Cap. 2 Just my imagination
Chiara se ne tornò a casa depressa per via della predica
ricevuta la mattina a scuola. Arrivata gettò a terra lo zaino, e la giacca sul
divano. Accese lo stereo e se ne andò in bagno a farsi una doccia. L’apparecchio
mandava una musica dolce e rilassante... sembrava orientale. Uno dei tanti cd
per fare yoga che sua sorella maggiore aveva dimenticato a casa, dopo che si era
trasferita. Quella mattina aveva avuto anche educazione fisica e le faceva
schifo aspettare fino a sera per lavarsi, quindi si spogliò velocemente ed entrò
nelle vasca.
Sotto il getto d’acqua calda che le arrivava addosso, ripensò
al sogno fatto quella mattina. Ormai non faceva altro che scervellarsi per
capire chi fosse il “Lui” del suo sogno... niente, il vuoto più assoluto! Oltre
tutto i discorsi, quelli si, che se li ricordava anche troppo bene, erano troppo
sdolcinati per come era lei... eppure il sapore delle lacrime le tornò alla
bocca.
Una volta che ebbe finito, si rifugiò in camera sua, in quella che
lei amava definire la sua “tana”. Tutti le chiedevano come mai non uscisse molto
spesso di casa e lei rispondeva sempre dicendo che lo faceva perché era pigra...
la realtà era che stava bene da sola... era sempre cresciuta in
solitudine.
Si lasciò scivolare addosso l’accappatoio per asciugarsi e
ripensò al periodo delle elementari... si ricordava come una bimba alta, un po’
robusta, ma soprattutto permalosa... e questo era stata la sua croce. Era anche
un po’ tontolona forse... sorrise. Era cresciuta sotto una campana di vetro,
isolata dagli altri per paura di restare ferita... oltre tutto in quella casa
era l’unica bambina, i suoi genitori lavoravano e tornavano tardi e lei era
cresciuta con i nonni che, benché amandola con tutta la loro anima, non avevano
proprio voglia di giocare con lei. Effettivamente non avevano tutti i torti
visto che da piccola era la personificazione di un tornado. Andava dai lupetti,
era vero, ma non servì a nulla al suo carattere. Aveva cominciato a fare
pattinaggio, vero anche quello... e lì aveva imparato che il mondo dello sport è
spietato e che dovevi difenderti come potevi dalle critiche e dai pettegolezzi.
Aveva cercato di farsi delle amicizie, ma tutti si erano rivelati degli ipocriti
ai suoi occhi..! Allora aveva deciso di rimanere da sola, fino alla seconda
media, quando aveva tirato fuori la grinta e aveva cominciato a lottare per
proteggersi e non farsi sottomettere... quando aveva conosciuto l’amicizia vera
e sincera... e aveva imparato che anche i nemici, se capiti o presi per il verso
giusto possono essere amici validi e preziosi. Il sorriso si allargò al ricordo
dei bei momenti passati assieme. Quanta gente doveva aver vissuto le sue stesse
esperienze? Tanta, probabilmente, eppure le veniva da pensare che nessuno avesse
reagito come aveva fatto lei... chiudendosi in se stessa. Con un rifiuto
spasmodico verso gli altri.
Mise velocemente un completino intimo, azzurro
cielo, e indossò il pigiama. Non aveva fame, perciò non si mise nemmeno a
cucinare. I suoi non sarebbero tornati prima di sei mesi, perché lei e sua
sorella, assieme a nonni e zii, per il loro 35° anniversario di nozze, gli
avevano organizzato uno di quei viaggi attorno al mondo fatto con crociere, voli
e chi più ne ha più ne metta! Per lei era stata anche una comodità, perché così
li avrebbe avuti fuori dai piedi fino agli esami di stato e avrebbe potuto
studiare in pace senza il fiato di sua madre sul collo.
Si accoccolò nel
letto, raggomitolata come un gattino e agguantò uno dei volumetti di Yu Yu
Hakusho, il 19° e lo lesse con calma. I compiti li aveva già fatti durante le
due ore di assemblea di classe tenutasi quella mattina. Cavolo quanto le piaceva
quel manga! In sotto fondo la musica era cambiata, non riconobbe la canzone
perché troppo concentrata, ma era lenta, dolce, stonava completamente con il
fumetto che stava leggendo. Però la rassicurava. Il delicato sottofondo, la sua
storia preferita, la quiete del primo pomeriggio... era tutto perfetto! Così
perfetto che prese il sonno senza nemmeno accorgersene, abbracciando
istintivamente un peluche a forma di drago che giaceva accanto a lei.
Il suono del telefonino la fece svegliare: il controllo
giornaliero, il secondo, per l’esattezza! Sul display lampeggiava una busta
chiusa. Aprì il folder ancora mezzo- addormentata e lesse il messaggio.
*Ciao
amore! Siamo arrivati a Tunisi!^-^ Sembra una città molto carina… poi ti dirò!
Ripartiamo tra tre giorni! Tua sorella ha detto che devi controllare la tua
E-mail! Baci mamma!*
Sorrise con affetto e pensò a cosa rispondere. Anche se
effettivamente non c’era una vera e propria domanda...iniziò a battere, ad una
velocità assurda, sui piccoli tasti del cellulare.
*Ciao mamma! Qui tutto
ok.*
Poi si bloccò non avendo più l’ispirazione. Avrebbe dovuto parlarle del
sogno? No... era decisamente troppo personale e distorto. Ecco cosa doveva
dirle!
*Ho preso 7 in biologia! Sono così contenta!^-^ Ora devo andare a fare
la spesa! Poi passo anche dalla nonna! La mail la controllo quando torno a casa!
Baci!*
Inviò e richiuse l’apparecchio. Si cambiò in furia e, infilandosi i
pantaloni, inciampò su una scarpa buttata là, a casaccio, sul disordinatissimo
pavimento della sua camera. Cadde sul letto tirandosi dietro tutta la pila di
volumi che componevano Yu Yu.
Per strada notò il banchetto di un ambulante che
all’andata non aveva visto. Non era da lei fermarsi a vedere la merce esposta
sulle bancarelle, ma sembrava che qualcosa fosse entrato in risonanza con la sua
anima. Si avvicinò e cercò l’oggetto che aveva attirato la sua attenzione: era
un braccialetto. Era largo, troppo per i suoi polsi sottili. Osservò il
proprietario, titubante, non sapeva se avrebbe dovuto contrattare il prezzo…
cosa che lei non era assolutamente capace di fare!
< Ehm... scusi...
posso vederlo meglio? > Chiese timidamente, indicando con un dito l’oggetto.
L’uomo, sulla cinquantina, cappello calato in testa che faceva uscire solo
qualche pizzo di capelli brizzolati, minuscoli occhialini da sole, che a
quell’ora non servivano a nulla perché d’inverno, alle sette, di sole ce n’è
come le orche nel mediterraneo, incastrati sul naso, strabuzzò gli occhi e la
giovane non ne comprese il motivo. Poi sorrise ed annuì.
< Certo,
bambina, fai pure. > Quando vide il bracciale che la ragazza aveva preso in
mano si meravigliò. Mentre lei lo studiava con ammirazione. Era in argento, a
giudicare dal peso e dalla lucentezza. Pareva realizzato dalla stessa mano che
aveva fabbricato i suoi orecchini e la collana, tutti e tre rigorosamente
nascosti dallo sciarpone, che aveva trovato nella manica della giacca, mentre la
indossava. Anch’esso aveva le stesse rune incise e le stesse pietre incastonate.
Oltre tutto le rune c’erano anche all’interno, il che aumentava il mistero.
< Davvero ti interessa quello? > Domandò l’ambulante finché la
osservava rigirarselo tra le mani. Lei fece “Sì” con la testa.
< Hai
davvero buon gusto...- cominciò l’uomo-... quello è un bracciale molto raro e
prezioso, ne esistono solo due esemplari al mondo! > La informò soddisfatto
ed entusiasta. Chiara lo fissò depressa, mentre rimetteva il monile al suo
posto.
< Deve essere molto costoso, allora... > Valutò, senza
distogliere lo sguardo dall’oggetto.
Non voleva proprio arrendersi e
lasciarlo là.
< Sì! > Disse portandosi una sigaretta alla bocca ed
accendendola. La ragazza iniziò a tossire. < Ti dà fastidio il fumo? >
Domandò, allora, un po’ in pensiero. La giovane scosse il capo, tanto dopo pochi
minuti avrebbe dovuto allontanarsi comunque, perché era davvero tardi, ma voleva
prima sapere quanto costava.
< Sai..? Esiste una condizione per averlo
gratis...- le rivelò con un ghigno furbo- ...bisogna trovare i suoi gemelli.
> Le spiegò misterioso facendo il numero tre con le dita. Lei lo osservò tra
l’incuriosito e l’attonito. Voleva saperne di più, ma allo stesso tempo non
sapeva se fidarsi.
< Sono dei monili che hanno incastonate le stesse
pietre e incise rune identiche a quelle sul bracciale... > Continuò mentre
aspirava dalla sigaretta, facendo finissimi filetti di fumo nell’aria. Lei lo
guardò con un sopraciglio alzato.
< Se già e costoso questo... figuriamoci
gli altri pezzi… > Osservò lei abbattuta, ripensando alle sue scarse finanze.
Non ricordandosi degli oggetti che indossava.
< Ehe...- sogghignò l’uomo,
poi continuò- sai perché sono così preziosi?- Le chiese retorico, la risposta
era ovvia - c’è un’antica leggenda che li lega! > Bisbigliò, suscitando così
l’irrefrenabile fantasia di Chiara.
< Quale? > Le venne spontaneo
domandare con gli occhi a forma di stellina, che le brillavano. L’uomo afferrò
il bracciale e le fece vedere le rune, sorridendo compiaciuto.
< Si dice
che queste siano un’antica formula magica celtica... ed in un determinato
periodo dell’anno, se entrano in contatto tra loro... spalancano le porte di un
altro mondo! > Le raccontò spalancando le braccia per enfatizzare la
magnificenza della cosa. Poi scoppiò in una fragorosa, quanto sguaiata, risata.
Specie dopo che la giovane si era lasciata sfuggire un”wow” ammaliato, senza
nascondere una certa dose di ammirazione sul volto. Effettivamente faceva strano
che una ragazza di 18 anni si interessasse di certe cose, ma lei era fatta così.
Assunse un piccolo broncio quando pensò di essere stata letteralmente presa in
girò. L’ambulante, allora, si zittì e la guardò con dolcezza.
< Scusami,
bambina... è che sei la prima persona che si ferma qui… dopo chissà quanti anni…
> Si affrettò a discolparsi lui, mentre il suo volto diveniva una maschera di
tristezza e malinconia. Per la ragazza quell’uomo era un vero e proprio
mistero...
< Come mai..?- Chiara osservò gli splendidi oggetti esposti-
eppure queste cose sono stupende! > Affermò con convinzione e con un sorriso
luminoso. L’uomo la guardò grato.
< Beh… perché non tutti… > Fece per
spiegarle, ma un fatto straordinario li fece zittire entrambi. Spostarono i loro
sguardi sul bracciale che aveva iniziato a brillare. Più che altro era la gemma
posta al centro, abitualmente bianca, che emanava una luce nera, fortissima.
Sembrava come se fosse entrata in sintonia con qualcosa. L’ambulante sposto i
suoi occhi sulla ragazzina. Uno degli orecchini era spavaldamente uscito dalla
sciarpa, e anch’esso emanava luce. Il monile appoggiato sulla bancarella si alzò
di qualche centimetro da questa ed andò ad attaccarsi al polso della giovane,
emettendo un sonoro “stok” quando si chiuse attorno a quello che pareva aver
deciso essere il suo posto. Mentre lei guardava la scena con gli occhi sbarrati,
il cinquantenne sorrideva, era soddisfatto di qualcosa. Ora anche l’altro
orecchino e la spada si erano fatti vedere, rilucenti, uscendo dai loro
nascondigli, per via di un gesto un po’ brusco della ragazza che aveva cercato
di ritrarsi a quel bracciale incantato.
< Beh... è tuo! > Disse
dolcemente l’uomo.
< Davvero… davvero posso? > Chiese attonita, perché
era successo tutto quello? Ma soprattutto… perché la gente attorno non aveva
visto nulla? L’ambulante le annuì.
< Pare che abbia deciso da solo dive
vuole stare...! Ha trovato i suoi fratelli! > Le spiegò sorridendole con
affetto e stringendole la mano.
< Grazie! > Disse lei sfoderando uno
dei suoi sorrisi più belli vivaci. Il cellulare le squillò nella tasca dei
jeans. Lei lo prese velocemente e accettò la chiamata.
< Grazie e
arrivederci! > Disse mentre si allontanava, senza provare nemmeno a
protestare… ma soprattutto: senza accorgersi che il banchetto scompariva, pian
piano, nel nulla.
Yu yu Hakusho’s world:
< Miseriaccia…- commentò un
ragazzo- nemmeno mentre siamo in vacanza ci lascia in pace, quel maledetto di un
Koenma! > Aveva i capelli neri, non particolarmente lunghi, tirati in dietro
con il gel, anche se nonostante tutto alcuni ciuffi gli ricadevano
antipaticamente sulla fronte. Addosso aveva una felpa bianca, con un puma
argentato che saltava, disegnato, e sotto un paio di jeans tutti strappati.
< Non lamentarti, Urameshi... > Commentò uno spilungone dai capelli
arancio, ricci, pettinati in maniera che sembrassero una “banana”. Era alto, e
superava decisamente il metro e novanta. Indossava una felpa blu con delle
strisce bianche e nere sulle spalle, anche lui con i jeans, larghi e un po’
scoloriti.
< Io sono stato buttato giù dal letto da mia sorella che era
stata avvisata da Botan. > Gli spiegò con un sospiro rassegnato, ripensando
al suo letto caldo e al suo piumino e poi...
< Di solito è Yukina a
svegliarmi con il suo dolcissimo sorriso! > Continuò con gli occhi a forma di
cuoricino, affiancando il primo ragazzo, mentre dietro di loro un giovane dai
capelli rossi, un po’ spettinati, lunghi fino a metà schiena, cercava di placare
le ire di un quarto, dai capelli neri sparati all’in su, così da sembrare una
fiammella nera; la frangia sembrava un pompon dai riflessi bianchi. Il ragazzo
dai capelli in gelati lanciò un’occhiata preoccupata alle sue spalle.
<
Io, a quello, taglio la lingua! > Aveva affermato a denti stretti quello con
i capelli scuri.
< Dai, Hiei, calmati! In fondo Kuwabara è l’unico che non
sa nulla... > Gli spiegò il rosso. Hiei gli lanciò uno sguardo eloquente come
mille parole e più affilato di mille lame.
< Non me ne frega nulla,
Kurama! > Ringhiò a bassa voce. Kurama sudò freddo, fortunatamente lo
spilungone pose a Yusuke la domanda che ronzava in testa a tutti loro.
< Kuwabara ha ragione, Yusuke..! A quel che so, negli ultimi tempi, i
problemi con il mondo dei demoni, erano completamente risolti! > Aggiunse
Kurama togliendo il maglione che indossava. Era appena tornato al suo
appartamento, dopo una notte di bagordi con dei colleghi, ed aveva ricevuto la
chiamata dello spilungone. Essendo ancora minorenne non aveva toccato alcol, ma
gli altri sì, ed ora puzzava in maniera assurda. Addosso aveva una camicia
bianca e dei pantaloni neri, non esattamente casual.
< Anche gli umani
non si perdono più nel mondo dei demoni... la squadra di sorveglianza ha il
latte alle ginocchia! > Spiegò Hiei, anch’egli membro di quella pattuglia,
visibilmente arrabbiato perché si annoiava a morte non avendo nulla da fare. Al
contrario del solito portava una maglia a maniche lunghe, bianca; non mancavano
però gli inconfondibili pantaloni, larghi sopra, che si stringevano da metà
polpaccio fino alle caviglie.
Yusuke scoppiò in una risatina isterica,
portandosi una mano dietro alla testa.
< Effettivamente non gli ho dato
il tempo di spiegare... ero talmente arrabbiato perché... > Si bloccò con la
bocca aperta per poi mordersi la lingua.
< Ehm... > Gli altri tre lo
guardarono attoniti mentre arrossiva come un gambero. Il ragazzo dai capelli
arancio lo prese braccio-collo e gli si avvicinò all’orecchio.
< ...eri
lì lì con Yukimura, vero? > Gli domandò con un sorriso sardonico. Il giovane
arrossì fino alla punta delle orecchie, si avvicinò all’orecchio dell’altro
coprendo la conversazione con la mano.
< ...non è che, con Keiko, fossimo
"lì lì"... ci eravamo appena addormentati... > Gli spiegò. Questa volta fu
l’altro a diventare paonazzo. Scoppiò in una fragorosa risata che l’amico cercò
di zittire. Kuwabara gli strinse la testa con un braccio e con la mano libera
prese a sfregargliela energicamente, mentre quello cercava di liberarsi. Kurama
e Hiei li fissavano interdetti, ma potevano immaginare cosa fosse successo. I
loro sospetti furono confermati dall’urlo del giovane dai capelli
arancio.
< Urameshi, vecchio volpone! > Il ragazzo dai capelli rossi si
mise a ridere allegro. Era da tanto che non si trovavano tutti e quattro. Quelle
scenate gli erano mancate.
Anche il demone che gli stava di fianco sorrise.
Non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma era dello stesso umore del
compagno di squadra.
Una scossa di terremoto sciolse quel quadretto
idilliaco, facendo tremare in maniera spaventosa il corridoio in cui stavano.
< Miseriaccia... ma perché mi sembra di aver già vissuto una scena come
questa? > Chiese più a sé che agli altri Yusuke, mentre iniziava a correre
seguito a ruota dagli amici.
Qualcosa gli suonò nella tasca dei pantaloni.
Era l’immancabile specchietto rice-trasmittente, che gli aveva dato Botan,
quando era diventato detective del mondo degli spiriti, e che portava con sé in
tutte le missioni. L’unica cosa che gli permettesse di comunicare con esso. Lo
aprì velocemente senza smettere di correre e sulla schermata apparve l’immagine
di un bambino. Aveva gli occhi chiusi, il viso incredibilmente rotondo e
l’immancabile ciucciotto alla bocca. Insomma, il solito Koenma! Stranamente non
portava il cappello, ma non era una cosa da considerarsi rilevante.
<
Yusuke, finalmente ti sei deciso a rispondere! > Era arrabbiato, da come
aveva urlato era davvero infuriato.
< Deficiente! Perché prima mi hai
sbraitato dietro parole incomprensibili e poi hai riattaccato la cornetta? >
Continuò a gridare come un ossesso.
< Non sono fatti tuoi, marmocchio!-
rispose a tono- piuttosto dimmi cosa dobbiamo fare!? > Chiese mettendo in
bella mostra il dito medio. Tutti lo guardarono sullo sconvolto spinto... Koenma
doveva averlo fatto imbestialire sul serio, quella mattina... però,
effettivamente, potevano capire perché il loro amico si comportasse così. Il
principe del mondo degli spiriti riprese la calma, sapendo di non avere chance
contro un Yusuke in quello stato.
< Dovete recuperare quattro gioielli!
Sono stati rubati ad una Tennyo( Dea celeste), da quattro demoni... senza di
quelli non può più tornare su questo mondo! > Spiegò il succo della missione.
Poi assunse un’aria molto accigliata.
< Dovete fare al più presto... se
trovassero il modo di usarli si scatenerebbe una catastrofe che coinvolgerebbe
non solo il nostro mondo, ma an... > La trasmissione si interruppe proprio
quando arrivarono in una grande sala. Era spoglia e deserta, ma soprattutto non
c’erano altre porte oltre a quella da dov’erano venuti. Questa si richiuse
dietro di loro con un sonoro tonfo e divenne dello stesso colore, ocra, delle
pareti confondendosi e mimetizzandosi con esse.
< Argh...- si lasciò
sfuggire Kuwabara non poco preoccupato- ma perché sempre a noi? > Chiese
urlando con una faccia tra lo stravolto e il rassegnato.
< Dovresti
saperlo ormai... se non volevi venire potevi benissimo restartene a casa… >
Disse arrogantemente Hiei. Non riuscivano proprio a prendersi, quei due.
<
Cosa hai detto, nanerottolo? Io sono il vero uomo, non potevo restarmene a casa
con le mani in mano! > Sbraitò l’offeso afferrando il compagno di
(dis)avventure per il colletto della maglia, pronunciando la frase che, ormai,
era divenuta il suo slogan.
< Hiei, Kazuma, datevi una calmata! > Li
richiamò Kurama con il sangue freddo che lo contraddistingueva indirizzando loro
uno sguardo tagliente.
Yusuke stava ancora litigando con l’unico
collegamento con il Reikai, che gli era morto tra le mani. Lo stava scuotendo
energicamente in aria, non si sa bene con quale scopo.
< Porcaccia...-
urlò scaraventandolo, in fine, a terra- se non coinvolgesse solo il nostro mondo
che altri mondi potrebbe coinvolgere? > Espresse il suo dubbio ad alta
voce.
< Beh... per esempio il mondo dei demoni… > Suppose Hiei pacato,
ignorando completamente il ragazzo dai capelli arancio che lo minacciava di
morte da dietro e gli faceva gli sberleffi.
< Infatti, non sarebbe la
prima volta... > Aggiunse il giovane dai capelli rossi. Poi si prese un
attimo di tempo per riflettere. C’era qualcosa che non gli tornava.
< Però
mi sembra strano tutto questo allarmismo... > Spiegò
< Già... se fosse
come le volte scorse... ci avrebbero semplicemente mandato allo sbaraglio...
> Commentò Kuwabara. Tutti annuirono. Non sapevano di aver commesso un grave
errore di valutazione. Un’altra lieve scossa li allarmò. Tutti e quattro si
misero schiena contro schiena per avere una visuale completa del luogo e non
lasciare angoli morti.
Hiei si sfilò la consueta fascia, lasciando libero
anche il suo terzo occhio, per individuare eventuali pericoli dall’alto. Ognuno
sfoderò la propria arma, i muscoli tesi, pronti a scattare.
Sulle pareti
della sala si aprirono delle specie di finestrelle dalle quali cominciò a fluire
dell'acqua.
< Vogliono annegarci..? > Domandò Yusuke, un po' deluso,
guardando il liquido che saliva velocemente di livello. Gli era già arrivato
alle ginocchia.
< Vabbeh, che ti importa? Tanto sappiamo nuotare tutti
quanti, no? > Suppose Kuwabara, ma un "Ugh..." lo smentì. Tutti si voltarono
a fissare chi lo aveva pronunciato. Hiei, il diretto interessato, li fulminò con
lo sguardo.
< Non è colpa mia se nessuno si è mai preso la briga di
insegnarmelo... > Spiegò stizzito. Era un demone di fuoco, perciò era natura
che non amasse l'acqua... oltre tutto quella che gli arrivava addosso era
ghiacciata.
< E comunque... a poco serve saper nuotare...- lo appoggiò
Kurama- se devono annegarci, riempiranno completamente la stanza. > Disse
rivolgendosi allo spilungone e frantumando la speranza generale. Il ragazzo dai
capelli rossi, quando si metteva, sapeva veramente essere tremendo.
Kurama
si caricò l'amico in spalla, non badando alle sue proteste. Gli serviva in
forze, non come cadavere. Quando il liquido fu arrivato al collo di Kuwabara,
che tra loro era il più alto, cessò di salire e le finestrelle da cui sgorgava
si richiusero, lasciandoli là, a mollo come dei biscotti.
< Embeh...?-
Fece Yusuke spaesato- non volevano annegarci? > Chiese, rivolgendosi al
giovane con i capelli arancio, esasperato. Questo scrollò le spalle per
mostrargli che capiva quanto lui. Le loro missioni diventavano sempre più
strane.
< Meglio così! > Disse ridendo, mentre dava il cambio a Kurama
con il demone di fuoco.
< Mettimi giù! > Protestò quello con maggior
vigore. Con Kurama non aveva avuto il coraggio di protestare troppo, visto che,
conoscendo la sua forza, effettivamente un po' lo temeva... ma a Kuwabara
avrebbe tagliato volentieri la testa. Spostò il suo sguardo sull'amico che
cercava di riprendere fiato: non doveva essere facile galleggiare con un peso
sulle spalle. Si zittì.
Alzò la testa e valutò la distanza tra loro ed il
soffitto. Sguainò la spada e la lanciò conficcandocela. Lanciò uno sguardo a
Kurama che comprese subito le intenzioni del compagno di squadra. Annuì e
sfoderò la rose whip(Frusta di rose) e fece si che si agganciasse all'elsa
dell'altra arma. Presero a issarvisi come si fa sulla fune, mentre, dall'altra
parte del salone, si apriva una porta, sopra il livello dell'acqua. Da essa
uscirono quattro demoni... se così si potevano definire. Tutti avevano un corpo
umano, mentre le loro teste erano di animali: ippopotamo, coccodrillo, aquila e
sciacallo. Sembravano delle divinità egizie.
< Dunque sareste voi i
nostri avversari? > Chiese Hiei, irritatissimo. Non gli piacevano i liquidi
troppo freddi... ed ancora meno gli piacevano i demoni semi-antropomorfi che lo
costringevano a bagnarsi con essi. Ergo: aveva una gran voglia di far fuori quei
tizi!
Aumentò di colpo la sua aura ed i suoi amici capirono al volo le sue
intenzioni, fin troppo chiare. Si gettarono in acqua ed aspettarono per
immergervisi completamente. Tolse i sigilli che portava sul braccio destro e
sciolse le bende che lo coprivano, mostrando così il tatuaggio di un drago.
Questo gli partiva da poco sotto la spalla e arrivava al dorso della mano,
attorcigliandosi attorno all'arto. Era di colore nero e risaltava sulla pelle,
ora di colore verde, del demone. Utilizzando i suoi poteri, Hiei immobilizzò i
suoi avversari. Sul suo corpo erano apparsi una ventina di occhi di colore
viola, che servivano ad amplificare i suoi poteri. Una forza nera lo avvolse e
si concentrò sul braccio con il tatuaggio. I suoi compagni di squadra presero un
bel respiro e si immersero velocemente.
< Ensatzu Kokuryuha!(Trad.onda
della fiamma fatale del drago nero) > Pronunciò a voce alta. Un dragone di
fuoco partì dal braccio destro che aveva teso davanti a sé. Questo andò dritto a
colpire i demoni, inermi, incenerendoli all'istante.
< Sei sempre il
solito esagerato! > Gli urlò Yusuke, meritandosi un'occhiata obliqua da parte
dell'interessato. Li aveva eliminati senza che loro dovessero muovere un muscolo
e gli avanzava anche di lamentarsi!
< E se avessero avuto addosso quei
maledetti oggetti? > Gli chiese Kurama, appoggiando l'ex-detective, questa
volta. Stavano nuotando verso la porta.
< Sai chi se ne frega..? > Gli
rispose il demone. A lui interessava fare fuori quei ladri(come se lui non lo
fosse stato...), nulla di più. Salirono nella piazzola e trovarono sul pavimento
quello per cui erano stati convocati. Effettivamente erano i gioielli di una
Tennyo, sarebbe stato quasi impossibile che fossero stati distrutti da un'aura
demoniaca. Erano due orecchini, un bracciale ed una
collana,argentati.
Davanti a loro c'era un muro. Nessuna via d'uscita,
dunque. Uno dei monili prese a fluttuare e si diresse verso Hiei. Era il
bracciale. Il demone, ancora aggrappato alla rose whip cercò di scacciarlo e per
tutta risposta quello gli si chiuse attorno al polso sinistro, emettendo un
forte "stak".
< Argh! Toglietemi sto coso di dosso! > Gridò tra
l'isterico e l'assonnato. Tutti scoppiarono a ridere allegramente, consci del
fatto che lui non indossasse oggetti del genere, a parte le due pietre hiruy che
portava sempre al collo.
< Muoviamoci ad uscire!- suggerì Yusuke tra una
risata e l'altra- quello potrebbe prendere il sonno da un momento all'altro!
> Ed indicò l'amico, appeso con le ultime forze alla liana improvvisata.
Sapeva bene che, in quella tecnica, l'inconveniente peggiore era che prosciugava
tutte le energia di chi evocava e che questo doveva dormire per un po' per
ricaricarsi. Ne aveva avuto dimostrazioni pratiche più di una volta.
<
Sì... hai... > Kuwabara non ebbe il tempo di finire la frase che sentirono un
tonfo nell'acqua. Evidentemente il demone aveva preso sonno prima del solito.
< Appunto... > Sospirò Kurama. L'amico dai capelli neri, per i quali
il gel, ora era solo un ricordo, gli si rivolse.
< Kurama, tu cerca un
modo per farci uscire da qua. Io vado a raccattarlo...! > Lo incaricò, mentre
afferrava uno degli orecchini e mettendoselo in tasca si rituffò nel liquido. Il
giovane annuì e dopo aver afferrato la collana ed averla indossata per non
perderla, iniziò a perlustrare l'antro per trovare una qualsiasi leva, un
qualsiasi pulsante, qualsiasi pietra un po' smossa che potesse attivare un
qualsiasi meccanismo. Dopo un accurato esame non trovò nulla. Kuwabara lo aveva
osservato, senza muoversi, durante tutta la ricerca per paura di disturbare
l'amico, che ora pareva essere un po' irritato. Come ci erano arrivati la quei
tizi? Si erano teletrasportati? Impossibile!
< Kurama, serve una mano?
> Chiese facendo un passo in avanti. Pessima mossa! Schiacciò una pietra che
sporgeva leggermente. Due botole vennero aperte: una sotto di lui e il rosso e
una sul fondo della sala. Tutti e quattro caddero nel vuoto.
-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.
Real world
Chiara
tornò a casa a pezzi, quella notte. Anzi quella mattina, visto che erano le tre.
Era uscita con degli amici e visto che era sabato ne aveva approfittato e si era
permessa di rientrare più tardi del solito... ma non pensava che avrebbe
rincasato così tardi. Quella notte c'era stata una splendida eclisse di luna ed
erano andati a casa di uno di loro per fare baldoria e osservarla. Si Fermò a
contemplarne la fine, davanti al condominio dove viveva. Sospirò ammirata,
quando anche una stella cadente solcò il cielo. Non espresse desideri. Non ci
creddeva. Però...
Cercò le chiavi di casa nella borsetta. Le trovò e le
infilò nella serratura, facendola scattare. Entrò in casa e si richiuse la porta
alle spalle e diede due mandate. Non si fidava. Non avrebbe mai voluto trovarsi
degli sconosciuti in casa... infatti, ebbe una bella sorpresa quando, entrata in
camera e accesa la luce si trovò davanti quattro ragazzi, apparentemente, privi
di sensi. Uno di questi, quando la luce lo colpì, spalancò gli occhi.
<
Waaah! > Gridarono all'unisono. Gli altri tre si svegliarono e uno di questi
le si avvicinò e le tappò la bocca. Mettendosi il dito indice davanti alle
labbra le fece segno di tacere. Quando si allontanò la ragazza li studiò
attentamente, evidentemente spaesata.
< E voi che ci fate qua?! >
Domandò allontanandosi e trovandosi con le spalle attaccate al muro che le stava
dietro.
It was just my imagination
There was a time I used to
pray
I have always kept my faith in love
It’s the greatest thing from the
man above
The game I used to play
I’ve always put my cards upon the
table
Let it never be said that I’d be unstable
(Era solo la mia
immaginazione
C'era un tempo in cui ero solita pregare
Ho sempre confidato
nell'amore
E’ la cosa più straordinaria per qualsiasi uomo
Il gioco a cui
ero solita giocare
Ho sempre messo le carte in tavola)
Non lasciate che
si dica che sono volubile)
Just my imagiantion by Cramberries