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Autore: HamletRedDiablo    03/12/2013    6 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Dieci: Hispaňa

 

Lovino si staccò dalla balaustra, tetro.

Antonio era sceso su Britannia qualche minuto prima. Gilbert era sparito assieme alla Fortezza Errante per approdare sul pianeta dei Gunsmith.

Anche se era circondato dalla ciurma si sentiva solo, su quel galeone tenebroso. Scrollò le spalle, irrigidite dal peso della responsabilità.

Doveva solo aspettare un altro poco. Presto Antonio sarebbe tornato. E lui avrebbe dovuto comportarsi come se non avesse sentito minimamente la sua mancanza.

Le medaglie appuntate sul suo petto tintinnarono, come a canzonarlo: erano ancora poche per gareggiare con l’altra Mano del Diavolo.

Artigliò la balaustra, osservando la Compagnia di Britannia, il pianeta principale e i satelliti minori, opacizzati dall’atmosfera artificiale dell’Aeronave. Trasse un respiro profondo: i suoi polmoni sembravano aver disimparato il loro mestiere. Antonio era la vera anima di quel vascello, che aveva costruito e condotto alla gloria contraddittoria dei pirati con le sue stesse mani: senza, l’aria stessa pareva una fanghiglia irrespirabile.

«Bastardo» ringhiò. «Sbrigati a tornare.»

«Vicecomandante!» latrò improvvisamente la vedetta. «Un corpo sconosciuto si dirige verso di noi!»

Lovino non perse più di un secondo per localizzare la meteora viola che mirava ad abbattersi sul loro ponte.

«Innalzate le barriere e preparate i cannoni!» ordinò, piazzandosi sul ponte, pronto a richiamare Roma. «Lo accoglieremo con la polvere da sparo!»

La ciurma ragliò un boato di approvazione, e, fortunatamente, nessuno notò il tremore che scuoteva le ginocchia del giovane.

«Torna presto, bastardo!» sibilò di nuovo, prima di evocare Roma.

 

***

 

Un branco di gattini impauriti che mostravano le zanne da latte per sembrare minacciosi.

Quella fu l’impressione che ebbe della ciurma Britannica che lo accolse.

Fucili e sciabole erano spianate come una parata di metallo tutto intorno a lui, ma il pallore sui volti dei marinai cantava un ritornello differente: avrebbero preferito morire piuttosto che attaccarlo.

I rapporti su quanto avvenuto nelle navi che avevano incrociato la Reina de la Oscuridad si erano sparsi velocemente: tutti sapevano che i gloriosi marinai di Britannia erano stati rinchiusi nei manicomi di massima sicurezza, preda di incubi violenti e rabbiosi. Quelli che non si erano uccisi lacerando la carotide con le unghie, o fracassando la testa contro le pareti, perlomeno.

Un marinaio deglutì rumorosamente, il fucile che ballava tra le mani. Un suo conoscente aveva prestato servizio su una di quelle navi: si era cavato gli occhi da solo, gridando che stavano diventando due tizzoni ardenti e che presto gli avrebbero incenerito il cervello.

La ciurma trasalì quando Antonio sollevò le mani.

«Non sono qui per battermi» annunciò, solenne. «Voglio solo parlare con il Mago dell’Ovest. So che si trova qui.»

Una lucerna imbullonata all’entrata che dava accesso alle cabine degli ufficiali si accese improvvisamente, con una fiammata così potente che debordò dal vetro. Le lingue di fuoco si ingrossarono ruggendo e attorcigliandosi tra di loro come un nido di serpenti. La ciurma si aprì a quel fenomeno sovrannaturale, permettendo il passaggio delle fiamme, che si fermarono esattamente di fronte al capitano. Come per una burla male architettata, il globo di fuoco prese pian piano forma umanoide imitando quella del pirata.

Antonio batté le palpebre, illuminate dalla luce delle fiamme e abbrustolite dal loro calore.

«Voi maghi siete proprio degli esibizionisti» commentò, asciutto.

«Era solo un ammonimento. Per ricordarti con chi hai a che fare, Antonio Fernandez Carriedo» rimbombò la voce gutturale del fuoco. L’umano di fiamme fece un passo indietro, mentre la sua figura si spegneva nella forma più tranquilla della carne umana.

Le lingue di fuoco sulla sommità della corporatura si curvarono in una miriade di ciocche color paglia, e due fiamme più sottili delinearono la forma del viso squadrato. Un suono simile allo sfiato della legna quando viene spenta con l’acqua accompagnò la formazione del fisico robusto dell’uomo, e la sua vestizione con i pantaloni e la giacca blu, simboli dei nobili di Britannia. Il fuoco rimase acceso nelle iridi verdi del Mago dell’Ovest, e il suo colore restò immutato nel lungo cappotto scarlatto che contraddistingueva i capitani di galeone. Altro segno distintivo dei comandanti era il cappello tricorno, dalle punte più morbide rispetto a quello del pirata, e ornato con un assurdo esubero di piume.

Antonio abbassò le mani, incrociando le braccia al petto.

Lo sguardo inflessibile, l’espressione dura, il vestiario che seguiva impeccabilmente ogni dettame di Britannia, sia nei colori che nelle forme: il Mago dell’Ovest era esattamente come lo ricordava.

«So bene con chi ho a che fare, Arthur Kirkland» replicò freddo il pirata.

La scimitarra che dondolava al fianco del Mago venne estratta con una rapidità serpentina, e puntata alla gola del rivale.

«Allora saprai che su di te gravano accuse abbastanza pesanti da permettermi di giustiziarti qui, seduta stante» decretò Arthur, solleticandogli la giugulare con la punta della spada. «Tradimento nei confronti della Confederazione, pirateria, omicidio. Ed è solo una piccola parte della tua fedina penale, Carriedo. Perfino il diavolo si scandalizzerebbe, leggendola.»

La ciurma quasi svenne al completo quando Antonio impugnò la sua ascia e vibrò un colpo micidiale in direzione del Mago: l’arma fendette l’aria e la carne dell’uomo, dividendolo in due parti esatte.

«Detesto avere una lama puntata alla gola» si giustificò, rimettendo a posto l’ascia.

«Omicidio del Mago dell’Ovest. Questo ti costerà molto caro» le due metà della bocca del corsaro crearono un’eco bizzarra prima che l’uomo facesse pressione sui propri fianchi e ricongiungesse il suo corpo come se nulla fosse successo; un suono colloso accompagnò il processo. «O meglio, ti costerebbe caro. Prima devi riuscire a uccidermi. Ma penso che un tentato omicidio sia ugualmente grave.»

«E il genocidio di un’intera popolazione? Questo quanto è grave?»

Satana in persona doveva aver prestato una delle sue espressioni più spaventose al capitano: il suo viso era diventato cupo e spietato come le paludi dell’ultimo girone infernale.

La voce del Mago dell’Ovest fu affilata come lo stridio della scimitarra mentre veniva riposta.

«Ritiratevi sottocoperta» ordinò.

La ciurma non osò protestare, anzi, eseguì l’ordine quasi con gioia: nessuno sapeva quando la Mano Sinistra del Diavolo sarebbe arrivata per farli impazzire tutti.

I due uomini restarono a squadrarsi in silenzio, come due leoni che cercano il punto debole dell’avversario.

«I disgraziati che hanno incrociato il tuo cammino si stanno consumando nelle celle dei manicomi» lo informò Arthur, voce e sguardo gelidi. «Con che coraggio ti presenti su questa nave?»

«Con che coraggio ti presenti al mondo?» lo sferzò crudelmente Antonio. «Un intero pianeta ha versato il suo sangue su di te.»

Nessuno dei due indietreggiò, nonostante le parole dell’avversario fossero pesanti come macigni. Mossero entrambi un passo come se stessero danzando in cerchio, i cappotti vermigli che frusciavano contro i loro stivali.

«Erano ordini superiori. Non potevo ignorarli» si discolpò Arthur.

«Riesci a dormire la notte ripetendoti questo? Che non è stata colpa tua?» infierì Antonio.

«E tu come riesci a dormire, mentre le tue vittime strillano dall’Acheronte?»

«Non ascolto le loro grida. Come tu non hai ascoltato le nostre, mentre Hispaňa bruciava.»

Gli stivali del Mago stridettero sul legno del ponte, frenando, e lo stesso fecero quelli del pirata.

«Britannia sarebbe stata distrutta, se non avessi accettato di portare a termine quel compito. E non provare a dire che avrei dovuto sacrificare il mio paese per il tuo: se tu ti fossi trovato nella mia posizione, avresti fatto lo stesso» lo incenerì Arthur.

Antonio batté le palpebre solo una volta, prima di rincarare:

«Avrei fatto lo stesso, come chiunque altro. Non ti sto chiedendo perché non ci hai risparmiati tutti. Ti sto chiedendo perché non hai salvato nessuno

Arthur tolse il cappello tricorno, per evitare che una qualunque ombra potesse allungarsi sul suo viso mentre dichiarava:

«L’ho fatto per il bene di Britannia e della Confederazione. Voi Carriedo eravate una minaccia. E tu, Mano Destra del Diavolo, non smentisci questa voce.»

Anche Antonio si tolse il cappello, e sussurrò la seguente frase fissando il suo interno bombato, come se fosse un interlocutore più ragionevole del capitano.

«Lo sai, Kirkland? Sono proprio questi pregiudizi che mi hanno reso un criminale. Credi che io sia nato con l’intento di diventare un pirata?» Antonio sollevò uno sguardo cremisi come il suo cappotto e sillabò, la voce assottigliata dal rancore: «Oh, no! Volevo rendere orgogliosi i miei genitori combattendo per il Vaticano, quello stesso Vaticano che ci ha fatti bruciare come non si farebbe nemmeno con delle bestie! Il mio sogno altruista è stato ridotto in cenere assieme alla mia famiglia» il pirata rimise il cappello al suo posto: perfino nell’ombra triangolare del copricapo i suoi occhi scintillarono feroci come quelli di un felino: «E anche dopo… credi che non abbia cercato un altro mestiere? Ho bussato a tante botteghe quante sono le stelle in cielo. Ma ti rivelerò un segreto: la gente crede sempre di sapere chi tu sia perfino meglio di te. Ero un Carriedo, quindi ero un criminale: vedevano solo il mio cognome, e non la fame che mi aveva reso uno scheletro vivente. Che senso aveva continuare a lottare per la compassione, se tutti erano convinti di conoscere meglio di me la mia vera natura?» si concesse un istante di silenzio, in cui scrollò dell’inesistente polvere dal cappotto. «Credo di aver superato le loro aspettative, comunque. Nessuno aveva previsto che sarei diventato la Mano Destra del Diavolo, il primo dei Tre Sparvieri.»

«Non dovresti andare fiero del tuo titolo.»

«Perché no? È tutto quello che mi è rimasto, oltre al mio vascello» seguitò imperterrito Antonio, gli occhi divenuti duri come sassi. «Voglio farti un altro esempio ancora. Lovino. Un bambino di dieci anni che chiedeva solo di poter rimanere con il fratello. Ma il Vaticano, dopo averlo bollato come satanico, lo ha abbandonato a morire di stenti su un pianeta desertico.»

«Ma la tua ciurma lo ha raccolto.»

Un sorriso figlio del dolore sorse sul viso di Antonio.

«Credi che sia sufficiente? Non basta un piatto caldo e dell’acqua per salvare una vita. Puoi ristorare il suo corpo, ma per salvarle l’anima ci vuole molto più tempo. Non hai idea degli incubi che l’hanno tormentato per mesi, o degli attacchi di panico improvvisi, o di quanto piangesse durante la notte, quando pensava che tutti dormissero. E perfino adesso, ha uno sguardo che non dovrebbe mai stare negli occhi di un ragazzo così giovane: ha lo sguardo di chi ormai non pretende nulla dal mondo, se non continue guerriglie con la malvagità della gente. E tutto quello che chiedeva era restare con il suo gemello. Era davvero una richiesta così insensata? E anche Gilbert ha assaporato la vostra giustizia!» Antonio si bloccò per un attimo, ripensando al ghigno irriverente dell’amico. «Forse lui è l’unico che è riuscito a resistere alla vostra cupidigia. Anche se gli avete distrutto la casa e la famiglia, non ha mai smesso di fare il suo lavoro: ha ripulito la Confederazione da tutti i demoni. Non ha mai ferito un essere umano, nonostante voi abbiate provato in ogni modo a farlo diventare un assassino. Lui è davvero… una persona meravigliosa.»

Arthur si fermò davanti a lui, alzando il mento.

«Cosa pretendi da me? Delle scuse? O un duello per staccarmi la testa dal busto?»

«No. Voglio che tu mi riveli dove è stato rinchiuso il Marauder. Una singola informazione per rimediare a tutte le colpe che ti ho elencato prima. Mi sembra piuttosto vantaggioso, non trovi?»

L’espressione di Arthur non concordò.

«Non posso darti questa informazione. Metterebbe a rischio tutta la Confederazione» sentenziò.

«Le voci su Francis sono false, come lo erano quelle su di me, su Lovino e su Gilbert!» s’infuocò Antonio. «Ancora non hai capito cosa sta facendo il Vaticano? Si sta servendo di voi per eliminare le personalità scomode!»

«Credi che non l’abbia capito?» lo freddò il Mago dell’Ovest. «Credi di essere l’unico con un cervello, Antonio? Ho capito da tempo cosa sta facendo il Vaticano. Ma è vero che la Confederazione ha bisogno dell’Asse, ed è vero che il Vaticano è l’unico in grado di garantire la sua presenza.»

«Ed è abbastanza forte da spazzar via Britannia con un solo ordine» completò Antonio.

«Il mio compito è difendere Britannia e il suo sovrano. Anche se questo implica doversi sporcare le mani, non posso tradire il mio popolo.»

«E per la somma Britannia è giusto sacrificare ben tre popoli…»

«Non puoi capire cosa significhi prendere decisioni per tutta la Compagnia. Quando milioni di vite sono nelle tue mani, pochissime scelte sono semplici» si difese velenoso Arthur.

«Ma non hai avuto problemi a schiacciarne altrettante con quelle stesse mani.»

«Come tu non hai avuto problemi a sacrificare migliaia dei miei uomini per il bene del tuo pupillo» lo pugnalò il Britanno.

Antonio congiunse le mani, apparentemente tranquillo nonostante la stoccata.

«Aggiungerò un’ulteriore condizione al nostro patto: Lovino riporterà alla sanità mentale tutti i tuoi uomini. Ovviamente non possiamo fare niente per i morti… ma questo lo sai meglio di me, non è vero, Arthur?»

«Non posso comunque rivelarvi dove si trova il Marauder.»

Le pupille di Antonio si restrinsero per la sorpresa. Non pensava che il Mago dell’Ovest avrebbe rifiutato perfino quell’offerta.

«Stai dicendo che non hai la minima intenzione di fare ammenda per le tue colpe? Nemmeno se questo dovesse portare un beneficio per la stessa Britannia?»

«Tu non sai cosa stai chiedendo, Antonio» lo redarguì freddamente Arthur.

Il pirata calcò di nuovo il tricorno sul viso. Aveva un’ultima carta da giocare, dopodiché la partita sarebbe stata conclusa con un insuccesso.

«Tu sei uno dei discendenti di Avalon, e per questo tutti ti rispettano. Ma non puoi mai pensare ai tuoi reali affetti, e per questo tutti ti abbandonano» Antonio non distolse lo sguardo dalle iridi di pietra del capitano mentre elencava: «Quante persone hai perso, sotto la tirannia del Vaticano?»

Arthur rimase in silenzio, e in quel silenzio Antonio lesse la propria sconfitta.

Risistemò il tricorno e il cappotto con un sospiro, e si preparò ad abbandonare la nave.

«Prima riporta i miei uomini alla normalità. Solo dopo parleremo ancora» concesse in un sibilo irato Arthur.

Il pirata accettò quella decisione con un cenno del capo: non avevano ancora la collaborazione del Mago dell’Ovest, ma era un inizio. Stava per lasciare il vascello, ma fu di nuovo interrotto dal Britanno.

«Carriedo… non è stato facile accettare la morte del tuo popolo.»

«Lo so» recise il pirata. «Non lo è stato per nessuno.»

E abbandonò anche lui il Mago dell’Ovest, risalendo sulla scialuppa che lo aveva portato fin lì.

Antonio batté le palpebre, combattendo l’imbarazzante urgenza di piangere.

Credeva di aver versato tutte le sue lacrime quel giorno, tanti anni prima.

Lui, Gilbert e Francis erano ancora dei bambini a quel tempo.

 

***

 

I Carriedo, gli Hellsing e i Marauder ritennero opportuno che i tre bambini destinati a divenire le successive guide dei rispettivi popoli stringessero amicizia fin dalla più tenera età. Nessuno aveva però previsto una simile sintonia tra i tre, specie dopo il loro disastroso incontro iniziale.

Avevano dei poteri enormi, ma, essendo ancora infanti, non erano per nulla in grado di controllarli; quella fu la causa principale dei disordini di quel giorno.

Antonio si stupì enormemente degli occhi rossi e dei capelli d’argento di Gilbert, e gli chiese se fossero diventati così per il sortilegio di un demone. Al solo udire la parola “demone”, il piccolo Hellsing richiamò istintivamente Gilbird; un enorme pennuto cominciò così a scorrazzare per il giardino dei Carriedo, con un bambino attaccato alle piume che gli intimava di fermarsi e tornare nella spilla. In risposta, Francis evocò Jeanne, il suo spirito guida che, vedendolo così atterrito, richiamò a sua volta un nugolo di spettri protettori, e al volatile mastodontico si aggiunse uno sciame di spiriti che saettarono da una parte all’altra alla ricerca del nemico. Aizzato da quella confusione, Antonio usò i suoi poteri; sfortunatamente, focalizzò l’albero di mele come sua arma e non il bastone di legno ai suoi piedi: l’albero si ingigantì improvvisamente, tramortendo Gilbird, che stava trotterellando in quella direzione. Privo di sensi, il famiglio dell’Hellsing diventò nuovamente una spilla, facendo precipitare il bambino al suolo. Mentre Gilbert si massaggiava il coccige dolente, Francis riuscì a imporre la calma sul gregge di spiriti, dissolvendoli. Ad Antonio occorse qualche secondo ancora per far tornare l’albero di mele a dimensioni normali.

Gli adulti presenti temettero che quell’incidente potesse compromettere per sempre i buoni rapporti tra i tre popoli, ma tutto si risolse con la semplicità innocente dell’infanzia: Antonio recuperò le mele cadute per l’impatto con Gilbird, e le offrì ai due bambini che lo osservavano.

«Sono Antonio Fernandez Carriedo» si presentò il piccolo. «E voi?»

«Francis Bonnefoy» il Fiammingo si rialzò, prima di afferrare la mela che gli veniva tesa.

«Gilbert Beilschmidt» contraccambiò l’Hellsing, senza alzarsi per ricevere il frutto: il fondoschiena gli faceva ancora un male tremendo.

«Beescmit?» storpiò Francis; la sua dizione fu compromessa ulteriormente dal boccone di mela che stava masticando.

«Beilschmidt» sillabò Gilbert.

«Che cognome strano» commentò il Fiammingo.

«Ma se tu ti chiami Bunefà!» protestò l’Hellsing.

«Bonnefoy» lo riprese con eleganza Francis.

«Il mio cognome riuscite a pronunciarlo?» si intromise Antonio.

Entrambi si sforzarono di scandirlo correttamente; in bocca all’Hellsing la “c” assumeva un suono assai più duro, e la “d” veniva inquinata da una punta di “t”. Il Fiammingo, invece, lo pronunciava come se il suo cognome fosse una grossa caramella rotonda, ammorbidendo tutte le lettere. Antonio non speculò su quelle differenze.

«Come hai fatto?» chiese Francis, additando con la mela l’albero.

Antonio si strinse nelle spalle.

«Tutti ci riescono, nella mia famiglia. Anche se di solito lo facciamo con le armi.»

Francis era ancora troppo piccolo per insinuare quale particolare spada avrebbe potuto ingrandire – cosa che fece profusamente negli anni a venire, quando la malizia divenne la sua caratteristica distintiva. Si limitò ad accogliere con sincera ammirazione quella verità.

«A cosa vi serve?» insistette Francis, curioso.

«In battaglia è piuttosto utile» spiegò Antonio.

Il Fiammingo annuì, accondiscendente.

«La mia famiglia scende in campo in modo diverso» considerò, pulendosi con la mano un rivolo di succo di mela sul mento paffuto. «Noi siamo medium. Le lotte con gli spiriti sono un po’ diverse da quelle con gli umani» si voltò verso Gilbert, lo sguardo scintillante: «E tu?»

«Ammazzo demoni» telegrafò lui.

«Sembra interessante» gorgheggiò Francis.

«Non lo è. Fa una paura del diavolo.»

«Quindi hai paura quando combatti?»

«Non ho detto che ho paura. Ho detto che fa paura.»

«Quanti demoni hai ammazzato, finora?»

«Che t’importa?» si ribellò Gilbert, che non era bravo a sostenere interrogatori serrati.

Antonio ricordava gli anni a seguire come tra i più divertenti della sua vita: imparava a diventare un combattente capace sotto la guida dei genitori, e giocava spesso con Gilbert e Francis.

I tre ragazzi si raccontavano i loro progressi e si mostravano le nuove magie apprese. Era una rivalità scherzosa a chi riusciva a stupire di più gli altri. Ma, per la sua indole teatrale, era sempre Francis a emozionarli più di tutti, con i suoi numeri sui fantasmi e sugli spiriti.

Un giorno, suo padre lo prese sulle ginocchia e commentò:

«Voi tre sembrate proprio tre sparvieri.»

«Perché?» domandò Antonio, senza capire.

«Perché gli sparvieri, anche se sono più piccoli degli altri rapaci, non sono secondi a nessuno per le abilità di caccia. Inoltre, sono in grado di cambiare direzione di volo in maniera imprevedibile e repentina. Voi siete proprio così: anche se siete dei bambini, siete potenti quasi quanto i vostri vecchi genitori» Antonio aveva brontolato che il padre non era affatto vecchio, e il genitore proseguì, compiaciuto dell’affetto del figlio: «E riuscite a cambiare direzione in maniera inaspettata. Come al vostro primo incontro: tutti credevano che vi sareste odiati, invece siete diventati amici come poche persone che conosco.»

Antonio aveva riferito quel pensiero paterno ai suoi compari e, da quel momento, avevano adottato quell’epiteto: i Tre Sparvieri. O il Trio Malefico, come correggeva ogni tanto Francis, con una vena canzonatoria.

Era stato proprio un bel periodo: il giardino della sua casa era animato continuamente dai suoi allenamenti o dai giochi con i suoi amici.

Anche l’inferno era partito dal giardino.

Stava aiutando sua madre ad apparecchiare la tavola, mentre il padre controllava che il pranzo non bruciasse. Non si resero subito conto di cosa stava accadendo: all’inizio, fu solo una piccola scossa del terreno, e tutti pensarono che fosse un lieve terremoto di assestamento. Ma al primo tremito se ne succedette un secondo: tutte le ceramiche della casa vibrarono, e tutti e tre alzarono il volto come i segugi che fiutano un pericolo.

Per qualche secondo, nulla si mosse. Erano quasi tornati alle loro mansioni – mancavano ancora le forchette e un pizzico di sale nella zuppa – quando tutto il mondo ballò.

Antonio ricordava solo un vorticare frenetico in cui pavimento e soffitto continuavano a susseguirsi, la danza selvaggia dei mobili e la nevicata di piatti e bicchieri, che sparsero un delirio di schegge appuntite tutto intorno. Strisciò a quattro zampe fino ad aggrapparsi allo stipite della porta, e, così arpionato, portò uno sguardo febbricitante sul mondo impazzito.

I mobili della cucina erano completamente stravolti: il tavolo si era rovesciato, le sedie assomigliavano a dei reduci di guerra con le gambe spezzate e la pesante credenza era franata a terra. Ad Antonio occorse qualche istante per identificare la ciocca di capelli scuri che spuntava sotto l’angolo del mobile di faggio. Suo padre lo raggiunse e gli coprì gli occhi prima che il piccolo potesse vedere la pozza di sangue e liquido cerebrale che si allargava sul pavimento.

«Dobbiamo uscire» gridò, sentendo il figlio tremare tra le sue braccia come se tutte le sue ossa avessero deciso di uscire dal corpo. Non era stato abbastanza veloce: aveva riconosciuto quella chioma. Era il castano fondente che aveva ereditato da sua madre. Erano i capelli di sua madre quelli che si stavano raggrumando in un miscuglio di sangue e cervella.

In seguito, le sue memorie si limitavano al buio del palmo di suo padre e agli scossoni dovuti alla frenetica conquista del tetto. E il caldo, quel caldo infernale.

Quando suo padre gli tolse la mano dagli occhi, Antonio si rifugiò con la testa sul suo petto: era troppo piccolo per sopportare quello spettacolo. Il suo mondo non esisteva più: le strade erano diventate lunghissimi serpenti di lava ruggente, le case delle pire di fuoco e le persone delle lingue di fiamma che guizzavano per un attimo, con un urlo tremendo, prima di sprofondare in quell’abisso di calore letale.

Antonio si rintanò contro il padre, terrorizzato. Sentiva i mattoni della loro casa cedere sotto la presa della lava, e il caldo micidiale avvicinarsi sempre di più. Ben presto la morte avrebbe toccato anche loro con la sua falce ardente.

«Una cosa del genere non è normale…» balbettò suo padre. Lo strinse a sé, pur sapendo di non essere una protezione efficace contro quel marasma. «Questo è un incantesimo che solo un mago esperto potrebbe fare… solo il Mago dell’Ovest… ma perché… siamo alleati…»

«Stiamo per morire qui?»

Il miagolio del bambino risalì il collo e bussò spaventato all’orecchio del genitore.

Sentì quelle braccia tanto più grandi delle sue stringersi sulla sua schiena.

«Non so come salvarti, piccolo mio. Le Aeronavi sono andate distrutte. E, anche se non lo fossero, non c’è modo di raggiungerle da qui. Mi dispiace.»

Antonio protese le sue braccia minute verso l’alto, cingendo il collo del papà. Non avendo il coraggio di alzare gli occhi sull’inferno intorno a loro, mormorò la sua preghiera contro la clavicola del genitore:

«Andiamo dalla mamma, papà.»

Fu in quel momento che lo udirono: un frullio d’ali gigantesco, e delle urla accorate.

«Antonio! Cos’è successo?»

La voce di Gilbert superò il ruggito delle fiamme, e il piccolo Carriedo sollevò il viso annerito dal fumo sui suoi amici. Erano venuti per giocare con lui, come sempre; non si aspettavano di trovare un tale rogo di distruzione, al loro arrivo.

Gilbird compì svariati giri su di loro, cercando il modo per avvicinarsi senza essere trascinato in quello che sembrava il ventre squarciato di un vulcano.

I polsi del padre fremettero su di lui. Antonio pensò che fosse per disperazione, perché avevano la salvezza a un passo e non potevano aggrapparvisi: Gilbird non riusciva a trovare modo di avvicinarsi senza compromettere l’incolumità di Gilbert e Francis. Non fu disperazione. O meglio, non era la disperazione di un padre che sta per morire con il figlio.

«Antonio» annaspò sui suoi capelli, accarezzandoli con un bacio ruvido. «Tu sei forte, più forte di tutti noi. Ce la farai. So che ce la farai.»

«Papà?» lo aveva chiamato, senza capire.

Le lacrime del padre caddero sul suo viso sollevato, più bollenti della lava che rombava intorno a loro. Non lo aveva mai visto piangere, prima di allora.

«Non sarò con te quando diventerai grande, non potrò essere con te se avrai bisogno di me. Ma posso fare qualcosa per te.»

Prima ancora di poter capire il significato delle parole del padre, il mondo di Antonio venne sconvolto di nuovo: d’improvviso non ci furono più le braccia del genitore a stringerlo, ma solo mille dita di vento che lo spingevano verso l’alto. Il genitore lo aveva lanciato in aria, in modo che fosse finalmente alla portata di Gilbird.

Il volatile lo afferrò con le possenti zampe, e batté veloce le ali per allontanarsi da quella lava ribollente.

Antonio si protese in direzione del padre con tutte le sue forze, sfuggendo quasi alla presa del famiglio dell’Hellsing. Urlò così tanto che avvertì quel fuoco assassino carbonizzargli la gola, e non si fermò nemmeno quando alle sua grida si mescolò il sale delle lacrime.

Era la disperazione di un padre che sa di morire lasciando solo il proprio figlio, quella che aleggiò sul volto del genitore per un secondo. Sostituita prontamente con un sorriso e un cenno della mano, come faceva quando tornava a casa la sera. Ma la farsa non gli riuscì completamente: le lacrime che bagnarono copiose quel sorriso finto e che gli contrassero le labbra in spasmi contriti rovinarono la sua messinscena.

Gilbird non volò abbastanza veloce da impedirgli di sentire l’urlo del padre, quando la lava lo trascinò a fondo. E Antonio svuotò i polmoni, come se potesse alleviare il patimento del genitore gridando forte quanto lui.

In seguito, gli avevano detto di essere volati nel pianeta Fiammingo, a casa di Francis. Non aveva memorie precise di quel periodo, solo alcune immagini sconnesse a cui non avrebbe saputo dare un ordine temporale.

Francis lo aveva ospitato per qualche tempo. Ricordava una successione di giorni tutti uguali per colori, sapori, emozioni. Era sprofondato nella più totale apatia, senza parlare e senza mangiare.

Si rendeva conto di far preoccupare enormemente i suoi amici con il suo comportamento – Gilbert passava ogni singolo giorno per sincerarsi che il piccolo Carriedo stesse bene – ma non riusciva a uscire da quel circolo: bastava un granello di cibo, e sentiva l’impulso di vomitare; perfino bere un bicchiere d’acqua era un’agonia. Aveva cercato di aprire le labbra per parlare con i suoi amici, ma ne aveva ricavato solo un singulto secco e l’orrenda sensazione che i suoi polmoni stessero cercando di uscire tramite l’esofago. E non riusciva a liberarsi dall’eco del grido del padre che risuonava macabro nelle sue orecchie.

Non ricordava il giorno, ma ricordava l’attimo: Francis gli aveva appoggiato una mano sulla spalla e aveva detto, fissandolo con il cuore negli occhi blu:

«Le lacrime non sono un disonore, Antonio. Sono il simbolo di un’anima che soffre. E se un’anima soffre, ha dei sentimenti. E avere dei sentimenti è la cosa più nobile che esista.»

Fu come se l’amico avesse girato la chiave della serratura che tratteneva le sue emozioni: all’improvviso, sentì il dolore agguantarlo per la gola, e sgorgare in un torrente di lacrime, che sfogò sulla spalla dell’amico. Avrebbe voluto dire tantissime cose, ma la sua gola espulse solo singhiozzi inarticolati e suoni strozzati. Francis lo trattenne gentilmente contro di sé, mentre Gilbert gli appoggiava una mano in mezzo alle scapole.

Nei primi giorni, il ricordo della morte dei genitori era stato costante: qualunque cosa facesse, o non facesse, sentiva una vocina maligna bisbigliare nella sua testa che lui non meritava nulla; era un figlio deprecabile che sopravviveva nonostante sua madre e suo padre fossero morti. Poi, era subentrata una seconda fase di elaborazione del lutto, assai più spaventosa: il distacco. Si era accorto di non ricordare più con chiarezza il volto della madre o del padre, o il suono esatto della loro voce; si era reso conto di non sapere più cosa si provava ad avere una famiglia, ad avere una casa con dei genitori in attesa. Aveva ancora una vaga memoria di quelle cose, ma non riusciva a viverle sulla sua pelle, come se qualcuno gli avesse raccontato una favola: ne era stato deliziato, ma non riusciva a immergersi fino in fondo in quel mondo fantastico. La sua famiglia era diventata lo spettro di un ricordo che non riusciva più a comprendere; e soffriva ogni volta che le sue dita cercavano di afferrare quel vuoto incolmabile. In quel momento aveva davvero capito di essere rimasto orfano: avere una famiglia gli sembrava qualcosa di alieno come un’utopia irrealizzabile.

Non era riuscito ad articolare nemmeno uno di quei pensieri; aveva atteso che le lacrime trovassero un po’ di quiete, e si era staccato piano dai suoi amici.

«Scusa per la camicia» aveva bofonchiato. Francis gli aveva dato uno scappellotto.

«Bentornato» lo avevano accolto gli Sparvieri.

 

***

 

Antonio sorrise di un ghigno amato.

Il suo mondo puzzava di polvere da sparo, ed era pregno di sangue. Chissà se era quello che suo padre aveva immaginato per lui, nel suo ultimo istante di vita.

Avrebbe voluto chiederglielo. Tuttavia, non aveva mai domandato a Francis di usare i suoi poteri da medium per parlare con i defunti. Aveva vissuto il lutto in maniera così atroce, da piccolo, che non desiderava passarvi attraverso un’altra volta: temeva che, rivedendo il padre e la madre, si sarebbe legato nuovamente a loro, e non sarebbe più riuscito a lasciarli andare.

Non ricordava più con precisione le loro facce, o i loro modi di dire, ma non aveva importanza. Loro erano comunque con lui. Sua madre gli aveva insegnato a camminare, a mangiare, a vestirsi: era con lui in ogni passo, ogni cucchiaiata, ogni bottone allacciato. E il padre, che gli aveva insegnato a combattere, guerreggiava insieme a lui sul ponte della Reina de la Oscuridad; e gli aveva donato due volte la vita, la prima volta facendolo nascere e la seconda lanciandolo verso la salvezza. Era con lui a ogni respiro e battito di cuore.

Quella conclusione non era sorta spontanea: erano occorsi anni di lotte con se stesso e di sofferenze indicibili per accettare fino in fondo la morte dei genitori ed elaborare un nuovo stile di vita.

E poi, qualche anno dopo, aveva incontrato Lovino: un bambino indesiderato che era stato rifiutato dal suo stesso padre. In quel momento, si era sentito estremamente fortunato: li aveva persi entrambi, ma i suoi erano stati genitori degni della loro carica.

All’inizio, aveva solo intenzione di raccogliere quel mucchio d’ossa per indispettire il Vaticano, l’orco che aveva trangugiato il suo pianeta. Il ghigno si addolcì in un sorriso. Ora non lo avrebbe lasciato andare nemmeno se si fosse scatenata l’Apocalisse.

Accelerò il ritmo della scialuppa, desideroso di tornare sulla sua nave al più presto.

Voleva abbracciare il suo Lovino. Sperava che l’attesa non lo avesse fatto imbestialire troppo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scusate per il ritardo .-.

Ieri ho avuto alcuni problemi, e non sono riuscita ad aggiornare .-.

Anyway, Arthur fece infine la sua comparsa<3 Assieme al sanguinoso passato di Antonio u.u

Nel prossimo capitolo… si parlerà dell’Accordatore. E del Marauder 8D

A lunedì<3

Red

   
 
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