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Autore: carlhead    26/11/2013    1 recensioni
Carl Head è un agente della CIA, proveniente da San Francisco. Per rintracciare un criminale internazionale quale Lawrence Zone, segue le sue tracce fino in Europa, in particolare in Italia, a Roma, dove diventerà professore di un liceo classico del litorale. Ma la sua nuova professione è in realtà una copertura per svelare i piani del suo acerrimo rivale, tra incubi ricorrenti, ombre dal passato che tornano per perseguitarlo, e un misterioso oggetto che determinerà le sorti del pianeta e con cui Zone vuole rivoluzionare il governo internazionale. Quale segreto cela Head sulla sua missione precedente, in Mozambico? Riuscirà a fermare Zone? E soprattutto: cos'è questo oggetto fantomatico che tutti vogliono?
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Carl Head'
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“E, nel nome dell’ignoto, entriamo in questa maledetta casa. Carica la tua pistola e tienila stretta. Ti servirà”. Fu proprio dopo queste parole che il lato CIA prese il sopravvento sul lato “Testa”: tenne stretta la sua fedelissima pistola, estrasse un caricatore da una delle tasche del gilè beige che era sempre con lui, e, sicuro di sè, con un calcio abbattè la porta. Non si aspettava di certo quello che trovò.

CAPITOLO VIII:

OMBRE DAL PASSATO
 
 
Niente. Non c’era niente dentro quella casa. Era abbandonata. Di dove fosse finito l’uomo, Head non ne aveva la minima idea. Ripose quindi il caricatore nella tasca del gilè, e, molto lentamente, camminò per il vuoto salone in cui lui e Myrock si trovavano. “Forse era meglio venire insieme con gli altri” esclamò proprio Myrock, che esitava ad entrare, rimanendo sull’uscio. “Neanche sappiamo che fine ha fatto il nostro uomo, perchè venire in tanti? Comunque ora dobbiamo cercare per bene. Non dovrebbe essersi allontanato, la sua auto è rimasta lì fuori. Dovrebbe nascondersi in una delle stanze del piano di sopra, sembra che qui non ce ne siano, oltre che questo immenso salone. Avanti, saliamo” Disse Head, ed estrasse di nuovo il caricatore, di modo che se avesse finito i colpi in quello già inserito nella pistola, il cambio sarebbe stato veloce. Dunque attraversò la stanza, fino a raggiungere le scale, che si trovavano dirimpetto all’ingresso, e le percorse. Ogni scalino scricchiolava terribilmente, ogni scalino avrebbe rivelato la sua presenza all’Ignoto, ogni scalino sarebbe potuto essere la condanna del Veterano, del suo compagno, e dell’intera missione, ma soprattutto della salvezza della terra. Fallire anche solo un colpo, in quella missione, sarebbe significato un terribile aumento delle probabilità di Zone di riuscire a conquistare quel misterioso oggetto per scatenare la sua guerra. Ma Head decise di non pensarci, decise che sarebbe riuscito a portare a termine il suo compito, decise che il Mozambico non si sarebbe ripetuto. Erano solo dieci scalini, ma durarono, per i due agenti, un’eternità. Finalmente riuscirono a raggiungere il corridoio del piano di sopra: anch’esso era abbandonato, le finestre chiuse non avevano permesso per diversi anni alla luce di penetrare in quel tetro luogo. Le uniche fonti di luce provenivano da fori sulle stesse finestre, provocati dal logorio del tempo. In compenso le porte erano tutte aperte, cosicchè Head potesse guardare all’interno delle diverse stanze senza avvertire la sua presenza aprendo ogni probabilmente cigolante porta. Ma ognuna delle stanze era vuota. Neanche un mobile. Niente. Neanche un sussurro. Niente.
 
Si trovavano davanti l’ultima stanza. Anch’essa era vuota. Ma dove era finito quell’uomo? Si sentì sgommare. Head spalancò una finestra, e per la prima volta dopo anni la luce regnava anche in quell’angolo di oscurità. L’auto parcheggiata nel vialetto della casa non c’era più: a sgommare era stata proprio lei. Head si precipitò al piano di sotto, mentre Myrock scrutava fuori dalla finestra per vedere l’auto, ma era inutile. Head uscì, anche lui per notare dove l’auto fosse diretta, ma era ormai scomparsa, senza lasciare tracce di sè. “Corri Mark andiamo!” “Ma se non sappiamo neanche dove dobbiamo andare!” “Io lo so, e non è certo dietro quell’auto.” Così anche Myrock corse al piano di sotto, ma nella fretta, correndo ler le scale, alcuni vecchi scalini si ruppero, e Myrock raggiunse Head prima del previsto. “Sto bene, sto bene!” dichiarò prontamente. Dunque i due uscirono dall’edificio e sfrecciarono via con la loro Camaro blu. Destinazione: Arena Dominators.
 
Lupos in quel momento si trovava a casa di Head e Myrock e stava giocando a briscola con Pitrinos e Graziano, che faceva da insegnante ai due spagnoli. Head proruppe nella stanza, e convocò in consiglio gli Arena Dominators, per spiegare loro come stavano le cose, e chi pensava di aver visto. Al termine del suo discorso, gli altri rimasero sgomenti. Possibile che i timori di Head fossero fondati? Organizzarono dunque una spedizione: Head, Myrock e Lupos salirono nella Camaro blu, mentre Graziano, Pitrinos e Brancardi, che stava leggendo il giornale fumando una pipa inglese, preferirono raggiungere la destinazione a bordo del furgone dello stesso Brancardi. Il tragitto non fu lungo, il traffico era notevolmente diminuito dall’ultima volta che Head lo aveva percorso in auto. Ma questa volta non guidava lui, era troppo emotivamente scosso. Alla guida vi era Lupos. Questo permise al Veterano di chiudere gli occhi, se pur solo per una decina di minuti. Ma subito rivide il Mozambico, rivide la morte, il dolore, rivide i suoi compagni abbandonare quel mondo terreno, rivide tutti, rivide Lase. Ancora. Era un’ossessione, da quando era giunto a Roma dalla Spagna. Doveva catturare Zone, doveva vendicare i suoi amici per non sognare più quelle terribili ombre del suo passato.
 
Si svegliò improvvisamente poco dopo. O meglio, fu svegliato da Myrock. Erano tornati a quella villa abbadonata. Gli altri erano già entrati, solo Monica Graziano era rimasta fuori. Fissava la struttura dell’edificio con notevole disgusto, poi disse: “Questa casa non rimarrà in piedi a lungo, state attenti quando salite le scale”. A quelle parole il volto di Myrock si contorse per l’imbarazzo per quello che era accaduto poche ore prima. “Monica, secondo te potrebbe essere vero quello che vi ho detto?” chiese Head. “Tutto può essere vero. Siamo qui apposta. Dobbiamo trovare anzitutto la via attraverso cui è fuggito, poi qualche indizio che ci possa dire se sia affettivamente lui.” “Bene, dirigi tu l’operazione di ricerca, io non mi sento bene. Collaborerò con gli altri, ma non ce la faccio a guidare la missione” “Ok, non preoccuparti, ci penso io”.  Fu così che la missione di ricerca all’interno della villa fu guidata da Monica Graziano, di mattina una (non proprio) normale insegnante di matematica, il pomeriggio agente segreto dei nuovi Arena Dominators. Fu così che Carl Head, veterano di mille e mille battaglie, tanto da essere soprannominato “il Veterano”, divenne un semplice agente, impegnato nel ricercare le tracce di un fantasma, di un uomo mai visto, di un uomo mai esistito. Ma lui ci credeva, credeva alla sua esistenza, credeva che lo avrebbe trovato. Ma era troppo stanco per trovarlo quel giorno, troppi avvenimenti, troppi colpi di scena. Un signore come lui avrebbe dovuto riposarsi, invece lui era lì, in cerca del suo uomo.  
Head non si stava impegnando particolarmente, data la sua stanchezza, ma gli altri si: tra tutti spiccava Pitrinos, l’agente spagnolo, che, con occhio acuto, aveva scoperto una porticina nascosta, sotto le scale, coperta dalle travi che Myrock aveva spezzato quando lui e il suo capo erano entrati nella casa la prima volta. “Ehy voi! Ho trovato una porta! Forse è da qui che è scappato quell’uomo!” Head giunse per primo, scrutò attorno, poi, una volta giunti tutti gli altri, disse: “Qualcuno deve venire giù con me. Dobbiamo dividerci in due squadre: Pitrinos, Graziano, venite con me. Myrock, tu guiderai l’altra squadra composta da te, Brancardi e Lupos. Mentre noi scendiamo, voi altri cercate fuori una via d’uscita, apritela qualora fosse chiusa. E’ molto importante che la troviate, perchè se ci fosse, e fosse apribile solo dall’esterno, c’è bisogno del vostro impegno per scoprire come è fuggito”. Quindi rispose, a sopresa, Brancardi: “Ma, Head, effettivamente non è così importante sapere come è fuggito, l’importante è che è fuggito! Dobbiamo scoprire chi è, non come se ne è andato”. “Paolo, come se ne è andato potrebbe tornare. Forse questa casa nasconde qualcos’altro oltre questa porta, forse ha dimenticato qualcosa. Dobbiamo tenerla d’occhio. Avanti, entriamo”.
 
Un uomo, da qualche parte nel mondo, non è importante che sappiate dove, era soddisfatto.
 
Oltre quella porticina regnava l’oscurità. Head accese la sua piccola torcia, che teneva sempre nel suo gilè. Faceva freddo. Sentiva la sua squadra dietro di sè, e si sentiva confortato dalla loro presenza, ma il freddo che lottava con il buio per avere il predominio là sotto, rendeva tutto più difficile, anche il pensarsi, di lì a poche ore, a casa, al caldo, a guardare la televisione con gli amici, e non pensare a quello che stavano rischiando, scendendo così sottoterra: quella porticina nascondeva una lunga rampa di scale. Ma Head ci provava in tutti i modi, scalino dopo scalino, pensava ai suoi compagni sopra, e a quanto sarebbe stato bello rivederli, quando quella storia sarebbe finita, dopo aver trovato il passaggio. Ma non avrebbe trovato alcun passaggio: la scala finiva dinnanzi a un muro. Ma a sinistra, Head poteva vedere un’altra misteriosa porta, sul lato opposto a quello che sperava. Da lì non si usciva.
Quell’uomo non se ne era andato.
Quell’uomo lo aspettava.
 
Head si girò, fece un cenno con la testa ai suoi compagni, e poi, con un impeto, sfondò la porta e entrò nella stanza, puntando davanti a sè la pistola, ma dovette riabbassarla immediatamente per lo stupore. I suoi occhi e la sua bocca erano spalancati. Anche gli altri erano rimasti attoniti dalla vista. Avevano visto qualcosa che non si aspettavano. O meglio, qualcuno. Quella figura, seduta su una poltrona dietro una scrivania, con sguardo soddisfatto, e un ghigno sul volto, parlò: “Buonasera Carl. Sono sicuro che ti stai chiedendo se sono veramente io. Sì, sono veramente io”
Era Luke Lase.
 
 
[continua nel prossimo episodio: LUKE LASE]
  
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