Non
sapeva bene cosa dire o come affrontare l’argomento, ma non appena Konzen
raggiunse la porta dell’ufficio di Kanzeon Bosatzu decise che era ora di
finirla con i tentennamenti.
“Chissà
se lo sa già…” si chiese, bussando. Non attese l’invito ad entrare, non lo
aveva mai fatto, tanto più che sua zia se ne stava tutto il giorno a languire…
non l’avrebbe di certo disturbata.
“Sommo
Konzen!” esclamò il servitore della dea, Jiroshin, nel vederlo entrare.
“Mia
zia…”
“Da
questa parte, prego.” Rispose l’altro, invitandolo a seguirlo.
Come
immaginava, la divinità karmica assoluta e vanagloriosa se ne stava
tranquillamente adagiata su una comoda sedia, intenta al nulla.
“Konzen…”
mormorò, non appena scorse il nipote. Forse per le voci che aveva sentito o
forse per il pallore del viso di quest’ultimo, la dea si trattenne dal fare le
sue solite battute.
“Non
sei qui per i soliti documenti.” Lo anticipò, “Sei particolarmente pallido… che
è successo?”
Ci
volle un po’ prima che il biondo riuscisse a trovare il modo più breve ed
esauriente per raccontare quanto era accaduto in quegli ultimi due giorni.
“Ti
direi che mi dispiace molto… se non suonasse così banale. Cosa conti di fare
adesso?” domandò la dea, dopo aver ascoltato il racconto del nipote. E così,
quello che aveva sentito proprio quella mattina era vero. Kazue era morta. Una
storia davvero triste; ma quel che – fortunatamente o sfortunatamente – in giro
ancora non si sapeva era il modo in cui tutto ciò era accaduto e il perché.
“Dopo
tutto quello che mi hai detto, non c’è da stupirsi che Li Touten voglia vedere
alcuni di voi morti. Starei molto attenta, se fossi in voi… Comunque, per
quanto riguarda Kazue, in giro ancora si sa poco. Sono solo voci. Io stessa ho
pensato che si trattasse di un malinteso, prima che tu mi confermassi questa
storia.” Assicurò Kanzeon.
“Prima
o poi si verrà a sapere comunque… ma, Tenpou ritiene che sia meglio tenerlo
nascosto il più a lungo possibile. Inoltre, non mi va di doverne parlare con
estranei.”
“Tenpou
è un ragazzo molto saggio. Hai la mia parola che me ne starò zitta. Ma a parte
questo? Non sei venuto qui per raccontarmi l’accaduto!” intuì la dea, i cui
occhi si erano fatti improvvisamente scuri e attenti.
“No.” Fu la risposta del dio, diretta e precisa, tagliente e
sferzante come il morso di un nerbo.
Maya balzò a sedere sul
letto, portandosi una mano alla bocca, ma la sua mano si rivelò incapace di
trattenere il grido che le era esploso dal cuore. Per qualche istante rimase terrorizzata,
stringendo le coperte, come se potessero esserle utili per proteggersi … poi,
stordita e stupita dalla sua stessa reazione, si lasciò ricadere sulla testiera
del letto. Si sentiva ricoperta di sudore freddo e il cuore le batteva così
forte da lasciarla quasi senza respiro. E soprattutto si sentiva incapace di
recuperare la lucidità necessaria per ragionare, incapace di scacciare con la
forza della ragione il terrore che la stava attanagliando… ma il tempo passava
e attorno a lei non accadeva niente. Perciò deglutì e, cercando di calmarsi, si
guardò intorno alla ricerca di punti di riferimento. Quel sogno terribile che
l’aveva svegliata le aveva strappato completamente ogni sicurezza, e si
ritrovava ad annaspare in una tempesta di confusione ed incertezza. Mentre,
respirando profondamente, tentava di recuperare la calma, cominciò a mettere
ordine nei suoi ricordi recenti. E ci mise un po’ prima di ricordarsi che
quella sera non era tornata a casa, che era rimasta a dormire da Tenpou, per
cui quella doveva essere la sua stanza. Maya lo cercò nell’altra metà del letto
ma, tristemente, notò che quella era rimasta vuota.
Tenpou di certo voleva farle un favore, andandosene senza
svegliarla: dopo tutto quello che le era capitato tra capo e collo, aveva
bisogno di riposare per recuperare le forze. Sicuramente aveva pensato così:
non poteva sapere che, invece, quel sonno che le aveva regalato aveva finito
solo per farle vivere quell’incubo. E che in quel momento Maya avrebbe dato
qualunque cosa pur di non doversi ritrovare da sola.
Con passo malfermo uscì timidamente dalla stanza, ma non era
solo quella ad essere vuota. Anche la casa lo era. La ragazza si guardò
attorno, sentendo un groppo salirle in gola: libri sparsi nei posti più
impensati, bicchieri vuoti o quasi rovesciati sul tavolo, sedie spostate… solo
queste cose, solo i segni del passaggio di Tenpou e Kenren le erano rimasti per
farsi forza.
Si sedette su una sedia e si prese la testa tra le mani: chi
l’avrebbe detto? Aveva ancora lacrime per piangere… sospirò, cercando di
scuotersi un po’, ma l’inquietudine che l’aveva presa da quando aveva aperto
gli occhi non le dava tregua. Con rabbia sbatté un pugno sul tavolo: possibile
che fosse così debole da farsi condizionare a quel modo solo da un sogno?
Un raggio di sole attraversò una finestra, appoggiandosi sul
suo viso e scaldandoglielo. Quello era segno che ormai era giorno fatto, anche
se le tende, tirate quasi completamente, non permettevano di dirlo con
certezza.
Maya sorrise amaramente: fin da bambina le era stato detto
che gli spettri della notte si dissolvono a cospetto della luce del giorno… ma
allora perché i suoi continuavano a tormentarla?
Era perché, inconsciamente prima che razionalmente, si era
resa conto di quanto fosse precaria la sua condizione in quel momento? Era
perché, in fondo al suo cuore, assieme al coraggio e alla rabbia, c’era anche
la paura di non essere abbastanza forte per riuscire a fare giustizia? Era
questo che la spaventava tanto?
Si alzò e raggiunse la finestra: le tende erano ancora
tirate, ma non del tutto, così la luce riusciva a farsi largo, anche se a
fatica, tra le pieghe della stoffa. Lentamente prese tra le mani il leggero
tessuto, con sguardo perso: ancora una volta l’immagine che le era apparsa in
sogno le attraversò la mente.
Quella era Kazue. Era senz’altro lei, Kazue si muoveva in
quel modo, portava quei vestiti l’ultima volta che l’aveva vista…ma il viso no.
Non era quello di Kazue. Era il suo.
Un nuovo singhiozzo la scosse: non era cambiato niente in lei,
il fuoco che le bruciava dentro, che la divorava, quello stava ancora
divampando. Ma, sottile, una sensazione terribile aveva cominciato a stringerla
piano. Una sensazione che, più passava il tempo, più si trasformava in qualcosa
di simile ad una certezza. E quella sensazione le diceva che quello di
vendicare Kazue sarebbe stato il suo ultimo desiderio.
Maya scosse la testa e risollevò lo sguardo: i suoi occhi
neri bruciavano tra le lacrime.
“Non morirò prima di finire quello che ho cominciato…”
mormorò con un soffio di voce, stringendo più forte le tende con i pugni
serrati, “Non è giusto… non è…”
Sospirò piano. “Affidarsi alle sensazioni è come cercare di
costruire una casa sulla sabbia. Inutile e pericoloso, perché in esse non c’è
nulla di razionale.” Di certo Tenpou le avrebbe risposto così. E anche Kazue.
Il pensiero dei due amici l’aveva appena fatta sentire meglio
quando, ancora una volta, quell’immagine le si riaffacciò alla mente, terribile
e angosciante anche più di prima.
“Sparisci!” gridò con rabbia, spalancando di colpo le tende e
lasciandosi travolgere dalla luce del mattino.
“Il generale Gojuin ha chiesto di voi.” si era limitato ad
informarla Kuronuma, presentandolesi poco dopo che era uscita di casa. Maya era
rimasta molto sorpresa da quell’inaspettato e tempestivo incontro: aveva appena
svoltato l’angolo e se lo era ritrovato davanti.
“Mi stavi forse aspettando, Kuronuma?” gli chiese aggrottando
leggermente le sopracciglia.
Quello sostenne il suo sguardo, anche se rispose con una
certa nota di tentennamento: “Sì… infatti.”
“E dov’è ora il generale?” domandò ancora Maya.
“Vi ci conduco io. Seguitemi, da questa parte.” concluse
Kuronuma col suo solito tono accomodante. Un tono che a Maya non era mai
piaciuto, e che – quel giorno – le piaceva ancora di meno.
Da dietro ad un albero, Homura si sporse per guardare i due
allontanarsi. Ormai era così bene abituato a vivere nell’ombra e a defilarsi
non appena qualcuno compariva, che era in grado di non far nemmeno sentire la
propria presenza. Ma questo non significava che ciò che accadeva attorno non
gli lo interessasse minimamente. Lui non dimenticava. Non dimenticava nulla. Si
ricordava benissimo di quel soldato e del trattamento che gli aveva riservato
neanche tanto tempo prima. E si ricordava anche dell’intervento di quella
donna. E così era una sottoposta di Gojuin. Era proprio la Maya di cui aveva
tanto sentito parlare… e veramente poche volte in termini lusinghieri. Ecco
perché se l’era tanto presa quando quel gruppetto si era messo a insultarlo.
Doveva sapere più che bene che cosa significasse essere disonorati da parole
ingiuste e cattive.
Homura rimase a guardare i due allontanarsi per qualche
attimo ancora; poi, silenzioso come si era rivelato, scomparve tra le ombre.
“Non stiamo andando all’ufficio di Gojuin…” fece notare Maya.
Forse era troppo condizionata dalle raccomandazioni di Tenpou e dalle sue
stesse paure, ma non riusciva a stare tranquilla.
“No, infatti.” si limitò a rispondere quello, continuando a
camminarle davanti.
“Perché no?” lo incalzò lei.
“Semplicemente perché non si trova lì.” la liquidò nuovamente
il soldato.
Maya si sentì molto sciocca, e non aggiunse altro. Continuò a
seguire Kuronuma, concentrandosi nei suoi pensieri: doveva sospettare? Vista la
posizione che ricopriva nel piano di Tenpou, sarebbe stato saggio dubitare di
tutto e tutti. Ma Kuronuma… per quanto fosse subdolo, era troppo vigliacco per
essere veramente pericoloso. In tutto quel tempo, l’aveva conosciuto bene. E
poi che legame poteva esserci tra lui e Li Touten? Perché il vero pericolo, per
lei, era Li Touten… chi altri avrebbe potuto volerle fare del male?
Kuronuma, davanti all’ennesimo bivio, si incamminò con passo
deciso verso la meta. Quella meta che conosceva solo lui. Maya, prima di
prendere la stessa strada, esitò un istante e si voltò all’indietro.
“Qualcosa non va?” le chiese Kuronuma, notando il suo
ritardo. Maya non gli rispose, ma si rimise in cammino, sperando con tutto il
suo cuore di sentire alle sue spalle il rumore dei passi di Tenpou o Kenren
accorrere per aiutarla.
“Maya sta forse male?” chiese una voce alle loro spalle.
Tenpou e Kenren si voltarono, ritrovandosi di fronte a Gojuin. Kenren non
riuscì a fare a meno di esibirsi in una smorfia davvero poco educata, ma
d’altro canto nemmeno Gojuin fece molto per nascondere la sua scarsa felicità
nel doversi rivolgere proprio a lui. Tuttavia, pensò Tenpou, nonostante questo
il generale aveva messo da parte l’orgoglio ed era venuto a cercarli
personalmente: per cui valeva davvero la pena di rispondergli.
“Il suo turno è cominciato qualche ora fa, ma non si è ancora
presentata…” continuò a spiegare Gojuin, rivolgendosi a Tenpou.
“No…” fece quello, guardandolo con i suoi occhi verdi
attenti, “È solo che da quando…” Tenpou si bloccò immediatamente: doveva stare
attento a quello che diceva. Stava per dire “… da quando Kazue è morta”, ma non
sapeva ancora se la notizia della morte della ragazza era diventata di dominio
pubblico oppure no. E in quell’ultimo caso, avrebbe commesso una leggerezza
imperdonabile dimostrando di saperlo già.
“… Da quando hanno cominciato a modificare di continuo i
turni e gli orari, capita spesso che si faccia confusione.”
Gojuin lo fissò attentamente per qualche istante; Tenpou
sostenne il suo sguardo, anche se quegli occhi rossi gli facevano capire che
l’altro non aveva mangiato la foglia.
“Sono andato a chiamarla a casa sua, ma mi è stato detto che
ieri notte non è tornata a casa.” Spiegò brevemente il generale.
Kenren alzò un sopracciglio, e si voltò per non guardarlo.
Quel suo modo di insinuare le cose gli faceva venire i nervi. “Se sapevate già
che era a casa nostra, avreste potuto fare meno giri di parole e dircelo
subito.” sbottò, mettendosi le mani in tasca.
Gojuin gli dedicò solo uno sguardo piuttosto freddo, per poi
ignorarlo di nuovo completamente.
“E ad ogni modo…” riprese il moro, sprezzante, “…non ne
uscirà contaminata, non temete…”
“Kenren…” lo ammonì Tenpou. Non potevano permettersi di farsi
altri nemici.
Gojuin rimase imperturbabile. Continuando a guardare il
generale dagli occhi verdi, rispose: “Ieri Maya non stava bene, e nessuno al
mondo riuscirà a farmi credere che mi sono sbagliato. Dal momento che voi
conoscete di lei molte più cose di quante ne sappia io, mi ero chiesto se per caso
voi… ma non fa niente. Del resto, non sono affari che mi riguardano.”
Tenpou abbassò lo sguardo: Gojuin era preoccupato per lei. A
suo modo, voleva aiutarla e si era rivolto a loro per farlo. Ma lui non poteva
rivelargli che cosa stava facendo soffrire Maya.
“Credo che… qualunque cosa sia successo… Maya abbia fatto
bene a restare con voi, ieri, se era quello che voleva. Ma il suo turno è già
cominciato da ore. Non posso continuare a coprirla per tutto il giorno.”
continuò il generale, pacatamente.
“Certo, me lo immagino.” annuì l’altro, sistemandosi gli
occhiali, “Seguitemi. Probabilmente starà ancora dormendo.” Detto questo, si
incamminò verso casa sua. Gojuin e Kenren rimasero per un istante a guardarsi
torvi. Poi il primo, senza dire nulla, si voltò e cominciò a seguire Tenpou.
Kenren tardò qualche secondo ancora, sbuffando. Poi, di cattivo umore e con
passo strascicato, si unì al gruppetto.
Homura sentì altri passi muoversi verso di lui. Passava molta
gente di lì, quel giorno. Fin troppa. Come faceva sempre, si mosse per
ritirarsi nell’anonimato degli angoli, ma quando si accorse di chi stesse
passando, si fermò di botto.
Il primo ad accorgersi di lui fu ovviamente Tenpou, che stava
in testa al gruppo. Ma lo sguardo di Homura era fisso su Gojuin, non su di lui.
Senza capire, il generale guardò coi suoi occhi verdi verso l’altro. Anche
Gojuin si era accorto dello sguardo di Homura, ma nemmeno lui sembrava
conoscere il motivo di tanto interesse.
“Voi…” balbettò quello, aggrottando preoccupato le sopracciglia.
Gojuin si fermò, guardandolo interrogativamente.
“Quel soldato ha detto che la stavate aspettando…” continuò
Homura, fissandolo gravemente.
“Chi stavo aspettando?” chiese Gojuin.
“Quella donna… Maya…” rispose l’altro.
Appena ebbe pronunciato quel nome, Tenpou e Kenren gli furono
addosso: “Quale soldato? E dove l’ha portata?” gli chiese il moro, pallido e
tirato come mai in vita sua.
Homura indicò loro con lo sguardo la direzione che gli altri
due avevano preso, e immediatamente si lanciarono in una corsa a rotta di collo
lungo quella strada. Davanti alla loro reazione, Gojuin non esitò un istante, e
si fiondò a sua volta dietro agli altri due.
“Avete qualche problema?” le chiese Kuronuma, voltandosi
appena a guardarla. Maya sussultò all’osservazione del soldato, presa com’era
dai suoi pensieri.
“No…perché?” rispose, studiandolo.
“Mi pareva che aveste rallentato il passo…” spiegò lui con
calma, riprendendo a camminare guardando davanti a sé.
La ragazza non aggiunse altro, ma ormai aveva capito. Aveva
capito che qualcosa non andava. C’erano troppi punti poco chiari. E nella
situazione in cui era, tutto ciò che risultava poco chiaro era anche
terribilmente pericoloso.
Per prima cosa, Kuronuma la stava portando nell’ala a nord
del palazzo. Ma Gojuin non aveva nessun motivo per trovarsi lì: non c’erano
uffici da quelle parti, non c’erano sale, non c’era niente. Erano anni che era
in disuso. Non c’era altro che un grande labirinto di corridoi e stanze per lo
più vuote. E poi c’era l’armeria. Perché Gojuin avrebbe dovuto trovarsi proprio
lì? E perché aveva chiamato lì anche lei, soprattutto?
In più l’atteggiamento di Kuronuma era sospetto: stava troppo
attento ai suoi movimenti per essere un semplice accompagnatore. All’inizio non
ci aveva fatto caso, ma quello la stava controllando molto più attentamente di
quanto non volesse dare a vedere. Ogni volta che esitava la riprendeva, ogni
volta che rallentava un po’ il passo, si voltava per assicurarsi che ci fosse
ancora. Perché tutta questa apprensione?
Lanciò un’occhiata preoccupata alla spada legata al fianco
dell’altro, che penzolava avanti e indietro seguendo il ritmo dei suoi passi:
c’era bisogno di un’arma per andare a chiamare un superiore? Di solito i
soldati non giravano armati, a meno che non ce ne fosse motivo. Lei stessa non
aveva con sé la sua spada. Purtroppo.
E c’era un’altra cosa, ancora… la strada. Era completamente
vuota. Non c’era nessuno. Nemmeno un’anima. Era vero che, essendo l’ala nord
poco frequentata, da quelle parti non c’era molto traffico. Ma lei e Kuronuma
erano i soli a camminare per quelle strade. E questo faceva suonare mille
campanelli d’allarme nella testa della ragazza.
“E’ molto strano che Gojuin sia entrato là dentro…” fece Maya
con nonchalance non appena l’edificio fu visibile, “Che cosa è andato a farci?”
“Probabilmente ve lo dirà appena arriverete…” rispose
Kuronuma col suo solito sorriso servile.
“A che scopo mi ha chiamato?” continuò lei, senza staccargli
di dosso i suoi occhi neri.
“Io ho solo obbedito all’ordine che mi ha dato. Non so
altro.” fece l’altro, eludendo così le domande della donna.
Maya si morse un labbro, nervosamente. Kuronuma se la cavava
davvero bene a parole. Era davvero bravo a rispondere senza dire niente.
“Come mai non ci sono altri soldati?” azzardò ancora lei,
sperando di riuscire a far cadere in fallo l’altro, e avere così una scusa
valida per allontanarsi.
“Quante domande state facendo!” commentò con un leggero
risolino il soldato, fermandosi per aprire il pesante portone d’ingresso. La
porta cigolò mentre Kuronuma lentamente la tirava verso di sé. “Non voglio
certo mancarvi di rispetto, ma non siete stata voi ad insegnare a tutti noi che
un soldato che parla troppo non è un bravo soldato?”.
Maya lo fissò, cercando di rimanere impassibile: ancora una
volta aveva evitato di risponderle. Un’ulteriore prova del suo fare sospetto.
“Da questa parte!” tagliò corto sorridendole Kuronuma,
facendole strada all’interno dell’edificio. Maya guardò a terra: quelle stanze
erano talmente poco frequentate che la polvere si era stesa sopra il pavimento
come un tappeto. Un tappeto immacolato, però. A parte le impronte di Kuronuma,
che la stava precedendo, e le sue, non ce n’erano altre. Da nessuna parte. In
quella sala, prima di loro, non poteva davvero essere entrato nessun altro. E
quella era l’unico accesso all’ala nord. E l’unica uscita.
Le sue pulsazioni cominciarono ad aumentare, ma la ragazza
tenne nascosti al suo accompagnatore tutti i suoi pensieri. Tutte le sue
certezze.
“Gojuin mi sta aspettando di là?” domandò Maya, fissandolo
nella penombra.
Kuronuma si voltò nuovamente, e col suo solito fare
subdolamente cortese rispose: “Esattamente. Di là.”
“Farò
quel che mi chiedi, ma non so per quanto potrò proteggervi.” Disse infine Kanzeon
Bosatzu, quando il nipote le ebbe riferito qual era il piano proposto da
Tenpou. “Non fraintendermi, voglio assicurarvi tutto il mio appoggio, ma Li
Touten non è uno sciocco. Non appena scoprirà che a coprirvi ci sono io – e lo
scoprirà – farà di tutto per screditarvi agli occhi dell’imperatore celeste.”
“E’
un’eventualità che abbiamo già preso in considerazione.” Assicurò Konzen.
“Dovrete
sbrigarvi a trovare le prove inconfutabili della colpa di Li Touten. Solo così
vi garantirete il successo. A parte questo… vi consiglio caldamente due cose…”
“E
cioè?” domandò il biondo.
“Diffidate
di questo tipo che avrebbe fatto da complice a Li Touten. Per quanto gli stiate
presentando una facile via di fuga… potrebbe essere più coinvolto di quanto
crediate!”
“E
due?”
“Tenete
d’occhio Maya. La donna è l’elemento fondamentale per la buona riuscita del
vostro piano. Non deve accaderle nulla. Non lasciatela mai sola e fate in modo
che nessuno degli scagnozzi di Li Touten le si avvicini. Chiaro?”
Konzen
annuì. Era vero, Maya doveva essere protetta, ma conoscendola, di certo non
avrebbe tollerato di sentirsi in gabbia. Comunque, se questo fosse stato
necessario, l’avrebbe anche legata al letto.
“Sommo
Konzen… sommo Konzen!” esclamò uno dei servi, correndogli concitatamente
incontro.
Il
biondo si voltò, guardando quest’ultimo.
“Cosa
c’è?”
“Il
bambino…” sussurrò l’altro, ansimando per la corsa.
Konzen
non ebbe bisogno d’altro per capire che si trattava di Goku. “Seguimi!” proferì
perentoriamente, congedandosi dalla dea con un lieve cenno della testa, “Dove è
andato a finire questa volta?” chiese, più rivolto a se stesso che al proprio
subordinato. Se le voci sulla morte di Kazue erano già in circolo, doveva
assolutamente sbrigarsi: non poteva rischiare che Goku lo venisse a sapere da
estranei, sotto forma di pettegolezzo.
Lo
trovò a sbraitare con la sua solita irruenza contro uno dei tanti servitori che
tentava di trattenerlo.
“Lasciami
andare! Voglio uscire!” protestò il bimbetto, proprio nel mezzo del corridoio.
“Ti
ho detto di lasciarmi!” urlò, divincolandosi. Tutta la sua esuberanza si placò
nello stesso istante in cui vide Konzen fermo a pochi passi da lui. In quei due
giorni si erano visti pochissimo.
“Ora
basta, Goku! Smettila di fare scenate!” intimò il biondo, col suo solito modo
burbero. In cuor suo, ringraziava il bimbetto che gli permetteva di non
pensare, almeno per qualche istante, alle sue preoccupazioni.
“Ma
Konzen… io mi annoio a stare tutto il giorno in casa! Perché non posso uscire?”
domandò con tono supplice il piccolo.
“Non
ho detto che non puoi uscire… solo che prima mi devi dire dove vai! E poi…
perché devi combinare tutte le volte questo casino?” lo rimproverò, tentando di
non sembrare troppo duro.
“Allora,
se la metti così, voglio andare a trovare il piccolo Ten e il fratellino Ken! E
poi anche Kazue e Maya! Posso?”
Konzen
si sentì meschino: se avesse avuto il coraggio di dirgli come stavano realmente
le cose…
“No.
Adesso non puoi. Hanno da fare. Non possono stare dietro a te ogni volta che ne
hai voglia! Se proprio vuoi uscire, vai in giardino.” Propose.
“Ma
lì non c’è nessuno…”
“Non
mi dire che hai bisogno per forza di qualcuno per combinarne una delle tue…”
mormorò con ironia il biondo. “Senti Goku, io adesso…”
Non
fece in tempo a finire di parlare che il bambino se l’era già filata, dimentico
di tutti i discorsi del tutore.
“Mai
una volta che mi stia a sentire! Dovrò decidermi a fargli una bella predica,
uno di questi giorni!” disse tra sé, sospirando.
Aveva
deciso di tornare da Tenpou a riferire della sua chiacchierata con Kanzeon
Bosatzu, quando, lungo uno degli innumerevoli porticati, il suo sguardo
incontrò quello di un altro dio.
“Homura.”
Pensò. Non sapeva poi molto di lui, tranne il fatto che era in qualche modo
parente di Kazue e che era un essere eretico.
“Konzen…”
mormorò in segno di saluto quello. A modo proprio, era un uomo estremamente
intrigante. I suoi occhi di colore diverso racchiudevano una grande
sensibilità.
“Homura…
che ci fai da queste parti?”
“Passavo
di qui. Cerchi Tenpou?”
“Non
sono affari che ti riguardano.” Tagliò corto Konzen.
“E’
vero. Comunque… sono tutti corsi dietro a Maya. Credo che si sia cacciata nei
guai! Erano tutti piuttosto preoccupati.” Insinuò Homura.
“Cosa??”
Konzen
impallidì: “Dove…”
“Da
quella parte.” Si limitò ad indicare l’altro.
Konzen
non aggiunse altro e cominciò a correre lungo il porticato a perdifiato.