Anna osservava il ragazzo in silenzio. Da quasi un'ora
gli stava rivolgendo domande a proposito della sua storia clinica passata e
delle sue abitudini di vita, e lui, nonostante la lingua e nonostante avesse
palesi difficoltà a respirare, si era impegnato a risponderle in modo il più
possibile esauriente.
Sembrava dolce e gentile, in fondo. Anna, lo doveva
ammettere, aveva dei pregiudizi sulla gente di spettacolo. Pensava che fossero
tutti arroganti e presuntuosi, con quegli stipendi che avrebbero potuto sfamare
uno stato dell'Africa per un mese intero; si era documentata, ed aveva scoperto
che il suo paziente era davvero famoso come Chiara sosteneva. Nonostante questo,
lui non appariva borioso nè pieno di sè.
Dava solo l'impressione di
essere triste e spaventato, a dire il vero.
"Va bene." disse. "Abbiamo
finito."
"Dottoressa, posso farle una domanda?" disse lui, quasi
timidamente.
"Io non sono dottoressa, sono solo una studentessa in
medicina. Ho la tua stessa età, sono troppo giovane per essere medico. Comunque,
sì, puoi farmi una domanda."
"Che cos'ho?" domandò
semplicemente.
"Hai una polmonie batterica piuttosto estesa, che per ora
sembra resistente agli antibiotici. Comunque, abbiamo sottoposto i batteri che
ti hanno provocato la malattia ad un test chiamato "antibiogramma" che ci dirà
quale antibiotico dovremo usare esattamente per curarti. Temo, purtroppo, che ci
vorrà un po' di tempo prima che tu possa andare via. Sembra che la malattia
abbia avuto tutto il tempo di farsi strada nel tuo organismo, come se tu
l'avessi trascurata." concluse.
Lui la osservò senza proferire
parola.
"Se hai delle altre domande, non esitare."
"No, grazie.
Nient'altro."
Il ragazzo voltò il capo dall'altra parte. Anna lo vide
prendere il mano il telefono cellulare ed osservare lo schermo per un secondo,
poi, con un moto di frustrazione, gettarlo di nuovo sul comodino, voltarsi di
lato e nascondere il viso nel cuscino.
Qualcosa, in quella scenetta
dolceamara, le fece stringere il cuore.
Una settimana dopo.
Inaspettatamente, l'ospedale non era stato
invaso dai giornalisti. A dire il vero, nessuno a parte Chiara sembrava avere
notato la presenza di un famoso attore nel reparto di Medicina Interna 4. Zac le
aveva raccontato di essere stato in Italia solo per poche ore prima di sentirsi
male, e probabilmente in quel breve lasso di tempo nessuno l'aveva riconosciuto,
e chi lo intravedeva passando per il corridoio di certo pensava al massimo ad
una forte somiglianza.
Non che il viso pallido e segnato da occhiaie
livide e profonde ed ombre grigiastre intorno alla bocca avesse molto di quello
abbronzato e sorridente che occhieggiava nelle edicole, ad ogni modo.
In
quella settimana, erano avvenuti tre avvenimento degni di nota. Il primo era che
la situazione clinica di Zac non era affatto migliorata, tutt'altro, dava
l'impressione di sentirsi ancora peggio di quando era stato ricoverato. I
farmaci che gli venivano somministrati non sembravano sortire alcun effetto, e
da qualche giorno una maschera di ossigeno a flusso costante era l'unico modo
che i medici avessero trovato per garantire al suo corpo il necessario apporto
di aria.
La seconda novità era che lui ed Anna, in qualche modo,
sembravano diventati amici. La ragazza aveva superato i propri pregiudizi, e
d'altra parte passava in ospedale la maggior parte del suo tempo. Aveva
scoperto, con sua grande sorpresa, che quel ragazzo aveva un'intelligenza acuta
ed un sagace senso dell'umorismo, e sarebbe stato estremamente piacevole passare
del tempo in sua compagnia, se solo fosse stato possibile strappargli di bocca
più di due o tre parole alla volta.
Già, più i giorni passavano più lui
sembrava triste e deluso da qualcosa, ma cosa ad Anna non era dato di saperlo.
Le infermiere, Chiara in testa, le avevano riferito che passava le sue notti e
girarsi e rigirarsi tra le coperte senza chiudere occhio, e lei stessa aveva
notato che spesso rifiutava di toccare cibo. La polmonite non poteva essere
l'unica spiegazione, ma Anna non aveva la confidenza necessaria a domandare
quale fosse il problema.
Il terzo avvenimento riguardava il secondo letto
della stanza, che da un paio di giorni era stato occupato da un ragazzo di
ventun anni che aveva avuto una colica renale. Un ragazzo brillante e di
compagnia, con un sacco di amici.
Amici e parenti che sembravano
trascorrere lì ogni minuto della loro giornata.
Attreverso il vetro, Anna
osservò la stanza. Il nuovo paziente ed i suoi amici stavano ridendo di gusto di
quella che doveva essere una battuta davvero spritosa. Tra amici sedevano sul
suo letto, sua madre era su una sedia l' accanto ed una giovane dai capelli
scuri che era, probabilmente, la fidanzata gli accarezzava i capelli con
tenerezza.
Zac li stava osservando da un'eternità. Il suo sguardo
sembrava letteralmente calamitato da quello spettacolo, e passava continuamente
dal letto del suo vicino allo schermo del suo cellulare, senza variare mai di
direzione.
"Ora entro e tiro il paravento." si disse Anna.
Ad ogni
nuovo scoppio di risa, ad ogni gesto di affetto che veniva rivolto al ragazzo,
Anna aveva l'impressione che qualcuno lo pugnalasse direttamente al cuore. Si
chiedeva dove fosse la sua famiglia, dove fossero i suoi amici. Certo, vivevano
lontano, ma sarebbe passato ancora del tempo prima che lui fosse dimesso,
possibile che nessuno avesse il tempo di venire in Italia per stargli vicino? In
fondo, il denaro per il biglietto aereo non doveva essere un
problema.
Sembrava una bella persone. Perchè era così
solo?
Improvvisamente, l'altro paziente smise di ridere, ed una smorfia
di dolore s dipinse sul suo volto. In un attimo, tutti gli furono intorno,
abbracciandolo, consolandolo. La ragazza di distese accanto a lui e passò le sue
braccia attorno alla sua vita, tutta la dolcezza del mondo dipinta negli
occhi.
Anna vide Zac voltarsi dal lato opposto, a fatica. I suoi
lineamenti erano contratti in un'espressione indecifrabile. Osservò ancora una
volta il display del cellulare, poi, si portò una mano al viso.
Questo
gesto non impedì ad Anna di vedere le lacrime che solcavano copiose il suo viso.
La mano sottile tremava mentre stringeva il lenzuolo bianco con inutile
foga.
Anna si stupì nel pensare che quello era uno degli spettacoli più
tristi cui avesse mai assistito. Le lacrime continuavano a solcare il suo volto.
Aprì il cassetto del comodino e ne estrasse quella che aveva tutta l'aria di
essere una fotografia. La strinse a sè senza smettere di piangere in
silenzio.
Come se non fosse abbastanza, poco dopo sfilò la mascherina
dell'ossigeno con fatica inaudita e, quasi timorosamente, avvicinò la stessa
foto alle labbra.
Quando Anna lo vide baciare qual misero pezzo di carta
patinata con tenerezza, con trepidazione e quasi con venerazione, inondandolo
con le proprie lacrime, le si spezzò il cuore.
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