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Autore: Fanelia    28/11/2013    7 recensioni
Questa storia parte dalla fine del manga/anime che dir si voglia e sviluppa una what if, anche su alcune informazioni lette in rete sul Final Story. E' una what if in cui uno dei protagonisti soffre di amnesia a causa di un incidente e solo grazie al ritorno nella sua vita del suo grande amore, ricomincerà a riappropriarsi di frammenti del proprio passato.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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RICONOSCIMI

 
Capitolo XXXVII

Una decisione importante


 
"Le decisioni devono essere prese con coraggio, distacco e, talvolta con una certa dose di follia – non la follia che distrugge, bensì quella che conduce l’essere umano a compiere il passo al di là dei propri limiti."
-Paulo Coelho-

 
Era rimasta sola nella sua stanza, il dottor Matthews finalmente l’aveva lasciata in pace. Avrebbe preferito non doverlo vedere, ma da brava infermiera sapeva di avere bisogno di sottoporsi ad una visita.
Stava cercando di non pensare a quanto era appena accaduto, ma non le riusciva affatto facile.
Non riusciva a capacitarsi di come, proprio le persone di cui si fidava tanto, l’avessero tradita con una tale semplicità.
Se ripensava a tutte le bugie che le avevano propinato, sentiva la rabbia crescere a dismisura dentro di sé.
E pensare che per mesi si era arrovellata per svelare il mistero del “ragazzo del passato” e per mesi si era sentita in colpa nei confronti di Terence perché si sentiva divisa fra un passato che non ricordava e un presente che era semplicemente troppo bello per essere vero.
Si sentiva stupida, l’avevano presa in giro e l’avevano ferita come pochi prima di allora.
Davvero non riusciva a spiegarsi, non poteva capire, come l’avessero ingannata per tutto quel tempo senza crearsi il mimino scrupolo e senza alcun rimorso, o almeno così le era parso.
Ora che ricordava il suo passato, si sentiva tradita e tutto ciò che desiderava era poter fuggire e sfuggire a quel presente con il quale, in quel momento, non voleva scendere a compromessi e non  voleva avere nulla a che fare.
Sentì bussare alla porta della sua camera e si chiese chi potesse essere. Le pareva di essere stata chiara, non voleva assolutamente vedere nessuno ma in fondo sapeva che né Terence né Albert le avrebbero dato tregua fino a che non li avesse ascoltati.
La cosa buffa era che a lei non interessava chiarire in quel momento. Non le interessavano le loro sciocche scuse. Era stata ferita profondamente e non potevano certo pretendere che tutto il male che le avevano causato, potesse essere cancellato con un semplice colpo di spugna.
Non rispose e così chiunque ci fosse dietro quella porta, provò nuovamente.
“Non voglio vedere nessuno, mi pareva di essere stata chiara!” esclamò lei piccata.
“Per favore, ascolta ciò che ho da dirti. Se poi non vorrai rivedermi ti lascerò in pace.” le disse Terence tentando di convincerla ad aprire quella dannata porta che li separava.
Era Terence e, dal tono della sua voce, poteva distinguere chiaramente che era in pena e che gli premeva poterle spiegare le sue ragioni. Era anche sicura che, data la risolutezza del giovane, non l’avrebbe lasciata in pace fino a quando non lo avesse ascoltato.
Si alzò di malavoglia dal letto e, prima di aprire la porta inspirò profondamente, nel tentativo di raccogliere le poche forze che le erano rimaste.
La rivelazione del proprio passato era stata a dire poco provante, era stata investita e travolta da tutti quei ricordi, di cui una buona parte dolorosi, e non aveva certo avuto modo di assimilare il tutto.
Terence si sentiva a dire poco angosciato. Aveva chiesto diverse volte ad Albert di raccontare a Candy la verità, aveva tentato diverse volte di fargli capire che secondo lui, qualora Candy avesse ricordato, non li avrebbe perdonati e ne aveva avuto la conferma.
Il suo timore più grande non era solo la possibilità di perderla e il ferirla, ma la certezza che l’avrebbe delusa nuovamente. Aveva quasi la sensazione che fosse destinato a deluderla, perché se riguardava al passato e alle situazioni che li avevano coinvolti, era stato un continuo disappunto, ne era certo.
Tentennò prima di bussare a quella porta una seconda volta; certo, voleva poterle spiegare perché avevano agito come avevano agito, ma non era più certo che avesse senso. Aveva ragione lei a sentirsi delusa e tradita, cosa le avrebbe potuto dire? Non si meravigliò quindi, quando lei gli ribadì che non voleva vederlo e, anche se si era aspettato una tale risposta, la cosa non poteva certo non ferirlo. Stava ponderando se andarsene o se riprovare quando, improvvisamente, e contro ogni aspettativa, quella maledetta porta si aprì. Ringraziò Dio perché non pensava che l’avrebbe più rivista e, quando lei gli fece cenno di entrare, ebbe la certezza che nei pochi minuti che lei gli avrebbe concesso, avrebbe dovuto giocarsi il tutto per tutto.
La osservò dapprima in silenzio e notò i suoi occhi gonfi e rossi;  non poté non provare una fitta al cuore sapendo di essere stato lui a causarle quell’ennesimo dolore.
Inspirò profondamente prima di cominciare a parlare. Non sapeva nemmeno da dove partire.
Come avrebbe voluto che lei potesse leggere nel suo prolungato silenzio come si sentiva, ma quello era il momento sbagliato per tacere, doveva parlare, doveva spiegarle, perché lei quella volta non era disposta a sottostare ai suoi bizzarri modi di agire, non aveva intenzione di leggere nei suoi occhi il suo tormento. Terence decise, nonostante gli costasse e non poco, di lasciare parlare il proprio cuore, sperando che le sue parole le giungessero veritiere.
“Immagino che non te ne farai nulla delle mie scuse…” cominciò lui per venire subito interrotto dalla freddissima risposta di lei.
“Decisamente.” disse secca e distaccata, dalla sua voce non traspariva la minima emozione, il minimo tentennamento. Quella risposta, così lapidaria, gli rese decisamente più difficile quell’arduo compito. Lo sguardo di lei, gelido e scostante, era per lui come il vento del nord che gli sferzava non solo il volto, ma l’anima ed il cuore.
“Sono contento che tu abbia recuperato la memoria, anche se avrei sperato che accadesse prima.”
“Non sarebbe stato più semplice dirmi la verità?” lo interruppe lei innervosita.
Se pensava di poter ottenere un’assoluzione con delle banali scuse, si sbagliava di grosso.
“Avrei voluto, sin dalla prima volta che ci siamo rivisti.” disse bloccandosi, non poteva dirle altro, non poteva certo scaricare tutta la colpa su Albert, doveva dare il tempo, anche al suo amico, di parlarle. Non spettava a lui spiegarle i motivi per cui Albert le aveva tenuto nascosto tutto.
“Direi che è stato decisamente più semplice prendermi in giro?!” esclamò lei, sempre meno capace di tenere a bada l’uragano che stava provando dentro.
“Lo pensi sul serio? Io avrei … avrei voluto abbracciarti, stringerti a me … avrei … avrei voluto confessarti che per me non è cambiato nulla, che io non sono cambiato, sin da quando ti ho rivista ma … “si interruppe perché lo sguardo di lei era tornato a farsi indifferente e la cosa lo turbò.
Si chiese se fosse davvero possibile che non le interessasse o se fosse così arrabbiata da rifiutarsi di cercare di comprendere.
Era sempre stata una persona estremamente altruista, ma in quel momento pareva accecata dalla rabbia, o quel che era forse peggio, pareva accecata dal dolore.
“Abbiamo sbagliato, lo so e lo sapevo anche prima.”
“Finalmente ti sento dire una cosa sensata. E, visto che siamo concordi su questa cosa, direi che non abbiamo più niente da dirci.” disse lei a fatica, non sarebbe riuscita a tenere a bada le proprie emozioni, e quelle dannate lacrime che premevano per scendere, ancora a lungo.
Per quanto fosse delusa ed irata, non poteva certo negare che lo amava. Lo amava dal profondo del suo cuore, lo amava più di sé stessa, non aveva mai smesso e non avrebbe mai potuto. Vedere che le proprie parole lo ferivano le faceva male, ma non riusciva ad evitarlo. In qualche modo forse, finalmente, si stava liberando di tutto quel peso che si era tenuta dentro per anni e che aveva rischiato di farla sprofondare.
Non avrebbe mai potuto dimenticare tutto il dolore, tutta la sofferenza.
Il flusso dei suoi pensieri fu tempestivamente interrotto dall’ennesimo reo confesso che bussava alla sua porta.
“Avanti il prossimo!” disse lei accompagnando quelle parole ad una risatina amara, isterica. Tanto valeva arrendersi all’evidenza e ascoltare chiunque avesse qualcosa da dire, forse poi, finalmente, l’avrebbero lasciata tranquilla.
A quanto pareva, a nessuno interessava di quel suo unico desiderio, di poter stare da sola, in santa pace per un po’, per un bel po’.
“Posso tornare dopo.” disse Albert non appena entrato, non credeva che Candy stesse già parlando con Terence e non capì perché mai lo avesse lasciato entrare.
“Perché mai? Con lui ho finito.” affermò lei freddamente.
“Ma Candy io …”
“Terence l’hai ammesso tu stesso, hai sbagliato. Hai sempre avuto modo di scegliere e hai sempre optato per la scelta sbagliata. Ora davvero pretendi che ti perdoni per avermi mentito? Per avermi trattata e per avermi fatta sentire come una perfetta stupida?” non proferì quelle parole a cuor leggero, perché sapeva che lo avrebbe ferito, eppure non riuscì a fermarsi.
In quel momento, l’unica cosa che desiderava, davvero era poter smettere di amarlo. Avrebbe voluto che il proprio cuore non fosse tra le mani di quell’uomo.
“Non è colpa sua. Gli ho proibito io di dirti la verità e poi quando eravamo pronti a dirtela, hai cominciato a ricordare, ricordi tristi e sembravi turbata dal tuo passato. Persino il dottore ci ha consigliato di lasciarti ricordare naturalmente.” Si intromise Albert, che aveva appena assistito a quella scena sbigottito ed esterrefatto; mai e poi mai avrebbe pensato che la sua bambina avrebbe potuto reagire a tale maniera. Aveva decisamente sottovalutato la sua rabbia e sopravvalutato il suo altruismo.
“Questo tuo tentativo di assumerti tutte le colpe è certamente degno del tuo nobile animo.” gli si rivolse lei.
“Sii ragionevole, tu stavi soffrendo, cosa avremmo dovuto fare? Quando ti sei svegliata e non ricordavi più nulla, sono stato io a scegliere di non dirti niente di lui, di voi.”
“Pensi di avere bisogno di ricordarmelo? E pensi di sapere quanto stavo male? Bene , oggi ti dirò la verità, no Albert non sai come stavo. Perché ho sempre finto di poter andare avanti. Ho sempre finto, dietro a tutti i miei sorrisi. Perché stavo male e non volevo che vi preoccupaste. Perché ti avevo promesso” – disse poi rivolgendosi a Terence –“ che sarei stata forte e sarei stata felice. Ti avevo promesso che sarei andata avanti. E sai perché? Perché non volevo che fossi dilaniato dal dubbio, che vivessi col senso di colpa, perché dovevi giungere ad una scelta e sia scegliere me che lei, avrebbe causato della sofferenza. Ma se avessi scelto me, non avresti potuto vivere schiacciato dal rimorso. Pensi che non lo sapessi allora? Perché pensi che me ne sia andata senza lasciarti il tempo di pensarci su?”
Terence non disse nulla perché quel fendente lo colpì dritto al cuore.
Lei si era sobbarcata tutta quella sofferenza per non costringerlo a scegliere. Non aveva scelto la via più semplice per sé stessa, ma quella che aveva creduto essere la più semplice per lui.
“Volevamo dirti la verità a Natale …” cominciò Albert che fu interrotto da Terence.
“Ma io sono dovuto partire. Come potevo dirti tutto e andarmene?”
“Ah certo, il teatro prima di tutti, prima di me. Come sempre. Come quando mi hai lasciata come una sciocca a Londra, come quando ci siamo incrociati a Chicago, come quando mi hai invitato a New York per la prima.” Candy proferì tali parole con il solo intento di ferirlo e, dall’incupirsi di quello sguardo che conosceva così bene e che tanto amava, capì che aveva fatto centro.
“Se pensi questo di me, vuol dire che non mi conosci. Sarei potuto partire per New York già quell’estate in Scozia, eppure non lo feci. Mia madre mi chiese di partire con lei e vuoi sapere che le risposi? Le dissi che volevo stare con te. Che mi interessavi più del mio primo amore, del teatro, della recitazione.” le rivelò un dei suoi segreti più intimi e lo pronunciò quasi con rabbia. Pausò prima di riprendere.
“Se è davvero questo ciò che pensi di me…” cominciò ma si interruppe non appena si accorse che Candy stava piangendo.
Accennò a fare un passo in avanti ma lei lo bloccò con uno sguardo eloquente e che la diceva lunga su come si sentisse in quel momento.
“Ho ascoltato le vostre ragioni, ora posso rimanere sola?”
“Vorrei solo che ci riflettessi, perché la colpa è interamente mia.”
“Albert, questo mi è chiaro ma non cambia la posizione di Terence. Avrebbe potuto dirmi la verità invece che lasciarsi coinvolgere in questa farsa.”
“Ok, forse è meglio che vada. Se hai bisogno, sai dove trovarmi.” Disse lui uscendo da quella stanza e lasciandoli soli.
“Puoi andare anche tu.” suggerì freddamente al suo Terence.
“Vorrei solo dirti un’ultima cosa.” Le disse lui avvicinandosi.
Con il cuore in gola e la paura di perderla che lo divorava, coprì la distanza che li separava e le prese il volto fra le mani. La costrinse a guardarlo negli occhi. Con suo enorme stupore lei non si ritrasse. La sentì tremare.
“Guardami. Sono lo stesso che hai lasciato su quelle dannate scale. Perché da quel maledetto giorno per me il tempo ha smesso di scorrere, fino a quando non ti ho rivista. Era tanto che non vedevo Albert, non credevo certo di rivederti quella sera …” inspirò prima di riprendere “… è stato un colpo per me scoprire che avevi perso la memoria. Ma lascia che sia sincero perché, se da una parte me ne sono rattristato, da una parte sono felice di sapere che quell’amnesia ti ha permesso di smettere di soffrire per un inetto, un essere indegno come me.”
“Terence …” fu l’unica cosa che lei riuscì a dire, colpita dalle dure parole che il ragazzo aveva rivolto contro sé stesso.
“Ti ho delusa troppe volte, lo so e, se non vorrai perdonarmi me ne farò una ragione. Ma sappi che … TI AMO, non hai mai smesso!” riuscì ad ammettere per la prima volta, sentendo così, per la prima volta in tanti anni, il suo cuore libero da un peso, da quella sensazione di oppressione che si era portato dentro a lungo.
Quando Terence le lasciò il volto, le rivolse un mezzo sorriso e poi lasciò quella stanza, con il cuore ridotto ad uno straccio.
Quando Candy si rese conto di essere rimasta sola con i propri pensieri, il suo cuore si sentì libero di esplodere in mille frantumi, in mille schegge di dolore.
Solo quando il ragazzo chiuse la porta dietro di sé, si permise di crollare, sia sotto il peso dell’intera situazione, sia perché si sentiva terribilmente in colpa per le parole orribili che gli aveva rivolto.
Come aveva potuto rivolgere parole così cariche di astio e risentimento alla persona che amava più della sua stessa vita? Avrebbe voluto dirgli che lo perdonava, ma la rabbia che provava riusciva  sovrastare anche l’amore che aveva sempre provato, per quel giovane ribelle.
Fu proprio grazie a quella riflessioni e grazie alla consapevolezza che continuando a restare lì non avrebbe avuto modo di chiarirsi le idee, che maturò una decisione. Le sarebbe costata, e molto, ma non poteva fare diversamente.
Quella mattina, alle cinque lasciò villa Andrew con una piccola borsa; sgaiattolò via silenziosamente, lasciandosi alle spalle quella casa avvolta ancora nel silenzio che il sonno è solito portare con sé.
Camminç per qualche minuto prima di trovare un taxi.
“Al porto.” ordinò al tassista, senza mai voltarsi. Stava per lasciare le persone che amava e che avevano rappresentato per lei un punto fermo, per così tanto tempo, ma nella mente aveva solo una cosa: doveva allontanarsi da loro, da lui.
 
Terence aveva cercato di mantenere la calma, tentando di convincersi che lei avrebbe capito, che aveva bisogno di tempo, ma il suo cuore gli diceva diversamente. Sapeva che non lo avrebbe perdonato, sapeva che la stava perdendo e, la cosa peggiore, era sapere che non poteva fare nulla e che era lui stesso l’artefice della propria disgrazia.
Quella sera, dopo tanto tempo, si concesse una sigaretta e ne rise. Se Candy lo avesse visto probabilmente si sarebbe arrabbiata… o forse non gliene sarebbe importato nulla…
Se fosse stato il vecchio Terence di qualche anno prima, probabilmente si sarebbe recato in qualche bar per affogare i dispiaceri nell’alcol e magari per rilasciare la tensione con qualche rissa,ma non era più lui, era cambiato … ma era davvero cambiato? Non era lo stesso sciocco ragazzino che si era lasciato scivolare via dalle mani la donna più importante della sua vita? Non era lo stesso stolto giovane uomo che si era lasciato sopraffare dalla situazione e aveva lasciato che lei prendesse le redini di quanto stava accadendo? Non l’aveva delusa nuovamente, come era solito fare? Certo, era sempre lui, colui che riusciva a fare tante cose ma non rendere Candy felice. Se se ne fosse accorto per tempo, forse sarebbe stato ancora in grado di salvare il salvabile.
Era sera tarda, avrebbe dovuto dormire, ma come poteva andare a letto? Come poteva riposare tranquillo sapendo di averla lasciata a pezzi, solo qualche stanza più in là?
La testa gli doleva talmente erano tanti i pensieri che vi si affollavano, pensava che sarebbe impazzito se non avesse fatto qualcosa per fermare, per fare scemare quella sofferenza che gli stava stringendo il cuore in una morsa e che gli faceva dolere il petto a quella maniera.
A farne le spese del suo pessimo umore e della sofferenza che lo stava soffocando, fu il vaso con i fiori che adornava la scrivania presente in quella stanza.
Riuscì a fargli descrivere un volo in aria che attraversò l’intera stanza, i fiori e l’acqua si sparsero ovunque mentre i frammenti di vetro ricaddero sparpagliandosi sul pavimento, emettendo un gran rumore quando il vaso toccò terra. Guardò quei frammenti lucenti e colorati diffondersi a pioggia sul pavimento e per un attimo sostituì l’immagine del vaso con il proprio cuore. Perché era così che lo sentiva, ridotto in un milione di minuscoli frammenti.
 
 
Era stata una giornata a dire poco bizzarra per Terence ed era solo l’inizio di una spirale discendente.
Aveva trascorso una notte turbolenta, aveva faticato, e non poco, a prendere sonno.
La consapevolezza di avere sbagliato, ancora una volta, lo uccideva e non gli lasciava tregua.
Quando si alzò era ancora presto ma il solerte Sig. Miles era già all’opera come tutto il personale di servizio.
La casa sembrava immersa in una surreale calma apparente e Terence non poté evitare di chiedersi per quanto sarebbe durata.
Annie ed Archie non avevano ancora avuto modo di parlare con Candy,  per cercare di chiarire, ed era abbastanza certo che non avrebbero saputo attendere ancora a lungo.
Il giovano attore si fece portare una tazza di tè, aveva lo stomaco chiuso in una morsa e non avrebbe assolutamente potuto mandare giù nulla.
Non passò molto tempo prima che gli altri lo raggiungessero per colazione.
Dai loro volti tesi e stanchi ne dedusse che dovevano avere dormito a fatica anche loro.
“Hai già visto Candice?” gli chiese Annie impaziente, non vedeva l’ora di poter chiarire quella spiacevole situazione. Il nervosismo che aveva accompagnato quelle ultime ore, dal momento in cui Candy aveva riacquistato la memoria, le stava diventando insopportabile. Capiva perché Albert le avesse chiesto di pazientare, era certa che Candy in quel momento non avrebbe voluto sentire ragioni e magari avrebbe finito col fraintendere quanto le voleva dire, però per lei ed Archie non fu per niente facile doversi tenere quel peso sul cuore e non sapevano ancora che avrebbero dovuto accollarsi quel fardello per diverso tempo.
Albert chiese al signor Miles di verificare se Candy  si fosse già svegliata.
 
Il maggiordomo bussò alla porta della ragazza con delicatezza, non voleva certo essere lui a svegliarla. Per quanto non gli piacesse immischiarsi degli affari della famiglia, non aveva potuto evitare di sentire quanto era accaduto.
Tutto taceva.
Riprovò, con maggior forza.
Non ottenendo rispost,a cominciò a preoccuparsi e decise di aprire la porta. Sapeva che non era concesso loro di entrare senza aver ricevuto esplicito permesso, ma quel silenzio irreale che proveniva dalla stanza lo aveva allarmato.
Quando spalancò la porta non si sorprese di trovare la stanza vuota e alcuni vestiti sparpagliati sul pavimento, cosa che non era certo abitudine della signorina Candice.
La sua attenzione venne catturata da quelle che sembravano due lettere, sulla scrivania della ragazza.
Una era indirizzata ad Albert, mentre l’altra pareva riportare l’indirizzo della Casa di Pony.
Prese le lettere e ridiscese recandosi a passo svelto verso la sala. Quando vi arrivò trafelato, la sua espressione preoccupata non poté non allarmare i presenti.
“La camera della signorina è vuota, mi sono permesso di aprire la porta. Ho trovato queste!” disse agitando le due buste che teneva in mano.
Terence si alzò di scatto, preoccupato, corse su per le scale e spalancò la porta della camera di Candy. La trovò vuota come gli era stato detto anche se non pareva mancare nulla a prima vista.
Ridiscese e si recò in giardino, però lo stalliere gli confermò di non aver sellato nessun cavallo per Candy e di non averla vista uscire per una delle sue solite passeggiate.
Rientrò col cuore in gola ed il panico che si impadroniva di lui.
Possibile che se ne fosse andata senza dire nulla? Poi, d’improvviso, parve ricordarsi delle lettere che il maggiordomo aveva consegnato ad Albert, motivo per cui rientrò. Forse quelle avrebbero svelato l’arcano.
“Non c’è! ”- disse rientrando trafelato-“ Nessuno sembra averla vista.”
“Sì, lo so.” Rispose Albert cercando di rimanere tranquillo. Aveva appena finito di leggere il messaggio di Candy ad alta voce.
“ L’hai già letta?” chiese e ottenne un lieve movimento del capo come risposta.
Allungò la mano verso Albert sperando che gliela lasciasse leggere.
Albert titubò prima di porgergli la lettera, certo che la reazione di Terence sarebbe stata un altro motivo di preoccupazione.
Candy ci aveva impiegato diverso tempo a scrivere quelle poche parole. Aveva cancellato, scritto e riscritto perché era talmente confusa e ferita, da non sapere nemmeno lei che cosa scrivere. Non aveva avuto nemmeno il coraggio di cominciare la lettera con la parola “ Amici “ poiché in quel momento faticava a sentirli come tali. Non aveva lasciato alcuna lettera specificatamente per Terence perché non aveva molto da dirgli. O meglio, forse c’era fin troppo da dire ma, visto che lo conosceva bene, non voleva lasciargli delle parole su cui rimuginare. Voleva prendersi del tempo per pensare, tempo per sé stessa, motivo per cui era giunta alla conclusione che allontanarsi da loro era l’unica scelta plausibile.
 
“Vorrei che sapeste che non ho preso questa decisione a cuor leggero.
E’ stata una lunga notte in cui ho pensato e ripensato e sono riuscita a giungere alla sola conclusione di avere bisogno di tempo, tempo per me stessa. Ho bisogno di stare da sola, di capire di riflettere e stare lì con voi non farebbe altro che farmi sentire sotto pressione.
Vorrei solo che rispettaste questa mia decisione.
Quando sarò pronta, sarò io a farmi risentire. Vi assicurò che non ho intenzione di fare niente di avventato o sciocco, per cui non temete per me.
Terence, per favore, non cercarmi. Non potrei darti la risposta che sicuramente cercheresti nei miei occhi.
Prendetevi cura di voi stessi.
Ps: Albert, ti chiedo un favore, sta’ vicino a Terence.
Grazie,
 
Candice”

 
Le parole di Candy rimbalzarono fra i suoi sensi, prima di approdare definitivamente nella sua mente. Ci mise qualche istante prima di rendersi definitivamente conto che se ne era andata.
Se ne era andata senza dire nulla, se non che voleva rimanere da sola, e come non capirla? Dopo tutte le menzogne che le avevano propinato, si era quasi meravigliato che avesse persino lasciato loro un messaggio. Ma del resto, Candy era così, lo era sempre stata, non voleva che gli altri si preoccupassero per lei e lo dimostravano anche quelle parole con aveva tenuto a rimarcare che non avrebbe fatto nulla di sciocco, per cui non avrebbero dovuto preoccuparsi per lei.
Terence rilesse le ultime righe a lui dedicate.
Non voleva che la cercasse perché non poteva dargli una risposta. Certo, perché lui voleva sapere se poteva perdonarlo, e lei lo sapeva. Lo conosceva troppo bene da non immaginarsi che avrebbe vissuto con il rimorso di avere errato e con quello spasmodico desiderio di cercare la sua assoluzione. Ma dalle sue parole, Candice aveva lasciato intendere che non era pronta per quell’assoluzione e, sconsolato, Terence si chiese se lo sarebbe mai stata.
 




NdA:
Ed eccoci alla reazione di Candy! Allora, sono da lapidare? Vi sembra verosimile?
Non è stato facile scriverla... da un parte ho dovuto tenere conto del carattere di Candy, del fatto che lei sia troppo buona per non perdonare... ma dall'altra non ho potuto evitare di pensare che se la sarebbe presa a morte e che ci sarebbe voluto un po' affinché lei potesse digerirla...
Spero di avervi stupito ma di non aver esagerato...
Un abbraccio a tutte e un grazie particolare a chi commenta!
Vi piace la nuova grafica? Devo ringraziare Marty per questo! E Irene per il banner!

 
   
 
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