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Autore: Sheloveslife    30/11/2013    2 recensioni
Selena è un'orfana, attraente e indipendente studentessa.
La notte si trasforma in una sexy e atletica Robin Hood per conto della Tribù, associazione finanziata dal ricchissimo Luke con lo scopo di rubare ai ricchi, soprattutto a quelli legati all'organizzazione criminale dei M.A.N., per dare ai bisognosi.
E Sel è l'arma migliore della Tribù; nessun legame e tutta efficienza, è stata addestrata fin da piccola: armi, combattimento corpo a corpo, una buona dose di sarcasmo e determinazione.
Nikolai è un brillante e affascinante studente con interessanti attività extra curricolari: la notte si trasforma in un efficiente agente dei M.A.N., l'organizzazione che ha ucciso i genitori e rapito Elyse, la sua piccola sorellina.
La sua invincibilità nei combattimenti viene messa a dura prova quando la sua strada si scontra con quella di Selena, durante quello che sembrava un insignificante incarico.
Lei combatte per i buoni perchè crede nella giustizia, lui per i cattivi per salvare Elyse.
Entrambi vicini ad ottenere quello che vogliono, combattono sul campo, tra le lenzuola e anche nei loro cuori, perchè niente è come sembra e tra colpi di scena, rivelazioni, dolore, ironia e passione faranno la scoperta più grande: l'amore non ha schieramenti.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ho provato ad inserire un pò di azione, perchè ne mancava un pò ultimamente!
Spero di non ver esagerato!




NIKOLAI’S POV.

Dovrei ripassare a quest’ora, domani ho una lezione importante all’università. Eppure con tutti gli sconvolgimenti che la mia vita ha subito in qualche mese, devo per forza rimettermi a pensare.

Non devo cedere, devo continuare a lottare.

Ormai è quasi una cantilena che ogni giorno mi ripeto. Selena è il mio ostacolo e il mio punto di riferimento allo stesso tempo. E non appena realizzo ciò, capisco di essere fottuto.

Driiiiiiin. Driiiiiiiiiin.

Il cellulare suona. Non mi sorprende ricevere chiamate alle undici di sera, sono ancora capitato bene e per le quattro dovrei essere a casa.

Rispondo e la voce baritonale mi dice, senza convenevoli:

-Nikolai, ho una missione per te-

Silenzio. Magari si aspetta che io dica qualcosa, ma ovviamente non lo faccio. Sono una sua pedina ed Elise è il filo che muove per manovrarmi.

-Ti verranno mandati immediatamente i dati sul computer. Mettiti in azione il prima possibile-

-Si, Signore- chiamata chiusa.

Il disprezzo che provo per la sgradevole voce di quest’uomo non è nemmeno lontanamente paragonabile al disgusto per la sua persona. Stringo i denti, osservo i dati sul computer. Mi sembra un lavoretto facile, poi il mio occhio cade sulle note. “Codice giallo: il soggetto è molto abile nell’uso del coltello”.

Visto che il mio compito sarebbe dovuto semplicemente essere quello del fattorino, speravo che non saremmo arrivati ad uno scontro diretto.

Mi alzo dal letto e mi preparo. Spingo il lato della parte di parete adibita ad una sommaria libreria e mi ritrovo nel mio vero nascondiglio. Guardando la casettina da fuori nessuno si aspetterebbe qualcosa così.

Inizio a cambiarmi, tuta mimetica, coltello a serramanico legato all’avambraccio, dardi nel sacchetto vicino al petto, piccoli coltelli legati alle cosce e al polso, piccoli attrezzi per la scassinatura, ago e filo. Non ho bisogno di molto altro. Passamontagna e guanti. Terminati i preparativi, mi allontano velocemente dall’abitazione e inizio a correre nel parco senza essere visto.

Mi avvicino al condominio, la porta è aperta. È un quartiere povero, le case sono disastrate e la strada ha molti solchi. Immondizia dappertutto e uomini che dormono sulle panchine.

Entro e mi dirigo di soppiatto verso il seminterrato. C’è un’unica porta chiusa, mi avvicino e srotolo i ferri dalla cintura. Scassinare questa serratura però, non è facile come con le altre. Brutto segno.

Serratura complessa ergo segreti da nascondere.

Non appena valico l’uscio della porta sento un fruscio e mi scosto di mezzo passo per vedere un coltello conficcarsi nella parete a poco più di due centimetri da me.

Non aspetto che quello riprenda l’attacco, non gliene do la possibilità, poiché nel tempo che ha per alzare il braccio e scagliare il secondo coltello, lancio il mio. Colpito. La maglia bianca e sporca dell’uomo inizia a colorarsi di sangue all’altezza dello stomaco, mentre quello alza lo sguardo dalla ferita con espressione attonita.

-Chi.. Cosa vuoi?- mi domanda terrorizzato.

-Oh, non posso dirti il mio nome. Ma sono sicuro che avrai già capito per chi lavoro-il mio tono roco diventa impassibile. E questo è il momento di spegnere l’interruttore “umanità”.

Mi avvicino e vedo meglio il suo viso. È anch’esso sporco di fuliggine, i capelli unti e la pelle nella parte sinistra e sulle braccia è deformata, come se fosse stata esposta ad una esplosione da molto vicino.

-Io.. Io ho quasi concluso.. Io..- balbetta, toccandosi la ferita, per estrarre il coltello.

Mi avvicino ulteriormente e quello, con velocità strabiliante, mi pianta un coltello nell’avambraccio prima che io posso scostarmi.

-Ahhh..- sussurro. Estraggo la lama in un solo colpo e grugnisco dal dolore. Mi giro e lo inseguo. Quel poverino non ha idea di cosa abbia appena fatto. Non riesce a superare l’uscio, lo afferro e lo sbatto per terra, mi chino e con la mano spingo il coltello ancora più in profondità nel suo stomaco. So fino a quando posso andare giù e preferirei fermarmi prima di fare un bagno di sangue. L’uomo inizia ad ansimare dal dolore e gli si mozza il respiro. In un ultimo istinto di sopravvivenza, mi afferra convulsamente l’avambraccio e pianta le dita nella mia ferita, lacerando la carne viva.

Ok, era ora di finirla.

Giro il coltello nel torace e quello sviene.

Quando finalmente si risveglia è legato alla sedia con mani e gambe e tenta invano di divincolarsi.

Io prendo uno sgabello e ci monto a cavalcioni.

-Allora James, parliamo un po’- se non fossi tremendamente stanco e dolorante, non riconoscerei nemmeno il tono della mia voce.

-Non è pronto, non posso..- inizia lui, a bassa voce.

-Eppure i termini stabiliti erano quelli- una velata minaccia nelle mie parole.

-È troppo rischioso, non è ancora pronto- bisbiglia disperato.

-Ti è stato dato un intero condominio, con le macchine e gli strumenti adeguati per lavorare. E non hai rispettato i tempi. E sai cosa succede se non rispetti i tempi?- chiedo distrattamente, sfiorando con un dito il coltello a serramanico.

Secondo i documenti quest’ uomo aveva tolto la vita alla figlia poiché non c’era cibo a sufficienza per entrambi. I M.A.N. avevano scoperto la sua straordinaria capacità nella chimica, salvandolo dalla prigione e permettendogli di sopravvivere, a patto che questo lavorasse per loro. Mi disgustava. Avevo letto il suo fascicolo, sembrava un personaggio viscido, che conduceva addirittura alcuni esperimenti sulla figlia stessa. Incredibile.

-Mi serve ancora un po’ di tempo.. Ti prego- mi supplica.

-Dov’è la formula?- gli intimo.

-Sul tavolo nella sala degli esperimenti- dice tutto d’un fiato.

Lo guardo. Quest’uomo sembra competere con me per quanto riguarda le ombre nello sguardo. Sembra avere una storia da raccontare e per la prima volta da quando sono entrato nello scantinato, vedo il dolore e la stanchezza nel suo sguardo.

Forse non è tutto come sembra, come è scritto.

Tiro fuori un boccettino, lo apro sotto il suo naso.

-Grazie..- dice prima di svenire ancora.

Devo agire velocemente. Lo slego, lo distendo sul tavolo li vicino. Non c’è tempo né la possibilità di disinfettare tutto.

Estraggo il coltello e strappo la maglietta. Il medaglione che ha al collo cade di lato e si apre, mostrando una giovane ragazza. Ha gli occhi scuri, come i suoi, e lo stesso sguardo.

No, nulla è come sembra e questa è solo un’altra vittima.

Tiro fuori il piccolo sacchetto. Disinfetto la ferita sommariamente e inizio a ricucire in fretta. Rimane svenuto ma si muove convulsamente. Avrebbe fatto parecchio male quando si fosse svegliato ma quello era il massimo che potevo fare.

Salgo velocemente le scale dell’edificio abbandonato e raccolgo dal tavolo la formula.

Missione compiuta.

Esco sulla strada e l’aria fresca si abbatte sul mio volto. Mi tolgo il passamontagna e sento le sferzate della gelida brezza. Mi incammino verso casa lentamente, è stata una lunga nottata. Sono stanco. E non solo per questa piccola missione, sono stanco per tutto. Sono stanco di vedere persone minacciate, stanco di vedere il dolore, di essere costretto a causarne. Non so che cosa fare.

 

Manca un isolato al parco. Sollevo per l’ennesima volta il bordo lacerato della tuta. La carne viva fa uno strano sibilo e il dolore aumenta. A casa avrei potuto dare una bella ricucita.

Passo per un vicolo buio, ma sento dei grugniti provenire da dietro l’angolo. Svolto e vedo un’ombra saettare velocemente. Riconosco in un attimo i movimenti aggraziati ma potenti. Sembra essere in vantaggio ma l’altro è più grande di lei e nonostante i numerosi colpi inferti, riesce a braccarla per terra, con un braccio sulla sua gola per impedirle di respirare.

Mi avvicino velocemente, preoccupato. Solo Selena si accorge della mia presenza e spalanca gli occhi verdi. Intuisco al volo il messaggio nel suo sguardo. No, ce la faccio da sola. Questione di un attimo, il nostro scambio visivo.

La solita gattina orgogliosa, sbuffo divertito.

Non appena l’altro si convince di star concludendo lo scontro a suo favore e diminuisce la forza sul suo collo, lei solleva il ginocchio e pianta una bella testata subito dopo al suo avversario. Stordito, si dondola in ginocchio, tenendosi la testa tra le mani e con un calcio nella pancia questo cade a terra, sconfitto.

Selena si alza in piedi e mi osserva.

-Goduto lo spettacolo?- chiede con l’accenno di un sorriso.

Indossa una tuta nera, come la mia. Il suo corpo è fasciato in un involucro che tiene insieme le sue forme potenti ma sensuali. È sporca in faccia e sulla tuta, ma rimane ugualmente bellissima. È ferita anche lei, ma solo qualche taglietto.

Non le chiedo quale fosse stata la sua missione, così come lei non lo fa con me, come se avessimo un tacito accordo.

Si avvicina a me ed io, scostandomi dal muro a cui ero poggiato, le prendo la mano e le sussurro:

-Andiamo piccola.

  
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