Snow
White and the seven bodyguards
Quando
Biancaneve si accorse che affidarsi a dei nani per la sicurezza del
locale non
era stata una gran mossa, era ormai già troppo tardi.
Davanti a lei i sette
omini in fila, vestiti di smoking di sette colori
rigorosamente sui toni
pastello, sembravano la squadra di lacrosse del
colleggio-femminile-per-donzelle-in-pericolo della bella addormentata.
In
realtà aveva dato loro una possibilità,
all’inizio. Fu quando si rese conto che
la fatina dai capelli fucsia passata dieci minuti prima era
più spaventosa di
loro che pensò di narcotizzarli e rinchiuderli nello
sgabuzzino.
«
Spiegatemi perché diavolo la mia giacca è verde
acqua! Una volta il mio colore
non era il bordeaux? »
«
Brontolo, è possibile che tu debba sempre fare questione?
» sbottò Dotto,
sistemandosi gli occhiali nuovi dalla montatura rossa in tinta col
proprio
abito.
« Ma
sentitelo! No, ma dico, ciccio, che ne dici di fare cambio? Come se non
lo
sapessi che l’hai ordinato di proposito il colore sbagliato!
»
« Io?
Ma no, figarut… ehm, voglio dire figurati…
».
« Ah!
Beccato. Sessanta anni di nano e ancora che confonde le vocali quando
si
innervosisce… ».
Biancaneve
si domandò, ascoltando quella conversazione, del
perché nessuna belva selvaggia
l’avesse divorata in quella dannata foresta dieci anni prima.
Già, dieci anni e
loro erano ancora identici. E identici dovevano essere i modi per
ottenere
l’attenzione.
« Nani!
» sbraitò la moretta, portandosi le dita alla
bocca per amplificare la potenza
del fischio che seguì il suo grido. Tutti tacquero.
Funzionava sempre. « Bene,
ora che ho la vostra… » cominciò a
parlare.
« E…e…e…etchiù!
Scu…scu…scusaaatchiù! »
Eolo, naturalmente, si faceva sempre riconoscere,
nonostante fosse infagottato in uno sciarpone blu elettrico in tinta
coi
vestiti che indossava.
« ...
dicevo, ora che ho la vostra attenzione, se qualcuno mi concede di
comunicarvi
due cosette…» riprese, lanciando uno sguardo torvo
al nano perennemente
raffreddato. « Vi ricordo che stasera è la sera.
Confido in voi. No matrigne
cattive, sì alle sorellastre, portano sempre soldi, sapete
com’è, annegano
nell’alcol i dispiaceri. Ah, a proposito di alcol. Ricordate
di distribuire i
volantini con il coupon per lo sconto sul “bacio del
principe” ai clienti
meglio vestiti. Questo cocktail spopolerà, me lo
sento!»
Quando
finì di parlare, nonostante Brontolo continuasse a
battibeccare sul tessuto
troppo ruvido del suo smoking – che gli avrebbe causato
irritazioni all’ombelico
– e Cucciolo si fosse messo le scarpe al contrario,
Biancaneve era felice. Il
suo sogno si era realizzato, o meglio, quasi. Da quando il principe
l’aveva
piantata per scappare con il castellano si era posta un unico obiettivo, quello di raggiungere
il successo. E per
ottenere le luci
della ribalta aveva deciso di investire in qualcosa che piace a tutti,
di cui
nessuno può fare a meno: il divertimento. E no, fare la
cabarettista non era il
lavoro per lei (non c’entrava nulla la brutta esperienza
avuta a corte, con
l’ex suocero, della barzelletta dell’uomo entrato
in un caffè, proprio no).
Biancaneve sarebbe diventata la direttrice del locale più
alla moda del regno
delle fiabe.
Quella
stessa sera sarebbe cominciata per lei una nuova vita, grazie a
qualcosa che già
una volta le aveva dato la possibilità di uno stravolgimento
totale e
definitivo... un frutto rosso e dolce come la sua esistenza
da quel momento in
poi.
« Biancaneve?
» la interruppe Mammolo, rosso più del solito in
viso, forse per colpa dell’abito
rosa shocking. «P-p-posso acc-accendere le luci? Manca poco
all’apertura ».
« E
sia. » biascicò la moretta stizzita
perché interrotta nel momento clou del suo
sogno ad occhi aperti. « Voglio la massima
luminosità possibile, capito? Tutti
dovranno notarlo ».
Un cenno
della testa del nano, che scomparve un attimo dopo, silenzioso come era
venuto,
fu l’ultima cosa che la fanciulla vide prima di restare
abbagliata dalla
lucentezza delle enormi lettere cubitali davanti a lei. Una ad una si
illuminarono fino a che la scritta non fu completa sulla struttura nera
che era
il locale: “La mela avvelenata”.
E se
prima quelle parole erano significate morte, ora significavano fama.
Vita.
Martina's corner:
non so scrivere storie comiche. Lo so. Purtroppo per voi il concorso per il quale ho scritto la storia (il "Diving into the fairy tales" di Aleyiah, sul forum) era troppo carino per non parteciparvi. Muahah. In caso la mia storia
vi abbia comunque invogliato a comprare un abito da sera color pastello
lasciatemi una recensioncina. Alla prossima, streghe! ^^