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Autore: ice_shadow    02/12/2013    1 recensioni
Le ombre, dopo secoli, si stanno risvegliando. Fantasmi di un tetro passato possono far vacillare l'ordine faticosamente costruito dal Regno Eterno con la spada, sangue, inganni, alleanze e menzogne. Odino deve essere pronto a accettare le conseguenze di antichi sbagli che possono distruggere l'equilibrio dei mondi come li conosciamo. Il destino dei Nove regni è sul filo di un coltello, e un piccolo errore può portare l'universo nel caos.
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“I don’t wanna sleep,
I don’t wanna dream!
‘cause my dreams don’t comfort me.”
-Skillet, Comatose-
 


FIDUCIA
 
 
Alza la testa di scatto. L’aria è fredda e umida e si appiccica ai polmoni. Si guarda intorno. È buio, ma i suoi occhi vedono nella penombra, una singola torcia vicino a una pesante porta sigillata in cima a una scala dai gradini usurati è l’unica fonte di luce. Si trova in un sotterraneo dalla forma quadrangolare, con alcune enormi colonne quadrate. No, non è un sotterraneo. È una prigione. La pietra scura è tuttavia scolpita ad arte, su di essa l’umidità forma milioni di goccioline che scendono lentamente come piccoli fiumiciattoli, vene da cui sgorgano rigagnoli di sangue nero. I bassorilievi nella roccia ricordano disegni che ha già visto da qualche parte… Forse somigliano agli intarsi dorati che decorano i pavimenti di lucida pietra nera del palazzo di Asgard… Ma non ne è sicura, non è sicura di niente di ciò che vede. Quel luogo è strano, ispira tristezza. È come se ci fosse già stata. È come se lì vivessero fantasmi di ricordi dimenticati, che sussurrano dolore e perdita. Cammina guardinga. È turbata, una strana angoscia cova nel suo cuore, le chiude la bocca dello stomaco. Ha la gola secca, sa che se provasse a parlare dalle sue labbra non uscirebbe una parola. Da un angolo sente giungere un gemito, simile al verso acuto di una bestia ferita ma che non si vuole arrendere al proprio destino, anche quando ormai è segnato e non c’è più niente da fare. Si avvicina guardinga. Nell’ombra, vi è una donna. È rannicchiata vicino una colonna, distesa in posizione fetale. È nuda e incinta. Sulla pelle cerea del corpo magro e elegante risaltano pulsanti lividi neri. La schiena è segnata dai tagli di violente frustate che ne hanno squarciato la pelle, la pellicola giovane delle cicatrici è rosea e viva, pulsante. Il volto fiero segnato dal dolore e dalla stanchezza, scavato dalla fame, è incorniciato da quel che rimane di lucenti capelli neri. Doveva essere molto bella, prima di ridursi così. Sulla nuca, seminascosto dai capelli, vi è uno strano simbolo, impresso sulla pelle, come una cicatrice. La donna ha gli occhi chiusi, quelli di chi ha sofferto troppo e sa che dovrà soffrire ancora. Le fa pena, vorrebbe avvicinarsi e consolarla, dirle che andrà tutto bene, ma non riesce a muoversi e probabilmente le mentirebbe. La pesante porta della prigione si apre e entra un vecchio con un’armatura dorata, seguito da due guardie. È privo di un occhio e impugna una lunga lancia d’oro. Si avvicina alla donna, le guardie restano ai lati della porta. Lei alza il volto, lo guarda con grandi e penetranti occhi grigi, derisori, colmi di odio e rancore.
 
“Cosa vuoi ancora, Padre degli dèi? Non ho sofferto abbastanza?” la voce è fredda e tagliente, anche se roca e stanca. Ciocche scure le ricadono sul viso, fra i capelli si vedono chiaramente le orecchie a punta.
 
“Sai cosa voglio, Frelse. Cedimi il bambino e vivrai. Non necessito della tua morte.” Odino è duro, irremovibile, perentorio come un re e un guerriero. Non può farsi intenerire da quella creatura. Sa che ciò che nascerà dal suo ventre sarà una minaccia, e prevenire è sempre meglio che curare. La donna sputa sangue e ride di una risata crudele e disperata, il riso dei folli, di chi non ha più speranza ma non si arrende comunque.

“Non ti è bastato il figlio del gigante, vuoi anche il mio? Tua moglie non è forse in grado di darti altri eredi, che vai a rubare quelli degli altri? O forse hai solo paura? Paura  di una creatura che non è ancora nata. Quanto puoi essere vile? O forse sei stufo di adottare, vuoi solo strapparmelo per darlo a qualcuno che lo educherà come conviene a te? Perché non ucciderlo direttamente allora! Sai che sarebbe solo uno strumento, allora non lasciare che viva! Certo, ti toglie alcune possibilità, ma è molto più veloce e sicuro, no? Sappi solo questo, Padre degli dèi. Tu non avrai mio figlio. Non permetterò di vederlo crescere di mille bugie dorate. Dovrai passare sul mio cadavere.” La donna è sprezzante, i suoi occhi esprimono tutto l’odio che prova, è una madre che lotta disperata per il futuro incerto di un bambino e di un popolo.


Odino la lascia parlare, ascolta in silenzio, questo diritto non vuole toglierglielo. Sa cosa vuol dire essere un genitore e sa che al suo posto direbbe le stesse identiche parole. Ma è un re che ha appena costruito una pace, l’ha costruita col sangue e la spada, e quella pace deve rimanere tale, non può permettere a nulla di sgretolarla, nemmeno a un bambino ancora nel ventre della madre, una creatura innocente ma che presto non sarà più tale.

“Sai che non mi arrenderò, Frelse, e che non puoi fare nulla. Cedimelo, ed entrambi vivrete. O lo prenderò ugualmente, in un modo o nell’altro. Solo che quest’opzione implicherebbe la tua morte e forse anche quella di tuo figlio. Sarebbe un peccato, pensaci.”

“Uccidimi allora. Preferisco la morte a una vita di schiavitù.” Lo sguardo è fiero, come il tono della donna. Non teme la morte, ma le catene. È una creatura libera e non permetterà a nessuno di domarla. È come il suo popolo, per questo sa che Svartàlfheim si risolleverà, sa che la conquista di Asgard non è destinata a durare.
Odino sembra assorto. Infine mormora solo poche parole.

“Non rappresenti la salvezza del tuo popolo, come il tuo nome vorrebbe. Ma come potresti, in fondo non riesci a salvare nemmeno te stessa. È un peccato che tu abbia rifiutato la mia offerta.”


Gli occhi sono ora rossi e lo guardano con disgusto, il volto felino illuminato di un sorriso crudele. “Non immagini come si ripercuoteranno le tue azioni, vecchio pazzo, sarò vendicata, ricordalo sempre!”

Intorno a lei si sta addensando una fitta nebbia nera e argentata, ma Odino è più svelto: non ha intenzione di lasciare che riesca a crearsi una protezione con il Seiðr. La punta della lancia penetra la nebbia, lei grida, un urlo bestiale e selvaggio, scopre  i canini leggermente aguzzi, bianchi come non mai, la pelle livida sembra quasi trasparente, la donna grida, un urlo che racchiude tutta la sua disperazione e il suo dolore, un grido che penetra fin nelle ossa e gela il sangue nelle vene. Maria vorrebbe aiutarla, ma non riesce a muoversi.  La donna è debole e quando la lancia giunge alla carne il Seiðr si dissolve, la punta dorata preme sul ventre rigonfio, lo squarcia, la donna ruggisce dal dolore, ma non piange, il sangue sgorga. Odino si china sull’elfa agonizzante, sullo squarcio nel ventre, vi infila le mani e tira fuori un piccolo feto morente e insanguinato. Lei grida un ultimo ringhio rabbioso, ma l’emorragia è grave, il sangue scorre via da lei. Quel grido che ha gelato Asgard è ormai cessato. È morta, e giace in una pozza di sangue scarlatto, solo una donna dal crudele destino, destino irrevocabile, destino che le appartiene dall’istante in cui ha preso il suo primo respiro, dall’istante in cui ha visto il suo mondo per la prima volta, e l’Oracolo(1) l’ha chiamata Frelse, Salvezza. Da sempre aveva saputo che si sarebbe sacrificata per il futuro del suo popolo, e aveva accettato con onore il fato che le Norne le avevano destinato. Odino lo sa, e ne ammira il coraggio.  Avviluppa la piccola creatura in un bozzolo di Seiðr dorato, che il piccolo assorbe, poi lo avvolge in un panno e esce, seguito dalle guardie. Ora è sola e il buio è completo. Lì vi è solo la morte.


Apre gli occhi, le pupille dilatate, il battito cardiaco accelerato. Trema, trema senza controllo, il sogno ancora vivido nella testa. Hlìn la sta scuotendo, l’espressione preoccupata.

“Avete urlato. State bene?”

Maria ci mette ancora qualche secondo per mettere a fuoco l’ancella e riuscire a trovare la voce per rispondere.
“Si… Cosa è successo?”

“Io stavo venendo a svegliarvi e aiutarvi a prepararvi, come sono entrata avete iniziato ad urlare e dimenarvi nel sonno. Vi sentivate male?”

“No, io.. Non credo. Ho solo avuto un incubo.”

Il volto corrucciato, i tremiti ridotti al minimo. Si alza a sedere, si tiene la testa con le mani, gli occhi serrati. Hlìn la conduce lentamente per mano fino al bagno, la sveste e la fa entrare nella vasca. La ragazza sembra essere stordita, obbedisce docile ai suoi movimenti come non si rendesse conto di ciò che le sta succedendo. L’acqua è fredda e la fa rabbrividire leggermente, il tremito cessa e lei riprende lentamente lucidità. Immerge la testa sott’acqua, finché i polmoni non le bruciano. Riemerge e respira a fondo. Era solo un sogno. Niente di più.  

 
 
°°°
 
 

Diverso.

Bugiardo.

Codardo.

Ingannatore.

Vile.

Freddo.

Lingua d’Argento.

Insensibile.

Debole.

Diverso.
 
Loki siede sul masso della sera prima. Le voci sibilano malevole nella sua testa. Il Bosco dei Caduti è avvolto nella nebbia come sempre, la luce mattutina è trasparente e non riesce a riscaldare quel luogo così intriso di morte, attraverso la nebbia pare che la luce si infranga in mille frammenti d’acciaio. È giunto lì al sorger del sole, la notte non ha portato ristoro per lui, ha preso sonno per poche ore ed è stato un sonno tormentato da strani sogni. E voci sibilanti. Nonappena i primi raggi di luce sono sorti su Asgard, è sgattaiolato fuori dal palazzo. Doveva riflettere. Il primo posto che gli era venuto in mente era quello. Ora è lì seduto, ad attendere. Non è passato molto dall’alba e l’aria è fresca, una leggera brina bianca ricopre il suolo arido. Poi sente un urlo nella sua testa, ed è la voce della fanciulla. Per un attimo la vede, addormentata, tormentata anche lei da terribili incubi. Forse dovrà attendere su quella roccia ancora qualche tempo prima che lei si presenti.


 
°°°
 


Esce lentamente dall’acqua, si avvolge in un panno candido e Hlìn le asciuga i capelli. A stento l’ancella reprime un urlo per la sorpresa: se prima erano scuri, adesso sono neri come la notte. Come quelli del principe cadetto. Tuttavia la giovane è immersa nei suoi pensieri e ci fa a malapena caso. Mormora un “Che c’è?” ma non sembra le importi veramente. L’ancella è turbata, “Avete i capelli neri!”, dice, ma non riconosce la propria voce mentre parla. È spaventata, adesso pensa anch’essa, come gli altri della servitù, che forse non è stata poi una buona idea portare quella ragazza a corte. Anche la pelle è vagamente cambiata: il giorno prima era chiara, sì, ma ora è pallidissima e perfettamente liscia, tutte le piccole imperfezioni umane sparite.

Ricorda Hlìn, è una fanciulla speciale, non è come gli altri Midgardiani, ed è molto probabile che il suo aspetto cambi ad Asgard, che acquisisca la sua forma aesir, come capita alle altre creature dotate di Seiðr.

L’ancella ripensa alle parole della regina, ha accettato di prendersi cura di quella ragazza che sembra essere abbastanza importante per la sua sovrana, ritrova la calma. In fondo non è una cosa poi così strana, ed era pure stata avvertita. È che quella ragazza… le ricorda qualcuno. Ma chi?

“Hlìn, puoi andare, sto meglio adesso”

L’ancella non si era accorta di esser rimasta immobile a fissare la fanciulla, che adesso la sta guardando interrogativa, essendosi è accorta del suo turbamento. Ma ora, con lo sguardo di quei grandi occhi penetranti, profondi come pozzi aperti sulle viscere della terra, che sembrano riuscire a leggere nel profondo della sua anima, riesce a muoversi ancor meno, è come se avesse i muscoli pietrificati. Quasi avesse udito i suoi pensieri, la ragazza si alza e si dirige verso la porta del bagno. Hlìn si riprende, si congeda con un inchino e esce dalle stanze di Maria.   
 
 È sola. Ancora avvolta nel telo candido va  in salotto. Sul tavolo Hlìn le ha lasciato un vassoio dorato, contenente una mela verde e un calice, con all’interno un liquido dal colore cangiante. Ne beve un sorso, incerta. Sul palato si sprigiona un sapore fresco e intenso, ma tuttavia indefinito. Allontana il calice dalle labbra. Fra le sue mani il liquido è cambiato. È nero come inchiostro e sulla superficie si formano delle piccole increspature dai riflessi blu. La cosa non la rassicura particolarmente, ma ha il bisogno di bere ancora quel liquido, già dopo il primo sorso sente un’energia circolare in lei, si sente meno debole. Beve di nuovo, beve fino all’ultima goccia. Si sente benissimo, come non si era mai sentita prima. Riappoggia il calice e addenta la mela. È fresca e gustosa. Finita anch’essa sente un’energia diversa, questa volta fisica, è più forte, meno stanca, mentre l’energia di prima, che ancora persiste, se non è addirittura più intensa, era di un altro tipo, che non riesce a descrivere.  Torna nella sua stanza e apre l’armadio. È completamente mutato: la sera prima era ricolmo di abiti gialli, rossi e dorati, ora invece predominano le tonalità del blu, verde, nero e argento.


 
 
°°°
 
 


Finalmente. Dietro la nebbia intravede finalmente qualcuno. Che sia lei? Non potrebbe essere nessun altro, solo le ombre oltre a lui si aggirano da quelle parti. Lui le conosce bene, le ombre. Odino è stato molto attento nel fare in modo che nessuno si accorga di loro. Ha inondato Asgard d’oro e luce, come se esse non fossero mai esistite. Gli Aesir ci hanno creduto senza troppa difficoltà. Lui no, sa che le ombre sono sopravvissute, lontano da Asgard, relegate dove nessuno possa vederle, ma ci sono, e lui ha imparato a riconoscerle. Non sono ombre comuni, quelle, non sono come la semplice proiezione di una figura, sono creature viventi fatte di oscurità pura, rimaste intrappolate nel Regno Eterno dalla fine della Grande Guerra, oppure giunte volontariamente. Sono ottime spie, le ombre, e gli Asgardiani non le conoscono, non le temono, addirittura le confondono con le ombre normali. Loki è l’unico che sappia come sono, a volte ne riconosce addirittura alcune, e talvolta è tentato, vorrebbe provare a parlarci, è sicuro che sarebbero molto più interessanti di un Aesir eppure non ha mai osato rivolger loro la parola. Loro non disturbano lui e lui non disturba loro. Però quella figura non è un’ombra, è Maria, che finalmente è arrivata. La fanciulla affiora lentamente dalla nebbia. È diversa dalla sera prima. Cammina circospetta, senza provocare rumore. Ha i capelli neri sciolti sulle spalle, indossa un abito dal colore cangiante, varia dal grigio al blu. Come tutti gli abiti asgardiani è ornato da parti metalliche, che ricordano il forte carattere guerriero di questo popolo, solo che non sono d’oro, ma di un metallo nero dai riflessi argentati. Si avvicina, lo scorge e affretta il passo nella sua direzione. Gli sorride, e per la prima volta Loki può affermare che qualcuno gli abbia sorriso davvero. A lui, non a suo fratello. Per salutarlo, non per schernirlo.


 
 
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Nelle tenebre di un mondo morto un re attende. Siede sul trono di ghiaccio, lo sguardo cupo. Privati di ogni forza, di ogni potere, di ogni leggero barlume di speranza di risollevarsi, cosa possono fare? Cosa può fare un re, quando il suo regno è distrutto? Quando il suo popolo ha sofferto secoli di cruda guerra, e una ancor più dura sconfitta? Quando non ha più fiducia in lui? Può attendere, lasciare che i millenni gli scorrano sulle spalle, consumandogli il corpo e la mente, nella vana e illusoria attesa che le Norne intessano nel destino un futuro migliore. Ma Laufey non è un re del genere. Ha tramato nell’oscurità, già da molto tempo ormai, e ora attende, ma attende che il suo piano prenda vita. Aveva cominciato a organizzarsi dalla fine della guerra, e sa che funzionerà. Asgard cadrà. Solo ha bisogno che il figlio della salvezza degli elfi sappia. E saprà, ma al momento giusto. Asgard brulica delle ombre gelate degli Jotun lì rimasti intrappolati al termine dell’ultimo tentativo di invasione. E non solo. Ha in pugno Odino da molto, e il suo occhio “onnisciente” non gli servirà a molto se il suo guardiano non può vedere. Le ombre, invece, vedono tutto. Vedono sempre. Fra le enormi stalagmiti di pietra ghiacciata, rovine di quelle che un tempo erano le colonne del maestoso palazzo di Utgarð, il vento e la neve che turbina incessantemente, si avvicina una sentinella, che si inginocchia ai piedi dell’imponente trono di ghiaccio.

“Sire, le ombre si sono risvegliate. E portano notizie interessanti.”

Laufey si sporge in avanti sullo scranno. Forse, i tempi sono maturi.

“Parla.”

La guardia sorride. “È tornato. Però non è ancora il momento.”

“Bene, ci da’ un vantaggio. Vediamo di essere pronti per quando lo sarà. Iniziate immediatamente l’addestramento di entrambi. Asgard vedrà finalmente la sua fine.”


 
 
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“Chiudi gli occhi. Rilassati. Stamattina hai bevuto l’Åpenbaring(2), vero? Sento il tuo Seiðr ribollire. Tuttavia è ancora bloccato. Chiunque abbia apposto quei sigilli, li ha fatti molto forti. Non doveva aver previsto che si incrinassero.” Loki sorride malizioso. “Evidentemente ti aveva sottovalutata.”

“Chi può esser stato?”

“Zitta, ho detto che devi rilassarti. Non so ancora chi sia stato, ha fatto un lavoro accurato e preciso. Non ha lasciato alcuna traccia del suo Seiðr. Ora, sei rilassata?”

Maria annuisce.

“Perfetto. Ora sbloccherò il tuo Seiðr. Non posso prevedere che reazione potresti avere. Inizialmente potrebbe farti male. Sei sicura di voler imparare a usare la magia?”

Maria sorride con aria di sfida. “Quando cominciamo?”

Loki la guarda. Quella ragazza continua a stupirlo. Non è come le giovani Asgardiane. È un po’ come lui. Diversa. Sono in una radura, all’ombra di una grossa quercia, sulle rive di un lago dalle acque cristalline senza nome, troppo piccolo, puro e insignificante per ricevere l’attenzione degli Asgardiani. Lì non c’è nulla che possa disturbarli, per questo ha scelto quel luogo per insegnarle la magia. Chiude gli occhi anche lui e lascia che il Seiðr scorra. Unisce le mani all’altezza del petto, e fra di esse si raccoglie una vibrante luce verde. Schiude gli occhi e posa le mani sul petto di lei, che sobbalza al contatto improvviso. Lui intensifica il Seiðr, lo dirige ai sigilli. Lei ha la mascella e gli occhi serrati, cerca di non gridare, sente come una miriade si schegge di vetro colpirla dall’interno. I sigilli si incrinano. Si infrangono. Esplodono in mille frammenti. L’onda d’urto li scaglia all’indietro di qualche metro, sbattono la schiena a terra, hanno il respiro spezzato. Si rialzano. Loki le va incontro. Lei è in ginocchio, gli occhi sbarrati. Si inginocchia davanti a lei. E quegli occhi, un tempo neri, sono braci dorate dentro un recinto di tenebra.

“È fatta. Come stai?”

“Bene. Ha fatto male, ma ne è valsa la pena. Non mi sono mai sentita meglio!”

Loki sorride. “Ed è solo l’inizio.” La aiuta ad alzarsi. “Ora mostrami il tuo Seiðr. Ricorda che trova la sua origine nella cassa toracica. Respira a fondo e lascialo fluire. Non frenare la tua energia. Il Seiðr fa parte di te. Imparerai a controllarlo, ma lasciarlo fluire ti risulterà naturale come respirare. Forza.”

Maria chiude gli occhi e prende un respiro profondo. Da sempre si era sentita bloccata, come un bisogno di urlare. Ora finalmente può farlo. Loki attende. Ed ecco che nota delle increspature sulla superficie dell’acqua, che presto diventano piccole onde. Si alza un vento freddo che scompiglia le foglie e i loro capelli. Il vento si piega, danza, li avvolge, forma un turbine attorno a loro. Lei apre gli occhi e le braci sono fiamme d’oro che divampano. Fra le sue mani si forma una sfera di luce blu elettrico, all’interno della quale si muovono particelle di oscurità. L’energia del suo Seiðr è tale che di tanto in tanto all’interno della sfera si forma un lampo, e persino l’aria crepita di elettricità.


 
 
°°°
 
 


Due giovani donne camminano per i frondosi giardini di Asgard. È una giornata molto luminosa e le tonalità del verde e dell’oro sembrano circondarle. Una delle due è una nobile di Asgard, dall’abito dorato e l’ondulata chioma di miele. L’altra è un’elfa di Svartàlfheim, abito d’argento e capelli lisci del colore della notte. Due creature tanto diverse, eppure tanto simili, più di quanto esse stesse possano immaginare. Camminano in silenzio, immerse nei loro pensieri e nell’atmosfera di pace dei giardini. Finché questo silenzio non viene interrotto dall’elfa, che spazientita si gira verso l’asgardiana.

“Frigga cosa ti turba? Siamo venute qui perché tu mi dovevi dire una cosa, ma se non ti decidi a parlare tanto vale tornare indietro! Mi sembra che il principe fosse alquanto smanioso di passare del tempo con te!”

Frigga alza il viso per incontrare gli occhi dell’amica, che a dispetto delle sue parole la guardano con apprensione.

“Frelse il fatto è che… Non lo so.”

“Frigg, per l’Oracolo, cosa non sai? Guarda che mi sono accorta che c’è qualcosa che ti angoscia, come se non bastasse il fatto che ogni notte mi piombi in camera in lacrime. Sono preoccupata per te!”

“Il problema è proprio che non so qual è il problema. Insomma, faccio sogni strani, come se fossero squarci di visioni, solo che quando mi sveglio non riesco a metterli a fuoco. Mi sa che in parte riguardano anche te, visto che ogni volta che si tratta di te non riesco ad avere visioni. È come se il tuo fato mi sia nascosto, e lo stesso vale per questi sogni, solo che alcune cose riesco a vederle, ma non in modo definito. Tutto quello che so è che sono terribili, ecco perché vengo da te. Sei la mia più cara amica, non so a chi altro rivolgermi, sei l’unica di cui io mi possa fidare!”

Frigga è sull’orlo delle lacrime e Frelse l’abbraccia. È giunta ad Asgard tempo prima, come aveva stabilito l’Oracolo, e Frigga è sempre stata la sua unica amica. Tutti gli Aesi la evitavano, la identificavano come una creatura oscura, non osavano guardarla negli occhi, dal colore che cambiava in base alle sue emozioni, cosi profondi da sembrare che potessero leggere nel profondo dell’anima di ognuno di loro, temevano la sua doppia natura: infatti era figlia di uno Svartalfàr e di una Døkkalfàr, le due stirpi elfiche di Svartàlfheim. Gli Svartalfàr avevano la pelle bianchissima, i capelli argentati, occhi azzurro elettrico e vivevano nelle profondità delle montagne del loro mondo con tecnologie all’avanguardia alimentate dall’energia oscura. I Døkkalfàr avevano la pelle e i capelli completamente neri, e gli occhi cangianti. Erano un popolo schivo che viveva nelle oscure foreste sulla superficie del pianeta, a contatto con la natura, esercitando la magia in modo più diretto. I Døkkalfàr, al contrario degli Svartalfàr, non si interessavano degli altri popoli, e non partecipavano mai alle guerre con o contro gli altri Regni. Proprio alla fine dell’ultima guerra contro Asgard gli Svartalfàr erano stati quasi tutti sterminati. Gli Aesi erano stati convinti da re Borr che questa stirpe fosse ormai addirittura estinta, anche se Frelse sa che non è così. Frelse è una mezzosangue, perché nonostante entrambe le stirpi siano elfiche, in realtà si tratta di due razze diverse, anche se simili in quanto entrambe legate all’energia oscura; aveva ereditato la carnagione pallida degli Svartalfàr, i capelli neri e gli occhi cangianti dei Døkkalfàr. Inoltre aveva un carattere molto particolare. A tratti strategica, fredda, calcolatrice ed esigente come il popolo di suo padre, a tratti selvaggia, ribelle ma nonostante questo schiva e silenziosa come il popolo di sua madre. Per questa sua diversità era evitata da tutti, tranne che da Frigga, che riusciva a vedere del buono in ogni persona, e apprezzava Frelse nella sua unicità. Erano cresciute assieme e col tempo erano divenute inseparabili.

“Frigg riesci a ricordare qualcosa di questi sogni?”

Frigga, gli occhi serrati come per cacciare via quelle immagini dalla sue testa, le guance rigate dalle lacrime, annuisce leggermente.

“Forza, allora. Raccontami tutto, sfogati, non posso vederti in questo stato.”

“Sono immagini sfocate, senza apparenti connessioni l’una con l’altra. In una c’è la morte del re Borr e l’ascesa al trono di Odino. In un’altra ci sono due bambini che corrono e giocano, uno biondo e uno moro. Credo che a un certo punto mi chiamassero mamma… Poi ci sono due uomini, credo che siano i due bambini una volta cresciuti, e si combattono… uno dei due muore… Ci sono anche immagini di guerra, ma sembrano guerre diverse, non una sola… E il trono di Asgard crollato… Poi c’è immagine del bambino moro, cresciuto, che esercita una magia potente e oscura, insieme a una fanciulla… Poi l’universo nel caos… Poi c’è un bambino appena nato coperto di sangue… E ogni volta mi sveglio con un suono, qualcosa che mi terrorizza: un urlo disperato. E, Frelse, la voce è la tua.”


 
 
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Il vento si placa e la sfera fra le mani di Maria si dissolve. Ha il respiro spezzato e gli occhi spalancati dalla sorpresa. Sorride incredula. Si regge in piedi a fatica, e Loki la sorregge.

“Niente male. Per una mortale…”

Lei tralascia la seconda parte del commento senza dar segno di turbamento, ignorando la malizia velata di sarcasmo. È entusiasta e incredula.

“Hai visto? Wow! Non credevo di essere in grado di fare qualcosa del genere! È stato pazzesco!”

Loki anche sorride, in fondo è quasi felice per lei, e di certo non va sottovalutata una certa dose di orgoglio da insegnante.

“Si, è stato notevole, tuttavia hai ancora molto da imparare. Guardati. Sei esausta. Devi imparare a gestire la quantità di energia e incanalarla correttamente, altrimenti hai un dispendio di forze inutile e potenzialmente pericoloso, per te e per gli altri.”

L’umana ascolta attentamente, gli occhi fissi nei suoi. Dopo l’utilizzo del Seiðr non sono più neri. Nella luce chiara del mattino sono del colore di un fuocherello dorato, tuttavia il contorno dell’iride è sempre delineato da una striscia nera. Sembra potergli quasi leggere dentro. Vorrebbe dire altro, ma non ci riesce. È senza protezione sotto lo sguardo di quegli occhi. Come si fa a ostentare sicurezza, a fingere che vada tutto bene, quando è chiaro che non lo è, quando dentro si sta già cominciando a morire?

“Tu stai soffrendo.”

Solo tre parole. Pronuncia solo tre parole. Eppure sono macigni, perché quando delle parole esprimono una verità profonda e dolorosa, a lungo nascosta, possono essere pesanti e cariche di significati. Quando si è soli, quando si soffre, le parole sono qualcosa di grande valore. Nessuno aveva mai letto prima d’ora la sofferenza negli occhi del principe cadetto, abilmente mascherata col sarcasmo. Tutti avevano sempre e solo visto malignità e inganno. Mai ciò che c’era dietro di essi.

“Osi troppo, mortale. Non hai il diritto di parlarmi così. Sono sempre un principe di Asgard. Non puoi permetterti tutta questa confidenza.”

La voce è un sibilo malevolo. È così che è abituato Loki: a venir ferito nonappena lascia intravedere qualcosa di sé. Così ha imparato a difendersi. Non si fida di nessuno. La sua non è solo una maschera. È un’armatura, più resistente e impenetrabile di quelle dei guerrieri di suo padre. Ma ogni armatura, prima o poi, viene squarciata da un’arma nuova e sconosciuta, dalla quale prima non ci si doveva proteggere.

“Mi dispiace.”

“Fai bene. Per questa volta passerò sopra questa tua sfrontatez…”

“…ma non per le mie parole. Mi dispiace perché capisco. So come ci si sente.”

“Cosa? Cosa potresti comprendere tu, che sei solo una misera umana?”

“Non sei l’unico che ha sofferto nella propria vita. Io credo di comprendere, perché ho visto nei tuoi occhi la tua sofferenza, e in qualche modo mi ricorda la mia. Sarò anche un’umana, ma sono una persona, e il mio essere mortale non mi impedisce di comprendere. Tu soffri. Si vede da lontano un miglio. Dai tuoi occhi, dal tuo stare sempre sulla difensiva, dal sarcasmo, dai tuoi comportamenti… da tutto. E mi dispiace per te perché so come stai, e so che è terribile.”

Abbassa leggermente la testa. Ha gli occhi lucidi e non intende mostrarli. È da tempo che si è ripromessa di essere forte; nessuno, eccetto l’oscurità e la solitudine, avrebbe mai più visto le sue lacrime. Sull’ultima frase le si è incrinata la voce. Già ha mostrato troppo. Perché per difendersi da un certo tipo di sofferenza c’è un solo modo. E nessuna scelta.
Loki le alza il viso. Ha gli occhi grandi e illuminati di chi ha compreso. Di chi per la prima volta non si sente completamente solo nell’universo.

“Anche tu soffri. Mi dispiace. Avrei dovuto capirlo.”

Lei sorride ed è un sorriso che farebbe sembrare Asgard cupa e triste al confronto.

“Nessuno ha mai capito, quindi non ti devi preoccupare. Sei bravo a fingere. Ma forse non sei l’unico… Grazie.”

“Il sole è alto, torniamo a palazzo, così potrai iniziare a conoscerlo, come ho promesso a Madre. Anche perché è quasi ora di pranzare, e dobbiamo incontrare mio fratello con quegli imbecilli dei suoi amici.”

“Va bene. Andiamo.”

Loki si avvia, e lei lo segue. È qualche passo più indietro per cui non può udirlo quando sussurra una singola parola. Parola che non rivolge mai a nessuno e che negherebbe di aver pronunciato. Grazie.


 
 
°°°
 



La neve turbina incessante, il cielo del Regno dei Ghiacci è scuro e tetro in una notte senza fine. Come sempre. Vicino alle rovine di Utgarð non vi è nulla. Solo un cielo nero, rocce congelate e tanta neve, bianca, tagliente. E desolazione. Infinita desolazione. Bisogna allontanarsi molto prima di trovare qualcosa. Eppure i figli del Re sono disposti a farlo, ad andarsene quasi ogni giorno, di nascosto, veloci e silenziosi, in mezzo alla tormenta, lontano dalla capitale del regno del padre, che continua a sedere sul trono in attesa di qualcosa che non vuole rivelare, come se ancora ci fosse qualcuno da governare, qualcosa che possa accadere. Loro sono giovani e odiano quella passività. La morte spetta ai vecchi. Laufey non apprezza queste loro gite, ma sono disposti a subire l’ira del padre pur di passare del tempo lontano da lì. Camminano ogni giorno, ore, Helblindi e Býleistr, attraverso piane desolate, finché non giungono alla loro destinazione. La foresta. Gli Aesi credono che il loro mondo sia morto. Ma non sono di certo famosi per la loro lungimiranza. Infatti Jotunheim è ancora viva. E i giovani principi passano il tempo ad esplorare quel poco di vita che resta. Ogni giorni scoprono nuovi luoghi nella foresta. Ogni tanto intravedono addirittura dei lupi. Imparano anche a gestire il loro potere. Da autodidatti, perché Laufey non si preoccupa di insegnargli. Sono due giovani forti. E la tradizione del loro mondo è che i forti sopravvivono perché hanno i mezzi per imparare da soli. Non necessitano di niente e di nessuno. Helblindi e Býleistr sono molto più che fratelli. Sono amici. E si coprono le spalle a vicenda. Quando sono insieme, la loro forza è doppia, perché possono contare l’uno sull’altro. In fondo, non hanno mai avuto nessun altro. 

Camminano furtivi fra i fusti neri. Ogni tanto si scambiano uno sguardo: è tutto ciò di cui hanno bisogno, non necessitano di parole. Si dividono passando intorno a qualcosa. Un segnale, e attaccano. La preda ignara si ritrova morta ai loro piedi prima ancora di essersi resa conto di ciò che stava accadendo. I due, ansimanti, lo stiletto di ghiaccio ancora in mano, un sorriso trionfante sul volto, osservano il bottino. Senza tante cerimonie si siedono nella neve e iniziano a scuoiare l’animale. Quel giorno è andata bene: avranno un pranzo abbastanza consistente da essere degno di questo nome. 

Lavorano in silenzio, non sono abituati a spendere parole inutili. La neve è scarlatta, come le loro mani macchiate di sangue. Come i loro occhi.

Un fruscio. Helblindi alza leggermente lo sguardo ma continua imperterrito il suo lavoro. Býleistr scatta in piedi, fra le mani il ghiaccio sta già diventando la temibile lama di un lungo pugnale. Si guarda intorno nervoso.

“Fratello cosa ti prende?”

“C’è qualcuno. Lo sento, anche se non riesco a vederlo.”

Infatti le tempeste di neve sono tanto forti da rendere la vista difficile anche fra gli alberi della foresta, che offrono una protezione minima. A pochi passi da loro compare la sagoma di uno Jotun. È una guardia di loro padre. Deve essere accaduto qualcosa di importante. Laufey non li aveva mai mandati a cercare prima d’ora.

“Seguitemi. Dovete tornare immediatamente alla capitale. Da questo momento ha inizio il vostro addestramento.”


 
 
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Sotto le alte colonne del porticato dorato del palazzo di Asgard si trova una lunga fila di tavoli colmi di cibi di ogni genere. È abbastanza presto, e in pochi sono giunti a mangiare. Loki e Maria sono stati fra i primi, anche se qualcuno aveva attaccato il banchetto prima di loro. I due hanno mangiato, e ora attendono Thor e gli altri. Questi ultimi, e in particolare uno di loro, erano proprio quelli che li avevano preceduti, solo che erano andati a mangiare vicino all’arena. Quando decidono di tornare al porticato. Trovano Loki e una strana ragazza a chiacchierare seduti ai piedi di una colonna.
Loki si alza in piedi e indica a Maria quelli che sono gli amici del fratello: si tratta di tre ragazzi, uno piuttosto robusto, dai capelli e un primo accenno di barba rossi, uno biondo e atletico e l’ultimo castano chiaro(3) con occhi dal taglio leggermente a mandorla, e di una ragazza, alta e bionda, bella nonostante i tratti duri e leggermente mascolini. Si alza anche Maria e sorride al gruppo. Thor è raggiante, i suoi amici la guardano in modo un po’ diffidente però le sorridono abbastanza affabili.

“Buongiorno fratello! Buongiorno Maria! Questi sono i nostri amici: Volstagg,”- l’armadio dai capelli rossi accenna un inchino teatrale - “Fandral,” - il biondo si avvicina e le bacia la mano con una galanteria che la fa sorridere - “Hogun,” - il ragazzo dai capelli castani  e gli occhi a mandorla fa un cenno con la testa - “e Sif.” - la ragazza le stringe energicamente la mano sorridendole leggermente; forse l’unico saluto che l’umana avrebbe ritenuto normale. Thor continua sorridendo. “Allora, non perdiamo tempo! Vedrai, l’arena ti piacerà tantissimo, ti divertirai tantissimo con noi e i nostri amici!”

Loki alza gli occhi al cielo scetticamente. “Hai ripetuto due volte la parola ‘tantissimo’… ”

Il biondo ignora deliberatamente la correzione del minore. Ma adesso è Sif ad obiettare, pratica come sempre.
“Thor, così non può combattere, anche se oggi magari essendo il suo primo giorno  probabilmente proverà solo qualche arma. Quell’abito non va bene.”

Il principe d’orato sembra accorgersi solo ora di quel dettaglio. “Hai ragione. Sif, accompagnala alle sue stanze e aiutala a scegliere qualcosa di più adatto. Così intanto iniziate a fare amicizia, e poi ci raggiungete all’arena!”

L’aspirante guerriera annuisce. I figli di Odino e quelli che diverranno i tre guerrieri salutano e si avviano ridendo e scherzando. Tutti tranne uno, che li segue controvoglia.

Sif si volta verso Maria e la squadra in modo critico, mettendola leggermente a disagio, infine però le sorride.

“Sai come arrivare alle tue stanze?”

Maria annuisce. “Penso di si.”

Inizia a camminare del dedalo di corridoi, aiutandosi anche con la magia per individuare la giusta direzione. Sif la segue in silenzio, sente gli occhi della bionda fissi sulla sua schiena. Dopo qualche minuto giungono a destinazione. Maria apre l’imponente porta di accesso alle sue camere e si dirige verso l’armadio. Sif sa immediatamente che tipo di abiti cercare e si dirige sicura verso una zona della stanza. Le mette in mano un paio di aderenti pantaloni neri di un materiale a lei sconosciuto. Poi le indica una fila di corte tuniche. Maria ne prende istintivamente una nera. Poi Sif passa a un altro settore, e le passa delle protezioni di quello stesso metallo scuro che ornava l’abito che lei aveva scelto quella mattina, poi portano il tutto vicino allo specchio.

“Spogliati.”

Sif non sembra avere l’intenzione di andarsene e attende a braccia incrociate. Maria allora obbedisce. Si toglie l’abito che indossava e sta per rivestirsi in fretta, messa in soggezione dalla guerriera, che però la ferma.

“Aspetta. Devo controllare che la tua muscolatura sia idonea. Thor è una persona amichevole ed entusiasta, che cerca sempre di coinvolgere tutti il più possibile. Tuttavia non si può dire che sia molto responsabile, per cui prima di mandarti nell’arena vorrei essere sicura che non rischi di farti male. Anche perché sei ospite della regina, da quanto ho capito.” Spiega Sif.

“Ok, va bene.”

Sif le gira intorno, osservandola con attenzione. La midgardiana ha muscoli sottili e allungati, probabilmente non esattamente adatti alla forza bruta, ma in compenso agili, tonici e ben allenati. Sif termina l’ispezione compiaciuta.

“Vestiti, penso che tu possa farcela.”

Maria sorride sollevata, non era esattamente a proprio agio nuda e osservata, per cui si riveste abbastanza in fretta. Sif la affianca allo specchio e sembra soddisfatta del proprio lavoro: Se non fosse per i colori poco usuali dei capelli e degli abiti, Maria sembrerebbe anch’essa una giovane guerriera asgardiana. La fa sedere su uno sgabello e comincia a raccoglierle i capelli scuri in una treccia. Mentre lavora, le viene in mente una domanda.

“Hai mai combattuto prima d’ora? Sembri abbastanza allenata.”

“Bhe ecco, insomma, ho fatto un paio d’anni di scherma, ma non credo sia comparabile alla vostra idea di combattimento…”

“Di certo lo troverai completamente diverso, tuttavia… penso che tu possa essere abbastanza brava. Magari, se decidi di restare ad Asgard, potresti diventare anche tu una guerriera.”

“Ci sono molte guerriere ad Asgard?”

Sif abbassa lo sguardo e sospira leggermente.

“Nessuna. Un tempo lontano c’erano le Valchirie, ma sono state tutte sterminate nell’ultima Grande Guerra fra i Mondi. Mia madre era una di loro.”

“Mi dispiace…”

“Non devi. È morta combattendo con onore. Io anche diventerò una guerriera, sarò degna di mia madre, e dimostrerò al popolo di Asaheim che anche una fanciulla può stare nell’esercito di Asgard, essere forte e temibile al pari di un uomo.”

Gli occhi di Sif brillano di orgoglio e determinazione, e Maria sorride.

“Cambiamo discorso. Come ti è sembrato il tuo primo giorno ad Asgard?”

“Mi piace molto qui. Il posto è incredibile, e tutti sono così gentili! Thor e Loki si sono mostrati molto amichevoli e accoglienti nei miei confronti.”

La treccia è finita e le due ragazze si avviano verso la porta.

“Mi fa piacere che ti trovi bene. Sai, sento che diverremo amiche. Lo spero veramente. Per cui voglio darti un consiglio.” Sif guarda Maria negli occhi. Sembra preoccupata, porta timore e rancore nello sguardo.

“Non fidarti di Loki.”
 
 
 
 
 
 
NdA

1) Nel mio headcanon, ogni Regno ha una sorta di spirito veggente, un portavoce delle Norne, quale la Völva presso gli Aesi. Svartàlfheim ha questo “oracolo”, di cui parlerò meglio più avanti.
2) Åpenbaring significa “rivelazione” in norvegese. Qui è un liquido che, una volta bevuto, sblocca il Seiðr e diventa del colore del Seiðr della persona che lo ha bevuto.
3) Hogun in questa storia con i capelli castano chiaro e non neri. Spiego immediatamente il perché: ok che appartiene alla stirpe dei Vani e non degli Aesi, per cui non deve necessariamente essere biondo, ma mi sembra un po’ un’estremizzazione il farlo essere cinese. Poi bazzicando su you tube ho trovato una puntata di un cartone animato su Thor, di cui purtroppo non ricordo il nome, dove Hogun aveva i capelli castani e due baffoni da tricheco. Essendo un adolescente non ha i suddetti baffoni, ma gli ho affibbiato i capelli castani, che mi sembrano leggermente più adatti di quelli neri. In compenso gli ho lasciato gli occhi tal taglio leggermente a mandorla, per lasciargli qualcosa della versione marvelliana.
 
Buongiorno a tutti! Ecco il secondo capitolo! Spero che vi piaccia! :))
Grazie mille a sarez29, La_Polly, silvermoon74 e Zigo che hanno recensito lo scorso capitolo!
Un bacione, a presto,
ice_shadow :)
  
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