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Autore: Wave__    01/12/2013    2 recensioni
Janelle Ravenwood, 17 anni, popolare e con una migliore amica che per lei è tutto. Janelle ha sempre avuto tutto nella vita, non s'è mai lamentata. L'unico suo difetto? Nascondere la reale sè stessa.
La sua vita improvvisamente cambia, quando entra a contatto con Ryan Brexton, un ragazzo al quanto misterioso che lavora nella scuola come sostituto dell'allenatore della squadra di football.
Janelle ne resta incantata, eppure qualcosa di ancora più grave sta per abbattersi su di lei.
Tutto inizia con un incubo, che ogni notte non le lascia scampo.
Un incubo con un orrore ben più profondo, con una realtà ancora più spaventosa.
..E' questo quello che accade quando si diventa l'ossessione di qualcosa con un'anima più oscura della notte stessa.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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DA MALE IN PEGGIO - CAPITOLO 4
 
Amanda mi fissava con uno sguardo che non le avevo mai visto dipinto sul viso.
Notai il suo viso avvampare, i suoi occhi farsi piccoli. Forse stava davvero per scoppiare a piangere.
«Bhè, dopo tutte le tue belle storielle, puoi anche andare.»
La guardai fissa, sorridendo beffardamente. Stavo per voltarmi, tornando a sedermi, quando, nuovamente, parlò.
«Scusa, cosa hai detto? Sai una cosa, Janelle? Mi fai solo pena. Se non prendi in giro gli altri non stai bene con te stessa sei, sei..»
Mi squadrò dalla testa ai piedi. L’aula ormai era gremita di gente. Stephanie  continuava a chiamarmi, sussurrando il mio nome, ma in quel momento ero troppo infuriata per ascoltarla. Non le avevo dato retta per tutto il tempo, figurarsi se avrebbe abbassato lo sguardo proprio adesso. Quella piccola mocciosa impertinente mi aveva stufata.  
«Dillo forza. Cosa aspetti? Forza, affermalo davanti a tutti, no? Così almeno la tua coscienza si libera da tutte le bugie che vai in giro a dire sul mio conto.»
Ero sull’orlo dell’imprecazione, come avevo fatto a non dire ancora neanche una parolaccia, era qualcosa che non sapevo.
«Sei squallida. Tu.. Insieme alla tua amichetta dai capelli biondi.»
Al solo sentir tirare in causa la mia migliore amica, sentii il fuoco divampare al mio interno, come se avessero gettato una miccia su benzina appena versata.
Nessuno poteva insultare la mia migliore amica.
Una parola, una singola parola che mi mandò completamente fuori di testa.
«Non osare mai più nominare Charlie.», scandii parola per parola, puntandole l’indice contro. Dio, ma che cosa aveva quella ragazza, che non andava?
Diventavo una iena a sentire il suo nome in bocca a qualcuno che non la conosceva neppure e si permetteva di giudicarla come una persona “squallida”.
Gli occhi di tutti erano puntati addosso a noi, avevamo monopolizzato l’attenzione dell’aula.
Nessuno in quattro anni di college aveva mai assistito ad una litigata in pubblico tra Janelle Ravenwood ed Amanda Fox.
Sapevo già che la notizia avrebbe fatto il giro di tutta la scuola prima della fine della giornata. Stavo per rispondere, nuovamente a tono, quando sentii a voce del professore di chimica, richiamarmi all’ordine, quasi stupito.
«Che cosa succede, signorina Ravenwood?»
Perfetto, non poteva arrivare in un momento peggiore! Non poteva tardare ancora di qualche minuto, eh?
«Buongiorno a lei, professor Hollis. Oh, nulla d’importante, non si preoccupi.»
Sorrisi gentilmente come nulla fosse successo, scoccando un’occhiata rapida ad Amanda che, nel frattempo, aveva raggiunto il suo posto a testa bassa.
«Fottiti, stronza.»
Sussurrai tra i denti, risedendomi al mio posto e ricomponendomi nel modo più educato possibile, sentendo gli occhi della mia compagna di banco, puntarsi su di me ad intervalli regolari, cercando in tutti i modi di dirmi qualcosa.
Avevo iniziato a prendere appunti su ciò che diceva l’insegnante.. Di cosa parlava?
Non lo sapevo neppure io, scrivevo perché dovevo, ma sinceramente non ci stavo capendo nulla. Quella era l’unica materia in cui sempre avevo peccato e in cui sempre mi ero salvata solamente grazie a Charlie.
«Mi dici che diamine ti prende? Che cosa stai combinando con Barbie?», la sua voce un sussurro, in modo che nessuno ci potesse sentire.
Mi voltai lentamente in sua direzione, puntando i miei occhi nocciola nei suoi verdicci.
«Sono sempre così con lei e..»
M’interruppi, sentendo la voce del professore.
«Ravenwood e Rinaldi volete rendere anche noi partecipi della vostra discussione? Credo che sicuramente sia molto più interessante chiacchierare che ascoltare la mia lezione.»
Alzò un sopracciglio, acido come sempre. Ecco un altro motivazione sul perché non mi piacesse quella lezione. Non sopportavo a pelle quell’uomo.
Era la prima volta che mi richiamava all’ordine, non l’aveva mai fatto in quattro anni e, sinceramente, non avrei mai pensato che avrebbe potuto iniziare ora.
Mostrai il mio bel sorriso e feci buon viso a cattivo gioco.
«Oh no, professor Hollis. Stavo chiedendo alla mia compagna di banco se alla fine della lezione mi poteva rispiegare una parte della lezione che sta tenendo.»
«Per questa volta non prendo provvedimenti. Che questa sia l’ultima volta che vi riprendo, signorine. Siamo intesi?»
Il suo sguardo era fisso su di noi, in attesa di un cenno che non esitai a fare.
Annuii, inclinando la testa da un lato, facendo un breve sorriso.
Nel corso della lezione, senza farmi vedere, mi voltavo, cercando Amanda nelle file dietro di me. Non l’avrebbe passata liscia per quello che mi aveva detto poco. Non ero una persona che se ne stava buona e calma nell’angolino, proprio no.
Oltre ad essere acida ed egocentrica, ero pure vendicativa. Quella, comunque, era la parte che persone come lei, tiravano fuori dal mio essere.
Avrei tanto voluto spiegare a Stephanie la situazione, ma non potevo. Il signor Hollis continuava a guardarmi ed io non ebbi neanche un momento per dirle una sola parola. L’unica idee che mi venne? Scrivere su un pezzo di carta. Mi faceva tanto bambina delle elementari, ma in quel frangente di tempo, le idee scarseggiavano.
Rapidamente scrissi pochi parole, affermando che a fine lezione, le avrei detto ogni singola cosa. Senza farmi vedere dal prof, le passai il fogliettino, facendolo scorrere sotto la mia mano fino al suo banco. Red lo afferrò rapidamente, leggendolo senza farsi vedere. Sospirai, cercando di tornare a concentrarmi sulla lezione, inutilmente.
Il mio cervello macchinava come fargliela pagare, ma le immagini del sogno che mi tormentava da una settimana, si sovrapponevano ai miei reali pensieri attuali.
Com’era possibile che la mia mente, il mio inconscio, continuasse a macchinare l’immagine di me stessa inseguita?
Diamine, era fuori logica! Io non credevo neppure nei vampiri, che assurdità.
Improvvisamente la campanella suonò, facendomi sobbalzare e riscuotendomi dai miei pensieri, annunciando la fine dell’ora. Non mi ero resa conto che fossero già passati sessanta minuti e non avevo capito decisamente niente di quello spiegato. Sbuffai, prendendo le mie cose e scaraventandole praticamente dentro la mia borsa.
«Allora mi vuoi spiegare che succede con quella?»
«Dammi cinque minuti. Devo togliermi di dosso la tensione che ho.»
Mi alzai, portandomi il cinturino della borsa sulla spalla, dirigendomi verso l’uscita, fermandomi però, improvvisamente, all’uscio della porta.
Dovevo smetterla di pensare, di tormentarmi con.. Tutto probabilmente.
Avevo bisogno di rilassarmi un attimo prima di parlare con Red o con chiunque altro.
La classe si sarebbe svuotata di lì a breve, ed io sarei potuta rimanere un altro poco in quelle quattro mura, a calmare i nervi.
Ero ancora appoggiata alla porta quando “quella”, mi si parò davanti.
O meglio, io le bloccai l’uscita.
Davvero, perché non spariva?
«Che vuoi ancora? Pensavo che mi avevi detto tutto quello che dovevi dire, no?», domandai con la voce piena di astio.
«Sei tu che mi blocchi il passaggio», il suo tono freddo e diretto, i suoi occhi su di me.
«Non ho più niente da dirti infatti e, se non ti dispiace, dovrei uscire. Sai, non ho tutta la giornata.»
Il professore era ancora in classe, non potevo fare e dire nulla, altrimenti sarebbe finito sul mio curriculum scolastico e sarei finita dal preside. Fortunatamente l’insegnante uscì, lasciando noi alunni dimezzarci nell’aula. Mi spostai, accennando all’uomo un sorriso quasi sarcastico, osservandolo allontanarsi in mezzo alla calca degli studenti che si spostavano da un’aula all’altra.
Impulsivamente agii, bloccandole il passaggio con una mano, che andò a posarsi sull’uscio della porta.
Mi sporsi verso di lei, fino quando le mie labbra non sfiorarono il suo orecchio.
«Non ti conviene metterti contro di me, ragazzina. Sai che potresti finire male, molto male. Sono capace di qualsiasi cosa, soprattutto se vai a punzecchiare le persone a cui io tengo. Dunque.. Un avviso. Attenta a ciò che fai.»
Mi scostai un poco, dipingendo sul mio viso un sorriso di pura stronzaggine.
«Da questo momento.»
Conclusi, piena d’odio nei suoi confronti. Il mio cervello si snebbiò improvvisamente. Che cosa avevo fatto? L’avevo minacciata?
Non potevo averlo realmente fatto, non potevo averla minacciata lì, con un fil di voce. Perché non ricordavo i momenti precedenti a quelle parole?
Era come se fossero uscite in maniera del tutto naturale, fuori controllo.
Sbattei le palpebre, più volte, come a volermi riscuotere.
Che cosa era successo?
In qualsiasi caso ciò che avevo fatto se l’era meritato. Mettersi contro di me, non portava mai nulla di buono. Tanto meglio quella minaccia –che ancora dovevo capire come mi fosse uscita-, ma almeno non avrebbe più parlato di Charlie nominandola “squallida.”
L’espressione di pieno stupore vigeva sul viso della ragazza bionda che mi stava di fronte. Ancora non se n’era andata? Che palle.
«Pensavo che un po’ di dignità, un po’ di cuore, o meglio, un po’ di cervello, ti fosse rimasto. A quanto pare mi sbagliavo. Adesso, se non ti spiace, tolgo il disturbo.»
«Affari tuoi, Amanda. Pensa ciò che ti pare e piace.»
Non avevo mosso un muscolo, ero tornata nella mia precedente posizione, questa volta tendendo una gamba e Amanda, essendosi voltata un istante, non si accorse del mio gesto e, quando fece per uscire dalla classe, non si accorse del mio gesto, ruzzolando a terra assieme a tutto quello che aveva tra le mani, davanti all’infinità di studenti che popolavano il corridoio, per il cambio della lezione.
Una risata unica li scosse.
Si mise a sedere, massaggiandosi la caviglia, raccogliendo tutto.
L’avevo umiliata proprio tanto, quella volta.
Quella giornata se la sarebbe ricordata. Come minimo l’avrebbero schernita tutte le ore, tutte le volte che l’avessero incrociata nel corridoio.
Non ero mai stata così cattiva con lei, ma una parte di me continuava a ripetermi che se l’era meritata.
Portai le braccia al petto, incrociandole, camminando in sua direzione e abbassandomi alla sua stessa altezza.
Avevo posato una mano sui suoi capelli, rigirandomi una ciocca tra le dita.
«Maaaandy, non sei neanche capace di stare in piedi adesso?»
Strascicai il suo nome, con fare soddisfatto, inclinando le labbra verso il basso, in un espressione fin troppo beffarda.
«Non toccarmi!» mi urlò contro, come una pazza isterica.
La lasciai andare, voltandole le spalle e prendendo a camminare verso il cortile, in quanto avevo l’ora libera. Fu in quel momento che mi sentii afferrare per un braccio, facendomi rigirare nuovamente. Merda, mi ero dimenticata che li con me ci fosse Stephanie, che aveva assistito a tutta la scena, impotente.
La sua espressione sgranata, come a volermi chiedere che diamine stessi combinante. Io non mi ero mai comportata così, avevo ancora una dignità, e non mi sarei mai sognata di fare un gesto del genere. Neanche ad Amanda, che tanto non sopportavo.
«Voglio una spiegazione, adesso.»
«Amanda è..», avevo iniziato a parlare, con voce bassa, per spiegarle la faccenda, quando Mandy parlò nuovamente, questa volta con un tono di voce decisamente alto.
«Sei solo una stupida ragazzina viziata, Ever!»
L’intero corridoio che un attimo prima rideva, si era ammutolito.
Non si sentiva neanche più una mosca volare.
Le parole pronunciate, furono come una lama tagliente, che mi perforò.
Mi bloccai, girandomi lentamente in sua direzione; i miei occhi inferociti su di lei.
Fino a un attimo prima ridevo a crepapelle, un attimo dopo avrei voluto strapparle i capelli.
«Ti prego, ti prego Ever, lascia perdere.. Non fare nulla.. Ti prego andiamocene, non peggiorare le cose, ti prego..»
Ancora una volta Red cercava di farmi calmare, cercava di portarmi via da quel posto, ma era come se le orecchie mi si fossero tappate, lasciandole aperte solo alle parole di Amanda. Quello era un insulto. Pesante. Pubblico.
Ma chi pensava di essere?
«Scusa? Che cazzo hai detto?»
Per la prima volta, esordii con parolacce in pubblico.
Le puntai un dito contro, urlando, furibonda.
Si sentiva la mia voce rimbombare nel corridoio silenzioso, sembrava quasi che tutti trattenessero il fiato, in attesa.
«Hai sentito bene cosa ti ho detto!» mi urlò quelle parole in faccia, rimettendosi in piedi. Non avevo mai sentito Amanda alzare la voce, né tanto meno rispondermi con quel tono, in quel modo.  
«Sono una ragazzina viziata? Gelosia, per caso?»
Una sforzata risata proruppe dalla mia gola. Centinaia di occhi puntati su di noi.
Con un moto di stizza, mi passai una mano nei capelli, intrecciandoli sul dito.
«Gelosa? Di te? Mai e poi mai.»
«Basta, mi hai stufata. Pensa di me quello che vuoi, non me ne frega nulla. L’hai sempre fatto, no? Continua a farlo. Io so la verità.»
Sputai fuori quelle parole come se fossero veleno, a denti stretti.
«Bene, siamo in due.»
Quello che mi aveva detto mi bruciava dentro, in profondità. Ero davvero viziata come diceva? Mi stava facendo mettere in discussione me stessa, ciò che ero.
Sentivo le lacrime pulsare dietro gli occhi, ma le trattenni tutte.
Non avrebbe di certo avuto la soddisfazione di vedermi crollare.
Non davanti a tutti, per lo meno.
La mia era solamente una facciata, una facciata che usavo per proteggermi dagli altri. Potevo sembrare perfetta, sotto ogni aspetto, ma non lo ero. Nessuno sapeva quanto la mia vita, invece, fosse complicata. Nessuno sapeva quanto avessi sofferto per il tradimento di mio padre, quanto avessi sofferto per il loro divorzio e soprattutto quanto continuassi a soffrire, sapendo di avere una sorellastra che viveva chissà dove, nata da una sveltina di mio padre.
Tutti si erano sempre fermati all’apparenza. Alla copertina di ciò che ero realmente.
La ragazza forte, popolare e splendida della Yellow Stone.
Mi voltai, ricominciando a camminare rapidamente per mettere più distanza possibile da lei. Dovevo uscire, avevo bisogno d’aria.
Senza neanche rendermi conto, diedi una spallata a una ragazza bionda, mai vista.
Sicuramente nuova. Cos’era, l’anno dei nuovi, per caso?
«Scusami..»
Sussurrai, senza ottenere neanche una risposta. Certo che l’educazione regnava sovrana. Con la coda dell’occhio la vidi andare ad aiutare Amanda ad alzarsi.
Avevo sempre odiato chi faceva il buon samaritano. Bhè, oddio, anch’io lo ero. Ma di certo non con il primo che mi passava davanti agli occhi.
«Mi spieghi che diavolo combini, Ever? Che diamine ti è preso?»
Non mi fermai. Aprii di scatto la porta che portava all’esterno, spingendo la maniglia antipanico, facendomi investire dalla brezza leggera del primo mattino.
Le parole di Amanda continuavano a logorarmi la coscienza, bruciando dentro come fossero fuoco incandescente.
“Viziata. Viziata. Viziata.”
Rimbombavano nella mia testa, senza sosta.
Chiusi gli occhi, emettendo un respiro profondo, calmandomi. Dovevo farlo, o avrei potuto avere una crisi di nervi, o peggio.
«Mi dispiace, per quello a cui hai dovuto assistere, ma quando vedo Amanda, anche la minima cosa, un minimo suo gesto, mi manda su tutte le furie, facendomi perdere il controllo. Non la posso proprio vedere. Lei si è trasferita nella nostra cittadina quando era piccola, abitava a Las Vegas, in precedenza.
Non ci siamo mai sopportate troppo, diciamo che c’è sempre stata antipatia reciproca. All’inizio c’era indifferenza, poi è stato sempre peggio.
Esco con differenti ragazzi, ma non è mai nulla di che. Amanda ha sempre pensato male su di me. O meglio, sono venuti a dirmi quello che lei diceva sul mio conto»
Avevo iniziato a parlare, così dal nulla, rompendo in quella maniera quel silenzio che era andato a crearsi precedentemente.
«Ed è stata la fine. Non mi aveva mai provocato come oggi e la cosa mi ha fatto andare in bestia.»
Mi resi conto solo allora che avevo lasciato la porta della struttura scolastica aperta, e che i primi borbottii sull’accaduto avevano iniziato ad alzarsi.
Mandy era sparita, probabilmente con la bionda che l’aveva aiutata a rimettersi in piedi. Stephanie non disse nulla, semplicemente mi strinse la mano, inaspettatamente, come a farmi forza. Le sorrisi, dolcemente.
Scesi con lei le poche scale, camminando verso l’ombra di un albero, andando a sedermi proprio sotto ad esso, la mia schiena contro la corteccia.
Per la prima volta in vita mia volevo andarmene da quel posto. Volevo tornare a casa.
Anche se quello avrebbe messo in dubbio tutto, ciò che ero risultata per quattro lunghi anni. Sinceramente? Non m’importava.
  
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