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Autore: The Chemist    01/12/2013    9 recensioni
Perché lo giuro, il nostro amore superera la classe sociale, superera il denaro, e supererà anche l'oceano dopo tutto questo.
Rich!Louis | Poor!Harry | Larry | Elounor | Accenni Diall |1905.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Quando la raffinatezza incontra l’ignoranza


 
Louis era appena rientrato in camera, si era lasciato trattenere da Paul Yankes per l’ennesimo brandy e qualche bicchiere di vino. Non era risultato ubriaco, una delle cose che Louis poteva vantarsi era quella di riuscir a trattenere alla perfezione l’alcol, ma questo non sempre era a suo favore. Quando aveva voglia di lasciarsi un po’ andare, aveva da bere litri e litri, prima di riuscir a far girare il mondo attorno a sé.
Eleanor aprì la porta del bagno che confinava con la stessa camera dei due, e quando incontrò lo sguardo agghiacciante del ragazzo, rabbrividì. «Buonasera, Lou» lo salutò cercando di nascondere il terrore dietro i suoi occhi. Sperava che un sorriso beffardo poteva fingere il suo stato d’animo, ma Louis Tomlinson conosceva fin troppo bene la sua ragazza, per fortuna, o sfortuna. Chi lo sa? «È solo il primo giorno qui in Inghilterra e già sento la necessità di tornare a New York» ella s’avvicinò per stampargli un casto bacio sulle labbra. Louis ricambiò, con totale freddezza. Con la mano destra la spinse verso il letto, facendola quasi cadere su di esso, ma riuscì tuttavia a reggersi in piedi. Abbassò lo sguardo, ormai aveva capito. La mano grande di Louis colpì la guancia liscia della ragazza con estrema noncuranza. Eleanor abbassò di nuovo lo sguardo: una regola era quella di non guardare il proprio uomo negli occhi in quelle situazioni. «Che sia l’ultima volta che mi rifiuti. L’ultima volta che succeda una cosa come quella di oggi pomeriggio, lurida puttana».
Le dita di Louis andarono direttamente verso la spallina della camicia da notte di Eleanor. Le tirò, e lasciò cadere la vestaglia a terra, lasciando la donna in intimo. Circondò la schiena di Eleanor con le sue braccia, per poi cadere su di lei, appoggiandosi sul letto, con una mossa fulminea la sua mano fu in grado di sciogliere anche la presa del reggiseno, lasciandola completamente nuda la sua parte superiore del corpo. Le labbra di Louis circondarono nuovamente il capezzolo sinistro di Eleanor, lasciando udire gli schiocchi. Eleanor si lasciò scappare un gemito a quel tocco.
La notte andò avanti, sempre più intensa e violenta. Era la punizione che Louis aveva riservato a Eleanor per averlo rifiutato quel pomeriggio. Succedeva poche volte, ma quelle erano fatali per lei. Ha sempre saputo che con un uomo come Tomlinson non si doveva scherzare, che qualsiasi cosa poteva ritorcersi contro, ma a volte si lasciava sfuggire questi particolari. La soluzione durava non più di qualche ora. Uno schiaffo in pieno volto, e del sesso violento durante la notte. Nulla di più.
 
La notte fu di fuoco anche per Harry. Finì il suo turno di lavoro verso mezzanotte. Niall era sicuramente contento di uscire da quell’albergo, e vedere Harry levarsi il grembiule per poi riporlo nel suo armadietto, era come liberarsi di un peso portato con sé per il resto della giornata. «Finalmente ce ne andiamo», disse sorridente il biondo.
«Sei tu a voler stare attaccato a me come una cozza anche mentre lavoro, nessuno ti obbliga a rimanere qui con me» sputò serio Harry, mentre apriva la porta del bagno autorizzato solo agli addetti. Niall s’appoggiò allo stipite, fissandolo mentre portava le sue mani bagnate alla faccia.
«Quello che volevo intendere – fece una pausa con la voce, sbuffando – è che non vedo l’ora di passare una bella serata con gli amici, ma ovviamente ti imbucherai in una stanza grigia dov’è presente un misero letto, e ci porterai su qualcuno, dico bene?»
«Dici bene» commentò Harry serio, mentre si tamponava con l’asciugamani.
Uscirono dalla porta principale, quando il freddo della sera inoltrata li colpì in pieno. La Primavera, in Cornovaglia tardava a presentarsi ogni anno. Harry non aveva problemi, riusciva a trattenere bene il freddo. Non era sicuramente il tipo da lamentarsi per il gelo, a differenza di Niall che era già intento a lamentarsi per i quattro chilometri che ora dovevano farsi a piedi, prima di raggiungere l’abitazione di Harry, con quel freddo. «Harry perché non prendi la patente? Non si può continuare in questo modo, fa freddo, ho i piedi congelati e non ho intenzione di camminare fino a casa tua in questo stato».
«Allora rimani qui». Disse acido mentre le sue gambe avanzavano a passo spedito sulla strada umida e bagnata. Nessuno v’era nessuno per le strade, erano completamente morte, e la voce di Niall spiccava vivacemente in esse.
«Non voglio rimanere qui!» Fece Niall mentre raggiungeva Harry con una leggera corsetta, facendo ben attenzione a non scivolare su quell’asfalto ricoperto d’acqua.
«Perché devi puntualmente comportarti da bambino? Niall, sono stanco».
«Voglio solo scherzare».
«A quest’ora? Niall, sono stanco». Ripeté.
«Andiamo, è meglio».
Harry si accese una sigaretta, quando il fumo passivo andava a scontrarsi contro il viso di Niall poco più indietro di lui. Il biondo si lasciò scappare una leggera tosse.
Il riccio riusciva a sfogare la propria ira, i propri problemi in un solo tiro di nicotina. Ecco, tirò un’altra volta, l’aspirò, lo fece assaggiare al proprio corpo. Ed ecco, rilasciò quel fumo grigiastro, ed ecco ancora, lasciò che i suoi problemi se ne andassero fuori da lui. Era libero per quei cinque minuti in cui teneva fra il suo indice e medio quel miscuglio di tabacco e nicotina avvolto da una cartina quasi trasparente.
Arrivarono alla casa dopo mezz’ora circa. Harry non bussò, aprì semplicemente la porta, per lasciarsi travolgere dal calore proveniente dal camino. Si tolse il cappotto, lasciandolo sull’appendiabiti, quando poi entrò nel salotto, nel quale Zain e Liam erano intenti a giocare una partita a scala quaranta con tutta concentrazione. Niall aveva ancora il suo cappotto indosso, ed era seduto sul bracciolo del divano di pelle, accanto a Zain. L’altro ragazzo, invece, dai capelli lisci, sparsi per quasi tutta la fronte, era seduto diritto di fronte a Zain, sulla poltrona.
«Scarta l’asso, non ti serve». Sussurrò Harry all’orecchio di Zain, dietro di lui. Harry andò in cucina per versarsi un bicchiere di whiskey. «Nick? Dov’è Nick?»
«Ha detto che sarebbe venuto più tardi» Annunciò Liam con gli occhi ancorati sulle carte. Era chiaro che stava vincendo, Zain non è mai stato bravissimo a giocare con le carte.
«Più tardi? – sorseggiò dal suo bicchiere – Domani devo lavorare all’alba, non posso aspettare che lui si faccia fare un lavoretto da qualcun altro». Ma nel momento in cui pronunciò quelle parole, qualcuno alla porta bussò. Lasciò il suo bicchiere colmo di whiskey da quattro soldi, e andò ad aprire. «Si spera che sia lui», disse lasciandosi sfuggire un sorriso malizioso. Quando si diresse alla porta, si poté udire Zain lamentarsi per l’ennesima sconfitta. Aprì la porta, e i suoi occhi verdi si scontrarono con quelli del ragazzo che aspettava. «Finalmente – sorrise – ce ne hai messo di tempo, huh?»
«Sì, scusami Harry. Ma come puoi ben sapere la mia vita è piena di imprevisti. Oh, Zain per caso ha perso di nuovo a carte?» Nick sorrise di gusto. «Riesco ad udire le sue lamentele da qui».
«Oh sì, non imparerà mai a giocare e puntualmente si ostina a voler sfidare Liam…»
«Non fa una piega. Erm, non mi fai entrare? – Nick sorrise ancora una volta – Qui si congela!»
«Oh, sì, scusami. Fa abbastanza freddo per essere Marzo». Commentò Harry, lasciando spazio in modo tale che Nick entrasse nell’abitazione. Nick si tolse anch’egli il giubbotto, ma lo lasciò appoggiato al divano in cui Zain era intento a disperarsi per la sua sconfitta a scala quaranta.
«Nick sei venuto qui per il pene di Harry? O per il suo culo?» Scherzò Liam alla sua sinistra. Harry, che aveva raggiunto da poco il salotto, lanciò un’occhiata minacciosa al ragazzo dai capelli biondo cenere.
«Penso che oggi sia il mio turno, mio carissimo Liam». Rispose Nick tanto amichevole quanto lo fosse stato Liam prima.
«Sono sempre più contento di essere etero» Se ne uscì Zain, inscenando un pianto sofferente.
«Oh, e smettila! – Strillò Liam – Non è la prima volta che perdi, dovresti aver fatto l’abitudine! Io te l’avevo detto!»
Harry si avvicinò all’incavo del collo e la spalla di Nick. Sussurrò «Andiamo di sopra», al suo orecchio, con un sorriso malizioso.
 
E ancora una volta, come ogni Lunedì, Venerdì e Sabato, i loro corpi erano uniti, il loro sudore era a contatto, le loro pelli potevano sentire il calore dei loro respiri, i ricci di Harry cadevano sulle sue tempie, bagnati.
Harry non era innamorato di Nick, né l’altro lo era di Harry. Il loro rapporto era come qualsiasi altro amico, si volevano bene, provavano affetto per l’un l’altro, ma non amore. Molte volte successe che Zain chiese a Harry di questo fatto. La realtà era che Harry sembrava innamorato. Si mordeva il labbro inferiore non appena lo vedeva, diventava nervoso al solo udire il suo nome, gli brillavano gli occhi quando parlava di lui, ma nessuno, meglio di Harry, poteva ribadire ogni volta di non essere innamorato. Harry conosceva l’amore. L’aveva provato, e non aveva intenzione di provare quel sentimento un’altra volta.
Harry si accese una sigaretta subito dopo aver finito con Nick. Sicuramente i ragazzi furono andati via da un pezzo, e Niall era tra le braccia di Morfeo già da qualche ora. Quella mattina Niall aveva da lavorare, quindi gli sarebbe toccato andare da solo fino all’albergo.
«Har?» La mano di Nick si andò ad appoggiare sulla spalla di Harry. Il riccio non distolse lo sguardo.
«Sì?» rispose freddamente.
«Ho da farti una domanda»
«Ascolterò la tua domanda»
«Tu mi hai mai amato?»
Harry inghiottì la saliva che gli era rimasta in bocca. Si bloccò a quella domanda.
«Grimshaw s’è fatto tardi. Sarò a lavoro tra qualche ora, devi andartene».
«Da quando pronunci il mio cognome? Harry rispondi alla domanda» Le braccia di Nick abbracciarono il corpo nudo del riccio da dietro.
«Perché sei così curioso di sapere? In ogni caso, non puoi sapere se ti direi una menzogna o cos’altro».
«Hai ragione, Harry. Hai ragione. Ma so perfettamente che tu sarai sincero con me». Le labbra di Nick si chiusero in un bacio sul suo collo. Uno, due, tre baci, sino a scontrare le sue labbra carnose e rosse. Harry ricambiò il bacio con passione. Era un bacio sporco, a bocca aperta. Le loro lingue si toccavano, lasciando la saliva fuoriuscire la saliva dalle loro bocche. Il palmo grande di Harry si andò a posare sul petto di Nick, quando fece forza e lo spinse indietro. «All’alba dovrò essere in piedi, Nick. Non posso ripeterlo ancora una volta, devi andartene».
«La stessa storia di ogni Lunedì? Non hai risposto alla domanda».
«Hai voluto il sesso, Nick. Il sesso ti ho dato. Ora va’, Nick. Va’. Ho da lavorare al sorgere del Sole».
Nick storse il muso. Odiava quando Harry assumeva quel comportamento. Odiava quando non rispondeva alle sue domande, più volte l’aveva definito come un bambino. Annuì semplicemente, prima di calarsi ai piedi del letto e afferrare il suo intimo e i suoi vestiti. Il riccio continuò a fumare la sua sigaretta, portandola alle labbra con estrema eleganza, mentre Nick era in procinto di vestirsi, silenziosamente.
Quando se ne andò, chiuse la porta di legno con forza. Non lo salutò, non lo baciò, non gli rivolse la parola. Se ne andò semplicemente, e la delusione era dipinta nel volto di Harry Styles.
 
Erano le otto del mattino quando Lucy bussò alla porta per annunciare l’ora della colazione. Eleanor era ormai in piedi, coperta da delle semplici vesti intime, mentre Louis si era avvolto una vestaglia in velluto bordeaux. La voce sottile di Lucy si permise di rivolgersi verso la signorina Eleanor, che, ovviamente, stava cercando il suo abito elegante da colazione. «Non vi scomodiate, signorina Eleanor, glielo cerco io il suo abito».
«Grazie mille Lucy. Io purtroppo non so mai dove mettere le mani».
Un sorriso apparve sul volto di Louis. Lui sapeva perfettamente dove lei sapeva mettere le mani.
«Volete indossare questo?»
«Andrà bene. Non è uno dei miei preferiti, ma andrà bene. Stringimi il corpetto, Lucy, per favore».
Louis, ancora disteso amabilmente sul suo letto, portò il braccio a versarsi nel bicchiere del brandy alquanto costoso. Il color marroncino arrivò al colmo del bicchiere di cristallo. Lasciò che l’alcol gli attraversasse anche le vene, di prima mattina non v’era nulla di più bello che una botta d’alcol, secondo il modestissimo parere di Louis Tomlinson, ovviamente.
Lucy era intenta a stringere il corpetto alla sua fidanzata, quando, egli si alzò di colpo, e andò a posare il bicchiere sul tavolo, il quale era ornato da un enorme specchio, esattamente come nella nave. Sul tavolo vi erano tanti tipi di cosmetici, ovviamente tutti naturali. «Lucy, il giornale». Ordinò. La ragazza si piegò in un leggero inchino, prima di lasciare i fili del corpetto dell’abito nelle mani di Louis, e uscire dalla stanza. Louis iniziò subito a legare il corpetto dell’abito. Non era alquanto esperto in questo genere di cose, ma faceva il massimo. Era sempre stato dell’idea che portando quel nome, ogni cosa che avrebbe fatto, sarebbe sempre stata accetta, e comunque perfetta.
«Non ti scusi per il modo sgarbato con il quale mi hai punito questa notte?»
«Dovrei?» Rise. «Eleanor ti ho fatto corrente più volte che sono un uomo col quale non si scherza», le sussurrò all’orecchio, quasi facendole solletico con il suo alito puzzolente di brandy.
«Puzzi di alcol, Lou».
A quell’affermazione, Louis tirò ferocemente i fili, quasi facendole mancare il respiro per un attimo. Doveva mordersi la lingua più volte quella ragazza.
«Capisco che sei alquanto inorridita da questo Paese di bifolchi, ma non ti permetto di usare un certo linguaggio nei miei confronti, sono stato chiaro Eleanor Calder?» Fece il fiocco, stringendo sempre di più. «La mia pazienza è sempre stata molto limitata, e tu la stai mettendo a dura prova».
 
Louis indossò il suo smoking nero, accompagnato da un elegante papillon al collo. Eleanor prese a braccetto il proprio fidanzato, e si diressero nel salone, preparato per la prima colazione. Paul Yankes era lì che li aspettava eccitato. O forse aspettava eccitato Eleanor. In tal caso, la presenza di quell’uomo irritava alquanto Louis, ma non avrebbe mai avuto la faccia tosta di mettergli le mani addosso o dire un qualcosa di troppo fuori luogo nei suoi confronti. Almeno, non fin quando Paul si limitava a scortare Eleanor al tavolo. «Buongiorno signori» esclamò l’uomo, tendendo la mano verso la ragazza dai capelli decorati dai boccoli che scendevano verso le sue spalle. «Eleanor, lei è più bella ogni giorno che passa – sorrise – Louis, le ho già detto che è un uomo fortunato?»
«Sì, me l’ha già confidato. Scusi la mia domanda impertinente, signor Yankes, lei non è sposato?» Chiese Louis mentre erano ormai al tavolo. Si sedettero quando Paul gli diede la risposta.
«Divorziato, ma quella maledetta megera continua a voler i soldi per mantenersi».
«E mi faccia indovinare, i suoi problemi economici sono saliti fino alle stelle?» Louis rise di gusto.
«Signor Tomlinson, penso che la risposta alla sua domanda sia il suo viaggio che si è dovuto subire per trenta giorni».
«Ha ragione».
Harry arrivò al tavolo munito di memoria per prendere le ordinazioni. Non si serviva mai di carta e penna quando arrivavano “pezzi grossi” in quell’albergo. Poteva essere vergognoso, o almeno, così aveva affermato Paul Yankes, quando lo vide con il suo blocco di fogli e quel pennino tra le mani, ad accogliere le richieste della splendida Maud.
«Che cosa desiderate, Signori?» Un sorriso con i suoi denti splendenti accompagnò la sua domanda, dal tono vivace e grazioso.
«Io e la mia fidanzata prendiamo due uova, possibilmente non troppo cotte, sei strisce di pancetta, dei toast imburrati, della marmellata alle fragole per me e alle arance per lei. Poi una bottiglia di brandy per me». Louis si bloccò quando non sapeva cosa scegliere per Eleanor. «Tu zuccherino, cosa vorresti da bere?»
«Del tè. Del tè è perfetto per me».
«E del tè sia per la signora».
Harry annuì, quando sentì le parole di Eleanor. La sua finta bontà e timidezza gli andava di traverso. «Signor Yankes?»
«Immagino che tre uova e dei toast imburrati siano abbastanza per me. Magari un caffè, all’italiana grazie».
Harry si levò con un inchino. Si dirigeva alla cucina ripetendosi nella mente le varie ordinazioni. Sette uova non troppo cotte, dodici strisce di pancetta, dei toast imburrati, marmellata di fragole e arancia, una bottiglia di brandy, del tè e un caffè all’italiana… Ce la potrò fare, pensò.
In cucina, si appuntò il tutto, consegnando il foglietto strappato e per metà accartocciato. «Josh per favore, cucina queste cose per i nostri ricconi, in fretta che poi Yankes mi fa il culo secco».
Josh, il cuoco dall’enorme pancia gonfia, dalla sua testa luccicante siccome non aveva neanche l’ombra di un capello, e il pizzetto folto da della barba nera corvina, rise sotto i baffi. «Vai tranquillo piccolo ricciolino, i nostri ricconi impareranno a mantenere a bada la fame».
«Io… Io metto a fare il tè e il caffè» balbettò, prima di avvicinarsi alla caffettiera e alla teiera. Prima di tutto mise a bollire l’acqua, poi preparò il caffè. Nel giro di cinque minuti l’acqua del tè era ormai pronta, e mise ad infusione le foglie del Yorkshire tea, uno dei migliori tè inglesi. Non si dovrebbe lamentare, pensò. Mise la teiera e la zuccheriera accompagnati dai due tipi di marmellata nel vassoio. «Riccio i toast sono pronti». Si precipitò a prenderli e metterli in un piatto di porcellana, e posarlo nel vassoio.
Servì metà della loro colazione al tavolo. «Il resto è ormai quasi pronto, spero pazientiate ancora un po’».
«Vai tranquillo, Harry», disse Louis incrociando i suoi occhi azzurri con quelli verdi del riccio. Quello sguardo bastò per sentirsi nudo, privo della sua stima. Privo della sua libertà, privo di ogni cosa. L’imbarazzo lo prese dentro, e i suoi occhi verdi ancora non si erano levati dal viso ben definito di Louis, il quale aveva smesso di fissarlo già da un po’. «Hai da dirmi qualcosa?» chiese Louis, dopo.
«Oh, no, affatto. Mi scusi». Harry ritornò in cucina, notando che la pancetta e le uova erano ormai cotte e servite nei piatti. Mise anch’essi nel vassoio, e andò nuovamente nel salone ben arredato.
 
* * *
 
Erano le due del pomeriggio circa, quando Niall si ritrovò ancora una volta a far compagnia a Harry, fuori dall’entrata principale dell’albergo. Non parlavano molto, l’unica cosa che si poteva sentire era la solita parlantina irritante del biondo. Ma a pensarci bene, cos’avrebbe fatto Harry, senza il suo fidato amico Niall? Probabilmente sarebbe perso. Ormai, era il suo ossigeno. Vivevano insieme, erano come fratelli. Nessuno avrebbe rinunciato a nessuno.
«Oggi ho visto nuovamente Demetria – gli occhi di Niall luccicavano di un azzurro splendente al pronunciare il nome di quella ragazza – vorrei capire che razza di mostro sia. Cioè, voglio intendere, è perfetta. È maledettamente perfetta, non può essere una creatura umana».
«Che razza di discorso è questo, Nay?» Tirò alla sigaretta, e lasciò il fumo grigio poco dopo.
«Non hai neanche la minima idea di cosa sia una metafora! Voglio dire che non ho mai visto una persona perfetta esattamente come lei. I suoi capelli non troppo lisci, i suoi occhi castani… Vorrei davvero appoggiare le mie labbra sulle sue».
«E allora cos’aspetti?»
«La fai facile, Harry. Se lo facessi, probabilmente mi ritroverei suo padre sotto la porta di casa tua con un’accetta puntata sulle mie parti basse. E poi, guardami. Sono un impiastro in questo genere di cose». Niall prese un sassolino che si ritrovò casualmente tra le mani, e lo lanciò oltre a sé, dove vi era il resto della ghiaia chiara.
«Perché ti dai per vinto?»
«Ho i denti storti, sono un biondo del cazzo, alle ragazze piacciono gli uomini tosti e mori».
«Allora diventa moro».
«Che spiritoso Harry, davvero. Guardati, fai impazzire qualsiasi ragazza, hai gli occhi verdi, i capelli mori, sei tosto, ma la fregatura è che sei omosessuale».
«Ancora con questa storia?»
«Mi fai incazzare! Provochi le mie peggiori ire, Harry. Vorrei avere io la metà della tua fortuna. Tu saresti in grado di avere Demetria con uno schiocco delle dita, io, invece, non sono neanche sicuro di poterci riuscire. Alla fine, sono solo un misero panettiere che lavora poche ore alla settimana, e lei è solo una cliente che fa spese per la madre e le sue sorelle».
«Cazzo, Niall, ti fai prendere troppo dal panico. Capisco che la mia vita non sia il massimo, ma devi imparare a rischiare».
«Mi stupisce il fatto che tu sia riuscito a far uscire da quella bocca adatta ai pompini, una frase più lunga di due monosillabi».
«Chi è ora lo spiritoso?» Chiese Harry, aspirando dalla sua sigaretta, e con un sorriso dipinto in volto.
«Uh oh. Guarda chi arriva» disse Niall alzandosi in piedi, ma rimanendo sempre accanto ad Harry. Harry lo seguì a ruota. Lo sguardo di Louis si spostò verso quello del riccio.
«Harry, vorrei sfilarti una sigaretta, purtroppo le mie le ho terminate».
Harry guardò il ricco con sguardo sorpreso. Dalla sua tasca tirò fuori il suo pacco laminato contenente le sigarette.
«Non mi andrebbe di chiedere qualcosa a dei…»
«Poveracci? Lo dica».
«Non volevo essere scostumato».
«Mi deve rammentare il vostro significato di scostumatezza, allora, signor Tomlinson».
«Tu mi dovresti rammentare il tuo significato del termine rispetto».
La bocca di Harry si aprì di scatto per replicare, ma la mano di Niall andò a strattonare il braccio di Harry. Lo sguardo dagli occhi verdi si distolse dal bel viso perfetto di Louis Tomlinson, spostandosi verso gli occhi azzurri di Niall. «Andiamo dentro, Harry, vai a lavorare».
Un sorriso compiaciuto, apparve all’improvviso sulle labbra fini di Louis. Se non altro, una sigaretta è riuscita a sfilargliela. Ma era sicuro di poterci riuscire ogni qualvolta che ne aveva voglia. Chi si sarebbe messo contro un uomo come Louis Tomlinson? Un uomo ricco, di sani principi, e con molta autorità?
Quando accese la sigaretta, non poté pensare altro al sapore cattivo che questa aveva. La marca era anche a lui sconosciuta. Chissà dove le ha prese, si lasciò pensare.
Eleanor raggiunse il suo fidanzato poco dopo che Harry e Niall erano rientrati all’interno dell’edificio. Ella notò subito il cambiamento di umore, lo si poteva intravedere dal suo sguardo. Un povero moccioso ha osato replicare, Louis ancora non ci credeva. Aspirò dalla sigaretta che aveva appena acceso. Una sigaretta di merda, da un poveraccio di merda, pensò ancora.
«C’è un qualcosa che ti turba, Louis?»
«Null’affatto» commentò amaro Louis alla ragazza, mentre codesta l’abbracciò. Un bacio schioccò tra le loro labbra. «Sono solo infastidito dal comportamento impertinente di certi disgraziati».
«Io lo sapevo che non ci saremmo trovati bene, Louis. Dovevi per forza accettare questo dannato favore?» Eleanor sbottò, lasciando la presa dell’abbraccio. «Questi inglesi devono ancora impararsi a tirarsi su le maniche. Non possiamo intervenire sempre noi per i loro problemi».
«Eleanor cara, quando mio padre deciderà di crepare, io sarò il padrone di tutta la nostra fortuna. Ti immagini che figura avrei fatto rifiutando questo favore da parte della potenza massima di Londra? Non ho voglia alcuna di mettere in cattiva luce la famiglia Tomlinson, Eleanor».
«Sicuramente non devi. Ma questo ti rende nervoso, e soprattutto, rende nervosa me. Una donna non dev’essere nervosa, poiché questo invecchia la pelle. Sono giovane, ho ventun anni. Non ho alcuna voglia di sprecare la mia giovinezza per colpa del nervoso».
«Eleanor penso che il tuo discorso non abbia senso. Non sprecherai la tua giovinezza, staremo pochi mesi qui, ci farai il callo, come lo farò io».
«Sette mesi, Louis Tomlinson. Sette mesi, è più di mezzo anno. Sono sette mesi tolti alla mia felicità. E questo è per colpa tua».
«Colpa mia? Intendi davvero, che tutto questo sia colpa mia?» Il tono di Louis si faceva sempre più cattivo.
«Non intendevo sicuramente quello che tu hai afferrato. Tu mi hai obbligato a venir qui con te. E ora immagino che dovrai subirti anche le mie lamentele».
«Una donna deve sempre seguire il proprio marito, giusto?»
«Ma tutto ciò mi rende nervosa e stressata, penso sia accettabile questo».
«Eleanor, ho già detto che farò di tutto per far sì che questi sette mesi siano i setti mesi più belli. Non voglio il tuo nervoso, ma il tuo sorriso». Gli accarezzò la guancia, e un sorriso tirato decorò le labbra di Eleanor.
«Tra tre giorni io sarò a parlare con i capi maggiori di questo schifo di paese, e da lì inizierà tutto. Prenditela comoda in questi giorni, visita Saint Austell, vai con Lucy, fai compere. Nessuno ti obbliga a stare qui dentro».
«Louis, non c’è neanche bisogno che tu me lo dica. Appunto per questo avevo già progettato un’uscita per fare nuove spese e magari visitare un po’ il paese. Con il tuo permesso vado a cambiarmi».
Louis sorrise nel vedere quanta grinta e sfacciataggine la sua ragazza riusciva a possedere in certe situazioni. Era una gran donna, non potevano esserci dubbi. Gettò la sigaretta oltre la ghiaia.
 
«Quanto può essere irritante la sua fidanzata? Guardala, è davvero insopportabile». Harry lasciò intravedere un leggero sorriso smorzato a quel commento. Non replicò in quanto la vide entrare e sbraitare a destra e manca alla ricerca della sua governante personale, Lucy.
«Se sta cercando Lucy, è di sopra a riordinare la sua camera».
Eleanor rivolse un’occhiata diffidente al riccio. Non gli rispose, né egli lo fece con lei. Tra Eleanor e Harry non scorreva buon sangue già dal primo momento. Poteva dire di essere una bellissima ragazza, ma il carattere lo faceva inorridire. Lo faceva inorridire ancor di più il carattere di Tomlinson. Non si aspettava sicuramente di essere trattato con i guanti d’oro, alla fine lui non aveva nulla in tasca per guadagnarsi il rispetto di un milionario americano, ma ebbe avuto il piacere di fare conoscenza con persone altrettanto milionarie, ma con un minimo di simpatia. Louis non era uno di quelli, e il sol pensiero di doverlo sopportare per sette lunghi mesi, lo rendeva ansioso.
Vide Louis entrare, lo guardò sottecchi.
«Niall, io andrò a pensare un po’ alla riva del mare. Puoi prenderti cura di tutto questo? Starò via qualche ora».
«Vai Harry, stai tranquillo».
Harry andò nel salone per cercare Paul Yankes. Lo trovò concentrato in una partita a scacchi. «Signore, potrei andare a prendere un po’ d’aria?»
«Sulla spiaggia? Va’, torna tra qualche ora, tanto qui non avremo nulla da fare per un po’». Harry sorrise. Ormai era di routine quella sua scappatella alla spiaggia. Si congedò con un inchino, per poi posare il suo grembiule nel suo armadio.
«A dopo, biondo».
Niall lo salutò con un cenno e un sorriso amichevole.
 
Mezz’ora dopo, era lì, seduto sulla sabbia, e l’ennesima sigaretta tra le dita. Il vento soffiava e gli scompigliava i capelli di notevole lunghezza. Il mare era calmo, e le onde che venivano a contatto con la sabbia erano distanti da lui qualche metro, in modo tale da non bagnarsi. Cos’era quella cosa che turbava Harry quel giorno? Perché quel giorno non riusciva a definirsi felice come tutti gli altri giorni? Perché la domanda di Nick è riuscito a manipolare il suo umore? Le domande si facevano sempre più frequenti quel Lunedì di Marzo.
Neanche quella sigaretta riusciva a togliergli lo stress da dentro, non riusciva a farlo sfogare. E neanche fissare le onde del mare lo aiutava. Harry era abituato a visitare quel posto ogni volta che non stava bene. Ogni volta che si sentiva un macigno nello stomaco e non sapeva come liberarsene. Niente lo aiutava. Niente e nessuno.
Il suo umore era, anche e soprattutto, tastato dalla presenza di Louis all’albergo. Si passò una mano sul volto con ferocità. Perché si stava riducendo così da un ragazzo più grande di lui in tutto e per tutto? Cos’aveva, perché lo faceva stare male? Era passato un giorno e mezzo da quando vide il suo volto per la prima volta, il suo stomaco si rovesciò completamente quando i loro occhi si incontrarono. Gli occhi azzurri incontrarono i suoi occhi verdi. La povertà incontrò la ricchezza. La sfacciataggine incontrò la maleducazione. La raffinatezza incontrò l’ignoranza. Ma tutto ciò che Harry poteva riuscire a provare nei confronti di Louis era un grande senso di fastidio. Odiava come lo faceva sentire in imbarazzo, come lo faceva sentire intorpidito, come lo faceva sentire sottomesso, come lo faceva sentire una nullità. «Fanculo» sussurrò con voce roca mentre lanciava il mozzicone nell’acqua. A quel punto si accese un’altra sigaretta. Non voleva che il suo umore dipendesse da qualcuno. Non doveva. Era sempre stato un ragazzo con autorità, con orgoglio, sapeva come affrontare la gente. Non si nascondeva mai. Ma in quel momento, aveva solamente voglia di nascondersi, di addormentarsi e non risvegliarsi più. Sapeva che quello era l’inizio di una grande sofferenza. Non odiava Louis. Affatto, ma non era neanche felice di averlo tra i piedi.
«Strano come un posto dell’Inghilterra può essere così carino». Una voce si sentì di sottofondo. Harry curvò le sopracciglia, voltandosi. Louis? Era davvero Louis quello dietro di lui? Si alzò in piedi di scatto. Perché era lì?
«Ma cosa fa? Mi segue? Perché è qui?» Le parole di Harry risuonavano come una macchinetta. Abbassò lo sguardo, cercando di non scontrare di nuovo i suoi occhi con quelli del ricco.
«Calmo, Harry. Non penso che questo spazio sia tuo».
«Non lo è. Ma lo considero mio, un mio spazio per pensare».
«Necessiti di pensare? Passi un brutto periodo?»
«Signor Tomlinson, ancora non capisco perché lei sia qui. Perché si interessa a me? Non tengo a parlare dei miei problemi con un qualcuno che non può capire». Louis sprofondò in una risata.
«Cosa ti fa pensare che io non capisca?»
«I miei problemi, sono problemi da poveraccio. Come prima ha osato definirmi, non è roba per lei».
«Osato? Dire l’ovvietà è osare?». La voglia di dargli un pugno era alta, ma Harry doveva tenersi a bada, o poteva dire addio alla sua testa in poco tempo. Non poteva sicuramente permettersi di mettergli le mani addosso. Harry si sedette nuovamente sulla sabbia, con lo sguardo puntato sul Sole che era coperto dalle nuvole inglesi.
«Affatto. Signor Tomlinson, mi sta disturbando».
«Non sono venuto qui per sapere se io ti disturbi o no. Non m’interessa, a farla franca. Sono venuto qui per farmi chiedere scusa».
«Chiedere scusa?» Harry rise, facendo uscire tutto il fumo che aveva aspirato in precedenza.
«Non mi pare che come ti sei comportato davanti all’albergo sia un buon modo. Sei alquanto sfacciato e prepotente».
«Vuole le scuse? Okay, avrà queste scuse. Mi scusi, signor Tomlinson, non si ripeterà più. Ora, con permesso, mi potrebbe lasciar da solo? Ho da fare di meglio che ascoltare le sue opinioni sulla mia maleducazione».
Louis sorrise. Harry era davvero un osso duro. Sotto sotto, Louis poteva sentire un leggero piacere di come il ragazzo dai capelli ricci si atteggiava. Non aveva mai avuto l’onore di incontrare una persona con mezzi limitati, rivolgersi a lui in quel modo. Tutto sembrava… Interessante.
«E lo ribadirei ancora cent’altre volte. Sei un maleducato, ma devo ammettere che questa cosa mi piace».
«Le piace darmi fastidio, signor Tomlinson, non menta».
«Non mento. È così. Forse perché amo vedere come io possa manipolare la gente con un solo sguardo. È la prima volta che io incontri qualcuno come te. Sei un osso duro, non affondi mai. Sei un perfetto giocattolo».
Una crepa si istaurò nel cuore del ragazzo dai capelli ricci. Godeva a farlo soffrire? A farlo sentire uno scarto? Harry si alzò in piedi, e si avvicinò al volto di Louis. Solo in quel momento si accorse che era poco più alto di lui. Louis, uomo che aveva tutto, che poteva permettersi ogni cosa, non aveva una cosa che non mancava a Harry. L’altezza. Harry si sentì orgoglioso. Era una cosa stupida, ma si sentiva orgoglioso lo stesso. «Lo sa cosa è lei, signor Tomlinson?» Gli occhi verdi di Harry erano ormai lucidi. Non poteva permettersi di versare lacrime in sua presenza. No. «Lei è… Uno stronzo».
«Oh». Rispose Louis con un sorriso sulle labbra. «Sono uno stronzo». Ripeté.
«Sì. Lo è». Harry si scostò da Louis, camminando verso il piccolo sentiero che conduceva alla strada principale. Sputò sulla sabbia, lasciando il signor Tomlinson da solo, a fissare ancora l’acqua in movimento. Camminava, mentre una lacrima rigava la sua guancia. Quando lo vide per la prima volta, era stato privato di tutto, del suo orgoglio, della sua felicità, del suo essere. E ora, era anche stato privato del suo luogo per pensare. Si chiedeva cosa poteva privargli ancora.
Quando Louis si girò, Harry era ormai sparito. Un sorriso compiaciuto delineò le sue labbra. Era uno stronzo.













Ciao a tutti! Scusate il ritardo per questo secondo capitolo,  ma finalmente eccolo. È un po' noioso, ma almeno abbiamo la prima scena Larry. Allora, devo dirvi che per questa FanFiction ci sto mettendo anima e corpo, non sono molto abituata a scrivere tantissimo, queste sono solo dodici pagine, nelle altre mie FF scrivevo massimo cinque, quindi come potete vedere sto dando il massimo. L'altro capitolo erano dieci pagine, spero che andando avanti si aumenti sempre di più.
Spero che vi piaccia, e che recensirete in molti. In ogni caso, per chi mi voglia parlare o chiedermi qualcosa, vi lascio il mio ask
http://ask.fm/ShairaBennington rispondo a tutti! :)
Vorrei anche ringraziare quelle dieci recensioni del primo capitolo, e tutte quelle che mi hanno dato consigli sulla scrittura e per come migliorare. I vostri consigli sono preziosi.

Poi ringrazio anche la mia migliore amica Denise, per leggere questa fanfiction, e che mi dà la forza per andare avanti. Un ringraziamento va anche a Bianca, che è stata una delle prime a leggere questa storia e a farmi i complimenti.

Ci rivedremo al terzo capitolo, che arriverà non so quando. Penso quando questo capitolo arriverà a 10 recensioni. Bye.

Baci,
The Chemist

 
   
 
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