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Autore: Yoan Seiyryu    02/12/2013    3 recensioni
[ Mad Wolf (Ruby Jefferson) + accenni Outlaw Queen ]
Nella Foresta Incantata Regina desidera distruggere Snow White annullando quelle amicizie che rendono la figliastra forte ed audace. Decide di servirsi di Jefferson per compiere un gesto estremo nei confronti di una giovane ragazza dal Cappuccio Rosso che vive al villaggio di Nottingham. Jefferson, per offrire un futuro migliore a sua figlia Grace, accetta il patto con Regina ed è intenzionato ad eseguire gli ordini.
A Storybrooke Jefferson ricorda perfettamente il suo passato e tenta con ogni mezzo di far riemergere la memoria perduta di Ruby con cui è stato legato prima del sortilegio, ma affronteranno entrambi diverse problematiche prima di conoscersi davvero secondo la propria natura.
**
"E' ironico che sia tu a parlare di mentire, del passato, di conoscersi per ciò che si è [...] quando sei tu il vero mostro fra noi due"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jefferson/Cappellaio Matto, Paige/Grace, Ruby/Cappuccetto Rosso, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VI 

New Wife







Foresta Incantata

Dormire con la padella accanto, lì su quel giaciglio dove era stata curata, aveva rappresentato per lei un modo per sentirsi sicura. Aveva bisogno di fiducia in se stessa e di un’arma da usare se fosse accaduto qualcosa. Non che avesse timore di Jefferson, a cui doveva la vita, ma l’idea che qualcuno avesse potuto seguirli iniziava a tormentarla.
Avevano lasciato quell’uomo nella Foresta di Sherwood ed era ancora vivo, come poteva rassicurarsi del fatto che non si sarebbe messo sulle loro tracce?
Per tutta la notte fu tormentata da sogni terribili, la sua missione era stata interrotta e il principe Charming non avrebbe ricevuto quell’aiuto che aveva richiesto.
Sei certa di poter aiutare i tuoi amici? Quella domanda vorticava nella sua testa di continuo, alla ricerca di una risposta che non fosse dettata solo dal suo subconscio, che insisteva nel rispondervi negativamente.
Non era nemmeno riuscita ad allontanarsi abbastanza da Notthingam che si era fatta fermare da una qualunque pedina di Regina. Che aiuto avrebbe potuto dare a Charming e a Snow White?
Inutile. Sarebbe stato tutto inutile e la sua presenza non poteva comportare alcun miglioramento. La mattina stessa Jefferson le consigliò di inviare una missiva al Principe perché non si preoccupasse del suo ritardo, così aveva fatto.
“Red, perché indossi sempre quel mantello?” domandò Grace quando tutti si sedettero intorno al tavolo per consumare la colazione.
Non vi era molto da offrire, abituata com’era a ciò che preparava Granny, ma finse di non sentirsene affatto disturbata. Comprese quanto quella piccola famiglia dovesse soffrire la povertà e al tempo stesso si sentì un peso a gravare sulle spalle di Jefferson, che tentava di occuparsi della figlia come meglio poteva.
Afferrò uno dei biscotti per poi intingerlo nel tè nero che era stato versato in una tazza. Il servizio da tè era l’unico che Jefferson aveva conservato da quando sua moglie era morta e da quando avevano abbandonato la casa in cui vivevano prima.
“E’ come un’armatura, mi fa sentire più al sicuro” le rispose dolcemente, per poi assaggiare il biscotto che non aveva l’aria di essere fresco, né di qualità. Mandò giù lo stesso il boccone, senza lasciar trapelare nulla.
Grace inclinò appena la testa, lanciando uno sguardo al lungo mantello. Era bellissimo ed inoltre le donava.
“Al sicuro da cosa?”
“Non disturbare la nostra ospite con tutte queste domande o rischierai di farla andare via prima del tempo” la interruppe Jefferson, guardandola seriamente.
Red si soffermò a riflettere per qualche istante su quelle parole: ‘prima del tempo’. Che intendeva dire esattamente? Forse si riferiva soltanto al tempo di guarigione, ma non era ancora del tutto certa di potersi fidare di lui, per quanto avesse iniziato ad affezionarsi alla bambina di sentimenti così spontanei.
“Mi dispiace” sussurrò abbassando la testa verso la tazza di tè, mescolandolo lentamente con un cucchiaino.
“Oh, non devi preoccuparti di questo Grace. Non c’è motivo per cui io debba esimermi dal rispondere alle tue domande. Siete stati così gentili con me che sarebbe davvero ingrato da parte mia andarmene senza ringraziarvi” cercò di interpretare in quel modo l’allontanamento futuro da quella casa e proseguì “molto spesso ci troviamo ad affrontare mostri che si trovano all’interno di noi stessi e abbiamo bisogno di qualcosa che sia in grado di proteggerci per non farli uscire”.
Un’ottima spiegazione, pensò Jefferson, peccato che fosse stata troppo generale per essere compresa davvero da chi non conosceva la sua vera natura.
Regina gli aveva narrato chi Red era davvero e che possedeva un animo diviso in due, uno di cui rappresentava un vero e proprio pericolo per chi le rimaneva accanto.
Grace rimase seria per qualche istante e poi lasciò nascere un sorriso sulle labbra.
“Questo è impossibile, tu sei come il mio papà. Non avete sentimenti cattivi e non potete essere dei mostri”.
Jefferson avvertì una stretta al cuore così forte da rimanere con il biscotto appena appoggiato sulle labbra. Era questo ciò che Grace pensava di lui? Non era un mostro. Lui non lo era. Vecchi ricordi si affollarono nella sua mente e iniziarono a torturarlo per la grande bugia che aveva costruito, solo per lei, solo per salvarla dalla sua oscurità.
Grace era stata fin da sempre la sua luce e nulla avrebbe permesso loro di dividersi. Aveva compiuto molti atti disonesti in passato, lavorando prima per Tremotino e poi per Regina, ma una volta che sua moglie morì non poté fare a meno di sbarazzarsi del vecchio se stesso. Vecchio, ne era piuttosto certo? Aveva ucciso ciò che era o l’aveva semplicemente fatto invecchiare? La sua natura era ancora lì ed era uscita fuori nel momento del bisogno. Ciò che stava facendo a Red non era ciò che aveva fatto tempo fa con altre pedine di Tremotino?
Red di rimando riuscì a sorridere alla bambina, chinando leggermente il capo verso di lei per poterla guardare negli occhi.
“Le apparenze ingannano” sussurrò.
“Ma non tutte” aggiunse Grace, sempre più convinta di aver inquadrato perfettamente la ragazza dal mantello rosso.
L’argomento cadde inevitabilmente poiché nessuno desiderò approfondirlo, Red promise a Grace di prendere di nuovo il tè alle cinque insieme al suo nuovo amico, un coniglietto che aveva ricucito Jefferson personalmente. Trascorrere il tempo lì non sarebbe stato affatto difficile e nonostante la ferita alla gamba le provocasse di tanto in tanto un po’ di dolore, tutto il resto la aiutava a dimenticare.
Jefferson era un padre affettuoso e sapeva sempre come regalare sorrisi, sorrisi che erano in grado di scaldare il cuore. Red si avvide però che nei suoi occhi vi era qualcosa di strano, come un’ombra di tristezza che tentava di celare attraverso l’affetto che provava per sua figlia.
A metà mattina sopraggiunse qualcuno a far visita alla casa di Jefferson, colui che era conosciuto come Guy di Guisborne, l’uomo più valente dello sceriffo di Notthingam, l’acerrimo nemico di Robin Hood.
Bussò alla porta ma senza tante cerimonie la aprì direttamente, trovandosi all’interno di un quadretto familiare – ai suoi occhi – che lo fece dubitare della sua ipotesi.
L’uomo che si prospettarono davanti era alto e robusto, i capelli neri gli sfioravano le guance e nascondeva sotto le sopracciglia folte uno sguardo profondo e azzurro come il ghiaccio.
“Jefferson, immagino. O almeno così mi è stato detto” si avvicinò per poi lanciare uno sguardo incuriosito verso la bambina e la giovane ragazza che erano sedute su un giaciglio approssimato e che avevano smesso di ridere quando era entrato.
Si fece avanti con le braccia conserte, tutto ciò non andava affatto bene.
“Vi hanno informato bene”.
“Vostra moglie e vostra figlia?” domandò cercando di sembrare il più gentile possibile.
“Esattamente. Immagino però che non siate venuto qui per loro, è vero?”.
Red inarcò un sopracciglio, per quale motivo aveva mentito, definendola sua moglie? Forse non si fidava di quell’uomo, in effetti non se ne stupiva, aveva un’espressione dura e sicura di sé. Una di quelle che è difficile da dimenticare, una di chi deve aver sofferto per qualcosa in passato.
“Infatti” tirò fuori una pergamena su cui vi era il ritratto di un uomo con il cappuccio appena chinato sulla fronte “stiamo cercando quest’uomo, lo abbiamo intravisto giorni fa aggirarsi in questi luoghi. Lo avete visto?”.
Jefferson deglutì a vuoto, stava quasi per rispondere, quando sentì i passi zoppicanti di Red avvicinarsi fino all’ingresso per gettare un’occhiata sul ritratto. I suoi occhi si illuminarono immediatamente e rispose al posto del suo finto marito.
“Sì, ha tentato di uccidermi ieri mattina all’alba mentre mi incamminavo per la Foresta di Sherwood” disse con un lieve astio che si poteva avvertire nel tono di voce.
“Uccidervi?” fu la prima domanda che Guy le rivolse, interessato alle risposte che avrebbe potuto dargli.
“Ah, ah facciamo attenzione al peso che diamo alle parole” intervenne Jefferson, aprendo le braccia e ponendo le mani davanti a Red e a Guy, per fermare in qualche modo la loro conversazione.
“Mia moglie in realtà voleva dire che stava per essere derubata, ecco. Sappiamo tutti che Robin Hood ruba ai ricchi per dare ai poveri, ma ultimamente credo che di ricchi se ne vedano pochi nella Foresta di Sherwood ed ha iniziato ad infierire anche sui poveri” allargò le braccia per poi farle ricadere con uno schiocco sulle cosce.
“C’è una grande differenza dal voler uccidere al voler derubare, non credete Jefferson?” domandò Guy, per nulla convinto delle sue parole.
“Purtroppo mia moglie ha un carattere focoso, ha lottato finché non sono arrivato io a salvarla” cercò di spiegare, aveva idea che si sarebbe potuto perdere in quella conversazione.
Red appoggiò una mano sullo stipite della porta, osservandolo con diffidenza. Perché stava mentendo in quel modo? Perché non gli raccontava la verità?
“Affascinante. Ebbene, è rimasto illeso?”
“No”.
“Sì, è solo svenuto. Lo abbiamo lasciato nella Foresta, ma credo che ormai sia troppo tardi per riuscire a prenderlo” aggiunse Red intromettendosi di nuovo, cosa che infastidì non poco Jefferson.
Robin lo aveva aiutato e cacciarlo nei guai non sarebbe stata una grande idea. Sospirò, roteando gli occhi al cielo, ma perché quella donna doveva mostrarsi così fastidiosa?
“Vi ringrazio per  le informazioni che mi avete dato” rispose Guy prima di afferrarle la mano e sfiorarla con le labbra “forse grazie a voi riuscirò finalmente a mettere in gabbia Robin Hood”.
Così facendo salutò entrambi per poi ritirarsi e richiudere la porta. Jefferson che aveva sudato freddo sin dall’inizio, appoggiò la fronte sul legno e una mano chiusa in un pugno.
Ora avrebbe dovuto dare delle spiegazioni sensate a Red che lo guardava con fare arcigno. Grace preferì lasciarli soli, dirigendosi nella propria stanza.
Jefferson sperò di non ricevere domande di alcun tipo e quando si distaccò dalla soglia si diresse a preparare altro tè. Tè, tè, tè. Non faceva altro che tè da quando aveva lasciato il suo precedente lavoro, e dire che lui detestava profondamente il tè.
“Tua moglie?” ed ecco che l’interrogatorio ebbe inizio, Red si mise alle sue spalle in attesa che lui si voltasse per guardarla negli occhi. “Robin Hood? Voleva derubarmi? Che senso ha aver mentito! Quell’uomo lavorava per Regina. Mi hai detto di detestarla e che…” esclamò con foga, ma lui la fermò prima che potesse proseguire.
Dio, quanto detestava il momento in cui le donne alzavano il tono di voce fino a farlo diventare quasi stridulo per ottenere ciò che desideravano. L’aveva fatta arrabbiare, ma non poteva rischiare di mettere seriamente nei guai il suo amico.
“E’ vero, infatti la detesto. Ma non mi fido di Guy di Guisborne e tu faresti meglio a fare lo stesso. Le apparenze ingannano, ricordi?”
“Non tutte” sussurrò lei, ripetendo le stesse parole di Grace “perché non ti fidi di quell’uomo?” insistette, abbassando la voce e cercando di calmarsi.
Il tè era pronto, sistemò l’infuso e poi aggirò la ragazza per portarlo sul tavolo e lasciarlo lì a freddare.
“Sei così ingenua Red” sospirò mentre si sedeva sul bordo del tavolo per incrociare le braccia “Notthingam brulica di spie di Regina, meno riescono a sapere da noi, più sarà facile sconfiggerla. Guy potrà anche detestare quel Robin Hood, ma non sappiamo nulla di lui. Possiamo solo fidarci di noi stessi, tutto il resto è solo un’ombra che tenta di mangiare la nostra luce”.
Red chinò il capo verso il basso. Non era affatto convinta dalle parole di lui, come se stesse nascondendole qualcosa che non voleva dire. Da una parte il suo ragionamento poteva avere un senso, ma dall’altro no.
Probabilmente lui cercava di tenere fuori sua figlia da qualunque cosa, per questo non si fidava di nessuno. Questa, era una risposta ragionevole ai suoi dubbi.
 
 
 
 
 
**


 
 
Storybrooke, durante il sortilegio
 
Far pace con sua nonna era stato piuttosto semplice, lei sapeva già che sarebbe tornata prima ancora che la giornata fosse terminata. Aveva risolto con lei problemi che da tempo aveva conservato in un angolo del suo cuore e che aveva sempre avuto timore di esprimere.
Paige le aveva dato l’occasione di comprendere che il suo posto era proprio lì, al Granny’s diner. Far felici le persone era ciò che desiderava di più al mondo e non vi avrebbe rinunciato per degli sciocchi capricci.
Inoltre in quella giornata aveva dimostrato a se stessa di sapersela cavare e di riuscire a fare qualcosa di straordinario. C’erano ancora tante domande a cui avrebbe voluto rispondere e molte altre che non ebbe nemmeno il tempo di pensare.
Quando Graham ed Emma arrivarono sul posto a prendere Paige, Jefferson era svanito nel nulla. La bambina avrebbe voluto ringraziarlo ma di lui non vi fu più traccia. Perché si era nascosto? Perché non era rimasto? In fondo anche grazie a lui era riuscita a trovare la bambina scomparsa.
Quella sera erano tutti a festeggiare da Granny e per farsi raccontare la piccola avventura che aveva scombussolato l’intera cittadina. Con l’arrivo di Emma Swan molte erano le cose accadute di recente che avevano dato nuova vita a Storybrooke.
Ruby posò per un attimo lo sguardo al di fuori del locale, stringendo meglio gli occhi si avvide che all’esterno vi era Jefferson, appoggiato al maggiolino giallo di Emma parcheggiato dall’altra parte della strada. Ne approfittò immediatamente e si sfilò il grembiule per uscire e raggiungerlo in fretta, prima che potesse andare via un’altra volta.
Quando ancora stava correndo, gli rivolse la parola.
“Perché stamattina sei andato via in quel modo? Paige voleva ringraziarti per averla ritrovata”.
Jefferson tirò su col naso e strinse le labbra con forza, mentre teneva le mani nelle tasche dei pantaloni.
Si soffermò a guardarla a lungo, continuava a detestare quel suo modo di vestirsi e di truccarsi che non le rendevano affatto giustizia.
“E’ così che piaci al Dottor Whale?” la voce uscì con un rantolo di fastidio che Ruby si fermò quasi a metà strada.
“Che intendi dire con questo…” sussurrò leggermente adirata per tutta quella sfacciataggine. Chi era lui per giudicarla e per criticare Whale?
“Niente, lascia stare” la rabbia iniziò a crescere poco a poco quando gettò un’occhiata rapida all’interno del Granny’s e vide gli invitati alla festa di ritrovamento che accerchiavano Paige.
Perché lui non era lì? Perché aveva deciso di rimanere in disparte?
“Non sono stato io a trovare Paige, lo hai fatto tu. Non avevo alcun motivo per rimanere lì” sputò quelle parole con forza, quasi strappandosele dalla gola.
Ruby incrociò le braccia, non le era piaciuto il modo in cui le aveva detto di Whale e quelle risposte così furiose tanto meno.
“Cos’è che ti lega tanto a lei?”.
Jefferson boccheggiò per un solo istante, non poteva rivelare qualcosa di così importante, anche perché non avrebbe capito affatto le sue motivazioni e cercò di ripiegare sulla menzogna.
“Mi ricorda una persona che ho perso tanto tempo fa. Paige è una bambina molto dolce ma rischia spesso di mettersi nei guai. I suoi incubi soprattutto sono quelli che mi preoccupano”.
Si riferiva a ciò che aveva raccontato quella mattina, sul Paese delle Meraviglie. Che senso aveva rimuginare su dei sogni? In fondo bastava svegliarsi per dimenticarli.
Inoltre Ruby non era affatto convinta di ciò che aveva sentito, Jefferson nascondeva qualcosa ma non voleva rivelarglielo. In ogni caso, non erano affari suoi.
“Posso provare a parlare con lei e a farmi raccontare qualcosa qualche particolare, se ti senti più sicuro” quella conversazione stava vagamente trasformandosi in una follia.
Ma con Jefferson era davvero così, ogni volta che intavolava discorsi con lui finiva per uscire totalmente di senno, come se ogni parola fosse stata la tessera di un mattone di un castello in aria.
Non gli rimase che annuire, accennando ad un mezzo sorriso di intesa. In fondo gli avrebbe fatto comodo avere più informazioni su di lei e Ruby faceva al caso suo.
La ragazza si avvicinò per appoggiarsi anche lei al maggiolino giallo, c’era un’altra domanda che voleva fargli.
“Perché  non riesci a dormire la notte?” la domanda uscì come un tiepido sussurro.
Jefferson si morse il labbro inferiore e si adombrò in viso. “Whale dovrebbe imparare a tenere la bocca chiusa”.
Ruby si distaccò dall’appoggio per pararsi di fronte a lui e cercare di insistere.
“Forse fa bene a non farlo, potrebbe salvarti la vita. Perché abusi di quei farmaci? Sai che ti causeranno dei danni…”.
Jefferson fece lo stesso e si slanciò su di lei per allontanarla con uno sguardo carico di disprezzo e di dolore.
“Tu non puoi sapere quello che provo, Ruby. Tu sei fortunata perché non ricordi, non ricordi nulla! Io invece per qualche strano motivo so esattamente chi sono e chi siete tutti voi. Ho bisogno di dimenticare, voglio vivere anche io felice senza rimanere incastrato nel passato!” le sue grida si fecero fitte fino a spegnersi poco a poco insieme agli occhi che si illuminarono di lacrime che fermò con tutto se stesso, non avrebbe ceduto in quel modo, non davanti a lei che era una delle sue debolezze maggiori.
“Di cosa stai parlando?” disse lei mentre faceva qualche passo indietro “di che dovrei ricordarmi?”.
Jefferson a quel punto si fermò, rendendosi conto di aver perso la pazienza. Scosse il capo ed iniziò ad allontanarsi cacciandosi le mani in tasca e lasciandosela alle spalle.
Mille pensieri gli avvolsero la mente e mille altri lo avrebbero accompagnato fino a casa. Ruby non era riuscita a decifrare quelle emozioni di paura che provò nel momento in cui era arrivato così vicino a lei. Paura, era davvero quello?
Lo guardò andare via senza accennare a seguirlo, la tristezza che aveva negli occhi era tangibile e sembrava addirittura reale. Il flusso dei suoi pensieri si fermò nel momento in cui girò la testa per vedere un’altra scena davanti a sé.
Regina stava accompagnando Henry da Granny’s, le aveva chiesto di poter partecipare anche lui alla festa, nonostante la presenza di Emma Swan che scatenava nella donna una insofferenza assolutamente insopportabile. Fuori dal locale si presentò Gary, chiuso in un soprabito nero per ripararsi dal freddo dell’inverno.
“Allora, lo hai trovato?” chiese Regina dopo che lasciò andare suo figlio.
Gary scosse lievemente il capo, stava fumando un sigaro e pregustarlo sembrava più importante di quel principio di conversazione.
“Ero quasi riuscito a prenderlo con le mani nel sacco, ma mi è sfuggito un’altra volta” disse prima di buttar fuori il fumo che investì Regina in una nuvola grigia.
Lei, infastidita dall’obiettivo che non aveva raggiunto, prese il sigaro di Gary e lo gettò a terra per poterlo calpestare.
“Nessuno in questa città si prenderà gioco di me. Vedi di renderti utile” così facendo entrò all’interno di Granny’s.
Gary rimase ad osservare il sigaro che era stato lanciato a pochi passi da lui e fu costretto a sospirare, ormai aveva perso l’attimo di libertà che lo aveva fatto allontanare dalla sua ricerca. Ruby si domandò per quale motivo Regina agognasse così tanto a trovare con le mani nel sacco Locksley. Perché di certo si stava parlando di lui.
Per quella sera non sarebbe venuta a capo di nulla, in fondo non era un detective e non doveva scoprire alcun mistero. Ciò che accadeva non la riguardava e doveva smetterla di porsi tutti quei dubbi su Jefferson ed interessarsi alla sua situazione. Aveva qualcosa di folle nello sguardo e si rispecchiava in ciò che faceva, avrebbe fatto meglio ad evitare di pensare a lui. Quando rientrò da Granny’s poté tornare ai festeggiamenti, Whale era arrivato con un po’ di ritardo ma alla fine ce l’aveva fatta. Finalmente avrebbe potuto mettere da parte l’intera giornata e dedicarsi a qualcosa di decisamente più interessante.
Jefferson al contrario non tornò a casa, preferì recarsi al Rabbit Hole alla ricerca di Locksley. Doveva avvertirlo che la sua auto era stata lasciata ai margini del bosco e che probabilmente Graham l’aveva ritirata per restituirla al legittimo proprietario.
Forse aveva commesso un errore nel far capire a Ruby che provava un certo attaccamento per Paige, ma era più forte di lui, non riusciva a sopravvivere all’idea che non  ricordasse della loro vita insieme. Inoltre era seriamente preoccupato che quegli incubi potessero tornare a tormentarla e rischiare di farla svegliare lontana da casa. Quella notte non avrebbe chiuso occhio, sarebbe rimasto a spiare la casa dei genitori adottivi di Paige per essere certo che il sonnambulismo della ragazzina non la conducesse lontano.
Certo, avrebbe voluto rimanere sveglio. Sveglio. Sveglio. Sveg…
Si sentì mancare le forze nel momento in cui aveva raggiunto il salone e si gettò sul divano, affondando il viso sul morbido cuscino. Morbido. Cuscino. Paige, doveva pensare a lei. Doveva alzarsi e non rimanere a dormire. Alzarsi, questo avrebbe dovuto fare. Ma il suo corpo non accennò a rispondere, era appesantito come se una pietra continuasse a premere sulla sua schiena.
Un vortice di pensieri confusi si riproposero nella sua testa, come Red che serviva il tè a Grace. Come Grace che le chiedeva di sedersi al suo tavolino privato. Come quelle volte che erano riusciti ad essere una famiglia, anche se per così poco. Quei sogni. Sogni. Sogni. E il cappello, dov’era il cappello? Doveva averlo, doveva tornare nel suo mondo insieme a loro perché potessero ricordare.
Se non fosse riuscito a dimenticare, avrebbe riportato loro indietro, in un modo o nell’altro.








// NdA:

Ecco qui il sesto capitolo! :3
Come avrete capito Guy di Guisborne (il cui prestavolto è Richard Armitage) non è altri che Gary a Storybrooke. Così come Robin Hood è Locksley. 
Spero che il capitolo vi piaccia, alla prossima! 
   
 
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