Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    30/11/2013    4 recensioni
"Stavi male, ti girava la testa, non avresti dovuto rischiare. Perché in gioco [...] c’era la vita di un bambino, un bambino di otto anni. Un bambino che in questo momento è sotto i ferri, che ha la vita appesa a un filo… perché tu hai scelto di rischiare."
Quando un omicido getterà i poliziotti nel pieno di una tragedia sia personale sia professionale, Ben e Semir dovranno fidarsi ciecamente l’uno dell’altro, senza riserva. Quando la loro amicizia sarà duramente messa alla prova cosa faranno i due ispettori? Si allontaneranno o proveranno invece, con l’aiuto di Clara e della squadra, a giungere insieme alla soluzione del caso?
"In fondo alla scatola, invisibile, incastrato tra decine di fogli e piccoli oggetti, sarebbe rimasto per sempre un pezzo del suo cuore.”.
Continuazione di "Il coraggio di rischiare".
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dieci ritagli di Cobra 11'
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Ben chiuse piano la porta, in modo che le guardie che sostavano appena dietro l’angolo del corridoio non lo sentissero. Quindi si avviò cauto verso la stanza da bagno e vi si chiuse a chiave, sempre facendo il minimo rumore.
Si guardò intorno e aprì la finestra della piccola stanzetta, che dava subito sulla strada: da lì, in piedi sopra il bidè, analizzò la situazione. Due guardie sostavano davanti alla porta d’ingresso, che però da lì non si vedeva bene, un’altra guardia era proprio sul marciapiede sotto di lui.
Sospirò pensando al da farsi. Clara lo aveva pregato di non andare, di lasciar fare a Bronte, ma Ben non si fidava di quell’uomo, era più forte di lui! Così aveva insistito ancora ed ancora, ed ora si ritrovava a cercare un metodo per fuggire alla stretta sorveglianza che lo accompagnava ormai da due giorni, ventiquattro ore su ventiquattro. Doveva raggiungere Semir e portarlo in salvo, in qualche modo. Era sicuro che altrimenti gli uomini dell’LKA sarebbero arrivati troppo tardi.
Fissò ancora per qualche attimo la strada dalla posizione in cui era, quindi si decise ad agire.
Con una spinta si ritrovò sul davanzale e, pochi secondi dopo, con un salto piombò sul marciapiede. Non lasciò alla guardia nemmeno il tempo di voltarsi, la immobilizzò da dietro tappandogli la bocca, gli prese la pistola e le chiavi della macchina dalla tasca: «Questi li prendo io.» mormorò.
«Scusa.» aggiunse poi colpendo l’uomo sulla nuca con il calcio della pistola in modo che perdesse conoscenza per il tempo necessario alla sua fuga.
Aprì quindi il portellone dell’auto parcheggiata lì davanti e partì.
Era stato fin troppo facile.
Alcuni poliziotti di guardia si accorsero della macchina che si allontanava e del loro collega steso a terra ma ormai era troppo tardi: Ben era lontano.
Troppo lontano: non udì le grida delle guardie che gli intimavano di fermarsi, né uno degli uomini che gridava all’altro che la macchina rubata da Jager aveva un guasto al motore.
Accelerò semplicemente, seminando in poco tempo gli uomini che avevano tentato di seguirlo.



«Dunque, l’edificio si trova qui.» esclamò Bronte indicando con una penna un punto preciso sulla mappa che occupava l’intera scrivania «I miei uomini potrebbero fare irruzione da dietro. Il problema è che non sappiamo quanti siano lì dentro.».
«Commissario,» intervenne la Kruger, stizzita «Io penso che dovremmo velocizzare l’operazione, è passata quasi mezz’ora e ancora non abbiamo risolto niente. Gerkhan potrebbe essere ucciso da un momento all’altro.».
«Non mi distragga, sto provando a ragionare.» fu la semplice, rabbiosa risposta del capo dell’LKA che, senza degnare la donna di uno sguardo, tornò ai propri pensieri.



Ben parcheggiò la macchina accostata al marciapiede, a pochi metri dall’edificio, assicurandosi di non essere visto da nessuno.
Scese lasciando le chiavi inserite e si avvicinò cauto all’entrata dell’antico museo. Un uomo vestito di nero e armato di mitraglietta stava appena dietro l’angolo, ma fortunatamente non si accorse del poliziotto che, la pistola rubata puntata davanti a lui, lo aggirò abilmente.
Appena dopo la soglia stavano altri due uomini, stessi abiti e stesse armi. Ben sopraggiunse alle loro spalle e li colpì uno dietro l’altro, senza lasciare a nessuno dei due il tempo di capire cosa stesse accadendo.
Quindi entrò nel lungo corridoio che poi si diramava nelle tante stanze. Una piccola discesa conduceva invece ad una camera chiusa con una porta di metallo.
Ben la adocchiò subito ma dovette nascondersi in fretta non appena da questa uscirono due ragazzoni grandi e grossi, ridendo tra loro.
Lì doveva trovarsi Semir.
Rimase immobile dietro alla colonna che lo stava nascondendo ancora qualche minuto, giusto il tempo che i due si allontanassero, quindi uscì allo scoperto.
Strano, si sarebbe aspettato una sorveglianza più serrata. Ma d’altra parte come poteva immaginare che la maggior parte dei criminali si trovasse in quel momento dall’altra parte della città grazie ad un’ informazione falsa di Semir?
Girò lentamente la maniglia di quella piccola porta e, attento, entrò.
Subito lo investì un pesante odore di chiuso. La stanza era completamente buia, non aveva finestre. Una sedia giaceva rovesciata in un angolo, insieme ad alcune corde.
Poi, nel mezzo del pavimento, distesa, la sagoma di un uomo. La sagoma di Semir.



«Ha mentito, quel bastardo!» sibilò Sherder al telefono, furioso come non mai «Ha mentito, qui non c’è traccia di Jager!».
«Vuole che facciamo qualcosa capo?» domandò dall’altra parte uno dei ragazzi.
«Voi non fate proprio niente, niente! Aspettate che arrivi io e quel poliziotto si pentirà di essere nato!» concluse gridando il criminale, chiudendo la comunicazione e ordinando all’autista di partire a tutto gas.
«Alla base, muoviti.».



«Semir! Semir, Santo Cielo, svegliati, Semir!».
Ben scuoteva il corpo immobile del collega, terrorizzato.
Si calmò leggermente solo quando vide che finalmente l’amico stava aprendo gli occhi, seppur con fatica.
«Ben…» mormorò l’ispettore con un filo di voce.
Gli occhi del ragazzo, nel frattempo abituatisi al buio della sala, scorsero il viso sanguinante del prigioniero, che quasi non riusciva a respirare.
«Che… che diavolo… che diavolo ci fai qui, Ben? Ti uccideranno, vattene!» sussurrò ancora Semir, tanto piano che l’amico a mala pena udì le sue parole.
«Semir, ascoltami, dobbiamo scappare, hai capito? Devi alzarti, ce la fai?».
L’ispettore scosse il capo. Aveva male ovunque, in quel momento si sentiva un ammasso di ossa rotte raggruppate insieme per una strana coincidenza.
«Dai, devi alzarti, dobbiamo muoverci.» lo intimò Ben provando a tenerlo mentre con fatica Semir provava a mettersi in piedi.
Il dolore al torace non gli permetteva nemmeno di stare dritto, doveva avere delle costole rotte.  E il naso non voleva saperne di smettere di sanguinare.
«Su, appoggiati a me, così.» fece Ben reggendo l’amico e avviandosi lentamente verso la porta.
Ci misero tanto.
Ad entrambi sembrò un viaggio interminabile ma finalmente dopo alcuni minuti i due furono fuori dalla stanza e poi fuori dall’edificio. Si stavano avviando verso la macchina quando sentirono le grida e gli spari degli uomini armati dietro di loro, che tentavano di fermarli. Riuscirono a salire in macchina prima che quei criminali li raggiungessero e Ben partì con una sgommata.
Una decina di uomini, dietro di loro, si indaffarava a salire sulle numerose auto per iniziare l’inseguimento del prigioniero e del suo salvatore.



Andrea fissava la mappa su cui stavano lavorando Bronte e la Kruger, spaesata. Aveva ottenuto dal commissario il permesso di seguirla al comando ma adesso si sentiva totalmente inutile.
Avrebbe dovuto insistere perché Semir non lavorasse a questo caso, per quanto fosse coinvolto. Avrebbe dovuto, ma non lo aveva fatto e adesso ne stava pagando le conseguenze.
Poteva solo sperare che sarebbe andato tutto bene.
Si sedette con un lieve sospiro su una sedia e aspettò.
 


Entrambi gli ispettori rimasero in silenzio per almeno una decina di minuti.
Ben era concentrato nel tentare di seminare gli inseguitori, mentre Semir lottava ogni istante per rimanere lucido: gli girava la testa, respirava a fatica, aveva fitte terribili all’altezza delle costole. Non era nemmeno riuscito a ringraziare l’amico per esserlo venuto a prendere.
«Ben, ma dico, cosa ti è saltato in testa?»  irruppe ad un tratto, in quello che risultò poco più di un sussurro.
Il ragazzo staccò un attimo gli occhi dalla strada per guardare il collega seduto accanto, quindi tornò a pensare alla guida: «Cosa mi è saltato in testa?».
«Sei venuto qui quando… quando sai benissimo che quelli vogliono te…» Semir si interruppe con una smorfia di dolore «Ti vogliono morto, Ben, ma che diamine gli hai fatto? Sherder…».
«Sherder? Dietro tutto questo c’è Thomas Sherder?» domandò Ben incredulo.
L’ex prigioniero annuì, aspettando che l’amico gli desse delle spiegazioni.
«Quello è un pazzo. Quando lavoravo alla criminale aveva tentato addirittura di far saltare in aria il comando, figurati! C’era stato tutto un’ affare di droga, di traffici vari. Lui aveva la moglie gravemente malata, che poi è morta durante la sua prigionia. Pensa, diceva che sarebbe sopravvissuta se noi non l’avessimo arrestato, se non fosse rimasta sola… ma non è vero, non ha alcun senso, la donna aveva un tumore in fase terminale, le avevano dato al massimo due mesi di vita!» Ben controllò le macchine che lo seguivano dallo specchietto retrovisore e con sollievo notò che non ne era rimasta nemmeno una: a quanto pare li avevano seminati.
Aprì la bocca per dare la buona notizia al collega seduto accanto ma non fece in tempo a parlare che un rumore sordo proveniente da sotto di loro li allarmò. La macchina cominciò piano a rallentare e poi a fermarsi, mentre una leggera nuvola di fumo fuoriusciva dal cofano dell’auto.
«Che succede?» mormorò Semir corrucciando la fronte.
«Accidenti!» fece Ben spaventato «Accidenti!» ripetè, scendendo dall’auto per controllare il cofano.
Guardò dietro di loro verso la fine della via. Le macchine dei criminali che li seguivano non si vedevano ancora all’orizzonte ma se ne cominciava a sentire il rumore dei motori: li stavano di nuovo raggiungendo.
Si guardò intorno e l’unica cosa che vide in quell’area deserta fu un cartello davanti a sé che indicava che la via era senza sbocco.
Sulla sinistra vide invece che la via correva parallela al bosco… la loro unica via di fuga.
«Semir… Semir, dobbiamo andare nel bosco e scappare, la macchina è morta. Non abbiamo nemmeno un cellulare, dobbiamo muoverci o ci prenderanno.».
Semir scosse il capo: «Ben, vai tu, non… non ce la faccio a correre, ci prenderebbero.».
«Senza di te non vado da nessuna parte, lo sai benissimo. Dai, ti aiuto io, andiamo.».




Grazie a maty, red, Iuccy e miki per le recensioni! Ci avviamo pian piano verso la fine della storia, spero di non deludervi…
Un bacio
Sophie :D

PS: di nuovo problemi con l'editor, scusate -.-

  
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