Fumetti/Cartoni americani > I Pinguini di Madagascar
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Autore: Fluffy Jpeg    30/11/2013    6 recensioni
- No, non c'è niente che non va... da-davvero... E' solo, uh... l'i-incubo. Mi tormenta ancora. -. Abbozzò ad un vago sorriso. - Tutto qua. Nulla di cui p-preoccuparsi. Ora mi-mi passa.
E ciò detto, infilò in bocca le cannucce e iniziò a bere con una tale velocità da finire il suo frullato in pochi secondi. Maurice storse la bocca, poco convinto.
Beh, poteva anche essere, in fondo. Però gli sembrava troppo strano.
- ... d'accordo. - decise infine di lasciare la presa. - Se hai bisogno di parlare, sai dove trovarmi. - annunciò, e discese la scaletta per tornare dietro al bancone del mini-bar, a consumare la sua colazione.
Julien stette semplicemente lì sul trono, reggendo ancora la coppa vuota, a cercare quello che sembrava oramai soltanto un fantasma.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di lasciarvi alla lettura di questo capitolo, le mie più sentite scuse a chi ha recensito la storia e a cui io non ho risposto! éuè
Avrei dovuto farlo da settimane, ma tra problemi, mancanza di voglia di scrivere e la mia idiozia nel non rispondere subito e poi dimenticarmi
che cosa devo fare, alla fine è slittato tutto e non ho fatto niente. çuç Spero possiate perdonarmi!
Vi auguro una buona lettura! <3


 
Capitolo 6: Sguardi al Cielo

Julien avvertì appena una carezza sulla testa. Aprì gli occhi per quel poco che riusciva, la luce accecante di un faro proiettata proprio addosso, cercando la persona che lo stava trattando con così tanta gentilezza. Sentiva appena la sua voce, in lontananza, mormorargli dei dolci: - Andrà tutto bene piccolino... Stai calmo... -, e gli parve di riconoscere il tono di una ragazza pronunciarle. Vide una sagoma, ma prima di poterne capire i lineamenti, ella si era già allontanata.
Appoggiò i gomiti a terra, trovando una superficie liscia e fredda.
Era sul tavolo del veterinario? Quando l'avevano appoggiato lì?
Sollevò lo sguardo, trovando la sagoma di prima dietro una porta, che parlava con un'altra. Non riusciva a seguire il loro discorso, ma sembrava iniziato già da tempo.
Eppure, lui aveva sentito solo poche parole fino a quel momento. Solo qualche attimo prima, l'avevano appena portato dentro alla struttura del veterinario, e l'occhio attento del medico l'aveva scrutato da cima a fondo. L'avevano messo in una gabbia, e avevano detto un paio di parole.
E di colpo, era da un'altra parte, con un discorso portato avanti così tanto?
La coda, alle sue spalle, si mosse debolmente verso il corpo, arrivando ad avvolgerlo in quel tipico abbraccio che si dava da solo quando era spaventato.
Probabilmente... doveva essere svenuto. Non ricordava che svenire fosse così immediato...
Ma forse il suo era un pensiero stupido.
Voltò la testa, lentamente, in direzione della finestra. Si stava facendo buio: il Sole si poteva solo vagamente intravedere dietro gli edifici di New York, e il cielo cambiava la sua tonalità azzurro splendente in un più cupo indaco.
Come se tutto si stesse spegnendo. Come se anche le ultime speranze stessero abbandonando il mondo.
Piano piano, si risdraiò. Lo sguardo rimase fisso fuori, perlustrando la volta celeste in quella che poteva parere la rassegnazione di un re malato prossimo alla morte.
Sarebbe davvero finita così? Un nemico di cui pochi ricordavano il nome stava veramente prendendo il potere?
Stavolta... la musica sarebbe davvero finita?

- S-Skipper...? Ti prego, riprenditi...!
Di chi era la voce che lo stava chiamando...? La conosceva... Non era forse quella di... sì, era di Maurice!
Skipper gemette, iniziando a risvegliarsi. Strinse le palpebre, muovendo la testa un poco di lato, quando vi avvertì un'improvvisa fitta.
Poi, i ricordi si affacciarono improvvisamente alla sua mente, facendogli spalancare di scatto gli occhi.
- Corpo di Bacco! Clemson! - gridò, tirandosi seduto. Si aspettava un'improvviso attacco da parte di egli, convinto che fosse ancora a pochi passi da lui; e invece, guardandosi attorno con più calma dopo il primo attimo di ansietà, si accorse che non c'era il benché minimo pericolo per lui.
Non si trovava più all'esterno. Doveva essere stato trasportato fino all'interno della base operativa mentre era incosciente, e ora, sulla sua brandina dove per poco non sbatteva la testa contro, ritrovava al suo fianco i volti di Maurice, Soldato, Rico, Kowalski, che ricambiavano la sua occhiata, chi con preoccupazione, chi con sollievo, chi con un tale mix di emozioni che non riusciva a scegliere quale mostrare.
Nessuno sembrava intenzionato a parlare, men che meno lo scienziato; ma il sospiro sollevato di Maurice, che si portava una zampa al petto, riuscì a sbloccare la situazione.
- Dio, che spavento. - mormorò, prima di appoggiare con delicatezza le palme sul petto dell'altro, e spingerlo piano di nuovo steso sulla sua brandina. - Rimettiti giù, dai.
Skipper gli rivolse uno sguardo sempre più confuso, senza opporre resistenza a quel suo gesto di cui non capiva il significato.
- Perché...? - domandò in un fil di voce, talmente bassa che sembrava non parlasse da un sacco di tempo. Aveva la gola secca.
L'aye aye lo guardò ancora più in ansia, come temesse che quella frase peggiorasse qualcosa. Si indicò tremando il lato della testa, mormorando: - S-stai sanguinando...
Il pinguino sbatacchiò le palpebre. Il suo primo pensiero andò alla stranezza che avvertì nell'udire Maurice balbettare per la prima volta; solo in un secondo momento realizzò davvero il significato delle sue parole, e d'istinto si sfiorò il capo nel punto indicato da egli.
Avvertì un lieve pizzico al contatto, e la consistenza che aveva sempre trovato strana delle bende che lo fasciavano. Rimase in silenzio, pensoso, per qualche istante; poi si limitò ad inarcare le sopracciglia, e a pronunciare un semplice: - ... ah. -, per nulla colpito.
Maurice, di contro, sembrava l'emblema della preoccupazione.
- N-non puoi dire solamente "ah"! Stai sanguinando, accidenti! Dalla testa!! - gridò, calcando per bene l'ultima parola, come fosse assolutamente certo che l'altro non l'avesse capita. Tese persino le braccia verso di lui, indicandogli nuovamente la ferita.
- Lemure, stai calmo. - lo interruppe Skipper, con un tono di voce totalmente apatico. - Ho visto decisamente di peggio. Quindi ora calma le palpitazioni da madre in ansia per il suo pulcino inciampato in una buca e fammi alzare.
Era una frase diretta, che più che una richiesta sembrava un vero e proprio ordine, talmente ben pronunciata che l'aye aye non se la sentì di contraddirlo, allontanandosi persino di un passo per lasciargli via libera. Il pinguino si mise di nuovo seduto, si voltò per prepararsi a scendere; ma prima di farlo, Kowalski diede sfogo a quell'ansietà che gli faceva continuare a muovere le pinne, facendole toccare tra loro, poi portandole al petto, poi dietro la schiena, e a far rincominciare il giro. Le sollevò, avvicinandole al superiore senza l'intenzione di toccarlo, e accennò: - Skipper, non dovresti...!
Ma la frase non poté essere completata. Prima ancora che il finale potesse formarsi nella sua mente, fu interrotto dal gesto secco, preciso, e pieno di rabbia di Skipper, che lo colpì con un manrovescio al volto talmente forte da farlo quasi cadere. Kowalski mantenne l'equilibrio per un soffio.
Portò le pinne alla zona colpita, mentre attorno a lui tutti si allontanavano di almeno un paio di passi. Non guardò subito Skipper: non ne trovava il coraggio.
L'altro si alzò, come rincuorato dal gesto appena fatto. Non che avesse finito. Gli si portò davanti, a pochi millimetri di distanza, lo sguardo decisamente poco amichevole.
- Kowalski, guardami.
L'altro, a scatti, eseguì. Abbassò le pinne, respirando a singhiozzi, sforzandosi di non lasciar trasparire la sua voglia di girare i tacchi e scappare via. Ma non poteva nasconderlo al suo superiore: era come suo padre, e ad un padre non puoi nascondere nulla.
- Quello che ti ho appena dato, è per aver creato quel virus. Perché sì: lo so che sei stato tu.
Poi, prima che lui potesse parlare, gli tirò un secondo ceffone, di direzione opposta ma di uguale potenza, se non addirittura maggiore.
- Questo è per aver aspettato che fosse Clemson a confermare i miei dubbi.
Arrivò il terzo, che sulle guance già arrossate dello scienziato parve fuoco puro.
- Questo per aver pianto come un bambino prima ancora di provare a cercare un antidoto; e non incolpare Soldato, l'ho scoperto da solo, perché origliare i miei polli è il mio primo compito, e lo sai bene. E questo...!
Ed ecco il quarto, che lasciò Skipper quasi senza fiato da quanta potenza vi usò. Kowalski fu costretto ad allargare le zampe per non cadere.
- ... è un extra. Perché so che prima che questa storia finisca te ne meriterai un altro, e francamente non ho voglia di riprendere dopo.
Nella base, calò un silenzio ancora più opprimente di quello di poco prima. Tutti rimanevano fermi, silenziosi; l'unico suono che riusciva a farsi strada era il fiato grosso di Skipper, che lentamente riprendeva una posa neutra, senza mai distogliere lo sguardo da Kowalski, che invece faceva di tutto per non incontrare i suoi occhi.
Si prese qualche istante per riprendersi. Poi ripeté: - Kowalski, guardami.
A malincuore, il sottoposto eseguì. Aveva gli occhi lucidi, ma rimaneva silente, controllava il respiro, e non si lasciava abbandonare alle lacrime. Non lo avrebbe fatto di nuovo.
E fu un dettaglio apprezzato da Skipper.
- Ciò che è fatto è fatto. Ora concentriamoci sul resto di questa storia. D'accordo? - gli disse, con un tono di voce improvvisamente più calmo. Il figlio era stato sgridato, ora bisognava spronarlo ad andare avanti. Perché in fondo, ci si crede sempre in lui.
Kowalski intuì il messaggio, e annuì, seppur a scatti.
- S... signorsì. - si sforzò di dire; e il superiore annuì in risposta.
- Va bene. Allora qualcuno mi dica: che cosa è successo?
Pose la domanda ancora guardando lo scienziato; ma gli bastò arrivare a metà, perché egli distogliesse lo sguardo. Si voltò, passando dall'uno all'altro degli altri che erano lì presenti, ma tutti fecero la stessa cosa.
La sua pazienza, già di per sé pessima in quel momento, peggiorò ancora di più. Sollevando il tono della voce, ripeté: - Che cosa è successo?
- Non lo ricordi...? - chiese Soldato, debolmente. La voce ricolma di preoccupazione era soffocata dalle pinne poste davanti al becco, come se si vergognasse di aver parlato.
- ... intendevo dopo che sono svenuto. Mi pare ovvio.
Ci fu un lungo, preoccupato silenzio, durante il quale gli sguardi andavano ovunque, tranne che a lui. Skipper attese una risposta, ma nessuno pareva volergliela dare.
Sospirò, quindi, e si volse.
- Va bene. - sentenziò. - Lo scoprirò da solo.
E ciò detto, senza ascoltare le parole di Maurice al suo fianco, l'unico tra tutti i presenti che sembrava abbastanza volenteroso da cercare di fermarlo, Skipper salì la scaletta, e uscì all'esterno della base.
Si fermò fuori dalla buca, coprendo l'entrata della base più per abitudine che per soffocare le frasi provenienti dall'interno, e si prese qualche momento per respirare a pieni polmoni quell'aria che improvvisamente gli pareva fresca e pulita. Ispirò, espirò, e poi portò lo sguardo alla volta celeste.
Era ben diverso da come lo aveva visto prima di perdere i sensi. Era diventato blu intenso, tipico di quel momento poco prima dell'arrivo del buio vero. La luce del Sole era ormai solo una debole presenza dietro gli edifici, e non mancava molto al momento in cui avrebbe detto 'A domani!' a tutta la popolazione di New York. L'illuminazione dei recinti era spenta: gli animali sembravano essere nella tana a dormire - o forse nascosti, gli fu automatico pensare.
E sotto uno dei lampioni già debolmente accesi, a metà strada tra lui e l'infermeria, finalmente trovò il mancante all'appello: Mortino.
Era seduto per terra, accoccolato come una piccola palla, la coda stretta attorno al corpicino beije; e dava le spalle al pinguino, alla sua casa, al mondo intero, come se nulla più esistesse.
Skipper non se la sentì di chiamarlo. Provò solo a fare rumore, strusciando la ciotola del pesce per sistemarla meglio sull'ingresso, ma continuò ad essere ignorato.
Decise di non insistere. Aveva tutt'altro di cui preoccuparsi al momento.
Il suo sguardo si volse verso l'unico habitat illuminato dalla fioca luce di un faretto. Senza stare a considerare i pericoli, le conseguenze, e tutte le altre idiozie del genere, Skipper si mosse verso di esso, con passo lento, senza fretta. Udì dietro di sé la base venir aperta, Maurice uscire e chiamarlo di nuovo, dirgli qualcosa riguardo il fatto che così facendo poteva peggiorare le sue condizioni; ma le sue parole erano solo fragili suoni che si perdevano nell'aria, e nonostante il loro impegno non riuscivano a tangere la sua mente. Era troppo concentrato su altre cose.
Una sensazione...
Sentiva che, oltre quel muro, qualcuno aveva qualcosa da spiegargli.
La prova era lì, a pochi passi da lui, sotto un lampione poco funzionante: era Mortino. Lo sapevano tutti: cercava sempre di raggiungere i piedi del suo amato sovrano, e se non poteva iniziava a straparlare, agitandosi come in preda alle convulsioni, o come in crisi d'astinenza da droga. Sempre.
Quella volta, invece, era fermo, immobile, silenzioso.
Come fosse in lutto...
Arrivato sotto il muretto che delimitava l'habitat, flesse le zampe e vi saltò sopra.
Ovviamente, non trovò Julien. Non se lo aspettava minimamente, nemmeno nelle sue più rosee aspettative. Il suo sguardo passò sul trono tristemente vuoto, la porta da cui era passata poco prima l'infermiera lasciata socchiusa dalla fretta, le foglie dei cespugli staccati dai rami lasciate a terra dalla sua corsa fuori da essi, fino ad arrivare alla figura che contemplava la sua immagine riflessa in uno specchio rotto, canticchiando gioioso, mentre reggeva tra le mani la corona che fino a poche ore prima era sulla testa di Julien.
Era Clemson. E Skipper ebbe un fremito di rabbia nello scorgere l'espressione di goduria che gli dipingeva il volto.
- I vetri rotti portano sette anni di sfortuna, lemure. - gli disse, il tono di voce contaminato dall'insofferenza che provava nei suoi confronti. Avvertì lo sguardo preoccupato di Maurice addosso, e quello dei suoi sottoposti unirsi al suo dalla piattaforma del loro habitat, ma non ci diede peso. Si concentrò unicamente sugli occhi, ricolmi di beffardaggine e sicurezza di sé, che Clemson gli rivolse. Gli sorrise anche, totalmente certo che, oramai, la vittoria era inderogabilmente sua.
- E non mi pare che tu possa levarti ancora a vincitore. - aggiunse il pinguino. L'altro ignorò deliberatamente le sue parole, accarezzando le foglie dell'oggetto in mano sua.
- Buon giorno anche a te, pinguino. Hai fatto una buona dormita?
- Ma che carino... Da quando ti preoccupi della mia salute, psicopatico?
Il lemure rosso mosse la mano nell'aria, in un gesto molto teatrale, fino ad appoggiarla al proprio petto.
- Io mi preoccupo per i miei sudditi... continuamente.
- Non siamo... -. La frase di Skipper venne interrotta da un improvviso capogiro. Chiuse gli occhi qualche momento, portando una pinna alla testa dolorante e allargando le zampe per ritrovare l'equilibrio. Quando schiuse le palpebre, Clemson aveva allargato il suo sorriso, provocandogli un secondo brivido di irritazione. - ... tuoi sudditi. - concluse in un sibilo.
- Forse dovresti sederti, pinguino. Non mi sembri al massimo della forma. - gli propose il lemure, ignorando nuovamente le sue parole.
- Io sto benissimo. - controbatté l'altro, il tono che gli uscì più acido di quanto si aspettasse. - Sei tu che non uscirai bene da questa storia.
Ma Clemson pareva aver perduto l'interesse nell'ascoltarlo. Ritornò a volgersi verso il pezzo di specchio rotto, e riprese a canticchiare, controllando ogni singolo dettaglio della corona che reggeva tra le zampe.
Skipper avvertì la rabbia crescere dentro di lui con sempre più prepotenza. Si protese verso di lui, iniziano a gridare il suo nome per riottenerne l'attenzione.
- Non ignorarmi, dannazione! - esclamò. - Non hai vinto! Il trono non sarà mai tuo, perché Julien guarirà! Kowalski troverà la c... cura...!
Di colpo, avvertì di nuovo la testa girare. Aveva di nuovo un mancamento, e stavolta era decisamente più forte dell'altro, tanto che rischiò di cadere dal muretto. Serrò gli occhi, portando ambedue le pinne alla testa nel disperato tentativo di recuperare in fretta l'equilibrio.
Non fece a meno di pensare che era strano. Aveva sì perso sangue dalla testa, ma non così tanto da stare così. Vero? O era più grave di quanto avesse pensato? Non era un medico, questo era certo, però...
Socchiuse gli occhi, ricercando la figura del lemure rosso quasi con ansia. Avrebbe potuto attaccarlo: non doveva assolutamente abbassare la guardia e permetterglielo.
Ma lui ancora canticchiava, nello stesso posto di prima. Si volse lentamente nella sua direzione, trovando più importante lucidare la base della corona prima di rivolgersi nuovamente a Skipper.
- Giramenti di testa... preannunciano la vista offuscata, la spossatezza, e la nausea. Poi verrà la febbre... -. Allargò il suo sorriso, teso da una macabra nota di sadismo. - Sarà un piacere vederti ridotto ad una pezza, pinguino.
Skipper prese un profondo respiro, guardandolo in cagnesco mentre cercava di capire il significato di quelle parole. Perché aveva appena elencato una serie di sintomi? Erano gli stessi che aveva provato Julien, e li conosceva bene: diamine, lo stavano curando loro! Perché aveva voluto ricordar...?
Tutt'ad un tratto, capì.
Spalancò gli occhi, mentre le pinne si allontanavano dal capo, e i muscoli di esse si tendevano dalla rabbia e da un'improvvisa ansia.
- T-tu...! - sibilò. Clemson chiuse gli occhi, continuando a sorridere beato. Mosse la corona tra le zampe, prima di afferrarla con entrambe.
- Dì un po', sono curioso. - gli disse. - Senti un sapore metallico? Mi sono sempre chiesto che sapore abbia quel liquido.
Skipper lo guardava sempre più irritato, iniziando ad ansimare per la rabbia.
- Tu! - ripeté, quasi urlando. - Tu mi hai fatto ingoiare quella roba che hai dato a Julien!!
Clemson sghignazzò, e fu come una confessione servita su un piatto d'argento. Riaprì gli occhi, e li fissò sulla sua figura ansante e scossa dalla consapevolezza di essere stato giocato.
- Sei stato così bravo a mandarlo giù... - commentò. - Nella semi-incoscienza, sembravi un giocattolino nelle mie mani.
Skipper emise un verso gutturale, simile ad un basso ringhio, fissandolo con occhi ricolmi dell'ira più nera. Lo osservò saltare sulla piattaforma centrale, quindi sul trono, e infine girarsi verso di lui, la coda che si agitava senza tregua alle sue spalle, colta dall'estasi di quel momento tanto agognato.
- Pensi di potermi fermare semplicemente avvelenandomi?! - gli gridò Skipper, la voce sempre più combattente. - Non me ne starò fermo a guardare!!
- Meglio, pinguino, meglio! Il virus scorrerà in corpo più velocemente! Mi farai solo un favore!
Assottigliò le palpebre, sentendosi messo alle strette.
Non voleva lasciargliela vinta così. Non voleva arrendersi, e ritrovarsi succube di quel maledetto sorriso.
- Tu... - sibilò nuovamente. - Tu...!
- IO, pinguino, ho VINTO! -. Clemson allargò la bocca in una risata sadica e malvagia, che con sempre più potenza iniziò a scuotere il suo corpo. Appoggiò la corona sulla sua testa, sollevandosi sul trono con lo spirito di un guerriero che ha finalmente vinto la sua battaglia più importante. - Ho vinto! HO VINTO IO!!
Skipper tese i muscoli, nello sforzo di stare fermo, non agire in modo avventato. Aveva già commesso quell'errore, e non aveva intenzione di ripeterlo.
Spostò lo sguardo dietro di sé, ritrovando la figura di Maurice, Kowalski, Soldato, Rico, che non avevano osato avvicinarsi per interromperlo, e guardavano con risolutezza il lemure rosso. L'aye aye stringeva i pugni, le labbra serrate che formavano una linea dritta e combattiva; i suoi sottoposti cercavano l'autocontrollo, chi incrociando le pinne, chi pregando mentalmente un altro di tenerlo fermo.
Non volevano arrendersi neanche loro.
E lì, a metà strada tra l'habitat dei pinguini e l'infermeria, Mortino volse finalmente la testa, muovendosi a scatti, rivelando gli occhi lucidi ricolmi dell'ira più forte, le guance rigate dalle lacrime, e un'incredibile voglia di far cessare quella maledettissima risata pazzoide, che risuonava con prepotenza dello zoo.
Il pinguino li guardò qualche momento, gli occhi carichi e combattivi; e annuì quando dai cinque ricevette lo stesso sguardo.
No, Clemson non aveva ancora vinto.
Skipper tornò a fissarlo, trattenendo a stento la voglia di saltargli addosso, lì e subito, e riempirlo di pugni e calci.
Dovessi morire nel tentativo, pensò, tu non vincerai mai.
E come se il suo pensiero avesse attraversato l'aria, nell'ambulatorio veterinario Julien schiuse nuovamente le palpebre, e tornò a guardare il cielo.
E sorrise, nel vedere le stelle più brillanti che mai.




 
Ehi ehi ehi, JpegFluffy nelle note d'autore!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! <3 Era fermo da quasi un mese, e ho approfittato dell'improvvisa ispirazione che ho avuto stasera per completarlo.
Ci tenevo a postarlo il prima possibile! Anche se effettivamente, quelsto non è propriamente il mio miglior "prima possibile"...
Attenzione attenzione, Clemson ha conquistato il trono! Riusciranno i nostri eroi a fermare il suo piano malefico, ora che è quasi arrivato al termine?
In fondo, si sa: gli ultimi passi sono sempre i più complicati da fare...
O forse erano i primi?
Tra dubbi filosofici e tante tazze di té freddo al mio fianco, vi dò appuntamento al prossimo capitolo, sperando ovviamente che la storia vi convinca
a proseguire nella lettura! :3
Dai dai, che il prossimo capitolo dovrebbe essere molto più dinamico! <3
Grazie per aver letto! <3 See you soon~!
   
 
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