Film > Arancia Meccanica
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Autore: xingchan    01/12/2013    3 recensioni
“L'uomo deve poter scegliere tra bene e male, anche se sceglie il male. Se gli viene tolta questa scelta egli non è più un uomo, ma un'arancia meccanica.”
[Stanley Kubrick]
Attenzione: ho apportato delle modifiche significative al personaggio di Esther, a partire dal 2° capitolo. Nel prossimo aggiornamento (il 4°) vi fornirò le dovute spiegazioni.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
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Libertà di scelta


2



 
Il maestoso Ludwig Van stava ancora riecheggiando in tutto il suo splendore per tutto il mio planetario e giù per il resto del corpo, scombussolato com’era dagli eventi appena successi. Ringraziai lo Zio dei cieli e tutti i Santi per avermi restituito la gioia della musica.

Che meravigliosa e sublime sensazione quella di riprendere ad amare ciò che prima si è stati indotti a detestare, O fratelli.

E voi mi chiedereste se non avessi pensato di farci qualcosa con quella mammola lì tutta solicella, tutta per me, tipo il vecchio vaevieni o sguana simile per scaricare la tensione accumulata quella cupa.

E invece no, cari fratelli, con grande e sincera sorpresa da parte vostra. Feci semplicemente finta di niente. La situazione in cui il vostro Umile Narratore si trovava non era di certo delle migliori per esercitare un piccolopoco di dolce vaevieni, miei carissimi soma.

L’unica, precisa trucca che volevo fare era pistonare via da quella viuzza piccina picciò per depistare di più loro, quei rozzi che ora stavano passando proprio di lì e facevano oh oh oh per chissà quale porca faccenda e sfilavano da bell’imbusti nell’atto di dar prova della loro distorta voglia di ordine e giustizia.

Tutte balle. So com’è in realtà. Ci sono passato, pezzi di fetenti.

Mi pigiai ancora più forte contro il portone sperando che quei degeneri friggibuchi mi confondessero con il buio e sperando inoltre che la mammola non facesse svolazzare su e giù quell’infame fascio di luce che avrebbe potuto farmi scoprire.

“Non si curi di me, signorina.” sbottai girandomi e parandomi i fari con una granfia con il fiato ancora ansante, siccome la sola solitaria mammola adesso mi aveva puntato una torcia sulla biffa. La luce di questa cominciava a darmi sulle berte al punto da farmi tremare e farmi sentire più robusto, più sviccio.

Ma lei se ne infischiò totalmente delle mie mottate meravigliose e garbate. Anzi, i suoi magnifici fari continuavano a locchiarmi come se avessero l’intenzione di uscire dalle orbite circondate da ciglia cinebrivido folte folte e sottili.
Al suo fianco in basso, c’era un miaomiao nero che si strusciava sulla gamba della devotchka scricciando maaaaaaa come a pretendere del mommo.

Ebbi tipo un flashback, O fratelli. Rammentai ben benissimo la cupa in cui i miei soma, intendo i soma di prima, cioè Pete, Georgie e Bamba, mi tradirono dopo la visitina alla babusca dei ràttoli e delle ràttole facendomi ricevere i cerini tutto solicello, quei sporchi, stronzi luridumi.

E ci credereste, O fratelli, che il vostro affezionatissimo, non appena locchiò quei cerini, si sentì tutto un groviglio intricato che gli mordeva la gola per la paura di essere ripescato come una sfortunatissima preda nella rete della crudele e malfidata polizia?!

La mia slappa per poco non mi si pasticciò dentro il truglio quasi avessi tutta una trucca appiccicosa e schifosa che mi tormentava, ancora e ancora, fino a scendere giù nelle tubature intestine; i miei fari già locchiavano la bigia Prista dove non facevano altro che pestarmi, e ciaf, ciaf, sbam, ciaf e io che ne pigliavo e avanti così finché le mie macerie non diventavano poltiglia utile solo alle bestie.

“I… I suoi vestiti. Ma che le è successo?” gracchiò ancora con la ciangotta diciamo tremolicchiante, anche se io non volevo affatto spaventarla. Ma la capivo benissimo, O fratelli. Locchiare un malcico entrare di soppiatto in una tana non sua con una tamagna dose di salsa di pomodoro sulle proprie palandre non dev’essere un bello spettacolino, proprio no. Soprattutto per una fresca come lei, che sembrava tipo una con il planetario a posto. Difficile a trovarne di queste, oggigiorno.

Mi sentivo davvero disgustoso. Ma la trucca più maledetta che potei mai provare nella mia seigiorni era che mi facevo schifo soltanto in quel preciso istante, cioè in compagnia della mammola cinebrivido lì presente.

Eppure nei bei tempi felici e spensierati, quando i miei soma ed io facevamo i nostri scapricci e i nostri squassaggi, il vostro Fedele ed Umile soma non aveva mai provato un ribrezzo simile per la propria persona. Prima di arrivare in quel luogo, cioè dentro quel portoncino, non mi sentivo affatto così, anzi. Ero soddisfatto di quello che avevo fatto. Era la cosa giusta. Per me.

Ben presto, la devotchka continuò a pormi quesiti degni di un rozzo del tipo: “Che ci fai qui?” e “Come hai fatto ad entrare?” e altre sprolate così, mantenendo sapientemente la ciangotta bassa bassa.

Imburianandomi un piccolopoco per l’esasperazione, tentai poi di cacciarla via ma senza successo.

“Va’ a farti una fottutissima spatchka e levati dalle berte!”

Mi pentii allampo di averle scricciato roba simile, perché mal si addiceva a quella bellezza dolce dolce e poco adatta a ricevere luride burianate sguanose come quella. Ma nonostante tutto, il vostro Umilissimo tentò di scacciare a calci quel che sembrava un senso di colpa estraneo.

Avevo però il serio timore che ad un certo punto prendesse a scapricciare come una pazza nevrotica, così pistonai con rabbia verso di lei e dovetti tapparle il truglio con la granfia, perché stava facendo troppe troppe domande ancora, ed io non volevo mi si facesse un così elaborato terzo grado tipo processo, O fratellini. Per il terrore, la mammola fece cadere la torcia che si spense, ed io la spiaccicai con un piede muovendolo per bene per assicurarmi che fosse rotta tipo come si fa per spegnere le cancerose, e quella faceva crac crac crac mentre io mi accostai con la biffa più o meno agli snicchi di lei.

“Preferirei il silenzio, sorellina...”

La devotchka fece vabbene vabbene con il planetario locchiandomi ancora, però più tranquilla. Scacciò allampo la mia granfia dalla sua biffa e sgranò i fari scuri scuri come se si fosse appena resa conto di un dettaglio del vostro Affezionatissimo minimamente trascurabile. Ne rimasi sconcertato, O fratelli.

“Non sei… il ragazzo della Cura Ludovico?”

Ebbene, cari ed unici amici, questa era una trucca che mi succedeva talmente spesso da averne fin sopra il criname. Essere riconosciuto come “il ragazzo della cura Ludovico” e tutta quella sguana non era poi così edificante. Ma avevo imparato a conviverci. Anche perché era l’unica cosa che potessi fare.

Neanche un piccolopoco di sana ultraviolenza avrebbe cancellato quella targa odiosa che mi portavo addosso e che mai mi avrebbe abbandonato del tutto. E dato che ormai non avevo più così smania di usarla, perché avrei dovuto se non cambiava niente? Io ci avevo già provato, fratellini e sorelline, ma non avevo ottenuto i risultati sperati, eh no.
Non sapendo come rispondere, feci hem hem hem tipo tosse e poi mi feci una gufata tutta vergognosa. Non sapevo che rispondere, ma dovevo rispondere qualcosa, siccome ero entrato lì dentro, una tana così cara caruccia.

“Sì,” risposi tutto calmo “ma ora sshhh!”

Mi portai l’indice al truglio con imperiosità, ma più che intimorita, ora la devotchka mi appariva indispettita. Sempre seria seria.

I rozzi ch’erano a zonzo non c’erano più, e per il vostro Narratore era arrivato il momento di tirare un sospiro di sollievo. Persino il micio, fino a quel momento zitto per il buio quasi completo, ora aveva ripreso a lamentarsi.
Lei si affrettò allampo su per le scale, forse a procurarsi un piccolopoco di mommo per farlo tacere e tornò subito, diede una ciotola di latte all’animale e non mi chiese di andare via. Piuttosto, mi continuava a chiedere:
“Vuoi dirmi che diavolo è successo? Perché sei coperto di sangue? Sei ferito?”

“Non è da devotchka perbene mottare in questo modo!” ghignai io, fingendo che non mi garbassero le parolacce. “No, lo zio Alex non è ferito.”

Era ovvio che sapesse la mia tragica storia lacrimogena avendomi riconosciuto. Perciò le confessai ciò che avevo fatto, O fratelli. Potrebbe risultare una mossa troppo azzardata. Poteva lei sola sbattermi in prigione senza problemi, ma quella mammola mi regalava così tanta sicurezza che per poco non le raccontai anche i miei anni spensierati a caccia di bella maria e di vaevieni.

“Ho festato quel lezzoso del Ministro degli Interni o degli Esterni, non so… Non mi andava di aiutarlo, quell’inutile porco. Ha rovistato il mio planetario fin quasi a farmelo scoppiare. Anche se mi ha assicurato di poter sgroppare e guadagnare tutta la vita, io non me la sento di appoggiarlo, Fred.”

I miei fari erano su di lei senza locchiarla veramente, perché ero così in preda allo sconforto e confuso, ma ero sicuro di quello che avevo fatto, anche perché Fred era ancora lì che cercava di scricciare mentre io me la svignavo.
Ero sul punto di piagnucolare, ma non era il momento per fare bahahahah come un infante, O fratelli.
“Come ti chiami, piccola devotchka?”

“Esther.”

“Bene, Esther…” le presi il braccino magro e le richiusi il truglio imburianato più di prima. Se scricciava eran guai. “Non mi piace sprolare, si finisce con fare sempre blabla senza arrivare ad un singolo maledetto accordo. E non mi piace nemmeno far sgroppare troppo il planetario, ultimamente s’è infiacchito troppo.”

Non dovetti aspettare chissà quanto per udire ancora la sua piccina ciangotta, sempre spaventata. Anche se adesso era un piccolopoco risoluta. A quanto potevo locchiare, non voleva cedere al vostro zietto Alex.

“Cosa vuoi?”

“Procurami delle nuove palandre, mammola ciunebrivido.” dissi con tutto un uragano dentro. Avrebbe fatto bene a pistonar dove le aveva detto. Non era lei quella che avrebbe potuto locchiar scivolare via dalle proprie granfie ciò che aveva ottenuto per colpa di un poldo pezzo grosso.

Avevo ragione io, stavolta.

Non era giusto che dopo tutto quelle pasticciate io stessi ancora nei suoi comodi.

Dovetti ricorrere all’autocontrollo e tutta quella sguana per non tradire la mia nuova nuovissima maturità, ma era difficile, O fratelli, con una mammola più giovane di me che faceva la sofistona come una babusca con una fitta ragnatela ai lati del truglio chiacchierone. Questa ritornò a far la biffa timorosa di chi ha appena visto un leone appena cibatosi di un’innocente animale e che ora voleva papparsi anche lei.

Ammettere che quella devotchka aveva ragione ad aver paura mi provocava un tamagno fastidio che cominciava a grattarmi i muscoli di tutta tutta la schiena, ma mentre ci trovavamo in quel mio rifugio improvvisato, non mi resi conto che le scale conducevano così in alto. Esther gettò i suoi fari neri verso il cielo, e pensando chissà quale diavoleria. Il suo nome lo avevo già letto nella Sacra Bibbia. Era un libro intero intitolato con quella parola, certamente. Non potevo sbagliarmi.

E come rifletteva la natura del suo nome, appariva come la più innocente delle bambinette, ma solo Zio sapeva quale trucca aveva in quel planetario buio, O fratellini ed amici.

“Dovrei avere delle camicie di mio fratello adatte a te…”

Su per le scale mi guidò, sempre preda delle mia granfie impietose, e il miaomiao rimase lì sotto, verso una cameretta che sembrava un piccolopoco il magazzino dell’orribile zoo umano in cui sono stato sbattuto mesi addietro da quei porci cerini vigliacchi e rimasto per due anni, e ci rovistò dentro veloce veloce e tirò fuori effettivamente delle palandre che potevano essere della mia misura. Una camicia azzurrina e delle braghe marrone scuro e mi fece mettere quelli che avevo addosso in una busta che riconobbi, una di quelle del centro commerciale lì vicino assicurandomi che avrei pistonato dritto dritto nella mia tana.


“A-Adesso va' a casa tua.” mi intimò veloce. Era ovvio che non avrebbe mai voluto locchiarmi ancora per il resto dei suoi anni.

E così feci, O fratelli. Ma con la paura che mi strisciava nelle interiora non sapevo quanto sarei durato.





NDA
Finalmente la ragazza ha un nome che, per la cronaca, dovevo utilizzare per una ipotetica originale. Ma ho preferito “donarlo” a questa ff. xD
Peccato che, senza dubbio, si dovrà aspettare ancora per il successivo, per svariati motivi. Primo fra tutti, che la mia vena creativa targata “Alex DeLarge” faccia il suo corso. ^-^’
Ringrazio di cuore Calycanto e Laylath per le recensioni. :)


 
   
 
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