldato, presa com’era dai suoi pensieri.

“No…perché?” rispose, studiandolo.

“Mi pareva che aveste rallentato il passo…” spiegò lui con calma, riprendendo a camminare guardando davanti a sé.

La ragazza non aggiunse altro, ma ormai aveva capito. Aveva capito che qualcosa non andava. C’erano troppi punti poco chiari. E nella situazione in cui era, tutto ciò che risultava poco chiaro era anche terribilmente pericoloso.

Per prima cosa, Kuronuma la stava portando nell’ala a nord del palazzo. Ma Gojuin non aveva nessun motivo per trovarsi lì: non c’erano uffici da quelle parti, non c’erano sale, non c’era niente. Erano anni che era in disuso. Non c’era altro che un grande labirinto di corridoi e stanze per lo più vuote. E poi c’era l’armeria. Perché Gojuin avrebbe dovuto trovarsi proprio lì? E perché aveva chiamato lì anche lei, soprattutto?

In più l’atteggiamento di Kuronuma era sospetto: stava troppo attento ai suoi movimenti per essere un semplice accompagnatore. All’inizio non ci aveva fatto caso, ma quello la stava controllando molto più attentamente di quanto non volesse dare a vedere. Ogni volta che esitava la riprendeva, ogni volta che rallentava un po’ il passo, si voltava per assicurarsi che ci fosse ancora. Perché tutta questa apprensione?

Lanciò un’occhiata preoccupata alla spada legata al fianco dell’altro, che penzolava avanti e indietro seguendo il ritmo dei suoi passi: c’era bisogno di un’arma per andare a chiamare un superiore? Di solito i soldati non giravano armati, a meno che non ce ne fosse motivo. Lei stessa non aveva con sé la sua spada. Purtroppo.

E c’era un’altra cosa, ancora… la strada. Era completamente vuota. Non c’era nessuno. Nemmeno un’anima. Era vero che, essendo l’ala nord poco frequentata, da quelle parti non c’era molto traffico. Ma lei e Kuronuma erano i soli a camminare per quelle strade. E questo faceva suonare mille campanelli d’allarme nella testa della ragazza.

“E’ molto strano che Gojuin sia entrato là dentro…” fece Maya con nonchalance non appena l’edificio fu visibile, “Che cosa è andato a farci?”

“Probabilmente ve lo dirà appena arriverete…” rispose Kuronuma col suo solito sorriso servile.

“A che scopo mi ha chiamato?” continuò lei, senza staccargli di dosso i suoi occhi neri.

“Io ho solo obbedito all’ordine che mi ha dato. Non so altro.” fece l’altro, eludendo così le domande della donna.

Maya si morse un labbro, nervosamente. Kuronuma se la cavava davvero bene a parole. Era davvero bravo a rispondere senza dire niente.

“Come mai non ci sono altri soldati?” azzardò ancora lei, sperando di riuscire a far cadere in fallo l’altro, e avere così una scusa valida per allontanarsi.

“Quante domande state facendo!” commentò con un leggero risolino il soldato, fermandosi per aprire il pesante portone d’ingresso. La porta cigolò mentre Kuronuma lentamente la tirava verso di sé. “Non voglio certo mancarvi di rispetto, ma non siete stata voi ad insegnare a tutti noi che un soldato che parla troppo non è un bravo soldato?”.

Maya lo fissò, cercando di rimanere impassibile: ancora una volta aveva evitato di risponderle. Un’ulteriore prova del suo fare sospetto.

“Da questa parte!” tagliò corto sorridendole Kuronuma, facendole strada all’interno dell’edificio. Maya guardò a terra: quelle stanze erano talmente poco frequentate che la polvere si era stesa sopra il pavimento come un tappeto. Un tappeto immacolato, però. A parte le impronte di Kuronuma, che la stava precedendo, e le sue, non ce n’erano altre. Da nessuna parte. In quella sala, prima di loro, non poteva davvero essere entrato nessun altro. E quella era l’unico accesso all’ala nord. E l’unica uscita.

Le sue pulsazioni cominciarono ad aumentare, ma la ragazza tenne nascosti al suo accompagnatore tutti i suoi pensieri. Tutte le sue certezze.

“Gojuin mi sta aspettando di là?” domandò Maya, fissandolo nella penombra.

Kuronuma si voltò nuovamente, e col suo solito fare subdolamente cortese rispose: “Esattamente. Di là.”

 

“Farò quel che mi chiedi, ma non so per quanto potrò proteggervi.” Disse infine Kanzeon Bosatzu, quando il nipote le ebbe riferito qual era il piano proposto da Tenpou. “Non fraintendermi, voglio assicurarvi tutto il mio appoggio, ma Li Touten non è uno sciocco. Non appena scoprirà che a coprirvi ci sono io – e lo scoprirà – farà di tutto per screditarvi agli occhi dell’imperatore celeste.”

“E’ un’eventualità che abbiamo già preso in considerazione.” Assicurò Konzen.

“Dovrete sbrigarvi a trovare le prove inconfutabili della colpa di Li Touten. Solo così vi garantirete il successo. A parte questo… vi consiglio caldamente due cose…”

“E cioè?” domandò il biondo.

“Diffidate di questo tipo che avrebbe fatto da complice a Li Touten. Per quanto gli stiate presentando una facile via di fuga… potrebbe essere più coinvolto di quanto crediate!”

“E due?”

“Tenete d’occhio Maya. La donna è l’elemento fondamentale per la buona riuscita del vostro piano. Non deve accaderle nulla. Non lasciatela mai sola e fate in modo che nessuno degli scagnozzi di Li Touten le si avvicini. Chiaro?”

Konzen annuì. Era vero, Maya doveva essere protetta, ma conoscendola, di certo non avrebbe tollerato di sentirsi in gabbia. Comunque, se questo fosse stato necessario, l’avrebbe anche legata al letto.

“Sommo Konzen… sommo Konzen!” esclamò uno dei servi, correndogli concitatamente incontro.

Il biondo si voltò, guardando quest’ultimo.

“Cosa c’è?”

“Il bambino…” sussurrò l’altro, ansimando per la corsa.

Konzen non ebbe bisogno d’altro per capire che si trattava di Goku. “Seguimi!” proferì perentoriamente, congedandosi dalla dea con un lieve cenno della testa, “Dove è andato a finire questa volta?” chiese, più rivolto a se stesso che al proprio subordinato. Se le voci sulla morte di Kazue erano già in circolo, doveva assolutamente sbrigarsi: non poteva rischiare che Goku lo venisse a sapere da estranei, sotto forma di pettegolezzo.

Lo trovò a sbraitare con la sua solita irruenza contro uno dei tanti servitori che tentava di trattenerlo.

“Lasciami andare! Voglio uscire!” protestò il bimbetto, proprio nel mezzo del corridoio.

“Ti ho detto di lasciarmi!” urlò, divincolandosi. Tutta la sua esuberanza si placò nello stesso istante in cui vide Konzen fermo a pochi passi da lui. In quei due giorni si erano visti pochissimo.

“Ora basta, Goku! Smettila di fare scenate!” intimò il biondo, col suo solito modo burbero. In cuor suo, ringraziava il bimbetto che gli permetteva di non pensare, almeno per qualche istante, alle sue preoccupazioni.

“Ma Konzen… io mi annoio a stare tutto il giorno in casa! Perché non posso uscire?” domandò con tono supplice il piccolo.

“Non ho detto che non puoi uscire… solo che prima mi devi dire dove vai! E poi… perché devi combinare tutte le volte questo casino?” lo rimproverò, tentando di non sembrare troppo duro.

“Allora, se la metti così, voglio andare a trovare il piccolo Ten e il fratellino Ken! E poi anche Kazue e Maya! Posso?”

Konzen si sentì meschino: se avesse avuto il coraggio di dirgli come stavano realmente le cose…

“No. Adesso non puoi. Hanno da fare. Non possono stare dietro a te ogni volta che ne hai voglia! Se proprio vuoi uscire, vai in giardino.” Propose.

“Ma lì non c’è nessuno…”

“Non mi dire che hai bisogno per forza di qualcuno per combinarne una delle tue…” mormorò con ironia il biondo. “Senti Goku, io adesso…”

Non fece in tempo a finire di parlare che il bambino se l’era già filata, dimentico di tutti i discorsi del tutore.

“Mai una volta che mi stia a sentire! Dovrò decidermi a fargli una bella predica, uno di questi giorni!” disse tra sé, sospirando.

Aveva deciso di tornare da Tenpou a riferire della sua chiacchierata con Kanzeon Bosatzu, quando, lungo uno degli innumerevoli porticati, il suo sguardo incontrò quello di un altro dio.

“Homura.” Pensò. Non sapeva poi molto di lui, tranne il fatto che era in qualche modo parente di Kazue e che era un essere eretico.

“Konzen…” mormorò in segno di saluto quello. A modo proprio, era un uomo estremamente intrigante. I suoi occhi di colore diverso racchiudevano una grande sensibilità.

“Homura… che ci fai da queste parti?”

“Passavo di qui. Cerchi Tenpou?”

“Non sono affari che ti riguardano.” Tagliò corto Konzen.

“E’ vero. Comunque… sono tutti corsi dietro a Maya. Credo che si sia cacciata nei guai! Erano tutti piuttosto preoccupati.” Insinuò Homura.

“Cosa??”

Konzen impallidì: “Dove…”

“Da quella parte.” Si limitò ad indicare l’altro.

Konzen non aggiunse altro e cominciò a correre lungo il porticato a perdifiato.

  
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