Capitolo
Nove: il Confine del
Mondo
La
canna del fucile annaspò in un attacco di tosse pieno di
polvere e di ruggine, prima di spirare con un crepitio patetico.
L’espressione
di Gilbert rimase orgogliosamente statuaria,
mentre si appoggiava il rottame alla spalla.
«Credo
che sia meglio fargli dare una revisionata»
sentenziò, un angolo della bocca che tremava per
l’umiliazione. «Nove anni di
inedie non sono pochi…»
«Hai
intenzione di andare dai Gunsmith?»
s’informò Antonio,
quasi glorioso dietro la sua scrivania. Da quando erano tornati su la Reina de la Oscuridad, una nuova pace
era discesa su tutti loro. Ivan e Yao li avevano trattati con riguardo
durante
la loro permanenza nella Fortezza Errante, ma respirare di nuovo il
legno e la
salsedine dell’Aereonave li aveva fatti rinascere, come una
crisalide che
emerge dal bozzolo: si erano liberati del guscio di ansia e sangue di
quei
giorni, finalmente liberi di tornare ai loro soliti ruoli.
Lovino
si sistemò inquieto sul ripiano della scrivania.
Avrebbe voluto godersi appieno quei momenti, ma erano troppo effimeri
per
caricarli con le sue speranze. Procedeva guardingo come chi si siede a
un
banchetto sapendo che c’è un piatto guasto:
riusciva comunque a godere il
sapore delle pietanze, ma era sempre in allarme per la minaccia del
boccone
infetto.
«Chi
meglio di loro?» enfatizzò Gilbert, apparentemente
incosciente
dell’irrequietezza di Lovino. «Hanno sistemato
tutto il mio equipaggiamento. E
poi, sono in debito con me.»
«In
debito? Per cosa?»
«Questo
è un segreto» replicò Gilbert, con uno
sguardo
malizioso spolverato di cattiveria amichevole.
Antonio
preferì stendere la mappa sul piano della scrivania,
ignorando il collega.
«I
Gunsmith si trovano qui, tra Siberia e Britannia»
notificò, puntando il dito su un punto viola nella mappa.
«Possiamo
accompagnarti, ma non possiamo scortarti fino al pianeta.»
«Non
c’è problema» Gilbert
accarezzò la spilla sul petto,
tronfio. «Gilbird non vede l’ora di sgranchirsi un
po’ le ali.»
«Te
lo sconsiglio» lo freddò Antonio. «La
Confederazione è
in allerta per la tua fuga. E una tua traversata su Gilbird sarebbe un
tantino…
appariscente.»
L’Hellsing
si dondolò sulla sedia di frassino, incrociando i
piedi sul bordo della scrivania.
«In
altre parole, firmerei il mio biglietto di ritorno per
Caina» sintetizzò.
«Potresti
firmare il tuo biglietto per il patibolo. Sei
evaso una volta. Se ti catturassero di nuovo, potrebbero decidere di
essere più
drastici» recise Antonio.
Gilbert
incrociò le braccia al petto e strinse la testa
nelle spalle. Quando l’ombra scura del comando scendeva sul
viso di Antonio,
nessuna ribellione sarebbe stata tollerata, nemmeno quella di un
vecchio amico;
degno del capitano del tanto temuto vascello pirata. Gilbert sciolse le
braccia, alzandole in segno di resa.
«D’accordo.
Mi farò accompagnare dal Custode dei Cancelli e
dal Figlio del Cielo. La Fortezza Errante dovrebbe sollevare meno
curiosità di
Gilbird» patteggiò.
Antonio
annuì velocemente, e puntò di nuovo il dito sulla
mappa.
«Noi,
invece, ci dirigeremo a Britannia.»
Il
boccone marcio era appena giunto. Lovino trasalì sulla
scrivania, e Gilbert quasi si rovesciò sulla sedia.
«Britannia?»
esclamarono all’unisono.
«Vuoi
suicidarti, idiota?»
«Sei
impazzito del tutto, Antonio?» rimbombarono poi
separatamente.
Il
capitano non si scompose. Intrecciò le dita davanti al
viso, come era solito fare quando doveva fornire una spiegazione che
non
sarebbe stata accettata di buon grado dai suoi sottoposti.
«Le
nostre forze sono insufficienti per far cadere il
Vaticano. Abbiamo bisogno di Francis. E l’unico modo per
trovarlo e liberarlo è
chiedere aiuto al Mago dell’Ovest» volse i suoi
occhi verdi verso Gilbert e
pronunciò, conciso e brutale: «Hai detto anche tu
che hai bisogno di Francis
per soddisfare la richiesta del Figlio del Cielo, giusto?»
«Che
c’entra il Figlio del Cielo, adesso?» esplose
Lovino.
La sua impulsività aumentava esponenzialmente quando non
capiva cosa stesse
accadendo intorno a lui.
L’Hellsing
staccò la spilla dal suo petto e prese a
giocherellare nervosamente con le punte delle piume ferrose di Gilbird.
«Mi
ha chiesto se è possibile sradicare un demone
dall’anima
di una persona» raccontò Gilbert, gli occhi e le
labbra guizzanti per la
tensione. «Tuttavia, io mi occupo dell’eliminazione
di demoni fisici. Non so
come si possa far uscire uno spirito da un corpo umano. Avrei bisogno
di
Francis, per un’operazione del genere» le dita
arrestarono bruscamente i loro
movimenti, e due occhi duri come la tundra del suo pianeta fulminarono
Antonio:
«Ma possiamo trovare un altro modo per recuperare Francis!
Quello che stai
proponendo tu è un suicidio!»
«È
la via più diretta.»
«Certo.
Per il camposanto» il capitano non sobbalzò quando
Gilbert salì con un piede sulla scrivania e si sporse verso
di lui. «Lascia che
ti faccia una breve previsione sul tuo incontro con il Mago
dell’Ovest: tu
metterai piede su Britannia, lui ti staccherà la testa, la
userà come
sputacchiera e poi ti userà per concimare i campi. E tanti
saluti al più grande
capitano della Confederazione. Non è necessario avere i
poteri dell’Asse per
prevedere qualcosa di così ovvio.»
«Ho
i miei motivi per credere che il Mago dell’Ovest mi
ascolterà» replicò adamantino Antonio.
«Gli
abbiamo fatto impazzire un intero equipaggio, non molto
tempo fa» gli ricordò acido Lovino.
«Oh,
questo è davvero un ottimo
biglietto da visita» Gilbert si schiaffò una mano
sulla testa per sottolineare
il concetto.
Antonio
stese la spina dorsale contro lo schienale della
sedia e contestò, semplice e inamovibile:
«Possiamo
discutere per il prossimo anno, se volete. Ma non
cambierò la mia decisione.»
Lovino
fu bloccato dalla mano di Gilbert, che gli picchiettò
appena il ginocchio per convincerlo a stare fermo. Il giovane si morse
le
labbra, notando il velo di ombra calato sul volto dell’uomo,
lo stesso che
avvolgeva quello del suo compagno. Una bestia oscura li stava divorando
entrambi, e lui non sapeva nemmeno quale fosse la sua forma.
«Non
è detto che il Mago dell’Ovest ti risparmi solo
per via
di quella vecchia storia…» tentò ancora
Gilbert, ma Antonio scosse la testa.
«Non
preoccuparti. Se non dovesse ascoltarmi, troverò il
modo di scappare. Non sono così stupido da farmi
catturare.»
«Lo
pensavo anche io» lo pugnalò Gilbert, con una lama
di
acredine.
Il
silenzio durò qualche istante, prima che il capitano lo
lacerasse con decisione.
«Questa
sera raggiungeremo i Gunsmith, e domani approderemo
a Britannia. Farò preparare una scialuppa per portarti alla
Fortezza Errante.»
L’Hellsing
non riuscì nemmeno a muovere le labbra: lo stesso
ghiaccio che lo aveva imprigionato per nove anni stava ora indurendo la
voce
del suo amico.
Scrollò
le spalle e sbuffò: «Cerca solo di non farti
ammazzare. Vi raggiungerò il prima possibile con le nuove
armi». Prima di
uscire dalla porta, si accostò a Lovino e gli
bisbigliò: «Cerca di ficcargli un
po’ di buon senso in quella testaccia dura!»
«Non
è dura, è di granito»
ringhiò Lovino, voltandosi verso
il capitano. Antonio lo ignorò con snervante scioltezza
prima di degnarlo di
uno sguardo serio.
«Abbiamo
bisogno di Francis. E non possiamo passare altri
anni a girovagare a caso in cerca di informazioni»
sintetizzò Antonio. «Il
risveglio dell’Hellsing ha messo il Vaticano in allarme, e
non dimentichiamoci
che il Figlio del Cielo è stato spodestato. Inoltre, ormai
sapranno anche che
tu sei vivo. Il che è un miracolo, considerando gli
avvenimenti di Caina…» le
dita del capitano sfiorarono la frangia ribelle del giovane con una
gentilezza
che lo fece imbestialire.
«Possiamo
trovare un altro modo, che non preveda che tu ti
consegni al Mago dell’Ovest» sbuffò,
scendendo bruscamente dalla scrivania per
sottrarsi al tocco dell’uomo.
«Non
mi sto consegnando. Sto andando a trattare…»
Antonio
emise un sospiro, scoraggiato dal cipiglio di ferro con cui il giovane
lo stava
trafiggendo. «Non mi credi, vero?»
«Dammi
una singola ragione per non credere che stai andando
a suicidarti» lo sfidò Lovino.
Il
capitano fece slittare la sedia all’indietro, e
batté le
mani sulle proprie cosce per invitare il giovane a sedersi. Testardo
come sempre,
Lovino si avvicinò, ma tornò ad appollaiarsi
sulla scrivania, declinando
crudelmente l’offerta del capitano.
Antonio
si limitò a spostare nuovamente lo scranno prima di
iniziare.
«Forse
tu non eri ancora nato» rifletté, lanciandogli uno
sguardo carico di delicata nostalgia. Lovino scrollò le
spalle, come per
togliersi di dosso quel sentimento appiccicoso. Il capitano
proseguì: «Un
tempo, i Carriedo erano mercenari al servizio delle Famiglie Vaticane.
Così
come gli Hellsing erano sterminatori di demoni approvati
dall’Asse.»
Lovino
attese che l’ombra di amaro disgusto sparisse dal
volto dell’uomo; quando quest’ultimo riprese a
parlare, le sue parole
trasudavano acido:
«Poi,
un giorno, il Vaticano decise che non poteva tollerare
forze potenzialmente insidiose. Cosa sarebbe accaduto se la gente
avesse
cominciato ad adorare gli Hellsing come salvatori, o ad affidarsi
all’abilità
guerresca dei Carriedo?» l’angolo della bocca si
contrasse nell’aborto di un
sorriso quando l’uomo sputò fuori: «Cosa
è successo agli Hellsing lo sai, lo
hai visto sul pianeta di Gilbert.»
Antonio
rovesciò la testa e mitragliò, senza nemmeno una
pausa per respirare:
«Siamo
stati ricompensati per la nostra lealtà. Ci hanno
offerto un funerale degno di un re: tutto il mio pianeta è
diventato una palla
di fuoco. Come gli Hellsing, siamo spariti nel giro di una notte. Come
Gilbert,
io sono l’ultimo rimasto.»
Gli
occhi del capitano fissavano indistintamente il
soffitto, coperti dalla foschia del passato. Lovino afferrò
il volto dell’uomo
tra le mani e lo costrinse a voltarsi verso di lui per scacciare quella
nebbia
infame: le correnti del passato non sarebbero riuscite a risucchiare il
suo
compagno.
Avrebbe
voluto sapere altri dettagli sui trascorsi del
capitano – come si era salvato, come era il suo pianeta prima
di bruciare, che
aspetto avevano i suoi genitori – ma preferì non
inferire: non voleva vedere
Antonio sprofondare di nuovo nelle sabbie mobili della memoria.
«Questo
cosa ha a che fare con il Mago dell’Ovest?»
domandò
tra i denti.
Antonio
avvolse le mani del ragazzo con le sue, come ad
assicurarsi che fosse davvero presente; respirò il profumo
della pelle dura sui
suoi palmi, e respirò sul suo polso:
«Nessun
mago comune sarebbe stato in grado di fare una cosa
del genere. Nessuno, a parte il Mago dell’Ovest» le
dita dell’uomo si strinsero
attorno al suo polso e le parole si fecero mortalmente dure:
«L’ho visto. Non
potrà mai espiare abbastanza, per quello che ha fatto.
Un’informazione mi
sembra un prezzo accettabile.»
Il
capitano fu piacevolmente sorpreso dalla reazione del
giovane: Lovino slittò dalla scrivania alle sue ginocchia,
gli perforò la
spalla con il mento e gli gettò scompostamente le braccia
attorno alle spalle.
«A
cosa devo questa manifestazione di affetto?»
flautò, carezzando
la schiena imbufalita del giovane.
«Stai
zitto» sibilò il ragazzo.
Le
braccia di Lovino scesero lentamente, un centimetro per
volta, per stringersi attorno alla schiena dell’uomo in un
abbraccio più
consono. Antonio carezzò quella testa turbolenta appoggiata
alla sua clavicola
finché dalle labbra del giovane non ruzzolò fuori
una replica:
«Sei
sicuro di riuscire ad affrontare il Mago
dell’Ovest?»
«Non
ho intenzione di battermi con lui…»
«Riuscirai
a parlargli senza perdere la testa?»
Lovino
incavò ancora di più il capo nella sua spalla, e
per
l’uomo fu impossibile vederlo in volto mentre lo rassicurava:
«Non
lo perdonerò mai per quello che ha fatto. Ma
riuscirò a
contrattare con lui. Non sono più un bambino spaventato a
morte.»
«Sei
un adulto assetato di vendetta» Lovino inghiottì
orgoglio e amarezza nel bofonchiare: «Io non riuscirei a
stare calmo in
presenza di mio padre.»
Erano
tremendamente simili, loro due. Avevano perso entrambi
la famiglia per colpa di un unico aguzzino. E non passava giorno in cui
non
perfezionassero il loro piano di rivalsa.
Antonio
strinse a sé quel corpo improvvisamente fragile e
mormorò sulla sua nuca:
«Non
preoccuparti per me, Lovino. Saprò gestire la
situazione. E avrò bisogno che tu resti sulla
nave» trattenne la testa del
giovane sul suo petto per evitare che si inalberasse in una protesta
mentre
concludeva: «Non posso attraccare a Britannia con tutta la Reina de la Oscuridad, e non posso
nemmeno lasciare la nave senza
una guida. Ho bisogno che tu controlli la situazione finché
non sarò tornato.
Puoi farlo?»
Interpretò
il successivo mugugno adirato e incomprensibile
come un assenso.
Posò
un bacio poco sopra l’orecchio del giovane, dove i suoi
capelli erano più corti, e sussurrò:
«Non
sono accadute solo cose spiacevoli, in passato. Prima
di quel giorno, la mia infanzia era piena di bei ricordi.»
Lovino
alzò finalmente gli occhi ramati e contrattò:
«Quando
tornerai, mi racconterai tutte le cose belle che ti sono successe
quando eri
piccolo. E lo stesso farò io.»
«Perché?»
sorrise Antonio.
«Perché
non siamo solo la Mano Destra e la Mano Sinistra del
Diavolo.»
Il
sorriso di Antonio si punteggiò di malinconia mentre
accarezzava la testa incassata sul suo petto.
Si
chinò sul viso del giovane e lo sollevò per
mordicchiare
le sue labbra indispettite. La lingua del ragazzo entrò
veloce nella sua bocca,
come se non potesse tollerare la lontananza dalla compagna. Antonio non
esitò a
rispondere all’inaspettata passionalità del
ragazzo: non dovette lottare a
lungo per estrarre la camicia dalla stretta tirannica della cintura, e
poté
finalmente lambire con le dita la pelle nuda del suo amante. Il
contatto durò
solo pochi secondi: Lovino si rialzò di scatto, sottraendosi
al suo abbraccio.
Sul
suo volto non passarono né rabbia né scandalo,
mentre
sistemava nuovamente la camicia al suo posto. Antonio capì
il motivo di quel
rifiuto solo quando Lovino, le guance rosse quanto i capelli, lo
ricattò
goffamente.
«Anche
questo è da rimandare a quando tornerai da
Britannia.»
Il
capitano soffocò a forza una risata, temendo che il suo
vice l’avrebbe male interpretata. Quel ragazzo era veramente
una benedizione
dal Cielo, con il suo carattere scarlatto e la sua gentilezza spinosa.
Allargò
le braccia, esortandolo a prendere nuovamente posto nella loro stretta.
«Dovrò
aspettare fino al mio ritorno per avere un bacio?» la
testa si reclinò di lato, nel porgere
quell’invito: i riccioli increspati dalla
salsedine dell’atmosfera artificiale rimbalzarono sul
cappotto cremisi, e la
lampada a olio incastonò un riflesso ambrato negli occhi
verdi che attendevano
la sua risposta.
Lovino
ciondolò imbronciato verso di lui, e gli scaricò
il
suo peso sulle ginocchia senza alcun riguardo.
Antonio
chiuse gli occhi mentre il respiro del giovane
tornava a intrecciarsi al suo, e abbracciò stretto quel
corpo asciutto, mai
cresciuto in robustezza.
«Non
ti preoccupare, Lovino» lo rassicurò sulle labbra
umide, intuendo il motivo per cui le spalle strette del giovane non
riuscivano
a rilasciare la loro postura contratta. «Non ti
abbandonerò.»
Il
ragazzo non volle proseguire quella discussione, e tornò
a impegnare la bocca del capitano con la propria.
C’era
un solo fuoco che poteva ardere dentro Antonio, ed era
quello del suo stesso orgoglio da pirata. E non si sarebbe fatto
inglobare
dalle fiamme di Britannia.
Era
quello che il bacio del capitano gli suggeriva. Lovino
ci credette con tutto se stesso.
***
La
mano forte di Ludwig lo sostenne, quando le sue gambe
vacillarono.
Feliciano
lo ringraziò con un impercettibile cenno del capo,
appuntando di nuovo la sua attenzione sull’uomo al centro
dell’enorme atrio.
Gli occhi gli trasmettevano la sensazione di un minuscolo essere umano
in uno
spazio troppo grande, mentre il cuore tremava per l’aura di
quello stesso uomo,
che pareva riempire la stanza fino a far esplodere i muri.
«Vi
sentite in forze, Feliciano Vargas?» esordì lo
sconosciuto. «Mi è stato riferito che avete avuto
una sorta di collasso,
qualche giorno fa.»
Ludwig
apprezzò la maestria con cui il futuro Asse
dissimulò
il proprio stupore: il suo viso rimase immobile come l’aria
del Palazzo di
Quarzo.
«Mi
sono ripreso completamente. Vi ringrazio per la vostra
premura» assicurò dolcemente Feliciano.
Lo
sconosciuto non parve minimamente toccato dalla sua
simulata gentilezza.
Il
Guardiano strinse i denti, sicuro di aver già visto
quell’uomo, in passato. Conosceva il ricamo nobiliare di
quella divisa color
malva, e le iridi violacee che esaminavano il mondo dietro la cornice
scura
degli occhiali. Perfino la pettinatura, curata fino alla minima
curvatura delle
ciocche mogano, aveva un sentore familiare.
L’uomo
estrasse le mani dalle tasche di velluto viola, e,
finalmente, Ludwig lo riconobbe. C’era un solo individuo in
tutta la Galassia
con i palmi martoriati da stigmate simili: un artista a metà
tra lo scultore e
il chirurgo aveva fatto colare dell’argento purissimo in
quelle ferite,
intarsiando per sempre una chiave di violino e una chiave di basso
rispettivamente sulla mano destra e sinistra dell’uomo.
«L’Accordatore»
lo presentò Ludwig.
Lo
sconosciuto spostò appena gli occhiali sul naso,
fissandolo sconcertato. Mosse con grazia le dita della mano sinistra,
come se
stesse carezzando le corde di un liuto invisibile, senza staccare i
suoi occhi
inquisitori dal Guardiano.
«La
vostra struttura molecolare risponde in un modo assai
curioso» stabilì al termine della sua bizzarra
analisi. «Come se voi non foste
un essere umano.»
«Non
sono un essere umano comune»
convalidò Ludwig, portandosi al fianco di Feliciano.
«Altrimenti non sarei stato scelto per difendere il futuro
Asse.»
«Ovviamente»
concesse l’Accordatore. «Il signor Vargas mi ha
affidato due missioni piuttosto complicate quest’oggi, quindi
permettetemi di
svolgere la prima.»
Una
vena di sospetto attraversò il sorriso impeccabile
dell’Asse, ma non fermò l’Accordatore:
dispose le mani nell’aria come se sotto
di esse si trovasse la tastiera di un pianoforte e mosse le dita in una
melodia
udibile al solo esecutore.
Feliciano
si avvicinò istintivamente a Ludwig quando le
pareti della stanza cominciarono a raggrinzirsi in pieghe flaccide,
come cera
esposta al fuoco.
«Non
abbiate timore» li avvertì neutro
l’Accordatore. «Non
si tratta di un viaggio astrale.»
Il
Guardiano impietrì il viso, impedendo alla sorpresa di
trapelare. Sperava che l’allusione al viaggio dello spirito
fuori dal corpo
fosse solo un’infelice coincidenza. Feliciano aveva agito
impulsivamente, ma il
suo potere superava quello di qualunque altro incantatore, nella
Galassia:
nessuno avrebbe dovuto scoprirlo. Era quello che si augurava, perlomeno.
Le
bianche pareti appassirono in un nero cupo, che pian
piano stillò un intreccio di stelle. L’Accordatore
stava ricreando con la magia
lo spazio esterno al Palazzo.
«Vi
invito a prestare particolare attenzione» li
esortò
atono l’Accordatore, senza smettere di muovere le dita. Le
stigmate argentate
sui dorsi delle sue mani mandarono sinistri bagliori mentre
l’inudibile
sinfonia arrivava al suo crescendo.
Feliciano
nascose le mani sotto le larghe maniche della
tunica, stringendole convulsamente: non voleva che il suo sgomento
fosse
visibile a quell’uomo.
«Dove
siamo?» domandò, una volta che fu certo che la sua
voce non l’avrebbe tradito.
Anche
se era conscio di trovarsi nel mezzo di un’illusione,
Ludwig non poté fare a meno di portare una mano
all’elsa dello spadone.
Lo
spazio intorno a loro si popolò improvvisamente di tutti
i peggiori aborti degli incubi umani: esseri con la mandibola
orribilmente
penzolante dal cranio e gli occhi appesi alle orbite da una vena
sanguinolenta;
creature per metà serpenti e per metà a pantere;
abomini simili a esseri umani
crudelmente distorti, con gli arti disposti in ordine casuale ed
espressioni
animalesche. Quelli e mille altri orrori si accalcarono attorno al
cerchio di
pace sorretto dall’Accordatore.
«Questo
è il Confine del Mondo» scandì
l’uomo.
«Perché
siamo qui?» chiese ancora Feliciano, trattenendo
qualunque esternazione di disgusto o paura.
«Per
rendervi chiaro il vostro ruolo futuro» spiegò con
freddezza l’Accordatore. «Questo ammasso di
degenerazioni si affolla tutto
intorno ai confini della Confederazione. E i confini sono sorretti
dall’Asse.
Se l’Asse non dovesse adempire il proprio compito…
la barriera che li trattiene
al di fuori della nostra Galassia crollerebbe, e questi esseri
sarebbero liberi
di divorare il nostro universo.»
«Divorare?»
gli fece eco Feliciano, ipnotizzato dalle fauci
spropositate di un essere alla sua sinistra, talmente lunghe da
perforargli le
guance.
«Queste
creature paiono avere una predilezione per la carne
umana» specificò l’Accordatore.
«In passato, alcuni di loro sono riusciti a
perforare la protezione. Interi pianeti sono andati distrutti, a quel
tempo.»
L’uomo
sollevò con grazia le mani dal suo pianoforte
invisibile e, all’improvviso, il Palazzo tornò a
circondarli. Il ritorno del
candore delle sue mura fu così repentino che quasi
ferì i loro occhi.
«Ho
una seconda melodia da correggere» si congedò
l’Accordatore, per poi sparire con andatura nobiliare lungo i
corridoi.
Nonostante
i pomposi drappeggi della tunica, il Guardiano
riuscì a intravedere il tremore delle sottili membra
dell’Asse.
«Feliciano…»
cercò di riscuoterlo Ludwig, ma il ragazzo era
ancora stregato dalla visione da incubo di poco prima:
un’intera bolgia di
orrori, pressati contro i Confini che lui era stato chiamato a
proteggere.
«Feliciano»
lo chiamò con più forza Ludwig, scuotendolo per
un braccio.
Il
giovane lo fissò con occhi sbarrati dai residui
dell’illusione dell’Accordatore.
«Se
non divento Asse verranno tutti divorati…»
mormorò,
flebile. Aveva ribadito più volte di essere pronto a gettare
la Confederazione
nel Caos, pur di rivedere il fratello, ma non avrebbe mai immaginato
uno
scempio simile.
«Non
sei ancora Asse. Abbiamo tempo» Ludwig si
inginocchiò
di fronte a lui, gli occhi azzurri che scintillavano a ogni palpito di
cuore.
«Ascoltami, Feliciano. Non sei ancora Asse, non hai ancora
tutto il peso della
Galassia sulle spalle. Abbiamo ancora un po’ di tempo per
pensare a una via
alternativa.»
«Una
via… alternativa?» tentennò Feliciano.
«Ci
deve essere un modo per impedire a quei mostri di
fagocitare la Confederazione, e impedire a tuo padre di incatenarti per
sempre
a questo posto» continuò Ludwig. «Mio
fratello mi ha insegnato che i demoni
sono invincibili solo quando pensi che lo siano. Possiamo combatterli,
possiamo
trovare un altro modo.»
«Tuo
fratello era così forte?»
«Mio
fratello era l’ultimo Hellsing.»
Feliciano
non mosse un muscolo del viso, a quella
rivelazione: rimase immobile, un mezzo sorriso incollato alle labbra.
«Tuo
fratello è
l’ultimo Hellsing. Quando ho aiutato il mio
gemello… lo stavano liberando»
rivelò Feliciano.
Non
aveva mai visto un’espressione così sorpresa,
quasi
innocente, sul volto del Guardiano: per un attimo, era tornato il
bambino che
oscillava sotto il peso delle cassette mediche.
«Gilbert…
è libero?» balbettò, attonito.
Feliciano annuì.
«Non
c’è solo lui. C’è anche il
Figlio del Cielo, con loro.
E il Custode dei Cancelli. E la Mano Destra del Diavolo»
elencò, con sempre
maggiore entusiasmo. Si rabbuiò subito dopo, concentrato
nella stesura di un
piano: «Se riuscissi a parlare con gli altri due
Scudi… potremmo decidere quale
sia il metodo migliore per difendere la Confederazione.»
Feliciano
rialzò la testa, sfavillando nell’ardore
dimostrato durante la prima settimana di ribellione nei confronti del
padre.
«Devo
mettermi in contatto con loro. Ma non posso fare come
la scorsa volta… è troppo faticoso, e mio padre
potrebbe insospettirsi, se
fossi di nuovo così debilitato…»
Ludwig
chinò la testa, nella genuflessione rituale davanti
all’Asse.
«Usami
come messaggero. Se mio fratello è libero, so come
contattarlo» sorrise, una spina di furbizia a lampeggiare
nell’angolo della
bocca. «Sono certo che abbia ancora Gilbird appuntato al
petto.»
Feliciano
cadde sulle ginocchia per abbracciare il suo
Guardiano, in quello che per loro ormai era diventato un contatto
normale.
Ludwig
strinse quelle spalle fragili, il naso immerso nei
capelli profumati del giovane.
Il
suo ruolo di Guardiano non avrebbe potuto essere più
azzeccato.
Voleva
proteggere quel ragazzo, voleva difendere la sua
felicità.
Avrebbe
lottato contro i suoi stessi voti, per garantire la
serenità di Feliciano.
***
Le
dita anchilosate del vecchio Asse scricchiolarono, quando
l’anziano le intrecciò sul ventre scavato.
Quei
gemelli erano troppo pericolosi. Non potevano affidare
il futuro dell’Asse a una mina vagante e a una bomba a
orologeria, entrambe
pronte a esplodere da un momento all’altro.
Tuttavia,
il potere di Feliciano era innegabilmente
smisurato, ed era ciò di cui la Confederazione aveva bisogno.
«Se
ci fosse modo di staccare il suo potere dal
corpo…»
mormorò.
Richiamò
il proprio Guardiano, imperioso.
«Chiama
il capofamiglia Vargas. Devo proporgli un’idea.»
E
nel prossimo
capitolo, signore e signori… arriva Arthur 8D
A
lunedì<3
Red