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Autore: Ivola    24/11/2013    6 recensioni
Le storie di Panem sono varie e numerose. Avete mai sentito parlare dei promessi del Distretto 6, quei due ragazzi che avrebbero fatto di tutto pur di ammazzarsi a vicenda e non sposarsi? Loro sono solo una sfocatura, come tanti altri.
Klaus e London. London e Klaus.
Un altro matrimonio combinato, le persone sbagliate, un cuore solitario, e tutto ciò che (non) può essere definito amore.

▪ VI: « Che cosa mi stai facendo? » ansimò la ragazza, tentando di aggrapparsi alle sue spalle. Era decisamente una domanda stupida, visto che era piuttosto evidente cosa il ragazzo stesse facendo. [...]
Klaus non si degnò neanche di rispondere, ben concentrato a muoversi sul suo corpo con gli occhi distanti e le labbra socchiuse. Non aveva né la voglia né la forza di ribattere, per cui la zittì con un bacio rabbioso. « Taci » le sussurrò, corrugando la fronte e mantenendo le labbra a pochi centimetri dalle sue nel caso London avesse deciso di parlare ancora.

▪ XIII: « Perché lo state- no, perché lo stai facendo? »
L’altro lo guardò bene negli occhi, con un’espressione che Klaus non seppe decifrare.
[...]
« Mert szeretlek » rispose Ben semplicemente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Note: Salve a tutti!
Tanto per citare Marty, “questo capitolo è tutto un litigio”. Quindi preparatevi ad una buona dose di insulti random e incazzature difficili da sbollire.
E… SIAMO A META’! Mi fa un effetto stranissimo. Ho cominciato a scrivere Blur alla fine di marzo, se non erro, ed ora essere arrivata a questo punto mi rende orgogliosa :') Od “orgogliona”, come direbbe un animatore che conosco.
Sciocchezze a parte, spero vi piaccia perché mancano solo 4 capitoli all’inizio della terza parte, che sicuramente sarà quella più difficile sia da scrivere che da sorbire. Probabilmente solo allora inserirò il genere “drammatico” nello specchietto. Ci tengo ad avvisarvi perché secondo me in molti rimarranno un po’ di melma, quindi ricordate che la Ivols ve l’aveva detto.
Parlando di questo capitolo, non lo so se mi piace. Ho usato pochissima introspezione, ma più che altro perché volevo far risaltare le loro parole e i loro gesti.
E, sì, alla fine sono stata… stronza, concedetemelo.
Voglio ringraziare di cuore i 15 preferiti, 1 ricordate e 27 seguiti, sono molto felice che questa storia non sia poi molto malcagata. Inoltre ci terrei davvero moltissimo ad avere qualche parere aggiuntivo, ma it’s occhei.
Ricordate che la cioccolata calda è buona, a differenza della marmellata di lamponi.
Niente, ora vado.

Buona lettura ♥

Il titolo del capitolo viene da "Hurricane" dei 30 Seconds to Mars feat. Kanye West.
Amo alla follia questa canzone, quindi amatela con me. 

Questo banner è stato realizzato sotto la gentile concessione di SimoBrev's Pics; ϟ


















 

Tantissimi auguri a  
Chiara, Greta e Ilaria,
giusto perché sono una ritardataria♥




 
















Blur

(Tied to a Railroad)






015. Fifteenth Chapter – Too many bad notes in our symphony.




London rimase immobile sul divano a fissare il fratello, che era seduto sulla poltrona di fronte a lei, con occhi… arrabbiati, quasi.
Lui le stava raccontando placidamente di quello che aveva fatto in giornata, con il solito e radioso sorriso sulle labbra, ma capiva che c’era qualcosa che non andava. Sua sorella non lo stava ascoltando, infatti.

« Me l’ha detto » disse candidamente lei.
Ben si bloccò, interdetto. 
« Cosa? »
« Klaus me l’ha detto » precisò la ragazza, incrociando le braccia saldamente.
Benjamin non capiva di cosa stesse parlando, per cui si limitò ad esternare un’espressione interrogativa.
London alzò gli occhi al cielo, infastidita dal comportamento del gemello più di quanto non volesse darlo a vedere. 
« Che siete stati a letto insieme, qualche tempo fa. Se non erro sono passati poco meno di cinque anni, giusto? »
Ben sbiancò improvvisamente e i suoi occhi si ingrandirono.
« Già » continuò l’altra, constatando che il fratello aveva appreso l’argomento. « Buffo, no, che sia stato lui a dirmelo? »
« Londie… » cominciò lui, ma la voce gli morì in gola, quando notò che lo sguardo della gemella stava vacillando e le prime lacrime facevano capolino alla base delle sue lunghe ciglia. Era da tempo immemore che non la vedeva piangere, e per un attimo si sentì terribilmente in colpa.
« Non me l’hai mai detto » mormorò London, trattenendo un singhiozzo arrabbiato, sebbene le rughe che le si erano formate sulla fronte facessero notare bene quanto si stesse trattenendo per non esplodere – o implodere, da un altro punto di vista.
« Che cosa ti ha detto, di preciso? » bisbigliò Ben, temendo più che mai la reazione dell’altra.
« Per fortuna mi ha risparmiato i dettagli, ma so abbastanza » sbottò lei, asciugandosi gli occhi con le nocche.
« … mi dispiace » sussurrò il fratello, ma London finse di non sentirlo neanche.
« Non è vero che ti dispiace! » gridò allora, scattando in piedi. « Tu sei innamorato di lui; non è così, Ben»
Eccola. Eccola la domanda che più lo terrorizzava al mondo. Ne restò disarmato, fissando la sorella con sguardo quasi supplichevole.
Poi abbassò la testa, forse per evitare di fare i conti con la realtà. 

« Anche tu » riuscì a dire soltanto, e forse fu la peggiore delle repliche che potesse venirgli in mente.
« Non ha importanza! » urlò ancora London. « Klaus è… è… »
« Tuo? » concluse Ben amaramente con un sorriso tirato.
London sgranò gli occhi e non seppe più cosa dire. Non sapeva neanche se fosse arrabbiata perché Ben le aveva tenuto nascosta quella questione per tutto quel tempo; se fosse arrabbiata perché suo fratello amava Klaus probabilmente da sempre e non gliel’aveva mai detto; se fosse arrabbiata perché ormai Klaus era suo marito e nessuno poteva mettersi in mezzo… neanche Ben.

« Ti direi di non immischiarti, ma ormai è già troppo tardi » mormorò la ragazza, cominciando a girare per il salotto nervosamente. « Adesso capisco. Adesso capisco perché non mi hai mai risposto quando dicevo di amare soltanto te, adesso capisco perché vuoi aiutare Klaus a tutti i costi e adesso capisco anche perché non te ne è mai importato delle altre ragazze. » London continuò a vagare per la stanza, non curandosi di quello che stava provando a dire il gemello.
« Non era molto difficile, da capire » commentò tra sé l’altro, ma la sorella lo bloccò ancora riprendendo con le sue considerazioni ad alta voce.
« Mi hai mentito, mi hai mentito per tutto questo tempo senza fregarti di quello che avrei potuto pensare se solo l’avessi saputo prima. Sei un egoista! Mi hai tenuto all’oscuro di questo segreto quando io invece ti ho sempre detto quello che mi passava per la testa- »
« Questo non è vero » la interruppe il fratello improvvisamente, alzandosi dalla poltrona con i pugni serrati. « Anche tu mi hai sempre mentito. Sempre. In special modo riguardo ai tuoi sentimenti per Klaus, se proprio vogliamo restare in tema. »
London si girò di scatto verso di lui, lanciandogli uno sguardo furente.
« E, se permetti » riprese lui, « direi che l’egoista qui non sono io. »
« Cosa stai insinuando? » sibilò la gemella, stringendo ugualmente i pugni per trattenere la frustrazione.
« Lo sai bene cosa sto insinuando. »
London venne accecata dalla rabbia e, in un raptus istantaneo, gli si avvicinò e lo schiaffeggiò con violenza.
Lei stessa rimase spiazzata da quel gesto, e la mano con cui l’aveva colpito cominciò a tremare, insieme a tutto quello che si stava tenendo dentro. Tutto sarebbe presto crollato, e le sue certezze sarebbero state distrutte da quell’improvviso uragano.

« Tu… avresti… avresti dovuto dirmelo » disse piena di collera, con la mano ancora alzata. Ben si tastò la guancia e fissò la sorella con gli occhi spalancati, increduli e colmi di qualcosa che neanche lui riusciva a decifrare.
« Sai, sorellina? » fece il ragazzo a denti stretti, « non sempre ci sei tu al centro del mondo. »
L’altra fece un passo indietro, scossa da tutta quella situazione, abbassando le braccia lungo i fianchi.
« Tanto a nessuno importa di me, no? » chiese Ben retoricamente. « A nessuno può fregare minimamente di quello che sta passando Benjamin, perché Benjamin è trascurabile, ingombrante, insignificante. » Fece una breve pausa e London vide che, nel mentre, il labbro inferiore gli tremava e la sua solita espressione gentile era stata sostituita da una fredda e distaccata, come se stesse parlando di un’altra persona. « Benjamin è un accessorio che si può utilizzare comodamente quando le cose vanno male, perché tanto a lui non dispiace. E non gli dispiacerà mai aiutare la gente, specialmente se si tratta delle uniche due persone importanti della sua vita, anche a costo di farsi mettere i piedi in testa, anche a costo di passare inosservato o di non essere capito. E, vuoi sapere cos’altro ti dico? » aspettò che la sorella gli rispondesse, ma la ragazza non fiatò, immobile davanti a lui con le guance rigate. « Adesso basta. »
London si rese conto di quello che era appena accaduto solo in quel momento. Non aveva mai litigato così con Ben, mai.
« Ben… io… non volevo… » mormorò, ma il gemello non la ascoltò neanche.
« No » fece il ragazzo, scuotendo la testa per rimarcare il concetto. « Non importa. Hai Klaus tutto per te, no? Potete scopare allegramente come ricci a mia insaputa, fare finta di odiarvi ancora quando è solo una maledetta bugia, non parlarvi per giorni e poi tornare a fingere solo perché il vostro orgoglio è così incrollabile da tenervi ancorati a questa menzogna che voi stessi avete creato per chissà quale stupido motivo, mentre intanto sono tagliato fuori dalla vostra vita. Va bene così, lascia stare. »
Si avviò verso la porta e, prima di andarsene, si voltò un’ultima volta e notò che London aveva ricominciato a piangere silenziosamente. E in quel momento sarebbe stato lui a voler piangere, a voler capovolgere il mondo e a gridare quanto fosse orribile restare a guardare quella storia come un semplice e superfluo spettatore.
Sarebbe dovuto essere lui quello da consolare, comprendere e voler bene.
Ma Klaus e London erano troppo occupati a rendersi la vita impossibile a vicenda per accorgersene, o importarsene.
E Ben era semplicemente troppo buono per incolparli del tutto.

« Scusami » singhiozzò lei, con le spalle tremanti.
« Ricordati che la tua felicità è più importante della mia » disse infine Ben. « Ricordatelo e andrà tutto bene. »
 

*


Klaus era appena rientrato da una – relativamente – tranquilla passeggiata mattutina, in cui si era preso un po’ di tempo per fumarsi un paio di sigarette nella più che gradita solitudine. C’erano giornate, in effetti, in cui non aveva voglia di vedere nessuno, anche se starsene da solo non gli faceva poi molto bene.
Era ormai maggio inoltrato e l’aria primaverile aveva cominciato a seccarsi per lasciare il posto a un caldo ancora sopportabile.
Klaus lasciò le chiavi di casa su una mensola nell’atrio insieme al suo preziosissimo pacchetto di sigarette e fece appena qualche passo quando udì qualcuno gridare dal solotto adiacente. Si avvicinò cautamente e, sebbene non avesse intenzione di origliare quello che aveva tutta l’aria di essere un litigio, si appostò d’istinto alla porta.

« Scusami » sentì London singhiozzare.
« Ricordati che la tua felicità è più importante della mia » – questa era sicuramente la voce di Ben, invece – « Ricordatelo e andrà tutto bene. »
Klaus cominciò a elaborare una cinquantina di ipotesi e, prima che potesse giungere ad una conclusione soddisfacente, la porta del salotto si aprì, rivelando l’erede dei Bridge smanioso di andarsene. Non appena quello lo vide impallidì leggermente, bloccandosi per un istante.
« Non stavo origliando » spiegò Klaus nervoso. « Sono rientrato adesso. »
Ben lo fissò negli occhi e il moro si sentì, per qualche strana ragione, completamente spiazzato da quello sguardo. Gli fece morire in gola tutto quello che avrebbe voluto dire; provò a mettergli una mano su una spalla, ma l’altro si scostò bruscamente e, senza dire una parola, si avviò verso l’uscita.
« Ben, aspetta! » cercò di fermarlo Klaus, ma prima che potesse raggiungerlo quello se n’era già andato. Con un sospiro frustrato, entrò nel salone, trovando la moglie seduta sul divano con il viso coperto dalle mani.
« London » la chiamò, e la moglie alzò il volto di scatto.
« Cosa ci fai qui? » gridò lei. « Vattene! »
Klaus non si arrese. « Che diamine è successo? »
London non si degnò di rispondere, fissandolo rabbiosamente con gli occhi velati di lacrime ma anche carichi di rancore.
« Mi vuoi rispondere? » sbottò il marito, ma l’altra si alzò in piedi velocemente e lo afferrò per la collottola della maglietta.
« E’ colpa tua! » urlò. « E’ tutta colpa tua, lo capisci? »
Klaus restò interdetto e tentò di bloccarle le braccia, anche se London non si decideva a mollare la presa. « Se mi spiegassi che cosa è colpa mia, magari capirei, non credi? » sibilò, ugualmente adirato.
« Tutto questo! » strillò lei in risposta. « Vorrei non averti mai incontrato! »
Il ragazzo indietreggiò di qualche passo, completamente spiazzato da quella reazione. « Ah, grazie mille, davvero » ribatté, alzando a sua volta i toni. « Anche io vorrei non averti mai incontrato, se proprio vogliamo dirla tutta. »
London prese a tempestergli il petto di pugni e continuò a gridare, furiosa: « Sei proprio un bastardo, non capisci niente! Niente»
Klaus la allontanò bruscamente da sé, trattenendole i polsi. « E che cosa cazzo devo capire? »
La moglie si liberò di lui e, dopo essersi asciugata le guance con i palmi, si voltò dall’altro lato per tentare di calmarsi, anche se le risultava abbastanza impossibile. « Basta, non ne posso più » sussurrò, più a se stessa che a lui. « Va’ via. »
Il ragazzo assottigliò lo sguardo. « Devi prima spiegarmi che cosa diavolo è succ- »
« Vattene, Klaus! Vattene! » urlò un’ultima volta, spingendolo verso la porta. « Lasciami in pace! »
« Oh, e va bene, me ne vado! » sbottò infine Klaus, lasciando che London gli sbattesse poi la porta in faccia. Diede un pugno al muro, provando invano a sfogarsi. Così si appoggiò con la schiena alla porta e tentò di chiudere gli occhi.
Che cosa sta succedendo?, si domandò brevemente, rimanendo ad ascoltare i singhiozzi di London che sembravano volergli perforare il cervello.

Ben non lo stava neanche guardando in faccia, intento a sistemarsi il letto laconicamente. Aveva dormito tutto il pomeriggio, dopo una notte in bianco, ma Klaus naturalmente non poteva saperlo.

« Mi spieghi che ha London? » gli domandò il moro, con le braccia incrociate. « E’ da ieri che non mi parla. »
Il ragazzo si mosse nervosamente per la stanza, facendo finta di metterla in ordine – anche se in realtà era più ordinata che mai. « E io che ne so? » replicò, brusco.
« Stavate litigando » fece Klaus con tono palesato. « E poi, andiamo… siete gemelli, insomma. »
« E allora? Non sono affari tuoi » rispose Ben, evitando ancora il suo sguardo.
Klaus inarcò un sopracciglio, irritato. 
« Invece lo sono eccome » ribatté, afferrandogli un braccio per costringerlo a voltarsi verso di lui. Odiava che gli altri non lo guardassero in faccia quando parlava.
« Klaus, cosa vuoi da me? » chiese l’albino, ancora agitato. « Non ho niente da dirti. »
« Sto cercando di capire cos’è successo » fece l’altro digrignando leggermente i denti.
« Non è difficile da capire, sai? » biascicò Ben. « Sei stato tu a farti sfuggire quello che sarebbe dovuto rimanere un segreto. »
Klaus gli lasciò il braccio, continuando però a guardarlo negli occhi. Sapeva che Ben e London avevano litigato perché dopo anni era venuto fuori il fatto che lui e il gemello fossero stati a letto, ma ancora non capiva perché ce l’avessero tanto con lui.
Era successo molto tempo prima, avrebbero dovuto metterci una pietra sopra. E invece erano entrambi presi dalla rabbia, per chissà quale ragione.

« Oh, capisci che non potevo più tenermelo dentro? » sbottò quindi.
« Sì, ma non hai pensato a me? Non hai pensato in che posizione mi avresti messo? » replicò l’albino con una velata nota di tristezza nella voce. « Te lo dico io: no. Hai pensato soltanto a te stesso, come al solito. »
Klaus non disse niente. Da un lato aveva ragione, non poteva contraddirlo. Era stato un egoista e se n’era infischiato di quello che sarebbe potuto succedere.
« Perché gliel’hai detto? » sussurrò Ben, allora, abbassando la testa.
Il moro sospirò. 
« Perché non avrei dovuto? »
L’altro sembrò congelarsi. « Cosa? » chiese flebilmente.
« E’ successo cinque anni fa, dannazione! » esclamò Klaus, appoggiandogli entrambe le mani sulle spalle. « Eravamo entrambi mezzi ubriachi, pioveva ed erano le due del mattino. Qual è il problema? Non è stato nulla di importante. »
Le spalle di Ben parvero afflosciarsi sotto la sua presa. Rimase in silenzio per qualche secondo buono, poi alzò gli angoli delle labbra verso l’alto. « Già… nulla… nulla di importante… »
Erano lacrime quelle che vedeva nei suoi occhi? Lacrime accompagnate da un sorriso, per di più?
Klaus aggrottò la fronte. 
« Aspetta, che hai? Non sei d’accordo? »
Ben si scostò dalla sua presa. « No, no, hai ragione. Hai ragione tu » fece, continuando a guardarlo con quell’espressione maledettamente affranta.
L’altro si tirò indietro e scosse la testa. 
« Avanti, watchie, non è da te darmi ragione » azzardò con sarcasmo, ma Ben non la prese altrettanto allegramente.
« Non chiamarmi così » disse, irritato. « Non sono il tuo cane. »
Klaus lo fissò con sguardo incapacitato. « Non sto dicendo questo. »
« Smettila di fingere di non capire! » sbottò, allora. « Lo sai benissimo cosa sta succedendo. Torna da London, lei sì che ha bisogno di te. »
Il ragazzo fece un sorriso amaro. « Non ne sarei tanto sicuro. Ha detto che non avrebbe mai voluto incontrarmi. »
« E’ una bugia » mormorò l’albino in risposta. « E’ tutta una maledetta bugia. Non ci sei ancora arrivato? London è molto brava a mentire. »
Klaus rimase bloccato da quelle parole.
« Torna da lei, avanti, ti starà sicuramente aspettando. » Era praticamente un invito ad andarsene, ma il moro non mosse un passo.
« Come devo dirtelo? » disse Ben, esasperato. « London… lei ti ama. »
« Non è vero » replicò prontamente Klaus.
« E tu- »
« Non è vero! » ripetè alzando la voce e stringendo i pugni.
L’albino scosse la testa, e una lacrima salata sfuggì al suo controllo. 
« Perché non lo accetti e basta? »
Klaus, prima che potesse davvero assorbire quella domanda, voltò i tacchi e uscì dalla stanza.
 

*


London aprì la dispensa della cucina e recuperò una busta di caffè.
« Ne vuoi un po’? » chiese alla suocera seccamente.
Shyvonne annuì, ma prese lei stessa la busta dalle sue mani. 
« Lo preparo io, non preoccuparti. »
La più giovane alzò un sopracciglio. « Ce la faccio da sola. »
« Lo so, ma io ci sono abituata » ribatté la donna recuperando delle tazzine.
London non protestò oltre e si sedette al tavolo, appoggiando il mento ad un palmo della mano. Non sapeva neanche perché la suocera fosse venuta a farle visita; forse cercava Klaus. Ma Klaus non c’era. L’aveva presa alla lettera quando lei gli aveva detto di andarsene.

« Vuoi lo zucchero? » domandò Shyvonne, armeggiando con la caffettiera. « O lo preferisci amaro? »
« Zucchero » rispose London, giocando con una ciocca di capelli passivamente.
Rimasero in silenzio per un bel po’ di tempo, interrotto solo dal rumore dei passi frettolosi della donna sul marmo, che andava e veniva davanti al fornello mormorando parole che solo lei riusciva a sentire, come 
« ci vogliono solo dieci minuti » « è quasi pronto. »
Quando finalmente spense la fiammella a gas, la donna si voltò verso di lei con due tazzine fumanti, prima che London sentisse la porta principale della villa sbattere.
Seppe che Klaus era tornato, per cui non si stupì più di tanto quando lo vide entrare in cucina con il suo solito fare scocciato.

« Ah, ciao mamma » disse, nel vedere Shyvonne in piedi accanto al tavolo. « Che ci fai qui? »
« Sono passata soltanto a salutarvi » rispose lei, appoggiando le tazzine sul ripiano. « E volevo controllare che London stesse bene. »
« Perché, come dovrei stare? » domandò bruscamente la ragazza.
« Un mese fa hai perso un figlio, cara, posso solo immaginare come ci si senta » fece la donna, spostando una sedia per sedersi.
« Tu… non hai mai perso dei bambini? » chiese London, incerta, torcendosi le mani.
Shyvonne non rispose subito. 
« No » disse poi. « Klaus è il mio unico figlio. »
Klaus si sedette accanto alla madre. « Per fortuna » commentò.
Quella non aggiunse altro in merito all’argomento, ma fu London a continuare.

« Ho paura che possa succedere di nuovo » confessò, prima di bere un lungo sorso di caffè. In effetti era molto buono, e sicuramente più di quello che avrebbe preparato lei.
« Potrebbe capitare, certo » mise in chiaro Shyvonne, « non è da escludere. Forse dovresti riguardarti di più… »
London si rigirò la tazzina tra le mani, fissandola. « Credo di essere di nuovo incinta » rivelò allora.
Klaus, che nel frattempo aveva recuperato un po’ di caffè per sé, per poco non si strozzò, cominciando a tossire e a battersi un pugno sul petto.

« Davvero? » esclamò Shyvonne, improvvisamente più radiosa. « Che splendida notizia! »
La donna si alzò e le andò vicino, abbracciandola calorosamente. London non rispose a quel gesto, ma si limitò a mostrare un sorriso tirato, più finto che mai.
« Vedrai che andrà tutto bene » la rassicurò, accarezzandole i capelli. « E, Klaus- »
« Meraviglioso » disse il ragazzo a denti stretti. « Davvero meraviglioso, London. » Dopodiché, senza aggiungere altro, si alzò e uscì dalla cucina lasciando le due donne senza parole.
« Che cosa gli è preso? » domandò Shyvonne all’altra, preoccupata.
« Non lo so » mentì London.

 
*


« Sei arrabbiato? »
« Non dovrei esserlo? » sibilò Klaus.
« Forse. »
« Tu sei pazza » le disse, scuotendo la testa.
« E’ la stessa cosa che mi ha detto Ben » ribatté London, appoggiandosi allo schienale del letto e attirando le ginocchia a sé. « Che coincidenza. »
Klaus si voltò verso di lei, alzandosi su un gomito. « E tu sei ancora arrabbiata con me? »
« Credo di sì » mormorò la ragazza. « Ma non ne voglio parlare. »
« Oh, come volete, mia adorata » sbuffò Klaus con una punta di ironia. « E che cosa desiderate fare, di grazia? »
London si sfilò il cuscino da dietro la schiena e glielo lanciò addosso. Klaus alzò le braccia davanti al volto per difendersi, ma London continuò a colpirlo, finché non si ritrovò a cavalcioni su di lui con sguardo minaccioso.
« Essere incinta mi rende molto irritabile » precisò. « Sta’ attento » aggiunse, con un velato sorriso di trionfo.
« Di bene in meglio » biascicò Klaus, tentando di farla spostare, ma quella aveva le gambe saldamente ancorate intorno ai suoi fianchi.
London si abbassò, avvicinando il proprio viso a quello del marito e lasciando che i propri capelli le cadessero dalle spalle per creare un sipario intorno alla sua testa.

« Sai? Potresti fare qualcosa di molto produttivo » gli disse a pochissimi centimetri dalla sua bocca. Riusciva a sentire il suo respiro caldo, le sue mani risalirle lungo le gambe e le sue labbra cercare istintivamente le proprie.
« Qualcosa che non implica ciò che stai pensando tu » precisò, allontanandosi di poco e lasciandolo insoddisfatto.
Non poteva farlo. Non dopo ciò che era successo in quei giorni.
Klaus stirò la bocca in un’espressione amareggiata. 
« E che cosa, allora? » borbottò.
« Una cioccolata calda » rispose candidamente lei.
L’altro pensò di non aver capito bene. 
« Lo sai, vero, che sono allergico al cacao? »
« Sul serio? » ridacchiò la ragazza, scendendogli di dosso e sedendosi a gambe incrociate sul materasso.
« Già. »
« Non sai cosa ti perdi » gli disse London. « E’ la cosa più buona che si possa mangiare. »
« Dopo la marmellata di lamponi » commentò Klaus con una parvenza di smorfia divertita.
« No, la cioccolata calda è più buona della- ehi! » cominciò, prima di cogliere l’allusione dell’altro e prima di lanciargli un’altra cuscinata. « Sei proprio un idiota, Klaus. »
Klaus si alzò e infilò le pantofole con un sospiro. « Un idiota che ti prepara la cioccolata pur essendo allergico. »
London sorrise spontaneamente. « Che idiota gentile. »
« Però esigo una ricompensa » specificò. « Come la mettiamo? »
La ragazza si finse pensierosa, accarezzandosi il mento. « Dovremmo contrattare. »
« Un bacio per una cioccolata » ridacchiò il marito. « E sono stato misericordioso. »
L’altra smise presto di sorridere.
No. Non poteva.
Non potevano.

« D’accordo » assentì lei, contro la sua stessa forza di volontà. « Uno soltanto. »
London si alzò dal letto e gli andò vicino. Gli scostò un ciuffo di capelli dalla fronte e accarezzò con l’indice le sue labbra, prima di baciarlo, prima di stringerlo possessivamente e prima di ricadere sul materasso con lui che le sfilava a tentoni la maglietta del pigiama.
Mentre toccava la pelle di Klaus, mentre respirava la sua stessa aria, mentre sentiva la coscienza divorarle lo stomaco, le ritornarono in mente le parole di Ben.

« Direi che l’egoista qui non sono io. »  
 













   
 
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