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Autore: Big Foot    29/11/2013    1 recensioni
Alberto è un ragazzo giovane, una matricola all'università; è autoironico da sempre e adora prendersi in giro, ma nonostante questo è felice della sua vita, regolare e per niente avventurosa, monotona nelle sue abitudini, ma proprio per questo priva di fastidiose sorprese inaspettate. Questa è la storia di come la sua vita (o la mia vita, sta a voi sceglierlo) cambi di colpo e di come, inaspettatamente e suo malgrado, si riempia di avventure.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-11-
Erano passati alcuni giorni da allora, io avevo dormito da Elena ancora quella notte e poi ero tornato a casa mia, scombussolato, ma felice di quella nuova esperienza. Tornato a casa la routine riprese normalmente, università, mensa, aula studio, "niente di nuovo sul fronte orientale" insomma. Andrea non provò a cercarmi, anche se mi sembrò di vederla spesso al Politecnico, ma ,ogni volta che provavo ad avvicinarmi per vedere se fosse davvero lei, scompariva nella folla. Marco, all'inizio sembrava un po' freddo e distante, ma lui non può tenermi il broncio a lungo, quindi ricominciammo a ridere e scherzare normalmente, ovvero come due completi idioti.
Però poi un giorno dovetti chiederglielo, perché aveva fatto così?
"Guarda, credo dovresti saperlo.."
"Mah, veramente non ne ho la più pallida idea, non ti ho fatto niente di male!"
Lui aprì lo sportello della 127, "Appunto, non hai fatto male a me.."
Lo guardai, pensoso, "So che ti sembrerò un decerebrato, ma continuo a non capire."
"Ma no, non sei un decerebrato, sembri solo un lobotomizzato."
"Spiritoso... Fammi andare ché sta arrivando il tram. Me lo spieghi per bene appena puoi?"
Sospirò, "Va bene, ti chiamo stasera appena posso, ok? "
"No problems."
Lui mi salutò con un rutto e partì sgommando, come al solito insomma. Tornato a casa Iniziai a prepararmi la mia porzione giornaliera di spaghetti quando bussarono alla porta; andai ad aprire e mi trovai davanti Goffredo, il padrone di casa.
Nonostante sia solo al terzo anno del poli ha già una casa da affittare, cosa che lo rende particolarmente antipatico, sopratutto dal mio squattrinato punto di vista. Goffredo è un ragazzo molto alto e con due spalle larghe come un furgone per il trasporto valori, ha i capelli neri tagliati corti e pettinati rigorosamente in un'acconciatura che forse andava di moda cinquant'anni fa; completano il quadro gli occhi castani, un naso aquilino leggermente storto (un ricordo del pugilato), la mascella prominente e le mani grandi quanto una pizza; oggi indossava dei mocassini, pantaloni color crema, una camicia azzurrina e un gilet, un outfit che raramente gli vedevo addosso.
"Bel gilet", feci io.
"Sì, sto per andare ad una laurea e devo essere presentabile, in altre parole non devo vestirmi come te." Capite ora perché mi stava antipatico?
"Ok, cosa c'è di tanto importante per farti venire fino a qui?"
"Ti ricordi che dovevi rinnovare il contratto dato che ti è scaduto..." ci pensò un attimo, " la settimana scorsa, vero?"
"Sì, certo che me lo ricordo. L'hai portato?"
Fece un ghigno malefico che non mi piacque per niente, "No, perché vedi, io ti sto per sfrattare."
Credo che in quel momento il mio mento rischiò di toccare terra, "Co-co-cosa? Mi sfratti? Ma il preavviso di sei mesi..."
"Visto che al momento sei senza contratto non ti devo nessun fottutissimo preavviso. Hai tre giorni per liberare questo buco o ti dovrò buttare fuori io, con le buone o con le cattive. Ci vediamo." E se ne andò.
Io rimasi senza parole, l'acqua per la pasta rimase a bollire per almeno un'ora e, quando poi me ne accorsi, ormai si era dimezzata. Lasciai perdere il pranzo e mi sedetti sul divano, sperduto e senza riuscire a pensare ad alcunché. Pensai di essere diventato anche io un mobile, magari uno di quelli svedesi con i nomi particolari, tipo Sklugga o Prefritz, quando iniziò a squillare il cellulare, non riconobbi il numero che mi stava chiamando, ma risposi comunque:
"Pronto?"
"Ciao Alby, sono io!"
"Ehm, io chi?"
"Certo che sei strano forte, eh? Sono Elena, la ragazza della bici!"
"Oh cavolo, hai ragione! Scusa se non ti ho riconosciuta!"
"Ovvio che ho ragione, credo di sapere ancora chi sono..."
"Ma come hai avuto il mio numero? Non mi sembra di avertelo dato."
"Beh, diciamo che l'ho preso mentre dormivi, pensavo che potesse essere utili nel caso avessimo bisogno di qualcosa, no?"
"Ehm sì, hai ragione... Quindi hai bisogno di qualcosa?"
"Sì, voglio invitarti a cena fuori. O meglio, vorrei che lo avessi fatto tu, ma visto che non l'hai fatto lo faccio io."
Diventai rosso come un peperone, "Hai ragione, avrei dovuto farlo, almeno per ringraziarti dell'ospitalità.."
"Fa niente, fa niente," mi interruppe, "l'importante è.. Ci sei stasera o non  ci sei?"
"Beh certo che ci sono, te lo devo."
"Ok, perfetto allora! Ci vediamo in piazza Vittorio per... Facciamo le otto e mezza?"
"Sì, perf...", ma non riuscii a finire la frase.
"Vaaaaa bene, a dopo allora! E ricorda, vestiti bene!" E chiuse la chiamata.
Io restai con il telefono in mano per almeno dieci minuti, sorpreso dalla catena di eventi che si stava verificando, chiedendomi quando fosse iniziata e da quando la mia vita sembrasse quella di un personaggio di un webcomic all'americana. Scossi la testa, mi alzai e mi infilai sotto la doccia, cantando ogni canzone che mi venisse in mente, italiane o straniere che fossero; mi infilai poi nell'accappatoio e andai a vestirmi, jeans scuri, scarpe in pelle, camicia grigia, maglioncino color cioccolato e la mia giacca pesante, sempre in grigio.
Salii sul tram diretto a piazza Vittorio, non sapendomi cosa aspettarmi da quella serata, mentre la neve rendeva tutto uniforme, un'enorme cappa bianca sul mondo... "Magari prima o poi arriverà la neve anche per me," pensai,"e la mia vita si uniformerà come la città che vedo dal finestrino.. Ma è quello che voglio?" Lasciai perdere le riflessioni filosofiche e mi accorsi che avevo ricevuto un messaggio di Elena che mi diceva di vederci davanti l'entrata del Soho, un locale in zona. E terminava con un cuoricino.
"Credo che mi serva una mappa, inizio a sentirmi un po' perso..."
-12-
Arrivai davanti al Soho e mi misi ad aspettarla sotto ai portici mentre guardavo la neve cadere. Dopo pochi minuti sentii qualcuno che mi chiamava, mi voltai e rimasi letteralmente senza parole: Elena era vestita con una giacca lunga fino a metà polpaccio, delle scarpe nere con tacchi a spillo, calze e un vestitino sempre nero che sembrava decisamente scollato.
"Ehm, ciao Elena. Sei... Sei davvero carina, sai?"
"Ma certo che lo so, mi sono vestita così apposta! Vieni qua che ti abbraccio!"
Dopo un abbraccio da togliere il fiato (sia nel senso che lei era uno schianto sia nel senso che non respiravo più) entrammo nel locale; prima che potessimo sederci fummo intercettati da una cameriera che ci indicò un tavolino (decisamente "ino") per due. Ordinammo due drink e iniziammo a parlare del più e del meno, senza timidezza da parte mia o da parte sua. Era molto facile, mi sembrava già di conoscerla, e in effetti già la conoscevo, ma mi sembrava di conoscerla da molto più tempo, un po' come se fossimo cresciuti insieme; gusti musicali, film preferiti, persino i cibi! Qualche drink dopo iniziai a perdere un po' il filo del discorso e lei se ne accorse.
"Alby che ne dici se paghiamo e andiamo a fare un giro?"
"Eh? Ah, sì, sì, approvo."
Mi alzai, con non poche difficoltà, dalla sedia e mi diressi verso la cassa, deciso a pagare io, ma lei cercò di fermarmi, insistendo che doveva pagare lei.
"Ecco, lo sapevo," feci io, "siamo arrivati alla classica e imbarazzante situazione del conto."
"Non preoccuparti, ci penso io"
Scossi la testa (procurandomi un bel giro su quello che io e Marco chiamiamo "l'ottovolante"), "Noooooon ci provare nemmeno,  mi hai ospitato a casa, fammi almeno pagare il conto!"
Sospirò, alzando lo sguardo al cielo e mi lasciò fare, poi ci mettemmo i cappotti e uscimmo nella gelida aria invernale, rabbrividendo.  Lasciavamo le nostre orme nella neve e questo mi fece ridere, lei mi chiese perché ridessi e dopo che le risposi iniziò a ridere anche lei.
"Meno male che ridi anche tu, credevo di essere diventato scemo!"
"Ma io rido proprio per quello, sei uno scemo integrale!"
"Proprio così, sono ricco di fibre."
Mi guardò stupita un attimo, poi ricominciò a ridere a più non posso, rischiando pure di cadere.
"Allora, dove si va?"
Lei ci pensò un attimo e iniziò a trascinarmi verso una discoteca, un luogo dove io non volevo assolutamente mettere piede. Non che non mi piaccia la musica, il mio unico problema è che non so ballare, così mi ritrovo spesso e volentieri immobile in mezzo alla pista sorridendo come un ebete. Elena è una ragazza minuta, ma molto più forte di quanto si possa credere, infatti, guarda caso, mi ritrovai in mezzo alla pista, sorridendo come un ebete, mentre lei cercava di coinvolgermi, urlandomi consigli nell'orecchio cercando di sovrastare la musica.
"Andiamo, sciogliti un po'!"
"Non so come si fa!"
"Segui me, forza!"
Iniziammo a muoverci insieme, seguendo il ritmo dei brani, immersi nei bassi, e ben presto iniziai a sudare, ma, per la prima volta, mi divertivo. prendemmo qualcosa da bere anche lì e dopo il secondo mojito iniziai davvero a scatenarmi e, come ogni volta che mi capita di fare lo spaccone, misi male un piede e caddi, ridendo per la brutta figura e stringendomi la caviglia per il dolore, a quel punto decidemmo che era davvero ora di tornare a casa. Usciti dal locale decisi che l'avrei riaccompagnata a casa e avrei corso, o meglio, zoppicato fino a casa per mettermi un po' di ghiaccio sulla caviglia dolorante.
"Sicuro di farcela?"
"Sì, tranquilla. Ora andiamo che non voglio farti diventare un ghiacciolo."
"Sarei un bellissimo ghiacciolo però."
Risi, "Lo ammetto, non ci penserei due volte prima di mangiarti." Ecco, si capiva facilmente che avevo alzato un po' troppo il gomito, ma lei si limitò a ridere di quella battutina e continuò a camminare come se nulla fosse. Ma anche lei lo aveva alzato, e non poco, forse per questo iniziammo a cercare di prendere i fiocchi di neve con la lingua, per poi passare ad una vera e propria battaglia con le palle di neve, con tanto di fortini improvvisati. Il mio era formato da  una coppietta di innamorati che non la smetteva di pomiciare, insensibili alle poche palle che arrivavano loro addosso (la nostra mira non era un granché quella sera); mentre loro mi facevano da scudo raccolsi una bella manciata di neve, la modellai in quella che mi parve essere una sfera perfetta (ma visto com'ero conciato poteva benissimo essere un cubo) e, tirando bene indietro il braccio, la scagliai a tutta forza verso Elena. Sentii un rumore di vetri infranti e inizialmente pensai di averle fatto male, poi riflettei un secondo e mi ricordai che nessuna parte di lei era fatta di vetro. In presa alla confusione mi alzai e venni travolto proprio da Elena, che mi urlò di scappare.
"Ti ricordo che per questa sera sono uno zoppo! Ma poi perché scappare?"
"Hai rotto lo specchietto di una Lamborghini di proprietà di un uomo alto e largo quanto un armadio, ti basta?"
Mi misi a correre come un forsennato, tenendomi il cappello con la mano per non farlo volare mentre urlavo imprecazioni a caso in preda all'isteria, finché non fummo abbastanza lontani, a quel punto ci fermammo per riposare ridendo come de pazzi.
"Avresti dovuto vedere la tua faccia, eri spaventatissimo!"
"E tu allora? Con quei tacchi rischiavi di cadere ogni tre per due, avevi l'ansia stampata in faccia!"
"Era colpa tua, andavi troppo veloce!"
"Non andavo troppo veloce, sei tu che hai le gambette corte."
"Ma come ti permetti? Vieni qua che ti infilo un tacco a spillo su per il culo!"
"No no, io alla mia verginità anale ci tengo e  il mio culetto deve restare così com'è!"
"E allora cammina, siamo quasi arrivati ormai."
camminammo un altro po' fino ad arrivare sotto casa sua e ad un altro imbarazzante momento di un'uscita serale: il commiato.
"Allora..." feci io.
"Beh, è stata una bella serata."
"Sì, vero, assolutamente vero,grazie mille."
"Ma di cosa? Grazie a te per aver accettato l'invito."
"Oh vero, mi hai invitato tu..."
"Già. Certo che sei messo bene a memoria, eh."
Sbuffai, "L'ho sempre saputo di essere un pesce rosso. Comunque è ora che vada..."
"Perché non sali per un the? Così almeno ti scaldi un po', devi farti un bel pezzo a piedi, da solo per di più..."
"Beh, ecco, non saprei..."
"Non farmi sfoderare gli occhi tristi.."
Riflettei un attimo sulla proposta, sul fatto che una ragazza molto carina, ma che dico, una bellissima ragazza mi stesse invitando a prendere un the a casa sua, una cosa innocente alla fin fine, che male c'era. E poi era irresistibile, non riuscivo a dirle di no.
"E va bene, andiamo a farci 'sto the..."
"Evvaiii!" Mi prese per mano e mi trascinò dentro, poi mi fece sedere in modo un po' brusco sul divano e andò in camera, "Fai come se fossi a casa tua, mettiti comodo!"
"Signorsì, signora!"
Rimasi seduto ad aspettarla per una decina di minuti finché non torno vestita solo con la lingerie e i tacchi, facendomi rimanere a bocca aperta.
"Scusa, ma c'è un po' caldo..." Aveva un tono di voce caldo come cioccolata e liquido come il miele che le avrebbe fruttato il premio per Miss Seduzione se fosse esistito un concorso del genere.
"Ehm sì, lo vedo che hai caldo..."
"Non ti ho mica messo a disagio, vero?" Stesso tono di voce, con un'espressione di finta innocenza dipinta sul viso. Me la stavo mangiando con gli occhi e lei se ne accorse, infatti si avvicinò a me sorridendo.
"Allora," disse, "hai una banana nei pantaloni  o sei solo felice di vedermi?"
"Ehm, io.."
"Va bene," disse, "vorrà dire che lo scoprirò io." E detto questo iniziò ad armeggiare con la mia cintura.
-13-
Circa due ore dopo eravamo a letto, ansimanti, sudati, e con i capelli arruffati. Io, da bravo maschio dominante che non deve chiedere mai mi scusai per la pessima prestazione. Lei mi guardò e disse che c'erano due possibilità: o ero un'idiota o avevo l'autostima sotto le suole delle scarpe.
"O magari ero solo sarcastico," ribattei io, "non ci hai pensato?"
"Eri sarcastico?"
"No, ero serio. Insomma, sono fuori allenamento, ho una caviglia slogata, sono alticcio e..."
Lei mi baciò, a lungo, dolcemente, poi mise la testa sul mio petto e mi disse che ero stato fantastico.
"Da - davvero?"
Ma in risposta ottenni soltanto il respiro profondo di chi è entrato nel mondo dei sogni, e subito dopo ci entrai anche io, con un sorrisetto stampato sulla faccia.
Il mattino dopo mi ritrovai a letto da solo e, sentendo l'acqua scorrere in bagno immaginai che si stesse facendo una doccia. Io invece zoppicai fino in cucina e iniziai a mangiare la mia tradizionale ciotola di cereali. Ero già arrivato alla terza quando lei entrò in cucina con addosso l'accappatoio salutandomi con un solare buongiorno, poi si sedette e mi guardò dritto negli occhi.
"Pensi sia stato uno sbaglio?"
"Cosa", chiesi io, ancora intontito dal sonno.
"Beh sai, quello che abbiamo fatto un po' sul divano, un po' sul tappeto, poi sulla scrivania e infine a letto."
"Ah, quello... Beh, no, non credo. Insomma, siamo abbastanza grandi da decidere quello che vogliamo, no?"
"Sì, ma... Ma c'è un problema."
"E quale? Se è il mio alito mattutino è solo colpa dell'alcol di ieri sera."
"No, vedi.. Mormoravi qualcosa nel sonno."
"Oddio, lo sapevo io... Ascolta, so che ogni tanto dico cose strane, ma ti posso giurare che non voglio davvero tornare indietro nel tempo e uccidere Winston Churchill, a quanto pare è un mio incubo ricorrente."
Lei scosse la testa, "No, è che.. Vedi, mormoravi un nome."
Ahia. Mi preparai al peggio. "Era Roberta per caso?.."
"No, Andrea. È un tuo amico? Non è che sei gay?"
Doppio ahia. "No, è... È una ragazza che mi piaceva qualche tempo fa, ma poi lei mi ha fatto capire che non era disponibile..."
Lei riacquistò un po' di colorito, "Ah, okay, perché sai, per un momento mi era sembrato che tu fossi..."
"No, tranquilla, sono etero fino al midollo."
Lei sorrise in modo beffardo, "Sicuro?"
Io feci un sorrisetto simile e le chiesi se le serviva una dimostrazione.
Dopo due ore eravamo di nuovo a letto nello stesso stato di ieri notte, se non più sudati e arruffati.
"Ti è servita la doccia di prima mattina, eh?"
Per tutta risposta mi trascinò in bagno dove ci lavammo insieme sotto un getto d'acqua piacevolmente caldo, dopodiché andammo in cucina a preparare il pranzo: spaghetti alla chitarra con ragù, polpette e mandarini.
Quando l'acqua iniziò a bollire misi il sale e lei arrivò con la pasta, ma le dissi che non bastava.
"Non basta?? MA se sono almeno duecento grammi!"
"Tesoro," feci io, "duecento grammi di pasta li mangio da solo quando voglio fare uno spuntino, metti almeno cento grammi in più."
"Okay, ma poi voglio vedere se riesci a mangiarla tutta."
Non solo mangiai tutta la pasta, ma finii anche le polpette e presi almeno tre mandarini.
Lei mi guardò sconvolta e mi disse "Ma dove lo metti il peso in eccesso tu?"
"Tutto in testa", le risposi sorridendo.
Parlammo della sera prima, compreso quello che avevamo fatto a casa sua, e ridemmo per le nostre disavventure, tuttavia sentivo che c'era qualcosa che non andava. Quando finimmo la feci sedere sul divano e le chiesi se stesse bene.
"Sì, tutto okay."
"Sicura?" E in aggiunta sfoggiai la mia migliore interpretazione dell'occhiata penetrante di mio padre.
Lei guardò in basso, verso le sue ginocchia e disse che sì, in effetti c'era qualcosa che non andava.
"Vedi, ho paura che tu sia uscito con me per avere un rimpiazzo, una ruotina di scorta, ecco."
"No, non è andata così."
"E com'è andata allora? Ho bisogno di saperlo." Le si riempirono gli occhi di lacrime e io la abbracciai.
"Tu mi piaci, ieri ho accettato di uscire con te perché mi stavi simpatica e ti dovevo un favore, ma poi durante la serata mi sono reso conto che abbiamo tante cose in comune e trovo molto piacevole la tua compagnia e... E credo che tu mi piaccia davvero."
Lei mi guardò e sorrise, un sorriso piccolo, timido e dolce allo stesso tempo, si strinse forte a me e io la cullai un po', asciugandole le lacrime.
"Ora però devo davvero andare a casa, mi sono dimenticato di dirti che ho un problema..."
"Che è successo?"
"Mi stanno sfrattando, devo impacchettare tutto e non so ancora dove andare..."
"Beh puoi venire a stare da me, qual è il problema?"
"No, non posso. Davvero, mi sembrerebbe di approfittare della tua ospitalità."
"Ma finiscila. E poi so come convincerti, caro mio."
"Ah sì? E come?"
E così per la terza volta ci ritrovammo nel letto sudati, stanchi, ansimanti e con i capelli arruffati.
"Sai," le dissi io tra un respiro profondo e un altro, "non sono ancora sicuro di..."
Non riuscii a finire la frase e me la ritrovai sopra di me, pronta a ricominciare un altro round.
  
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