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Autore: Calliope90    28/11/2013    3 recensioni
«Soffriamo di un male incurabile tu ed io, siamo sempre stati troppo attenti, siamo cresciuti in fretta lasciando indietro i nostri coetanei. Ma crescere significa anche morire dentro. Significa solitudine e a questa nessuno è preparato, ma poi ti ci abitui e impari ad amare la tua compagnia perché sei la sola che riesce a capire i pensieri che ti passano per la testa. E poi detesti gli altri. E hai ragione, meglio picchiare, tagliare e urlare. Meglio tutto purché non sia l’impossibilità. Quella è la fine.»
«Come ti chiami?»
«Enea.»
«E dove sei stato fin ora Enea?»
«Mi ero perso.>>
[...]
Non avevo mai provato la sensazione di morire in modo così dolce, avevo sempre pensato alla morte come un punto scuro e definitivo nella vita.
Quella invece era la morte che ti faceva rinascere.
Enea.
Un eco che continua ancora oggi a risuonarmi nel cuore, quelle persone che non dimentichi mai, che passano nella tua vita lasciando segni profondi e incolmabili.
Genere: Romantico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'odissea di un fiore
 
      




Era un giorno di tanti anni fa.
Apparivo per quella che ero: una ragazzina molto magra e con il particolare talento di essere insignificante, priva di dettagli per cui una persona avesse potuto notarmi.
Forse ora che ci penso non era proprio un talento ma una caratteristica: essere priva di cose particolari.
Una massa di capelli lisci e castani m’incorniciava il viso bianco, solo una linea di eyeliner a decorare quei grandi occhi azzurri.
Erano troppo luminosi, troppo azzurri, troppo per me… io che ero così poco. 
Quello era un periodo di gravi perdite per me, e insieme a tante avevo perso anche la stima di me stessa, e quella mattina mentre fumavo e osservavo nel cortile della scuola tutti quegli studenti, mi sentii in colpa con me stessa.
Come avevo potuto, un tempo, pensare che quella massa di persone immature, così cieche e così maledettamente egoiste, fossero migliori di me?
Alcune ragazze ridevano in modo così sguaiato che non riuscì a trattenere uno sguardo irritato nella loro direzione. Faceva freddo anche quella mattina, avevo le mani gelate ma non m’importava. 
Dentro bruciavo.
Domani, mi ripetevo, arriverà un domani in cui non dovrò sopportare tutti questi giorni pieni di persone inutili, colmi di gente che non conosce il significato di niente, che non ha mai assaporato il dolore.
Gente che si soffermava così intensamente sull’aspetto fisico di una persona.
Ai miei occhi quelli che si salvavano in mezzo tutto quell’ammasso di gente erano i ragazzi pieni di rabbia, quelli che continuavano a cercare qualcuno con cui fare a botte, che ti mandavano a fanculo, che sbattevano porte, che lanciavano tutto per aria.
Quel giorno ero nella stessa posizione di tutti gli altri precedenti, sempre a fumare, e osservavo un ragazzo che riempiva di botte un imbecille. L’altro effettivamente era un coglione e per me non era un ottimo motivo per pestarlo, ma era interessante guardare il sangue schizzare ovunque, m’intrigava analizzare i caratteri, la situazione e le questioni scatenanti che portavano quel ragazzo a picchiare l’altro.
Provavo uno strano piacere nell’osservare con quanta rabbia scazzottava.
Poi accadde una cosa che non mi era mai capitata prima di allora e che non successe mai più. Qualcuno posò la sua testa sulla mia spalla intrufolandosi nella mia bolla di solitudine, sentivo il mento di quell’estraneo affondarmi nella pelle e solo allora mi accorsi che la maglia che indossavo era troppo sottile. Capelli che odoravano di menta mi solleticavano il viso, un respiro, e poi un altro, e un altro ancora.
Il cuore si fermò, e continuò a farlo per tutto il tempo. Non feci nessun movimento, era una situazione tanto strana quanto piacevole per una come me, che si era buttata dietro ogni rapporto e contatto umano.
Per quanto disprezziamo i contatti, ne abbiamo sempre un disperato bisogno, questa è l’incoerenza umana.
«Cos'è per te tutto questo?»
Girai i miei occhi cercando di vedere chi fosse, ma riuscivo a guardare solo un profilo, forse era delicato.
Inspirai ancora un po’ di fumo dalla sigaretta e quando feci per abbassare il braccio, il ragazzo lo afferrò.
La sua mano copriva perfettamente il mio polso, le dita riuscivano a toccarsi e di spazio ne restava ancora. Mani grandi, voce dura.
Poi alzò la mia mano davanti alla sua faccia posando sulle labbra la sigaretta, aspirò con foga, quasi a riempirsi.
Quella situazione aveva qualcosa di terribilmente erotico, che mi faceva sentire una donna nelle mani di quell’estraneo che aveva il sapore di un uomo.
«Per me questo è tutto inutile.» E con la mano indico il lato del cortile dove la gente chiacchierava, sbraitava, rideva. Poi indico l'altro lato, dove i pugni continuavano. «Quello no, è l’unica cosa sana in questo cortile.»
Sento la sua risata solleticarmi il viso.
«La gente è stupida, fottuta da questa società. Sono così noiosi. Secondo te quante persone si fermano a osservarne altre come noi? Pochissime, una misera parte. Anche noi siamo gretti, ma in compenso non facciamo come il resto dei nostri compagni, che danno un minimo d’attenzione di cinque secondi a ogni cosa, e quanto può essere profonda una persona così? Noi restiamo qui tanto tempo perdendoci negli occhi degli altri, cercando di trovare una giustificazione decente a certi comportamenti.»
«Esatto.»
«E sai che cosa ho sempre pensato? Che mi ci potrei perdere dentro di te per la profondità che nascondi.»
«La profondità non sempre è una cosa buona.»
«Dipende sempre da quale lato la guardi.»
«E tu cosa ne pensi di questo?»
Gli faccio cenno in direzione del ragazzo della scazzottata che se ne sta andando lasciando l’altro sull’asfalto, con la faccia gonfia, buttata sui suoi libri.
«Penso che le situazioni apparentemente sembrino una cosa e invece, in fondo, sono un’altra. Credo che quel ragazzo possa non sopportare i deboli perché è stato costretto dalla vita a essere forte, o magari è così disperato che non riesce più a trovare un modo per sentirsi vivo se non così. A volte le apparenze ingannano, per esempio agli occhi di qualcuno noi stiamo parlando, ma nessuno sa che abbiamo iniziato già a fare l’amore.»
Credo che in quel momento, molto probabilmente, il mio viso si colorò dello stesso colore del tramonto, quell'identico rosa accesso. Facilmente notabile.
E continuavo a fumare.
«E tu cosa pensi riguardo quel ragazzo, perché ha bisogno di picchiare?»
«Forse per lo stesso bisogno che uno ha di bere o di ridere a squarciagola o di screditare, di scrivere, leggere. Penso che lui o picchi o sprofondi. Ed io al suo posto farei lo stesso.»
«Lui picchia per la stessa ragione per cui tu ti fai questo?»
Alza il mio braccio spostando con un dito un piccolo lato di stoffa e mettendo in bella mostra i miei tagli, molti di essi cicatrizzati, altri no. Alcuni erano freschi e incrostati di sangue, e di mattina sembravano cose ancor più terribili della sera. Era la luce del giorno che si apriva come un sipario sulle azioni estreme della mia vita.
Ho tirato via la mano allontanandomi, poi mi sono girata verso quel ragazzo, sperando che la mia agitazione non trapelasse dagli occhi.
Come sapeva dei miei tagli?
Chi si credeva di essere quel bastardo impiccione che non era altro!
Umiliarmi in quel modo.
Mi ritrovai a guardare due occhi grigi come i temporali, iridi senza emozione. Quelli risucchiavano tutto.
Erano incorniciati da una massa di capelli di un biondo opaco, scuro, che non aveva niente di luminoso.
Un viso duro, quello lì aveva vissuto cento vite, era pieno di cicatrici ed era molto, molto più profondo di me. E in tutta quella durezza aveva qualcosa di dolce, forse era il sorriso folle che sfoggiava in quel momento.
Era vestito in modo scuro, come me, per passare inosservato. Ma lui non poteva riuscirci, perché quello sguardo era un enorme vaffanculo al mondo, i suoi erano occhi di chi è morto ed è ritornato.
Quelle orecchie avrebbero saputo ascoltare le mie risposte.
«Ci sono persone che arrivano in un momento vuoto, nell’impossibilità. Io ho trovato questo rimedio e mi aiuta a restare. E per quanto sia orribile, è l’unica cosa che continua a tirarmi fuori dallo specchio in cui mi guardo ogni mattina, per quanto faccia schifo non voglio rinchiudermi in una gabbia fatta d’impossibilità.»
Si alza e viene vicino a me. 
E’ alto.
E’ terribilmente macabro.
E’ incredibilmente bello.
E ha ragione, noi stiamo facendo l’amore davanti a un intero istituto senza che nessuno se ne accorga.
«Aster, lui picchia per lo stesso motivo per cui tu ti fai quello?»
«Penso di sì.»
Abbassai lo sguardo perché mi sentivo nuda, non mi piaceva parlare con la gente proprio per quello: avevano sempre il potere di trascinarmi giù, in quell’abisso di ossessioni e insicurezze.
Poi lui si avvicina, mi accarezza i polsi, si accosta al mio orecchio, e gli lasco fare tutto.
«Posso confidarti un segreto?»
Annuisco, ne sono certa, i suoi segreti mi faranno sentire meno sola.
Raccontami tutto, mostrami le tue battaglie, dimmi quello che vuoi, ma non ti fermare. 
Tira su una manica del suo braccio e ci trovo i miei stessi segni, solo che i suoi sono tutti vecchi.
«Soffriamo di un male incurabile tu ed io, siamo sempre stati troppo attenti, siamo cresciuti in fretta lasciando indietro i nostri coetanei. Ma crescere significa anche morire dentro. Significa solitudine e a questa nessuno è preparato, ma poi ti ci abitui e impari ad amare la tua compagnia perché sei la sola che riesce a capire i pensieri che ti passano per la testa. E poi detesti gli altri. E hai ragione, meglio picchiare, tagliare e urlare. Meglio tutto purché non sia l’impossibilità. Quella è la fine.»
«Come ti chiami?»
«Enea.»
«E dove sei stato fin ora Enea?»
«Mi ero perso.»
«Perché sei venuto da me?»
Ride, quella risata luttuosa che ha. Quella risata che provoca l’effetto di un taglio ma che subito si risana.
«Perché sei una cosa che stavo cercando. Sai, adesso può anche finire tutto.»
«In che senso?»
«Tu... tu saresti un finale perfetto.»
Anche se non capivo le sue parole, m’imbarazzai lo stesso.
Poi mi baciò davanti a tutta la scuola, mentre il suo pollice strofinava contro la stoffa del mio polso.
Non avevo mai provato la sensazione di morire in modo così dolce, avevo sempre pensato alla morte come un punto scuro e definitivo nella vita.
Quella invece era la morte che ti faceva rinascere.
Enea.
Un eco che continua ancora oggi a risuonarmi nel cuore, quelle persone che non dimentichi mai, che passano nella tua vita lasciando segni profondi e incolmabili.
Persone che ami fino alla follia, con cui ti permetti di sognare.
Sono quelle persone che ti lasciano sempre.
Enea è morto tanti anni fa, molto tempo dopo il nostro incontro.
Ma lui è sempre con me, in ogni taglio che ho inciso sulla mia pelle c’è qualcosa di lui che non mi lascerà mai, proprio come quel giorno in cui i suoi occhi entrarono per la prima volta nella mia vita, ma che forse erano lì già da tanto.
Un ricordo segnato nella mia carne.
E come ti sei innamorata?
Parlando dell’impossibilità.
Mai.
Mai.
Mai.
Niente ti restituirà l’amore che hai donato, sono pezzi di te che vanno via e il più grande l'ha portato con sé Enea.
E da allora sono arrabbiata, e sapete alcune persone cosa fanno quando si trovano in questo stato d’animo?
Distruggono tutto quello che trovano davanti ai loro occhi, penne, piatti, matite, vasi, qualsiasi cosa e poi dopo se ne pentono.
Io da quando sono arrabbiata ho iniziato a distruggere me stessa.
E non mi fermo più, continuo, continuo, continuo, continuo, continuo.
Un giorno smetterò di punire me per le cose che capitano nella mia vita.
Un giorno questo dolore finirà, forse anche la terribile tristezza e l’angoscia che mi porto dentro smetteranno di crescere.
Ripenso a lui a perdifiato, sento nell’aria sussurrare quello stupido nomignolo che mi aveva dato: Aster. Mi ripeteva che ero il suo fiore, cresciuto nell’asfalto della vita.
Ora come un macabro scherzo del destino cammino per queste strade come un fiore appassito, consapevole che lui è sepolto sotto tutta quella terra gelida e indurita.
Enea, mi senti? Ancora ci spero che un giorno ritorni da me come la prima volta, con la testa poggiata sulla mia spalla, mentre l’aria fredda immortala ancora una volta la mia vita insieme alla tua.
Ancora una volta.
Ancora.








Questa è un breve storia scritta in un periodo difficile della mia vita. Ho pensato più e più volte di creare qualcosa di più corposo intorno a questa vicenda, di produrre una storia lunga per questi due personaggi. Poi ho deciso che non potevo. 
Astrid e Enea sono come quelle tragedie mitologiche, pure e sporche, tragiche eppure romantiche.
Brevi ma perfette.
La dedico alle persone che hanno perso qualcuno.
La dedico a mio padre, che mi ha lasciato troppo presto.
La dedico all'autolesionismo, una malattia, uno stile di vita, una conseguenza che arriva dopo una vita piena di orrori.
Siamo tutti forti, anche se non ce ne rendiamo conto.

Ecco, penso sia tutto.
Spero abbiate gradito anche questo breve racconto. Aspetto i vostri commenti.
Alla prossima,
Calliope.







 
  
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