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Autore: Tra I Fiori Il Ciliegio    25/11/2013    2 recensioni
[Larry]
Sente ancora le impronte delle sue dita sul corpo, se si concentra. Gli basta ascoltare la sua voce intonare una qualsiasi canzone, che fosse loro o di qualcun altro, registrata o dal vivo, che sente i suoi polpastrelli scorrergli sulla schiena, tracciare le forme dei tatuaggi sulle braccia, passare tra i suoi capelli.
Ricorda la consistenza della sua pelle, le sfumature dei suoi colori, il rumore delle sue ossa sotto le dita: le costole che scricchiolavano sotto al cuore, le ginocchia che sbattevano contro il divano, le vertebre che strusciavano sull'aria.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo quattro
(parte 2)

a

Ai One Direction,
che non mi hanno salvato la vita
né migliorata,
che non hanno fatto niente di niente
se non provocarmi gastriti
e mancanze di ore di sonno.
Ai One Direction,
dopo quasi otto ore di diretta notturna.
Perché sì.
 

 

Louis è fermo poco oltre la porta, ha la testa reclinata all’indietro appoggiata alla parete, così come le spalle. Sta tremando, e forse è solo l’alcol che ha bevuto, ma ha difficoltà anche a respirare. Si era ripromesso di stare tranquillo, che sarebbe stato bene. Si era detto che Harry poteva fare quello che voleva, baciare una spogliarellista o sparire in Scozia, o restare lì, nella sua stessa stanza, lui sarebbe stato bene. Avrebbe affrontato ogni cosa con una maturità e indifferenza che non si è mai sentito addosso, lui, l’eterno Peter Pan.
E lo è stato ancora una volta, perché l’idea che Harry baciasse qualcun altro semplicemente era un’idea troppo dolorosa per poter restare lì a guardare; non poteva immaginarle, quelle labbra su quelle di qualcun altro. Le sentiva ancora sue, dopo tutto quel tempo, come allora quelle di Louis erano state di Harry.
Ma era passato del tempo e tutto si era rovinato. Non c’erano più Louis e Harry, non c’erano più neanche i One Direction. C’erano Eleanor, una spogliarellista americana, una casa vuota, abbandonata a se stessa a Londra. Quella casa in cui avevano vissuto insieme per tre anni e che Louis non aveva avuto il coraggio di vendere.
E c’era Harry, in Scozia. Lontano, che baciava altre persone.
“Louis…”
Quando sente la sua voce, sente il respiro mozzarsi ancora in gola. Tenta di fermare il tremore delle mani, di respirare a fondo, di regolare il tono di voce perché sembri abbastanza tranquillo da far credere a Harry che vada tutto bene. Ma poi alza lo sguardo e Harry lo fissa con gli occhioni verdi spalancati e Louis vorrebbe solo piangere e non smettere più, rifugiarsi tra le sue braccia, bere una tazza di tè, parlare fino a notte fonda e poi spogliarlo dei vestiti e di ogni pensiero che non riguardasse loro due, perché per Louis non c’era mai stato altro.
Solo Harry.
“Va tutto bene.”
“Louis, non va tutto bene… Scus-”
E Louis vorrebbe davvero sembrare tranquillo e non essere arrabbiato. Sorridergli, magari, e dirgli che è solo stanco e che torna nella sua stanza, così il giorno dopo sarà pronto per il matrimonio.
“Non sei stanco?”
Harry lo guarda perplesso e non capisce, non sa di cosa stia parlando. Se sia di quel dolore che sente ovunque, se sia di parlare, di litigare, se abbia solo sonno. Non sa di cosa dovrebbe essere stanco, Harry, se non di vivere senza di lui.
“Non sei stanco di scusarti?” Lo attacca invece Louis. “Non sei stanco di venire qui, creare casini e poi pensare che io possa semplicemente dirti che va tutto bene, Harry, che non c’è problema, che non sono arrabbiato. Pensi che io possa farlo, Harry?”
Harry rimane in silenzio, senza sapere cosa dire; c’è qualcosa a bloccargli la gola e a gravargli sul petto, quel dolore martellante che ora sembra più forte, gigante, qualcosa a cui sperava di potersi abituare, ma che invece è più maligno di prima. Quell’assenza e mancanza che ha provato ogni istante degli ultimi anni, quel rimpianto, tutte le giustificazioni che dava a se stesso per convincersi di aver preso la decisione giusta, per convincersi che Louis non lo amava veramente, altrimenti avrebbe fatto qualcosa. Stronzate.
“Vieni qui, dopo tutto questo tempo… Pretendi che ti parli, che dica qualcosa, che ti dica che sto bene, che va tutto bene…” la voce di Louis si spezza e lui prendere un respiro. “E poi baci una spogliarellista maggiorata davanti ai miei occhi.”
Ha alzato la voce e Harry indietreggia di un passo, senza aspettarsi quella rabbia. Pensava davvero che lui non lo stesse più guardando, o forse è una giustificazione anche quella, forse sono solo altre scuse. Ma non può accettare di sentirsi dire cosa può o non può fare, non ancora, non da lui.
“Io? C’è Eleanor che ha pranzato con me, stamattina, cazzo!” urla anche lui, tirandosi un boccolo con due dita. “È venuta a dirmi che è contenta di vedermi, che magari la prossima volta il matrimonio sarebbe stato il vostro!”
Vorrebbe piangere, Harry, e prenderlo a calci e prendersi a calci da solo. E tornare indietro nel tempo, a quando avevano sedici anni e il mondo era ancora tutto da scoprire e Louis solo un ragazzo in un cesso di un talent show.
“Pensi di potermi dire cosa posso o non posso fare?”
“Te ne sei andato, Harry!” Sembra spezzarsi, quando pronuncia il suo nome, Louis. Sembra accartocciarsi su se stesso e cadere a terra, o forse è solo tutto quello che ha tenuto dentro gli ultimi anni a cadere, mentre lui finalmente si sfoga e mostra ogni cosa. Ogni piccolo barlume di emozione provata da quando l’ha rivisto, da quando l’ha lasciato, da sempre. “Mi hai lasciato. Hai lasciato tutti noi, senza una parola. Potevi essere morto, Harry, ma nonostante tutto, nonostante ti odiassi più di qualsiasi altra cosa al mondo, volevo solo ritrovarti e farti tornare a casa. Non l’ho neanche venduta la fottuta casa!”
Harry si fa piccolo sotto i suoi occhi, perché sa che Louis ha ragione. Ma si avvicina di un passo, poi di due e gli resta davanti.
“Tu non volevi stare con me…”
“Lo sai che volevo, Harry, che volevo solo quello. Dovevamo solo aspettare.”
“Mi manchi…”
Louis sorride un po’, ricordandosi improvvisamente come si fa. Non si sta scusando ancora, Harry, ha capito che non è quello il modo; ha capito che deve essere sincero, un’ultima volta. Alza una mano e gli sfiora un riccio, piano, come faceva quando rimanevano a guardarsi negli occhi, dopo aver fatto l’amore per ore.
“Anche tu.”
È solo un sussurro, quello di Louis, il cui eco si spegne sulle labbra di Harry.


Ci mettono poco a raggiungere la stanza e Harry vorrebbe averci messo di più, aver indugiato ancora in corridoio, aver assaporato quel momento, senza fretta. Vorrebbe goderselo di più, ma quel tipo di frenesia non sono mai stati in grado di contenerla. Quando non si vedevano per qualche giorno, per qualsiasi motivo, dovevano stare insieme, senza neanche parlare, dire niente.
Ed è quello di cui ha bisogno ora Harry, toccarlo, sfiorare quei tatuaggi che avevano fatto insieme e che li avrebbero legati per sempre.
La stanza di Harry è disordinata: vestiti ovunque, un computer sul letto, il phon attaccato alla presa vicino al comodino. Louis si guarda intorno e gli viene da ridere, perché non si aspettava niente di meno dalla camera di Harry: caos e oggetti sparsi ovunque e il suo odore che impregna l’aria e le mura.
Lo bacia ancora, come per prendere aria, finalmente, dopo anni di apnea e lo guarda. Gli sembra diverso, più grande, più bello. E forse sta facendo un errore, non dovrebbe lasciarsi andare così, ma non riesce a pensare a niente di più giusto che stare ancora con lui, anche se fosse l’ultima volta. Un addio, uno appropriato, un modo per ricordare che l’amore che provano l’uno per l’altro, quel sentimento che li ha uniti nel primo momento in cui si sono rivolti la parola, nel bagno di X-Factor – quel sentimento non sarebbe mai scomparso.
“Non c’era il tuo profumo, quando sono entrato…” dice Harry, mentre gli toglie la maglietta, quasi con foga.
Louis sorride e fa lo stesso con lui, sfiorandogli l’avambraccio, il polso e risalendo fino alla spalla. Tocca ogni piccola firma del suo passaggio che Harry ha disegnato addosso, li accarezza, osservandoli come se fosse la prima volta. E forse è come se fosse davvero la prima volta, perché non se li ricordava così, non ricorda la pelle di Harry, la consistenza dei suoi capelli tra le dita.
Non ricordava i suoi occhi spalancarsi quando diventavano una cosa sola, in un suono di sorpresa, come se non si aspettasse mai quanto perfetti potessero essere, insieme. E non c’è niente, in quella stanza, o fuori, oltre a loro due che tornano a essere insieme, per una notte o per tutta la vita, a Miami, Londra, Glasgow, Timbuctu, in un letto di un hotel a cinque stelle, nel momento meno appropriato.
A Louis non importa dove saranno il giorno dopo, se si ameranno ancora e avranno il coraggio, almeno questa volta, di combattere, di tenersi allacciati stretti come i loro corpi quella notte, o se lasciarsi scivolare via dalle falangi un’altra volta, incapaci di essere felici.
Ed è per questo che vorrebbe andar via, dopo quel momento di piacere completo che non aveva mai provato con nessun altro prima – è perché non vuole vederlo scivolare via il giorno dopo, dalle sue braccia, come se non fosse successo niente. Ma non può alzarsi, non può allontanarsi di un centimetro dal corpo più magro di quanto ricordasse di Harry, perché quando l’altro si gira a guardarlo e gli sorride, con gli occhi lucidi e un principio di pianto incastrato in gola, Louis sa che non può essere un addio. Che non ci sarà mai un addio tra loro, solo un altro passo verso la felicità.

“Boo?”
Nessuno dei due si è addormentato, neanche un attimo. Sono rimasti in silenzio, a occhi chiusi, uno di fronte all’altro, senza toccarsi. Ma hanno percepito entrambi le proprie presenze, quel senso di appartenenza a un letto dove sentire il calore di un corpo che non si è mai riuscito a dimenticare.
Louis sorride per il soprannome, rabbrividendo un po’ per il freddo. Copre se stesso e Harry con il lenzuolo e gli si avvicina, con calma, quasi pigramente.
“Mmh?” mormora ancora a occhi chiusi.
“Cosa fai adesso a Londra?”
Louis apre gli occhi e lo guarda, stupito da una domanda così normale da sembrare assurdo che non abbiano ancora parlato di quello che hanno fatto negli ultimi anni.
“Ho ripreso a studiare,” sbadiglia, intrecciando i piedi con i suoi. “Recitazione, in realtà, quindi non è proprio come andare all’università, però mi piace…” Anche Harry lo guarda adesso, a un palmo dalle sue labbra, occhi negli occhi, e a Louis sembra di non essere mai stato più felice. “Tu?”
“Faccio qualche lavoretto part-time ogni tanto, niente di che. Mamma dice che dovrei riprendere a cantare, ma sai… senza di voi non avrebbe senso.”
Louis annuisce e infila una mano tra i suoi ricci. È familiare, qualcosa che gli sembra di non aver mai smesso di vivere, la sensazione del corpo di Harry accanto e del parlare con lui del più e del meno dopo il sesso. Qualcosa a cui ha voglia di riabituarsi il prima possibile.
“È bella Glasgow,” dice, con tono leggero. “Ricordo che mi piaceva molto.”
“Puoi venire a trovarmi, ogni tanto,” lo dice tranquillo, Harry. Con la convinzione che questa sia una parentesi, niente per cui riorganizzare la propria vita, per cui decidere se trasferirsi o provare una storia a distanza. “Mi farebbe piacere.”
“Lo so,” sorride Louis, e sulla sua lingua preme una richiesta, qualcosa che desidera più di ogni altra cosa. Torna a casa, a Londra, chiedimi di stare con te per sempre, anche in Scozia.
“Davvero hai ancora la casa?”
“Sì,” sorride, Louis, con gli occhi stranamente luminosi e il canino destro più appuntito dell’altro che morde leggermente il labbro. “Ci sono ancora le tue cose dentro. Pensavo che un giorno saresti almeno tornato a riprenderle…”
Harry si sporge di qualche centimetro e gli stampa un bacio sul sorriso malinconico.
“Volevo tornare, ma mi vergognavo…”
“Smettila di scusarti, Harry,” lo interrompe, Louis, e stavolta la voce è leggermente più dura. “È andata così, ormai.”
“Lo so, ma mi dispiace ugualmente,” lo stringe un po’ di più, sfiorandogli la nuca. “Hai tagliato i capelli finalmente.”
“Zayn mi ha minacciato,” ride, Louis, e gli sembra di non farlo da una vita intera, la stessa vita che ha passato senza l’amore della sua vita sdraiato accanto. “I tuoi ricci invece sono sempre uguali.”
“Ti piacciono però.”
“Certo,” dice e lo bacia piano, a occhi aperti su quelli di Harry. Forse sono quelli la cosa a essergli mancati di più, forse il suo sorriso, forse il suo corpo addosso, il suono della sua risata, forse quei momenti: i loro tè, il loro parlare e parlare e parlare, il senso di appartenenza e di famiglia. Vorrebbe che quell’attimo sospeso nel tempo, quella bolla in cui sono riusciti a ritagliarsi il giusto spazio per essere felici, durasse per sempre. Ma il suo cellulare squilla, da qualche parte per terra, nei suoi pantaloni.
Vorrebbe restare lì e non alzarsi mai più, continuare a guardare Harry negli occhi, anche senza dire niente, ma l’altro gli fa un gesto con la mano e lui si alza. È Eleanor, al telefono, e lui vorrebbe ancora di più lanciare il telefono fuori dalla grande finestra accanto al letto.
“El, che c’è?
“È tardi, dove sei?”
Guarda distrattamente l’orologio e alza gli occhi al cielo, notando che siano le quattro del mattino e lui aveva detto che massimo alle tre sarebbe tornato. Lancia uno sguardo anche a Harry che fa finta di non ascoltare, girato su un lato.
“Ancora con i ragazzi, torno tra un po’.” Attacca subito, senza aspettare alcuna risposta, e si riavvicina a Harry.
“Devo andare…” sussurra e gli sembra di essere tornato indietro nel tempo, quando doveva farsi vedere con Eleanor e lo lasciava nel letto, da solo e per il resto della giornata non poteva far altro che immaginarselo sdraiato lì, con il cuore infranto. “Mi dispiace così tanto….”
“Non importa,” prova a sorridere Harry, ma è chiaro che l’atmosfera distesa di poco prima sia andata persa. “È giusto che tu vada.”
Louis annuisce e si sporge un po’ per baciarlo di nuovo. Potrebbe essere il loro ultimo bacio, pensa, e per un attimo viene colto dal panico. Stringe gli occhi e i capelli di Harry tra le dita, avvicinandolo ancora un po’.
“Ehi,” gli dice Harry accarezzandogli una guancia. “Tutto ok?”
Annuisce di nuovo, Louis, posando la fronte alla sua. “Non voglio andare.”
“Ci vediamo tra qualche ora,” sorride di nuovo, più convinto. “Vatti a fare bello per il matrimonio del tuo migliore amico, avanti.”
“Domani parliamo, ok?”
“Certo,” si baciano, piano, e Harry vorrebbe piangere, perché sa che non parleranno; che non ci sarà nient’altro da dire, se non che niente è cambiato, che quella che doveva essere una copertura per qualche mese sarà la donna che Louis, alla fine, sposerà. Non sarà lui, la sua famiglia. “Buona notte, Boo.”
“’Notte, Hazza,” dice prima di rivestirsi e uscire dalla stanza.
E Harry piange, perché voleva solo quello. Solo un attimo di felicità e il suo perdono, ma ora sa che non riuscirà mai più ad accontentarsi di una vita senza di lui.

 

Note:
Ooook, il capitolo era già pronto, l'avevo scritto insieme all'altra parte - che spero vi sia piaciuta, anche se leggermente incompleta - ma ho preferito dividerlo per coerenza di lunghezza di capitoli. Qui finalmente c'è IL Larry moment che tutti stavamo aspettando, me per prima, e che mi ha fatto un po' piangiucchiare mentre scrivevo - non era mai successo, ma sono in PMS da tipo una settimana, quindi capitemi.
Volevo dire solo che io scrivo per divertimento, che mi sono addentrata in questo fandom più per gioco che per altro, che non ho mai creduto che questi cinque mostriciattoli potessero essere davvero qualcosa di così dolce e simpatico ed emozionante, e doloroso.
L'ho fatto e a volte me ne pento, perché davvero uno ci perde la salute e i soldi e tanto altro. Però poi ci sono notti come quelle di sabato, in cui passo quasi otto ore a guardarli essere completamente cretini e penso ne valga assolutamente la pena. E quindi il più grande grazie di questo mondo va a Sole Nero e Tortellina.
Al prossimo capitolo che è l'ultimo prima dell'epilogo!
Eva 

   
 
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