Capitolo
Dieci: Hispaňa
Lovino
si staccò dalla balaustra, tetro.
Antonio
era sceso su Britannia qualche minuto prima. Gilbert
era sparito assieme alla Fortezza Errante per approdare sul pianeta dei
Gunsmith.
Anche
se era circondato dalla ciurma si sentiva solo, su
quel galeone tenebroso. Scrollò le spalle, irrigidite dal
peso della
responsabilità.
Doveva
solo aspettare un altro poco. Presto Antonio sarebbe
tornato. E lui avrebbe dovuto comportarsi come se non avesse sentito
minimamente la sua mancanza.
Le
medaglie appuntate sul suo petto tintinnarono, come a
canzonarlo: erano ancora poche per gareggiare con l’altra
Mano del Diavolo.
Artigliò
la balaustra, osservando la Compagnia di Britannia,
il pianeta principale e i satelliti minori, opacizzati
dall’atmosfera
artificiale dell’Aeronave. Trasse un respiro profondo: i suoi
polmoni
sembravano aver disimparato il loro mestiere. Antonio era la vera anima
di quel
vascello, che aveva costruito e condotto alla gloria contraddittoria
dei pirati
con le sue stesse mani: senza, l’aria stessa pareva una
fanghiglia
irrespirabile.
«Bastardo»
ringhiò. «Sbrigati a tornare.»
«Vicecomandante!»
latrò improvvisamente la vedetta. «Un
corpo sconosciuto si dirige verso di noi!»
Lovino
non perse più di un secondo per localizzare la
meteora viola che mirava ad abbattersi sul loro ponte.
«Innalzate
le barriere e preparate i cannoni!» ordinò,
piazzandosi sul ponte, pronto a richiamare Roma. «Lo
accoglieremo con la
polvere da sparo!»
La
ciurma ragliò un boato di approvazione, e,
fortunatamente, nessuno notò il tremore che scuoteva le
ginocchia del giovane.
«Torna
presto, bastardo!» sibilò di nuovo, prima di
evocare
Roma.
***
Un
branco di gattini impauriti che mostravano le zanne da
latte per sembrare minacciosi.
Quella
fu l’impressione che ebbe della ciurma Britannica che
lo accolse.
Fucili
e sciabole erano spianate come una parata di metallo
tutto intorno a lui, ma il pallore sui volti dei marinai cantava un
ritornello
differente: avrebbero preferito morire piuttosto che attaccarlo.
I
rapporti su quanto avvenuto nelle navi che avevano
incrociato la Reina de la Oscuridad
si erano sparsi velocemente: tutti sapevano che i gloriosi marinai di
Britannia
erano stati rinchiusi nei manicomi di massima sicurezza, preda di
incubi
violenti e rabbiosi. Quelli che non si erano uccisi lacerando la
carotide con
le unghie, o fracassando la testa contro le pareti, perlomeno.
Un
marinaio deglutì rumorosamente, il fucile che ballava tra
le mani. Un suo conoscente aveva prestato servizio su una di quelle
navi: si
era cavato gli occhi da solo, gridando che stavano diventando due
tizzoni
ardenti e che presto gli avrebbero incenerito il cervello.
La
ciurma trasalì quando Antonio sollevò le mani.
«Non
sono qui per battermi» annunciò, solenne.
«Voglio solo
parlare con il Mago dell’Ovest. So che si trova
qui.»
Una
lucerna imbullonata all’entrata che dava accesso alle
cabine degli ufficiali si accese improvvisamente, con una fiammata
così potente
che debordò dal vetro. Le lingue di fuoco si ingrossarono
ruggendo e
attorcigliandosi tra di loro come un nido di serpenti. La ciurma si
aprì a quel
fenomeno sovrannaturale, permettendo il passaggio delle fiamme, che si
fermarono esattamente di fronte al capitano. Come per una burla male
architettata, il globo di fuoco prese pian piano forma umanoide
imitando quella
del pirata.
Antonio
batté le palpebre, illuminate dalla luce delle
fiamme e abbrustolite dal loro calore.
«Voi
maghi siete proprio degli esibizionisti» commentò,
asciutto.
«Era
solo un ammonimento. Per ricordarti con chi hai a che
fare, Antonio Fernandez Carriedo» rimbombò la voce
gutturale del fuoco. L’umano
di fiamme fece un passo indietro, mentre la sua figura si spegneva
nella forma
più tranquilla della carne umana.
Le
lingue di fuoco sulla sommità della corporatura si
curvarono in una miriade di ciocche color paglia, e due fiamme
più sottili
delinearono la forma del viso squadrato. Un suono simile allo sfiato
della
legna quando viene spenta con l’acqua accompagnò
la formazione del fisico
robusto dell’uomo, e la sua vestizione con i pantaloni e la
giacca blu, simboli
dei nobili di Britannia. Il fuoco rimase acceso nelle iridi verdi del
Mago
dell’Ovest, e il suo colore restò immutato nel
lungo cappotto scarlatto che
contraddistingueva i capitani di galeone. Altro segno distintivo dei
comandanti
era il cappello tricorno, dalle punte più morbide rispetto a
quello del pirata,
e ornato con un assurdo esubero di piume.
Antonio
abbassò le mani, incrociando le braccia al petto.
Lo
sguardo inflessibile, l’espressione dura, il vestiario
che seguiva impeccabilmente ogni dettame di Britannia, sia nei colori
che nelle
forme: il Mago dell’Ovest era esattamente come lo ricordava.
«So
bene con chi ho a che fare, Arthur Kirkland»
replicò
freddo il pirata.
La
scimitarra che dondolava al fianco del Mago venne
estratta con una rapidità serpentina, e puntata alla gola
del rivale.
«Allora
saprai che su di te gravano accuse abbastanza
pesanti da permettermi di giustiziarti qui, seduta stante»
decretò Arthur,
solleticandogli la giugulare con la punta della spada.
«Tradimento nei
confronti della Confederazione, pirateria, omicidio. Ed è
solo una piccola
parte della tua fedina penale, Carriedo. Perfino il diavolo si
scandalizzerebbe, leggendola.»
La
ciurma quasi svenne al completo quando Antonio impugnò la
sua ascia e vibrò un colpo micidiale in direzione del Mago:
l’arma fendette
l’aria e la carne dell’uomo, dividendolo in due
parti esatte.
«Detesto
avere una lama puntata alla gola» si giustificò,
rimettendo a posto l’ascia.
«Omicidio
del Mago dell’Ovest. Questo ti costerà molto
caro»
le due metà della bocca del corsaro crearono
un’eco bizzarra prima che l’uomo
facesse pressione sui propri fianchi e ricongiungesse il suo corpo come
se
nulla fosse successo; un suono colloso accompagnò il
processo. «O meglio, ti costerebbe
caro. Prima devi riuscire a
uccidermi. Ma penso che un tentato omicidio sia ugualmente
grave.»
«E
il genocidio di un’intera popolazione? Questo quanto
è grave?»
Satana
in persona doveva aver prestato una delle sue
espressioni più spaventose al capitano: il suo viso era
diventato cupo e
spietato come le paludi dell’ultimo girone infernale.
La
voce del Mago dell’Ovest fu affilata come lo stridio della
scimitarra mentre veniva riposta.
«Ritiratevi
sottocoperta» ordinò.
La
ciurma non osò protestare, anzi, eseguì
l’ordine quasi
con gioia: nessuno sapeva quando la Mano Sinistra del Diavolo sarebbe
arrivata
per farli impazzire tutti.
I
due uomini restarono a squadrarsi in silenzio, come due
leoni che cercano il punto debole dell’avversario.
«I
disgraziati che hanno incrociato il tuo cammino si stanno
consumando nelle celle dei manicomi» lo informò
Arthur, voce e sguardo gelidi. «Con
che coraggio ti presenti su questa nave?»
«Con
che coraggio ti presenti al mondo?» lo sferzò
crudelmente Antonio. «Un intero pianeta ha versato il suo
sangue su di te.»
Nessuno
dei due indietreggiò, nonostante le parole
dell’avversario fossero pesanti come macigni. Mossero
entrambi un passo come se
stessero danzando in cerchio, i cappotti vermigli che frusciavano
contro i loro
stivali.
«Erano
ordini superiori. Non potevo ignorarli» si
discolpò
Arthur.
«Riesci
a dormire la notte ripetendoti questo? Che non è
stata colpa tua?» infierì Antonio.
«E
tu come riesci a dormire, mentre le tue vittime strillano
dall’Acheronte?»
«Non
ascolto le loro grida. Come tu non hai ascoltato le
nostre, mentre Hispaňa bruciava.»
Gli
stivali del Mago stridettero sul legno del ponte,
frenando, e lo stesso fecero quelli del pirata.
«Britannia
sarebbe stata distrutta, se non avessi accettato
di portare a termine quel compito. E non provare a dire che avrei
dovuto
sacrificare il mio paese per il tuo: se tu ti fossi trovato nella mia
posizione, avresti fatto lo stesso» lo incenerì
Arthur.
Antonio
batté le palpebre solo una volta, prima di
rincarare:
«Avrei
fatto lo stesso, come chiunque altro. Non ti sto
chiedendo perché non ci hai risparmiati tutti. Ti sto
chiedendo perché non hai
salvato nessuno.»
Arthur
tolse il cappello tricorno, per evitare che una
qualunque ombra potesse allungarsi sul suo viso mentre dichiarava:
«L’ho
fatto per il bene di Britannia e della Confederazione.
Voi Carriedo eravate una minaccia. E tu, Mano Destra del Diavolo, non
smentisci
questa voce.»
Anche
Antonio si tolse il cappello, e sussurrò la seguente
frase fissando il suo interno bombato, come se fosse un interlocutore
più
ragionevole del capitano.
«Lo
sai, Kirkland? Sono proprio questi pregiudizi che mi hanno
reso un criminale. Credi che io sia nato con l’intento di
diventare un pirata?»
Antonio sollevò uno sguardo cremisi come il suo cappotto e
sillabò, la voce
assottigliata dal rancore: «Oh, no! Volevo rendere orgogliosi
i miei genitori
combattendo per il Vaticano, quello stesso Vaticano che ci ha fatti
bruciare
come non si farebbe nemmeno con delle bestie! Il mio sogno altruista
è stato
ridotto in cenere assieme alla mia famiglia» il pirata rimise
il cappello al
suo posto: perfino nell’ombra triangolare del copricapo i
suoi occhi
scintillarono feroci come quelli di un felino: «E anche
dopo… credi che non
abbia cercato un altro mestiere? Ho bussato a tante botteghe quante
sono le
stelle in cielo. Ma ti rivelerò un segreto: la gente crede
sempre di sapere chi
tu sia perfino meglio di te. Ero un Carriedo, quindi ero un criminale:
vedevano
solo il mio cognome, e non la fame che mi aveva reso uno scheletro
vivente. Che
senso aveva continuare a lottare per la compassione, se tutti erano
convinti di
conoscere meglio di me la mia vera natura?» si concesse un
istante di silenzio,
in cui scrollò dell’inesistente polvere dal
cappotto. «Credo di aver superato
le loro aspettative, comunque. Nessuno aveva previsto che sarei
diventato la
Mano Destra del Diavolo, il primo dei Tre Sparvieri.»
«Non
dovresti andare fiero del tuo titolo.»
«Perché
no? È tutto quello che mi è rimasto, oltre al mio
vascello» seguitò imperterrito Antonio, gli occhi
divenuti duri come sassi. «Voglio
farti un altro esempio ancora. Lovino. Un bambino di dieci anni che
chiedeva
solo di poter rimanere con il fratello. Ma il Vaticano, dopo averlo
bollato
come satanico, lo ha abbandonato a morire di stenti su un pianeta
desertico.»
«Ma
la tua ciurma lo ha raccolto.»
Un
sorriso figlio del dolore sorse sul viso di Antonio.
«Credi
che sia sufficiente? Non basta un piatto caldo e
dell’acqua per salvare una vita. Puoi ristorare il suo corpo,
ma per salvarle
l’anima ci vuole molto più tempo. Non hai idea
degli incubi che l’hanno
tormentato per mesi, o degli attacchi di panico improvvisi, o di quanto
piangesse durante la notte, quando pensava che tutti dormissero. E
perfino
adesso, ha uno sguardo che non dovrebbe mai stare negli occhi di un
ragazzo
così giovane: ha lo sguardo di chi ormai non pretende nulla
dal mondo, se non
continue guerriglie con la malvagità della gente. E tutto
quello che chiedeva
era restare con il suo gemello. Era davvero una richiesta
così insensata? E
anche Gilbert ha assaporato la vostra giustizia!» Antonio si
bloccò per un
attimo, ripensando al ghigno irriverente dell’amico.
«Forse lui è l’unico che è
riuscito a resistere alla vostra cupidigia. Anche se gli avete
distrutto la
casa e la famiglia, non ha mai smesso di fare il suo lavoro: ha
ripulito la
Confederazione da tutti i demoni. Non ha mai ferito un essere umano,
nonostante
voi abbiate provato in ogni modo a farlo diventare un assassino. Lui
è davvero…
una persona meravigliosa.»
Arthur
si fermò davanti a lui, alzando il mento.
«Cosa
pretendi da me? Delle scuse? O un duello per staccarmi
la testa dal busto?»
«No.
Voglio che tu mi riveli dove è stato rinchiuso il
Marauder. Una singola informazione per rimediare a tutte le colpe che
ti ho
elencato prima. Mi sembra piuttosto vantaggioso, non trovi?»
L’espressione
di Arthur non concordò.
«Non
posso darti questa informazione. Metterebbe a rischio
tutta la Confederazione» sentenziò.
«Le
voci su Francis sono false, come lo erano quelle su di
me, su Lovino e su Gilbert!» s’infuocò
Antonio. «Ancora non hai capito cosa sta
facendo il Vaticano? Si sta servendo di voi per eliminare le
personalità
scomode!»
«Credi
che non l’abbia capito?» lo freddò il
Mago
dell’Ovest. «Credi di essere l’unico con
un cervello, Antonio? Ho capito da
tempo cosa sta facendo il Vaticano. Ma è vero che la
Confederazione ha bisogno
dell’Asse, ed è vero che il Vaticano è
l’unico in grado di garantire la sua
presenza.»
«Ed
è abbastanza forte da spazzar via Britannia con un solo
ordine» completò Antonio.
«Il
mio compito è difendere Britannia e il suo sovrano.
Anche se questo implica doversi sporcare le mani, non posso tradire il
mio
popolo.»
«E
per la somma Britannia è giusto sacrificare ben tre popoli…»
«Non
puoi capire cosa significhi prendere decisioni per
tutta la Compagnia. Quando milioni di vite sono nelle tue mani,
pochissime
scelte sono semplici» si difese velenoso Arthur.
«Ma
non hai avuto problemi a schiacciarne altrettante con quelle
stesse mani.»
«Come
tu non hai avuto problemi a sacrificare migliaia dei
miei uomini per il bene del tuo pupillo» lo
pugnalò il Britanno.
Antonio
congiunse le mani, apparentemente tranquillo
nonostante la stoccata.
«Aggiungerò
un’ulteriore condizione al nostro patto: Lovino
riporterà alla sanità mentale tutti i tuoi
uomini. Ovviamente non possiamo fare
niente per i morti… ma questo lo sai meglio di me, non
è vero, Arthur?»
«Non
posso comunque rivelarvi dove si trova il Marauder.»
Le
pupille di Antonio si restrinsero per la sorpresa. Non
pensava che il Mago dell’Ovest avrebbe rifiutato perfino
quell’offerta.
«Stai
dicendo che non hai la minima intenzione di fare
ammenda per le tue colpe? Nemmeno se questo dovesse portare un
beneficio per la
stessa Britannia?»
«Tu
non sai cosa stai chiedendo, Antonio» lo redarguì
freddamente Arthur.
Il
pirata calcò di nuovo il tricorno sul viso. Aveva
un’ultima carta da giocare, dopodiché la partita
sarebbe stata conclusa con un
insuccesso.
«Tu
sei uno dei discendenti di Avalon, e per questo tutti ti
rispettano. Ma non puoi mai pensare ai tuoi reali affetti, e per questo
tutti
ti abbandonano» Antonio non distolse lo sguardo dalle iridi
di pietra del
capitano mentre elencava: «Quante persone hai perso, sotto la
tirannia del
Vaticano?»
Arthur
rimase in silenzio, e in quel silenzio Antonio lesse
la propria sconfitta.
Risistemò
il tricorno e il cappotto con un sospiro, e si
preparò ad abbandonare la nave.
«Prima
riporta i miei uomini alla normalità. Solo dopo
parleremo ancora» concesse in un sibilo irato Arthur.
Il
pirata accettò quella decisione con un cenno del capo:
non avevano ancora la collaborazione del Mago dell’Ovest, ma
era un inizio.
Stava per lasciare il vascello, ma fu di nuovo interrotto dal Britanno.
«Carriedo…
non è stato facile accettare la morte del tuo
popolo.»
«Lo
so» recise il pirata. «Non lo è stato
per nessuno.»
E
abbandonò anche lui il Mago dell’Ovest, risalendo
sulla
scialuppa che lo aveva portato fin lì.
Antonio
batté le palpebre, combattendo l’imbarazzante
urgenza di piangere.
Credeva
di aver versato tutte le sue lacrime quel giorno,
tanti anni prima.
Lui,
Gilbert e Francis erano ancora dei bambini a quel
tempo.
***
I
Carriedo, gli Hellsing e i Marauder ritennero opportuno
che i tre bambini destinati a divenire le successive guide dei
rispettivi
popoli stringessero amicizia fin dalla più tenera
età. Nessuno aveva però
previsto una simile sintonia tra i tre, specie dopo il loro disastroso
incontro
iniziale.
Avevano
dei poteri enormi, ma, essendo ancora infanti, non
erano per nulla in grado di controllarli; quella fu la causa principale
dei
disordini di quel giorno.
Antonio
si stupì enormemente degli occhi rossi e dei capelli
d’argento di Gilbert, e gli chiese se fossero diventati
così per il sortilegio
di un demone. Al solo udire la parola “demone”, il
piccolo Hellsing richiamò
istintivamente Gilbird; un enorme pennuto cominciò
così a scorrazzare per il
giardino dei Carriedo, con un bambino attaccato alle piume che gli
intimava di
fermarsi e tornare nella spilla. In risposta, Francis evocò
Jeanne, il suo
spirito guida che, vedendolo così atterrito,
richiamò a sua volta un nugolo di
spettri protettori, e al volatile mastodontico si aggiunse uno sciame
di
spiriti che saettarono da una parte all’altra alla ricerca
del nemico. Aizzato
da quella confusione, Antonio usò i suoi poteri;
sfortunatamente, focalizzò
l’albero di mele come sua arma e non il bastone di legno ai
suoi piedi:
l’albero si ingigantì improvvisamente, tramortendo
Gilbird, che stava
trotterellando in quella direzione. Privo di sensi, il famiglio
dell’Hellsing
diventò nuovamente una spilla, facendo precipitare il
bambino al suolo. Mentre
Gilbert si massaggiava il coccige dolente, Francis riuscì a
imporre la calma
sul gregge di spiriti, dissolvendoli. Ad Antonio occorse qualche
secondo ancora
per far tornare l’albero di mele a dimensioni normali.
Gli
adulti presenti temettero che quell’incidente potesse
compromettere per sempre i buoni rapporti tra i tre popoli, ma tutto si
risolse
con la semplicità innocente dell’infanzia: Antonio
recuperò le mele cadute per
l’impatto con Gilbird, e le offrì ai due bambini
che lo osservavano.
«Sono
Antonio Fernandez Carriedo» si presentò il
piccolo. «E
voi?»
«Francis
Bonnefoy» il Fiammingo si rialzò, prima di
afferrare la mela che gli veniva tesa.
«Gilbert
Beilschmidt»
contraccambiò
l’Hellsing, senza alzarsi per ricevere il frutto: il
fondoschiena gli faceva
ancora un male tremendo.
«Beescmit?»
storpiò Francis; la sua dizione fu compromessa
ulteriormente dal boccone di mela che stava masticando.
«Beilschmidt»
sillabò Gilbert.
«Che
cognome strano» commentò il Fiammingo.
«Ma
se tu ti chiami Bunefà!» protestò
l’Hellsing.
«Bonnefoy»
lo riprese con eleganza Francis.
«Il
mio cognome riuscite a pronunciarlo?»
si intromise Antonio.
Entrambi
si sforzarono di scandirlo
correttamente; in bocca all’Hellsing la
“c” assumeva un suono assai più duro, e
la “d” veniva inquinata da una punta di
“t”. Il Fiammingo, invece, lo
pronunciava come se il suo cognome fosse una grossa caramella rotonda,
ammorbidendo tutte le lettere. Antonio non speculò su quelle
differenze.
«Come
hai fatto?» chiese Francis, additando
con la mela l’albero.
Antonio
si strinse nelle spalle.
«Tutti
ci riescono, nella mia famiglia.
Anche se di solito lo facciamo con le armi.»
Francis
era ancora troppo piccolo per
insinuare quale particolare spada
avrebbe potuto ingrandire – cosa che fece profusamente negli
anni a venire,
quando la malizia divenne la sua caratteristica distintiva. Si
limitò ad
accogliere con sincera ammirazione quella verità.
«A
cosa vi serve?» insistette Francis,
curioso.
«In
battaglia è piuttosto utile» spiegò
Antonio.
Il
Fiammingo annuì, accondiscendente.
«La
mia famiglia scende in campo in modo
diverso» considerò, pulendosi con la mano un
rivolo di succo di mela sul mento
paffuto. «Noi siamo medium. Le lotte con gli spiriti sono un
po’ diverse da
quelle con gli umani» si voltò verso Gilbert, lo
sguardo scintillante: «E tu?»
«Ammazzo
demoni» telegrafò lui.
«Sembra
interessante» gorgheggiò Francis.
«Non
lo è. Fa una paura del diavolo.»
«Quindi
hai paura quando combatti?»
«Non
ho detto che ho paura. Ho detto che fa
paura.»
«Quanti
demoni hai ammazzato, finora?»
«Che
t’importa?» si ribellò Gilbert, che
non era bravo a sostenere interrogatori serrati.
Antonio
ricordava gli anni a seguire come
tra i più divertenti della sua vita: imparava a diventare un
combattente capace
sotto la guida dei genitori, e giocava spesso con Gilbert e Francis.
I
tre ragazzi si raccontavano i loro
progressi e si mostravano le nuove magie apprese. Era una
rivalità scherzosa a
chi riusciva a stupire di più gli altri. Ma, per la sua
indole teatrale, era
sempre Francis a emozionarli più di tutti, con i suoi numeri
sui fantasmi e
sugli spiriti.
Un
giorno, suo padre lo prese sulle
ginocchia e commentò:
«Voi
tre sembrate proprio tre sparvieri.»
«Perché?»
domandò Antonio, senza capire.
«Perché
gli sparvieri, anche se sono più
piccoli degli altri rapaci, non sono secondi a nessuno per le
abilità di
caccia. Inoltre, sono in grado di cambiare direzione di volo in maniera
imprevedibile e repentina. Voi siete proprio così: anche se
siete dei bambini,
siete potenti quasi quanto i vostri vecchi genitori» Antonio
aveva brontolato
che il padre non era affatto vecchio, e il genitore
proseguì, compiaciuto
dell’affetto del figlio: «E riuscite a cambiare
direzione in maniera
inaspettata. Come al vostro primo incontro: tutti credevano che vi
sareste
odiati, invece siete diventati amici come poche persone che
conosco.»
Antonio
aveva riferito quel pensiero
paterno ai suoi compari e, da quel momento, avevano adottato
quell’epiteto: i
Tre Sparvieri. O il Trio Malefico, come correggeva ogni tanto Francis,
con una
vena canzonatoria.
Era
stato proprio un bel periodo: il
giardino della sua casa era animato continuamente dai suoi allenamenti
o dai
giochi con i suoi amici.
Anche
l’inferno era partito dal giardino.
Stava
aiutando sua madre ad apparecchiare
la tavola, mentre il padre controllava che il pranzo non bruciasse. Non
si
resero subito conto di cosa stava accadendo: all’inizio, fu
solo una piccola
scossa del terreno, e tutti pensarono che fosse un lieve terremoto di
assestamento. Ma al primo tremito se ne succedette un secondo: tutte le
ceramiche della casa vibrarono, e tutti e tre alzarono il volto come i
segugi
che fiutano un pericolo.
Per
qualche secondo, nulla si mosse. Erano
quasi tornati alle loro mansioni – mancavano ancora le
forchette e un pizzico
di sale nella zuppa – quando tutto il mondo ballò.
Antonio
ricordava solo un vorticare
frenetico in cui pavimento e soffitto continuavano a susseguirsi, la
danza
selvaggia dei mobili e la nevicata di piatti e bicchieri, che sparsero
un delirio
di schegge appuntite tutto intorno. Strisciò a quattro zampe
fino ad
aggrapparsi allo stipite della porta, e, così arpionato,
portò uno sguardo
febbricitante sul mondo impazzito.
I
mobili della cucina erano completamente
stravolti: il tavolo si era rovesciato, le sedie assomigliavano a dei
reduci di
guerra con le gambe spezzate e la pesante credenza era franata a terra.
Ad
Antonio occorse qualche istante per identificare la ciocca di capelli
scuri che
spuntava sotto l’angolo del mobile di faggio. Suo padre lo
raggiunse e gli
coprì gli occhi prima che il piccolo potesse vedere la pozza
di sangue e
liquido cerebrale che si allargava sul pavimento.
«Dobbiamo
uscire» gridò, sentendo il figlio
tremare tra le sue braccia come se tutte le sue ossa avessero deciso di
uscire
dal corpo. Non era stato abbastanza veloce: aveva riconosciuto quella
chioma.
Era il castano fondente che aveva ereditato da sua madre. Erano i
capelli di sua madre quelli che si
stavano
raggrumando in un miscuglio di sangue e cervella.
In
seguito, le sue memorie si limitavano al
buio del palmo di suo padre e agli scossoni dovuti alla frenetica
conquista del
tetto. E il caldo, quel caldo infernale.
Quando
suo padre gli tolse la mano dagli
occhi, Antonio si rifugiò con la testa sul suo petto: era
troppo piccolo per
sopportare quello spettacolo. Il suo mondo non esisteva più:
le strade erano
diventate lunghissimi serpenti di lava ruggente, le case delle pire di
fuoco e
le persone delle lingue di fiamma che guizzavano per un attimo, con un
urlo
tremendo, prima di sprofondare in quell’abisso di calore
letale.
Antonio
si rintanò contro il padre,
terrorizzato. Sentiva i mattoni della loro casa cedere sotto la presa
della
lava, e il caldo micidiale avvicinarsi sempre di più. Ben
presto la morte
avrebbe toccato anche loro con la sua falce ardente.
«Una
cosa del genere non è normale…»
balbettò suo padre. Lo strinse a sé, pur sapendo
di non essere una protezione
efficace contro quel marasma. «Questo è un
incantesimo che solo un mago esperto
potrebbe fare… solo il Mago dell’Ovest…
ma perché… siamo alleati…»
«Stiamo
per morire qui?»
Il
miagolio del bambino risalì il collo e
bussò spaventato all’orecchio del genitore.
Sentì
quelle braccia tanto più grandi delle
sue stringersi sulla sua schiena.
«Non
so come salvarti, piccolo mio. Le
Aeronavi sono andate distrutte. E, anche se non lo fossero, non
c’è modo di
raggiungerle da qui. Mi dispiace.»
Antonio
protese le sue braccia minute verso
l’alto, cingendo il collo del papà. Non avendo il
coraggio di alzare gli occhi
sull’inferno intorno a loro, mormorò la sua
preghiera contro la clavicola del
genitore:
«Andiamo
dalla mamma, papà.»
Fu
in quel momento che lo udirono: un
frullio d’ali gigantesco, e delle urla accorate.
«Antonio!
Cos’è successo?»
La
voce di Gilbert superò il ruggito delle
fiamme, e il piccolo Carriedo sollevò il viso annerito dal
fumo sui suoi amici.
Erano venuti per giocare con lui, come sempre; non si aspettavano di
trovare un
tale rogo di distruzione, al loro arrivo.
Gilbird
compì svariati giri su di loro,
cercando il modo per avvicinarsi senza essere trascinato in quello che
sembrava
il ventre squarciato di un vulcano.
I
polsi del padre fremettero su di lui.
Antonio pensò che fosse per disperazione, perché
avevano la salvezza a un passo
e non potevano aggrapparvisi: Gilbird non riusciva a trovare modo di
avvicinarsi senza compromettere l’incolumità di
Gilbert e Francis. Non fu
disperazione. O meglio, non era la disperazione di un padre che sta per
morire
con il figlio.
«Antonio»
annaspò sui suoi capelli,
accarezzandoli con un bacio ruvido. «Tu sei forte,
più forte di tutti noi. Ce
la farai. So che ce la farai.»
«Papà?»
lo aveva chiamato, senza capire.
Le
lacrime del padre caddero sul suo viso
sollevato, più bollenti della lava che rombava intorno a
loro. Non lo aveva mai
visto piangere, prima di allora.
«Non
sarò con te quando diventerai grande,
non potrò essere con te
se avrai
bisogno di me. Ma posso fare
qualcosa
per te.»
Prima
ancora di poter capire il significato
delle parole del padre, il mondo di Antonio venne sconvolto di nuovo:
d’improvviso non ci furono più le braccia del
genitore a stringerlo, ma solo
mille dita di vento che lo spingevano verso l’alto. Il
genitore lo aveva
lanciato in aria, in modo che fosse finalmente alla portata di Gilbird.
Il
volatile lo afferrò con le possenti
zampe, e batté veloce le ali per allontanarsi da quella lava
ribollente.
Antonio
si protese in direzione del padre
con tutte le sue forze, sfuggendo quasi alla presa del famiglio
dell’Hellsing.
Urlò così tanto che avvertì quel fuoco
assassino carbonizzargli la gola, e non
si fermò nemmeno quando alle sua grida si mescolò
il sale delle lacrime.
Era
la disperazione di un padre che sa di
morire lasciando solo il proprio figlio, quella che aleggiò
sul volto del genitore
per un secondo. Sostituita prontamente con un sorriso e un cenno della
mano,
come faceva quando tornava a casa la sera. Ma la farsa non gli
riuscì
completamente: le lacrime che bagnarono copiose quel sorriso finto e
che gli
contrassero le labbra in spasmi contriti rovinarono la sua messinscena.
Gilbird
non volò abbastanza veloce da
impedirgli di sentire l’urlo del padre, quando la lava lo
trascinò a fondo. E
Antonio svuotò i polmoni, come se potesse alleviare il
patimento del genitore
gridando forte quanto lui.
In
seguito, gli avevano detto di essere
volati nel pianeta Fiammingo, a casa di Francis. Non aveva memorie
precise di
quel periodo, solo alcune immagini sconnesse a cui non avrebbe saputo
dare un
ordine temporale.
Francis
lo aveva ospitato per qualche tempo.
Ricordava una successione di giorni tutti uguali per colori, sapori,
emozioni.
Era sprofondato nella più totale apatia, senza parlare e
senza mangiare.
Si
rendeva conto di far preoccupare
enormemente i suoi amici con il suo comportamento – Gilbert
passava ogni
singolo giorno per sincerarsi che il piccolo Carriedo stesse bene
– ma non
riusciva a uscire da quel circolo: bastava un granello di cibo, e
sentiva
l’impulso di vomitare; perfino bere un bicchiere
d’acqua era un’agonia. Aveva
cercato di aprire le labbra per parlare con i suoi amici, ma ne aveva
ricavato
solo un singulto secco e l’orrenda sensazione che i suoi
polmoni stessero
cercando di uscire tramite l’esofago. E non riusciva a
liberarsi dall’eco del
grido del padre che risuonava macabro nelle sue orecchie.
Non
ricordava il giorno, ma ricordava
l’attimo: Francis gli aveva appoggiato una mano sulla spalla
e aveva detto,
fissandolo con il cuore negli occhi blu:
«Le
lacrime non sono un disonore, Antonio.
Sono il simbolo di un’anima che soffre. E se
un’anima soffre, ha dei
sentimenti. E avere dei sentimenti è la cosa più
nobile che esista.»
Fu
come se l’amico avesse girato la chiave
della serratura che tratteneva le sue emozioni:
all’improvviso, sentì il dolore
agguantarlo per la gola, e sgorgare in un torrente di lacrime, che
sfogò sulla
spalla dell’amico. Avrebbe voluto dire tantissime cose, ma la
sua gola espulse
solo singhiozzi inarticolati e suoni strozzati. Francis lo trattenne
gentilmente contro di sé, mentre Gilbert gli appoggiava una
mano in mezzo alle
scapole.
Nei
primi giorni, il ricordo della morte
dei genitori era stato costante: qualunque cosa facesse, o non facesse,
sentiva
una vocina maligna bisbigliare nella sua testa che lui non meritava
nulla; era
un figlio deprecabile che sopravviveva nonostante sua madre e suo padre
fossero
morti. Poi, era subentrata una seconda fase di elaborazione del lutto,
assai
più spaventosa: il distacco. Si era accorto di non ricordare
più con chiarezza
il volto della madre o del padre, o il suono esatto della loro voce; si
era
reso conto di non sapere più cosa si provava ad avere una
famiglia, ad avere
una casa con dei genitori in attesa. Aveva ancora una vaga memoria di
quelle
cose, ma non riusciva a viverle sulla sua pelle, come se qualcuno gli
avesse
raccontato una favola: ne era stato deliziato, ma non riusciva a
immergersi
fino in fondo in quel mondo fantastico. La sua famiglia era diventata
lo
spettro di un ricordo che non riusciva più a comprendere; e
soffriva ogni volta
che le sue dita cercavano di afferrare quel vuoto incolmabile. In quel
momento
aveva davvero capito di essere rimasto orfano: avere una famiglia gli
sembrava
qualcosa di alieno come un’utopia irrealizzabile.
Non
era riuscito ad articolare nemmeno uno
di quei pensieri; aveva atteso che le lacrime trovassero un
po’ di quiete, e si
era staccato piano dai suoi amici.
«Scusa
per la camicia» aveva bofonchiato.
Francis gli aveva dato uno scappellotto.
«Bentornato»
lo avevano accolto gli
Sparvieri.
***
Antonio
sorrise di un ghigno amato.
Il
suo mondo puzzava di polvere da sparo,
ed era pregno di sangue. Chissà se era quello che suo padre
aveva immaginato
per lui, nel suo ultimo istante di vita.
Avrebbe
voluto chiederglielo. Tuttavia, non
aveva mai domandato a Francis di usare i suoi poteri da medium per
parlare con
i defunti. Aveva vissuto il lutto in maniera così atroce, da
piccolo, che non
desiderava passarvi attraverso un’altra volta: temeva che,
rivedendo il padre e
la madre, si sarebbe legato nuovamente a loro, e non sarebbe
più riuscito a
lasciarli andare.
Non
ricordava più con precisione le loro
facce, o i loro modi di dire, ma non aveva importanza. Loro erano
comunque con
lui. Sua madre gli aveva insegnato a camminare, a mangiare, a vestirsi:
era con
lui in ogni passo, ogni cucchiaiata, ogni bottone allacciato. E il
padre, che
gli aveva insegnato a combattere, guerreggiava insieme a lui sul ponte
della Reina de la Oscuridad; e gli
aveva
donato due volte la vita, la prima volta facendolo nascere e la seconda
lanciandolo verso la salvezza. Era con lui a ogni respiro e battito di
cuore.
Quella
conclusione non era sorta spontanea:
erano occorsi anni di lotte con se stesso e di sofferenze indicibili
per
accettare fino in fondo la morte dei genitori ed elaborare un nuovo
stile di
vita.
E
poi, qualche anno dopo, aveva incontrato
Lovino: un bambino indesiderato che era stato rifiutato dal suo stesso
padre.
In quel momento, si era sentito estremamente fortunato: li aveva persi
entrambi, ma i suoi erano stati genitori degni della loro carica.
All’inizio,
aveva solo intenzione di
raccogliere quel mucchio d’ossa per indispettire il Vaticano,
l’orco che aveva
trangugiato il suo pianeta. Il ghigno si addolcì in un
sorriso. Ora non lo
avrebbe lasciato andare nemmeno se si fosse scatenata
l’Apocalisse.
Accelerò
il ritmo della scialuppa,
desideroso di tornare sulla sua nave al più presto.
Voleva
abbracciare il suo Lovino. Sperava
che l’attesa non lo avesse fatto imbestialire troppo.
Scusate
per il ritardo .-.
Ieri
ho avuto alcuni problemi, e non sono riuscita ad aggiornare .-.
Anyway,
Arthur fece infine la sua comparsa<3 Assieme al sanguinoso
passato di
Antonio u.u
Nel
prossimo capitolo… si parlerà
dell’Accordatore. E del Marauder 8D
A
lunedì<3
Red