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Autore: Claudia    07/05/2008    4 recensioni
Dopo il proprio matrimonio con l'ultimo discendente dei Malfoy, Ginevra Weasley abbandona i propri affetti ed i propri cari per vivere la sua vita a fianco del consorte. Completamente emarginata dalla propria famiglia, Ginevra conduce una nuova esistenza tanto che la povertà così rinomata dei suo familiari è ormai un lontano ricordo. Tuttavia, il presente è pronto a portare alla luce vecchi ricordi dimenticati e molto spesso, tutt'altro che belli. [Capitoli revisionati]
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Weasley, Ginny Weasley, Hermione Granger | Coppie: Draco/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10
Discesa nell'Ade - parte b (il passato che ritorna V)

 

 

Non c’è niente che l’uomo sappia amare più di se stesso.

Non c’è niente che l’uomo sappia temere quanto se stesso.

Sull’amore ~ Hermann Hesse

 

 

La Foresta si presentò ai loro occhi esattamente come l'avevano sempre ricordata. Inquietante, spettrale, incantevole. I rami che si protendevano lungo i sentieri, il vociferare dei gufi non addomesticati. La Foresta pulsava di vita, aveva un battito pari, come importanza, a quello di un cuore umano. Una vita celata dietro alle foglie degli alberi, dentro ai tronchi delle quercie più antiche. Affascinante, quanto pericolosa. Da ogni dove, si udivano suoni indistinti, gutturali e fruscii sommessi; qualsiasi persona, perfino il mago più abile del mondo, poteva perdersi nei sentieri interrotti, vista l'innata capacità della Foresta di cancellarli per crearne di nuovi. Era un labirinto senza pareti, che si estendeva per molti chilometri da Hogwarts. E proprio lungo un sentiero, i tre Auror procedevano in fila indiana, veloci e silenziosi.

Harry apriva la fila, con la bacchetta in una mano. Ron, dietro ad Hermione, osservava il fumo della fiaccola che la ragazza serrava in un pugno, domandandosi se davvero quel fuoco poteva salvar loro la vita. Non ricordava molto delle lezioni di Hagrid, nella sua mente erano rimasti impressi solo le figuracce che aveva fatto di fronte a tutta la sua classe.

Hermione, dietro ad Harry, aderì il proprio mantello al corpo, più per un istinto di protezione che per altro. Ricordò l'ultima volta che era entrata nella Foresta Proibita, senza naturalmente, il permesso degli insegnanti. Fu proprio allora che si convinse di diventare un Auror al termine degli studi. E fu felice di scoprire che anche Harry aveva deciso di fare lo stesso. La Foresta, seppur magnifica, non mostrava pietà per nessuno, nemmeno per i propri abitanti. Fin da quando aveva messo piede ad Hogwarts, quegli alberi intricati che aveva scorto dall'Espresso l'avevano incuriosita e allo stesso tempo impaurita.

"Hermione, quanto abbiamo percorso?"

La voce di Harry riportò la ragazza alla realtà e subito Hermione prese ad osservare la cartina che si portava appresso.

"E' da un po' che ti volevo chiedere da dove hai preso... quella cosa." Disse Ron, non trovando un nome appropriato per indicare quella specie di cartina logora che Hermione stringeva tra le mani.

"L'ho trovata in biblioteca. Ho pensato che poteva esserci utile. Comunque, se questa cartina funziona, dovremmo aver percorso sì e no un chilometro."

"Un po' poco considerato il tempo che ci abbiamo messo." Ragionò Ron. Hermione annuì scoraggiata.

"Invece credo che sia andata anche troppo bene." Proferì Harry che fino ad allora era rimasto in silenzio. "In passato bastava procedere di nemmeno un metro per trovarsi di fronte a un ragno con la bava o a un verme succhiasangue."

"Pensi che anche alla Foresta sia successo qualcosa?" Domandò Ron, mentre rifletteva sulle parole dell'amico.

"Non lo so, ma dobbiamo andarcene il prima possibile."

Ron deglutì a forza, per niente incoraggiato dalle parole di Harry che, con passo spedito, prese a percorrere il sentiero che avevano scelto. Hermione pensò che Harry aveva ragione. Da quando erano usciti dalla Scuola non avevano affrontato alcun tipo di ostacolo, come se qualcosa o qualcuno desiderasse condurli esattamente dove loro volevano andare.

"Cosa è stato?"

Ron si bloccò, osservando il sentiero silenzioso alle sue spalle. Harry ed Hermione si voltarono osservando l'amico che si era fermato poco distante da loro.

"Che c'è Ron?" Domandò Hermione con tono apprensivo.

"Ho sentito un ringhio." Disse, estraendo la bacchetta. Hermione seguì l'esempio dei compagni ed impugnò la bacchetta. Gli animali che ringhiavano, magici o normali che fossero, erano sempre e comunque pericolosi. E lei odiava gli animali violenti, eccezion fatta per il suo Grattastinchi, che si dimostrava aggressivo solo con le persone che lo meritavano.

"E adesso che facciamo?" Domandò Ron.

"Semplicemente aspettiamo." Gli rispose Harry.

I tre Auror fissarono un punto imprecisato dietro di loro, attendendo con le proprie armi magiche sollevate. La loro attesa fu infine premiata da una massa scura che, lentamente, stava divinsolandosi tra gli alberi, spezzandone i rami più bassi.

"Dobbiamo sempre aspettare?" Domandò Ron, guardando Harry e poi la massa scura.

"Altri suggerimenti?" Disse Harry, mentre osservava nervoso la creatura.

"Io proporrerei di darcela a gambe." Hermione arretrò di qualche passo.

I due Auror non replicarono al suggerimento della ragazza e, al seguito di Hermione, presero a correre il sentiero.

"Ci sta seguendo?" Ansimò Ron, cercando di guardarsi indietro per osservare la posizione della creatura. I due amici non replicarono, ma continuarono ad evitare i sassi più sporgenti, cercando di mantenere l'equilibrio laddove il terreno era bagnato. Harry, mantenendo ben salda la bacchetta, guidò gli amici per un secondo sentiero che sembrava conoscere. Di lì a poco, i tre Auror giunsero ad un lago che si trovava al centro della Foresta.

"Ma questo-" Hermione non fece in tempo a parlare che la terra prese a tremare sotto ai suoi piedi.

"Via di lì!" Harry gridò con quanto più fiato aveva in gola, mentre insieme a Ron aveva preso a percorrere la sponda destra del lago. La massa scura spezzò anche gli ultimi arbusti che ostacolavano il suo cammino, scuotendo intensamente tutta la terra nel raggio di molti metri. Un enorme tronco d'albero, probabilmente abbattutto dalla creatura, cadde rovinosamente a terra, impedendo ad Hermione di correre lungo lo stesso lato di Harry e Ron. Costretta dalle circostanze, Hermione prese a correre lungo il lato sinistro della sponda, evitando come meglio poteva i macigni che emergevano dalle acque del lago.

"Harry! Hermione non è dietro di noi!"

Ron correva dietro al Bambino Sopravvissuto, riversando tutte le sue energie nella fuga. Harry, benché avesse compreso perfettamente le parole dell'amico, non si arrestò, nè si voltò. Ron, sorpreso da quell'atteggiamento, ribadì l'assenza di Hermione, senza ottenere risposte dall'amico.

"Ma insomma Harry mi stai ascoltando?!" Gridò, sentendo i polmoni andargli in fiamme.

Il moro si fermò bruscamente e Ron gli andò a finire rovinosamente addosso. Ma prima che il giovane Weasley potesse replicare, Harry sorrise compiaciuto fissando un'apertura profonda a pochi metri dalla sponda.

"Salta giù!"

Ron osservò Harry scomparire nella voragine. Si avvicinò al piccolo baratro, fissando l'oscurità che inghiottiva le pareti rocciose dell'apertura.

"Stai scherzando, vero?" Domandò Ron, sollevando perplesso un sopracciglio.

Senza udire risposta alcuna, Ron sospirò.

"Non stai scherzando."

E dopo qualche secondo, saltò anche lui.

**

Nella sua mente continuavano a turbinare le ultime parole pronunciate da Draco Malfoy. Le sembrava inconcepibile, quanto mai assurdo, l'idea di incontrare Voldermort. Ginny continuò a fissare Malfoy, che di rimpetto a lei, sembrava quanto mai deciso a portare a compimento le sue parole. Benché i pensieri di Ginny si focalizzassero sull'Oscuro Signore, tutto il corpo della ragazza fu attraversato da un fremito di paura.

Paura.

Quel sentimento che Voldermort suscitava in chiunque. Chiunque non appartenesse alla sua schiera di seguaci.

E fu proprio la paura, il terrore per ciò che poteva accaderle, che permise a Ginny di scattare con le proprie gambe in un punto imprecisato della stanza. Mossa prevedibile, visto e considerato che Malfoy le parò qualsiasi via di fuga con il proprio corpo.

"Te l'ho già detto! E' del tutto inutile! Non puoi opporti al volere dell'Oscuro!" Malfoy afferrò saldamente le spalle della ragazza, facendola gemere per il dolore.

"Se continuerai ad opporti non avrò riguardi." Disse il biondo ex-Serpeverde, con tono duro.

Malfoy sentì i muscoli della ragazza contrarsi sotto alle sue mani. Il volto di Ginny divenne pallido, mentre gli occhi di un intenso color nocciola, divennero vitrei, persi nel vuoto.

"Adesso andiamo."

Malfoy strinse la presa attorno al braccio di Ginny, trascinandola verso la porta della stanza. La giovane Weasley, come risvegliatasi dal proprio terrore, liberò il braccio intrappolato nella mano di Malfoy e con violenza, sollevò una mano, graffiando il volto diafano di Malfoy.

Il ragazzo si ritrasse, toccando con la punta delle dita i rigoletti di sangue che uscivano dalle ferite. Osservò le proprie mani con aria assente ed indifferente. Ginny si ritrasse, ma con la schiena urtò la vecchia mobilia della stanza, mentre percepiva uno spigolo legnoso pungerle la pelle. D'improvviso, sentì un dolore secco alle gambe e, priva di qualsiasi forza negli arti inferiori, cadde a terra, sulle proprie ginocchia. Ginny imprecò, mentre sollevava lo sguardo su Malfoy che la stava sovrastando con tutta la sua imponenza; nella mano destra impugnava la propria bacchetta.

"Non mi dai altra scelta, Weasley. Io ti avevo avvertito."

Detto ciò, Malfoy richiamò a sè il proprio mantello e, sempre mantenendo puntata la bacchetta su Ginny, si coprì il volto con il cappuccio, nascondendolo dietro ad una maschera dorata. Ginny ricordò l'importanza che le maschere assumevano tra i Mangiamorte: permettevano loro di non essere riconosciuti, inoltre il colore simboleggiava l'importanza di ciascun seguace tra i devoti di Voldermort.

E lui, alla fine, non aveva fatto eccezione.

Draco Malfoy era esattamente un Mangiamorte come tutti i Serpeverde.

"Un Mangiamorte." Farfugliò Ginny, chinandosi su se stessa. Malfoy mantenne il suo sguardo di ghiaccio sulla ragazza, senza mutare espressione al tono sprezzante di Ginny. La giovane Weasley pensò nuovamente alla propria posizione, mentre un barlume di lucidà tornò a scintillare nella sua mente. Sotto al mantello che copriva l'esile corpo, la tensione si era tramutata in una contrazione involontaria dei muscoli. Concentrò la propria attenzione sulle gambe, ma, con sua grande preoccupazione, esse non si mossero come lei si aspettò.

"Cosa diavol-" Un bruciore soffuso prese a scenderle fino ai piedi. Le mani di Ginny, sotto al mantello, entrarono in contatto con un liquido umido e vischioso. Sorpresa, Ginny si scostò la pesante veste e con orrore vide innumerevoli ferite sanguinanti che incidevano la sua pelle arrossata. Il sangue della ragazza cadde a terra, impregnando il tappeto su cui Ginny era accasciata. La giovane Weasley si morse il labbro inferiore, cercando di resistere al dolore provocato dall'apertura di quelle ferite, mentre le lacrime presero a scenderle dagli occhi.

"Adesso ti sarai convinta che non puoi agire come ti pare. La tua vita è indispensabile a Voldermort."

E Voldermort fu esattamente ciò che vide.

**

"Preside Silente?" Hagrid entrò nel grande studio, dopo aver bussato alla porta di legno massiccio. Il vecchio mago, seduto alla sua scrivania, sollevò lo sguardo al di sopra dei propri occhialetti e fissò il gigante. Senza attendere alcuna parola da parte di Silente, Hagrid fece un passo avanti nella stanza.

"Ho condotto Harry e i suoi amici alla porta dei sotterranei."

"Molto bene, a quest'ora avranno sicuramente raggiunto la Foresta." Nonostante la barba bianca del preside, Hagrid notò le esili labbra del mago incurvate verso il basso. Fin dall'inizio aveva stentato a credere che Silente avesse permesso a tre Auror, come Harry, Hermione e Ron di lasciare il castello. I Membri dell'Ordine avevano riposto grande fiducia nei tre ragazzi affinché difendessero il destino di Hogwarts da ciò che lo minacciava. Ma Silente, li aveva lasciati deliberatamente andare. Hagrid aveva sentito che Ginny Weasley era scomparsa durante l'attacco dei Mangiamorte e la sua mancanza aveva allarmato il fratello Ron Weasley, spingendolo a compiere una simile azione.

"Preside, Harry, Hermione e Ron hanno poche possibilità di ritrovare la giovane Ginny. Non hanno indizi su dove possa essere. Con tutto il rispetto che ho per lei e per Merlino, dubito che la decisione di lasciarli andare sia stata giusta."

Silente sorrise amaramente.

"Hagrid, tu pensi veramente che Hogwarts possa avere un futuro?"

La frase asettica pronunciata dalle labbra del Preside allarmò non poco Hagrid, che, con tutta la imponente massa, si avvicinò alla scrivania di Silente.

"Preside Silente! Come può proprio lei decantare la fine di Hogwarts!? Quei Mangiamorte non avranno mai questa scuola, dovessi morire per proteggerla!"

"Ciò ti fa onore, Hagrid. Nemmeno io ho intenzione di arrendermi così facilmente a Voldermort, ma la realtà dei fatti mi mette di fronte a ben altre decisioni. Hogwarts sta spirando e prima che tutto finisca, noi dobbiamo vincere."

Hagrid osservò il proprio preside con lo sconcerto dipinto negli occhi. Silente non ci fece caso.

"Hagrid, sai bene che a volte per vincere bisogna mettere in gioco tutto ciò che si ha... anche a rischio di perderlo definitivamente. Tutto ciò che ho è questa Scuola e gli Studenti che la frequentano."

"Ma questo sarà un vero e proprio massacro." Disse Hagrid, con una smorfia addolorata.

"Massacro o no, noi dovremo combattere anche se ciò per cui lottiamo andrà perso."

Il gigante strinse i pugni lungo i fianchi.

"Ginevra Weasley non è morta, ma è stata rapita da Voldermort."

"Allora lei sa dov'è?" Domandò stupito Hagrid.

"No, non esattamente. Ma a quanto pare Draco Malfoy ha lasciato intendere che la ragazza è viva. Harry me ne ha parlato. Probabilmente Voldermort la intende usare a suo vantaggio per attirare l'Ordine in una sua trappola."

Hagrid sbattè irrispettosamente i pugni sulla scrivania di Silente, accendendosi di un rosso scarlatto.

"Ma in questo modo ha mandato Harry e gli altri verso una MORTE SICURA!"

Silente rispettò lo sconvolgimento nell'animo del gigante ed attese qualche minuto prima di rispondere.

"Harry ne è al corrente. Ed ha accettato. Trovare Ginevra è l'unico modo che abbiamo per trovare anche Voldermort." Disse serio Silente.

Hagrid abbassò lo sguardo, ma il Preside sorrise lievemente. "Mi scusi per la mia rezione."

Quando Hagrid abbandonò la stanza, Severus Piton si presentò alla soglia dell'ufficio di Silente.

"Preside, ho riferito a Potter, Weasley e Granger ciò che mi aveva detto."

"Molto bene. Adesso dobbiamo trovare un modo per allontanare i Mangiamorte da Hogwarts."

"Se non ha niente in contrario, io avrei un piano da proporle."

Silente notò lo scintillio negli occhi di Severus Piton.

**

Sentì il freddo torturarle le ossa, ma sapeva che quell'agghiacciante sensazione non era dovuta ad una banale questione atmosferica. In piedi, Ginny fissava una porta immensa, che si stagliava per molti metri al di sopra della sua testa. Nonostante il terrore che pian piano aveva preso possesso del suo corpo, Ginny lasciò cadere lo sguardo sulle decorazioni che adornavano le venature del legno: due serpenti dorati decoravano tutto il perimetro della porta e con le proprie teste, giungevano all'altezza della maniglia, anch'essa dorata. Ginny rabbrividì, osservando le lingue biforcute che si intrecciavano dando origine alla serratura. In essa, non era riposta alcuna chiave.  Dietro di lei, Draco Malfoy attendeva di essere ricevuto dal proprio Signore, mentre, sempre con la bacchetta puntata, impediva a Ginny di compiere qualsiasi tipo di mossa.

Al loro arrivo, Ginny aveva osservato Malfoy mentre parlava con un uomo sparuto, basso e dall'aspetto poco gradevole. Dalla veloce occhiata che le aveva rivolto, la giovane Weasley aveva notato le due profonde cicatrici che segnavano i lineamenti del servo.

"Un modo come un altro per punire gli infedeli." Le aveva detto Malfoy, osservando lo sguardo della ragazza.

Ginny rimase in silenzio, convinta del fatto che Voldemort non si faceva scrupoli a punire i suoi stessi seguaci. Ricordava le parole di suo padre, quando con l'ira negli occhi, affermava che Voldermort pretendeva la fedeltà più di qualsiasi altra cosa; per questo, ciò che gli aveva raccontato Malfoy riguardo all'unione della sua famiglia con Voldermot gli era suonato alquanto strano.

Abbandonò quei pensieri, perché, fondamentalmente, erano privi di importanza. In quel momento, benché la paura la divorasse, doveva mantenere la mente lucida, pronta per approfittare di qualsiasi occasione che le permettesse di fuggire.

Osservò le spalle di Malfoy, ampie e robuste, mentre il ragazzo si apprestava a chiedere udienza al proprio Signore.

"Smettila di fissarmi. Mi dai fastidio." Le disse, senza nemmeno voltarsi.

Ginny abbassò lo sguardo. Perché non poteva fare altrimenti... no, non poteva. Perché lei era nelle loro mani, era loro prigioniera. E ribellarsi equivaleva solo ad affrettare l'ora della sua morte.

Doveva portare pazienza.

Sì, la stessa pazienza che suo padre le aveva insegnato a coltivare. La calma e la pazienza sono le virtù dei forti, andò ripetendo mentalmente, ricordando il detto babbano che suo padre amava tanto.

Suo padre.

Mentre la porta di fronte a loro prese lentamente ad aprirsi, Ginny ripensò alla sua famiglia. A Ron, ad Harry e a Hermione. Desiderava averli accanto, desiderava vederli anche per l'ultima volta, se necessario.

Da quando era stata imprigionata tra quelle mura, non c'era momento in cui Ginny non pensasse a loro. Al suo appicicosissimo fratello, al suo idolo di sempre e alla ragazza che più di tutte aveva saputo ascoltarla. Loro, probabilmente, la stavano cercando. Sì, il pensiero di saperli da qualche parte, impegnati nella sua ricerca la confortava, molto più di quanto lei stessa era disposta ad ammettere.

"Vai."

Malfoy la spintonò oltre la porta e Ginny, presa alla sprovvista, barcollò all'interno della stanza. La ragazza assottigliò lo sguardo, incapace di vedere oltre a sè, a causa del buio soffocante. Abbassò lo sguardo e notò che una fila di piccole fiammelle, disposte in fila indiana, si stendeva davanti a lei, tracciando con la loro luce tremolante un piccolo percorso.

Con il cuore in gola, seguì con gli occhi la fila di piccole luci, sollevando lentamente la testa. Laddove l'oscurità pareva ancora più densa, Ginny scorse una massa indistinta, probabilmente seduta. Alle sue spalle, la giovane Weasley percepì la presenza di Malfoy e udì la porta richiudersi, precludendole qualsiasi speranza di fuga.

"Benvenuta, giovane Weasley."

Ginny rabbrividì nell'udire il suo nome, a lei tanto caro, pronunciato da un timbro di voce metallico e basso.

La voce di Voldermort, non ci sono dubbi.

No, non aveva dubbi.

Di fronte a lei stava il nemico numero uno dell'Ordine.

Il nemico della sua famiglia, il nemico di Harry e l'assassino di molte persone.

Malfoy, dietro di lei, fece un passo in avanti, affiancandola. Dopodiché, senza nemmeno guardarla negli occhi, si inchinò di fronte al nulla.

"Le ho portato Ginevra Weasley. Come lei ha comandato."

Ginny storse la bocca, udendo il tono estremamente ossequioso di Malfoy. Un tono che non si addiceva ad una persona arrogante ed orgogliosa come lui. Ma stiamo parlando di Voldermort, si era detta. E nessuno può oltraggiarlo, nemmeno un Malfoy.

"Eccellente. Sarai ricompensato come promesso." La voce metallica divenne vischiosa, quasi insopportabile a sentirsi.

Draco Malfoy fece un secondo inchino, ringranziando con tale gesto il proprio Signore. Ginny ebbe la sensazione di sentire un paio d'occhi puntati contro di lei. E raggelò al pensiero che tale sguardo potesse appartenere a Voldermort.

"Fai un passo avanti."

Ginny sentì i muscoli del proprio corpo irrigidirsi, mentre la voce biascicata di Voldermort scandiva ogni sillaba del suo nome. Stava tremando, e Ginny si maledì per quell'atto di debolezza che stava mostrando al proprio nemico. Voldermort poteva sentire la paura, perché era la Paura stessa a formare il suo ego. Godeva e si nutriva del terrore provato dalle sue vittime, ci giocava e alla fine le straziava. Leggende, storie che gli Auror avevano più volte professato come vere. Si accorse di non aver la minima intenzione di sperimentare tutto ciò sulla propria pelle. Inoltre tutto quel buio non l'aiutava.

"Fa come ti ha detto." Le biascicò Malfoy al suo fianco.

Ginny guardò il biondo ex-Serpeverde e trascinò, in un secondo momento, lo sguardo sulla distesa di fiammelle.

"Non c'è motivo per terrorizzare la nostra ospite, Signor Malfoy." La voce di Voldermort risuonò nell'aria, suonando falsa alle orecchie di Ginny. La ragazza non potè distinguire i lineamenti del volto di Malfoy, ma giurò di vedere il ragazzo chinare il capo contro il suo orgoglio.

"Lumus!"

Ginny chiuse gli occhi di scatto, feriti dalla luce improvvisa che si sprigionò nella stanza. Benché sapesse che la sua vista non avrebbe avuto problemi ad abituarsi a quel cambiamento repentino, non ebbe il coraggio di aprirli. Perché immaginava perfettamente la visione che li avrebbe colmati.

"La Luce richiama l'Ombra, esattamente come il Bene implica il Male. Bene e Male riuniti in un'unica stanza... qualcosa di veramente unico." Ginny percepì quelle parole come se le fossero nate da dentro. E sentire Voldermort dentro di lei fu qualcosa di assolutamente inquietante.

"Non credi anche tu, giovane Weasley?"

Ginny aprì finalmente gli occhi, non tanto perché era stata lei a volerlo, bensì perché non aveva potuto fare altrimenti. Ebbe la strana sensazione di essere manovrata, come se Voldermort stesso dettasse le sue azioni in lei.

E gli occhi di Ginny videro ciò a cui un Auror ambiva di più nella sua vita: una figura, avvolta in un mantello blu notte, troneggiava a qualche metro di distanza da lei, nascondendo l'identità del suo volto agli astanti. Sì, perché in quella stanza, lei, Draco e Voldermort non erano gli unici presenti. Lo sguardo di Ginny cadde su ciascuna delle figure incappucciate, dai volti celati dietro maschere dorate e argentate e dai corpi avvolti come in sudari. Rabbrividì. Un'unica stanza, sembrava contenere centinaia di Mangiamorte.

Ginny tornò a posare lo sguardo sulla figura che sedeva al centro di quella stanza immensa. Non capiva se era solo un'allucinazione dettata dal proprio stato d'animo, ma aveva come la sensazione che Voldermort apparisse molto più imponente rispetto a tutti gli altri.

"Adesso, giovane Weasley, possiamo anche parlare di affari." Disse, strascicando il timbro della voce.

Ginny fece una smorfia, sprezzante.

"Affari? Non ho la minima intenzione di trattare con Voi!" Disse Ginny, maledicendosi un attimo dopo per il tono di voce che aveva usato.

Tra la schiera dei Mangiamorte, Ginny vide la figura di un incappucciato sfrecciare al centro della sala, verso la sua direzione. Senza avere neanche il tempo di mettere a fuoco l'intera scena, Ginny sentì una stretta poderosa attorno al suo collo.

"Modera le parole, puttana!"

Ginny afferrò con le proprie, le mani guantate del Mangiamorte, mentre il respiro le veniva sempre di più a mancare. A causa delle catene che le avevano imprigionato i polsi, la ragazza capì di non avere più forza per stringere qualcosa.

"Adesso, basta."

Nell'udire l'ordine del suo Signore, il Mangiamorte mollò la presa sulla ragazza. Ginny, tossendo per l'aria improvvisamente aspirata, retrocesse di un passo chinandosi leggermente. Un urlo tagliente costrinse Ginny a sollevare di colpo il capo, mentre la figura dell'incappucciato che fino a un momento prima aveva intenzione di ucciderla, si accasciò ai suoi piedi, mentre un rigolo di saliva mischiata a sangue scendeva dalla bocca, contratta in una smorfia di dolore. Ginny, spaventata da un simile gesto, si lasciò sfuggire un singhiozzo, mentre sentì mormorare uno stupido da Malfoy, che ancora le stava a neanche due metri di distanza.

"Non c'è cosa che più mi disgusta, quando i miei ordini non vengono rispettati." Sibilò Voldermort, come a volersi giustificare per quel gesto. Ginny osservò la mano pallida dell'Oscuro sollevarsi, mentre con un semplice gesto dava l'ordine di portare via il cadavere. Dalla schiera di Mangiamorte, due incappucciati si diressero verso di lei, si chinarono e portarono via di peso il loro compagno.

"Ginevra Weasley è una mia ospite," disse Voldermort, marcando l'ultima parola ,"Pertanto va trattata con il dovuto riguardo." Emise un sibilo soffuso, che ben contraddiceva la frase appena pronunciata.

"Ma pretendo comunque rispetto... come vedi, eliminare te o loro, non fa differenza." Disse, lasciando intendere che con loro si riferiva ai suoi seguaci.

Se non fosse stato per il velo che copriva il suo volto, Ginny giuro di vedere Voldermort sorridere.

"Anzi, forse c'è una differenza. La tua vita mi è in questo momento molto utile... è la sola ragione per cui ti risparmio."

E Ginny non ebbe motivo per non credere alle sue parole.

"E per cosa sarei utile?" Domandò Ginny, trattenendo l'aria dentro ai polmoni ,"Non faccio forse parte di quel futuro che vuoi distruggere?"

Ginny osservò Voldermort, che immobile, sembrò soppesare l'importanza delle sue parole.

"Devo forse pensare," Disse poi con un ringhio ,"Che Draco Malfoy ti ha detto cose che NON aveva il permesso di dire?"

Il chiamato in causa sollevò la testa di scatto, osservando Ginny e poi l'Oscuro, con uno sguardo di incomprensione dipinto sul volto. Prima che Ginny potesse in qualche modo rispondere, vide Malfoy, al suo fianco, contrarsi violentemente, afferrandosi con altrettanta violenza la testa con le mani. Malfoy cadde a terra, divincolandosi come un serpente, emettendo grida lancinanti, raramente alternate a sigulti e singhiozzi.

"N-no... NO!"

Come conseguenza alla sua reazione, Draco, steso sul freddo pavimento, parve calmarsi. Ginny, sorpresa di aver gridato a quel modo, per quella circostanza, rimase immobile a fissare Voldermort, senza avere il coraggio di abbassare lo sguardo.

"No-non è stato Malfoy a dirmi ciò che so..." Disse, balbettando, non sapendo come difendersi da quella situazione.

Un Cruciatus, Ginny l'aveva riconosciuto.

E sapeva molto bene, ciò che scatenava un Cruciatus nella mente delle sue vittime. Dolori tanto lancinanti da spezzarti il fiato, da privarti dello stesso respiro. E poi, la pazzia eterna, laddove il Cruciatus veniva lanciato a vita.

Sì, comprendeva il dolore, benché fosse il dolore di un Malfoy.

Che poi fosse questo il motivo del suo no, bhé, preferiva non domandarselo.

Voldermort rimase in silenzio, per un lasso di tempo che a Ginny parve eterno. Ai suoi piedi, percepì il respiro, ora regolare di Malfoy.

"L'Ordine?" Domandò l'Oscuro.

Ginny, incerta sulla risposta, preferì limitarsi a un solo cenno col capo. Un cenno d'assenso. Immaginare ciò che provasse Voldermort era inconcepibile per lei. Paura? No, Voldermort non aveva paura, perché la paura era insita in lui. Allora, rabbia? Sì, probabilmente era la rabbia il sentimento che lo accendeva in quel momento. Perché l'Ordine aveva scoperto i suoi piani, perché poteva in qualsiasi modo trovarlo.

"Tu!" Tuonò, mentre il suo timbro metallico sembrò stridere come i cardini arrugginiti di una porta. Ginny abbassò lo sguardo su Malfoy, che a fatica si stava mettendo in piedi, con una smorfia di dolore che cercava di nascondere.

"Mio Signore?"

Ginny non potè fare a meno di constatare quanto la voce di Malfoy fosse ridotta a un rantolo.

"Anche se porti il nome dei Malfoy, mi basta anche solo tuo padre per i miei scopi. Un solo passo falso e il Cruciatus che ti scaglierò sarà ben peggiore, tanto che mi pregherai di ucciderti."

Draco Malfoy si chinò leggermente, serrando le labbra in una smorfia di dolore.

"In quanto a te, Ginevra Weasley. Tra due giorni, all'alba, verrai condotta dai tre Auror incaricati di trovarti."

Ginny rimase in silenzio, mentre un sentimento molto simile alla gioia, prese a traboccarle dal cuore. Tre Auror. Sì, non potevano che essere loro: Ron, Harry ed Hermione. Come aveva sperato, erano venuti per lei, per cercarla, per salvarla. Ma fu solo la gioia di un breve istante, perché quando vide Voldemort alzarsi in piedi, un qualcosa, dentro di lei andò in frantumi.

"Incontrerai Harry Potter e lo condurrai secondo le mie disposizioni. E se cercherai di ingannarmi, tu e i tuoi insulsi amichetti potrete dire addio alla vostra vita." Ginny osservò l'Oscuro Signore incamminarsi verso di lei, ma ebbe come la sensazione che stesse fluttuando nell'aria. Le pieghe del mantello color blu notte si mossero libere, come se non avvolgessero affatto un corpo di carne ed ossa.

Sentì il freddo insinuarsi nelle pieghe del suo mantello, mentre Voldermort diminuiva la distanza tra loro. Lo stesso freddo, la stessa angoscia, che aveva provato nella Foresta, durante l'attacco di un Dissenatore. E la stessa opprimente paura che si prova quando si vorrebbe fuggire, con la consapevolezza che i piedi non scatteranno mai per permettere la fuga.

Così si sentiva Ginny in quel momento.

Le spalle contro un muro molto più alto di lei... e di fronte a sè, aveva solo due scelte. Due scelte che si riducevano drasticamente ad una: obbedire, per quanto le fosse possibile, a Voldermort. Sentì la propria volontà ritorcersi contro quella decisione, come se il veleno avesse colmato interamente il suo corpo. Si sentiva macchiata di tradimento, anche se ancora non aveva tradito.

Rifiutarsi di collaborare non solo avrebbe abbreviato la sua vita, ma anche quella di Ron e dei suoi amici. Se invece si limitava ad ubbidire, avrebbe potuto trovare l'occasione per svelare il piano dell'Oscuro ad Harry ed insieme, trovare un modo per salvarsi.

La scelta era difficile, ed il tempo a sua disposizione molto limitato.

Quando Ginny smise di pensare, notò con terrore che Voldermort era a poco più di un metro di distanza da lei. Ebbe l'impulso di ritirarsi, ma le gambe non obbedirono al suo volere. Impaurita, Ginny fu costretta a guardare davanti a sè e la vicinanza sgradita le permise di vedere Voldermort nella sua interezza. E non era cosa da poco; cercò di sdrammatizzare, pensando a quanti Auror avrebbero fatto la firma, per essere al suo posto. Bastava un braccio sollevato e la distanza tra loro diventava nulla. E cercò la fortuna, laddove era precaria: ad un passo dalla Morte e miracolosamente viva. Nessun Auror, nemmeno il più potente, si era mai avvicinato così tanto a Voldermort e, anche se era capitato, non era certo tornato indietro per raccontarlo.

E questo Ginny lo sapeva.

La ragazza emise un gemito sommesso, mentre chiuse gli occhi con tutta quanta la forza che aveva in corpo. Di fronte a lei, Voldermort rimaneva in silenzio ed immobile. Ginny percepì l'ondata dei suoi pensieri diventare sempre più lieve, come se la razionalità stessa abbandonasse il suo corpo. Sentì una voce, ferrosa e metallica, insinuarsi tra i recessi della sua mente, usando violenza contro i suoi ricordi più felici e spensierati. Sentì la coscienza abbadonarla, mentre l'esile mano di Voldermort si protese verso la sua guancia. E Ginny aprì gli occhi, e vide. Vide ciò che era inconcepibile per un essere umano. Vide ciò che Voldermort celava dietro quel mantello, vide ciò che era veramente.

Gli occhi di Ginny, seppur appannati, osservarono il lembi del mantello scivolare verso la spalla dell'Oscuro, come rapiti da una danza ipnotica. Sbarrati, sorpresi ed impauriti per ciò che andavano vedendo: un braccio diafano, tanto bianco quanto la neve d'inverno, colmo di tagli e cicatrici che gemicavano una sostanza verdastra, simile al più tossico dei veleni. E poi lo percepì. Le sue narici furono aggredite violentemente da un odore che Ginny aveva avuto modo di conoscere in passato.

L'odore di putrefazione.

Troppo forte, troppo intenso.

Troppo per il suo debole corpo.

Smise di respirare, cercando di trattenere un conato. Sentì il suo stomaco ribellarsi violentemente, reagire. Si sentì male, molto male. Si convinse che la morte non era il peggiore dei mali, se paragonato al turbinio di disgusto che stava provando in quel momento.

Desiderò morire, ormai al culmine delle sue forze.

Ogni parte del suo corpo era diventata insensibile, come anestetizzata. Non sentì più le gambe, nè le braccia, le parve di essere tutt'uno con l'aria circonstante. Malfoy osservava con attenzione, in disparte. Non poteva e non voleva mostrarsi. Notò il pallore di Ginny farsi sempre più mortale, come se ogni singola goccia del suo sangue fosse stata risucchiata. Gli occhi vitrei, sbarrati.

Non aveva dubbi.

Voldermort stava attuando ciò che sapeva fare meglio: annullare l'animo umano... penetrando le più segrete intimità, annullando qualsiasi tipo di certezza o pensiero ritenuto tale. Si nutriva della paura, dell'angoscia, dei pensieri felici. Li annullava, li distruggeva fino a ridurli ad una poltiglia irrecuperabile.

E lui, come tutti i Mangiamorte, sapeva di quel potere.

Il potere che usava per soggiogarli, per renderli docili ed inoffensivi. Lo stesso potere che, se prolungato, aveva effetti devastanti, pari ad un Cruciatus.

Lui, Draco Malfoy, osservava la giovane Weasley mantenendo la sua espressione impassibile. Non provava pietà, perché provare pietà era una debolezza dell'animo. Qualcosa che l'Oscuro disprezzava. Ma provava consapevolezza.

Sì, benché il corpo della ragazza rimanesse immobile, sapeva cosa si andava rompendo dentro.

Si perdeva contatto con la realtà, precipitando in un limbo fatto delle tue stesse paure. E le vivevi, perché loro ti assalivano, ti rincorrevano e ti raggiungevano, straziandoti, penetrandoti. Il tuo unico attaccamento alla vita, ciò che ancora ti rendeva un essere umano, andava lentamente scomparendo, risucchiato da qualcosa di molto più grande della tua misera volontà. Cercavi un appiglio, una remota speranza a cui aggrapparti, a cui sorreggerti. Ma niente. Quando prendevi coscienza di ciò che stavi diventando, tutto diventava più chiaro, più distinto... come se tutti i tuoi dubbi avessero facile risoluzione. Semplicemente capivi di essere morto, morto dentro.

E non esisteva Dio a cui appellarsi.

Abbandonato in te stesso, da te stesso.

Solo, miseramente solo.

Avresti continuato a trascinarti dietro un'esistenza priva di sogni, di ambizioni.

Fino alla Morte, quella vera, la tua salvezza, la tua redenzione.

La Morte che sempre avevi agognato, con le ultime fibre del tuo essere.

Lei sarebbe giunta, ti avrebbe liberato dalle catene e ti avrebbe avviluppato con il suo calore.

Caldo, caldo e soave era il ritorno alla terra, alle ceneri, all'esistenza primordiale.

Ma fino ad allora, fino a quando la Falce non si fosse presentata al tuo cospetto, non potevi fare altro che andare avanti, stringere i denti e lottare per qualcosa che sapevi di aver già perso. Qualcosa che non sarebbe mai tornato indietro, qualcosa che avevi perso per sempre.

La tua Vita.

E questo lo sapeva, sì, Draco Malfoy lo sapeva.

Perché era esattamente la Vita, ciò di cui era stato privato. Come tutti i Mangiamorte che riempivano la sala. Benché esistessero, tra quella schiera, legami di sangue, figli e genitori assieme, nessuno pensava agli altri, ma esclusivamente a se stesso. Mantenere l'ultimo briciolo di amor proprio era tutto ciò che gli era permesso fare. E di fronte a Voldermort, tutti erano uguali e dannatamente deboli.

Ginny Weasley, un essere della Luce.

Non poteva vederle, ma si immaginò le ali piumate della ragazza piegarsi contro il Male che la stava divorando. Lentamente, inesorabilmente. C'era differenza tra Luce ed Ombra. Una netta differenza. Benché la prima attirasse la seconda con il suo invitante aspetto, una volta in contatto, l'Ombra si mescolava alla Luce, creando qualcosa di indefinito ed estramemente pericoloso. Come il Nero e il Bianco che generano il Grigio. Colore misterioso, ambiguo, devoto ad entrambi i colori che gli danno vita. E così era l'animo umano, come il Grigio sulla tavolozza di un pittore: l'uomo, mai immensamente buono, ma il più delle volte immensamente cattivo. Capace di fare del bene, propenso a fare del male.

Esisteva del buono in lui?

Rise, mentalmente, ma rise. Perché farsi una tale domanda, quando la risposta era tanto ovvia: impossibile.

Non era nato per essere buono, lui. Altrimenti, avrebbe compreso ciò che significava l'essere pio. E lui, di fatto, non lo comprendeva. Amore, pietà e compassione. Aveva compreso che per lui erano parole senza senso: odiava la compassione, disprezzava la pietà e non conosceva l'amore.

Suo padre non lo amava, semplicemente gli era indifferente.

Sua madre, forse, l'avrebbe compreso. E amato. E protetto. Ma Narcissa, la bella Narcissa era morta, lasciandolo solo, nelle mani di suo padre.

Quando tornò a guardare alla realtà, Malfoy notò l'esile figura di Ginny, accasciata ai suoi piedi e sopraffatta dall'Oscuro Signore.

Sciocca di una Weasley, il buonismo gratuito è la causa stessa della tua sofferenza.

"Fanne ciò che vuoi. Considerala come la mia ricompensa per i tuoi servigi. Ma non ucciderla fino a quando mi sarà utile, altrimenti pagherai con la tua stessa vita. " Draco tornò ad osservare il corpo della ragazza disteso a terra, mentre percepì l'Oscuro allontanarsi da loro.

Pagare con la mia vita? E' da anni che non aspetto altro. Peccato che il mio orgoglio mi impedisca di farmi ammazzare.

Sollevò Ginny, gemendo per il peso della ragazza e per il proprio corpo, che ancora subiva le conseguenze del Cruciatus.

Storse il naso al pensiero che una Weasley fosse diventata il premio per i suoi servizi. L'importanza della ricompensa non era affatto elevata quanto le volte che aveva rischiato di morire per la causa di Voldermort. Ma sapeva che ogni "dono" doveva essere accettato, senza lamentele, perché era già tanto riceverne uno.

Uscì dalla sala, in silenzio.

Sentì gli sguardi dei Mangiamorte puntati contro le sue spalle e gli parve di percepire invidia e rabbia.

L'invidia. L'unico sentimento che li manteneva incollati a quella terra.

L'unico sentimento che gli procurava piacere se, naturalmente, non era lui a provarlo.

Abbassò lo sguardo su Ginny, che con la fronte imperlata di sudore, sembrava aver riacquistato un po' di pace interiore.

E forse comprese la loro rabbia.

Era bella e desiderabile. Ma ancora di più, era una donna.

E Voldermort l'aveva concessa a lui, ad un Malfoy.

Sorrise soddisfatto, crogiolandosi in quell'immenso piacere che assumeva il nome di Vittoria.

**

"SIETE DUE PAZZI!" Ron, rosso in viso, sentiva il proprio sangue pulsargli ferocemente nelle vene del collo.

"Ron, per l'amor del cielo, calmati." Gli disse pacato Harry, cercando di frenare la valanga di parole dell'amico.

"Sì, Ron, dacci un taglio." Sibilò secca Hermione.

"CALMARMI?! Avete IDEA dello spavento che mi avete fatto prendere?!" Gridò additando l'amica.

Harry si nascose il volto con le mani, gemendo in segno di rassegnazione, mentre Hermione si accaniva sempre di più contro il rosso.

"Ron, era NECESSARIO! Io ed Harry sapevano dell'esistenza di questa... buca."

"Buca?! Cinque metri di discesa franosa per te sono una... BUCA?! Potevo rompermi l'osso del collo! Sa solo Iddio come faccio ancora ad essere vivo!"

Hermione sbuffò, guardando Harry con uno sguardo del tipo E'-tuo-amico-quindi-parlaci-te.

"Ron, ci dispiace, davvero. Ma era necessario! Se non ti avessimo trascinato qui dentro, adesso saresti il pranzo di quell'essere." Disse, alzando il dito indice verso l'alto.

"Va bene, potreste anche avere un minimo di ragione! Ma Cristo, Harry! Non stiamo facendo una passeggiata! Quando ho visto che Hermione non era più dietro di noi, ho pensato che fosse davvero finita!"

"Il solito esagerato." Disse Hermione, ma sinceramente grata per la preoccupazione dell'amico.

"Vorrei vedere te al mio posto," Ribattè secco Ron. "Voi due siete troppo importanti, non posso lasciarvi morire come... come due IDIOTI!"

"Grazie per il complimento." Disse Harry, dando una pacca sulla spalla dell'amico.

Ron emise un lungo sospiro, cercando di distendere i nervi a fior di pelle.

Non si era arrabbiato solamente perché i suoi due migliori amici l'avevano tagliato fuori da un piano, che, vista la situazione, decretava la continuazione o meno delle loro vite, ma anche perché fermarsi, comportava un arresto, almeno temporaneo, del suo piano. Perché la sua preoccupazione per Ginny, diventava sempre più intensa di ora in ora e per quanto avesse fiducia nell'istinto di Harry, nessuno poteva cancellare a priori le sue inquietudini.

Era più che mai desideroso di uscire dalla Foresta, di trovare sua sorella e di uccidere Voldermort. Anche se l'Oscuro Signore non era stato citato al termine del suo piano. Ma lui, in cuor suo, ci sperava. Ardeva dal desiderio di debellare dal mondo la radice stessa del Male.

E sentiva che con al fianco Harry ed Hermione, avrebbe potuto fare di tutto.

Inoltre amava sua sorella. Ginny era troppo importante.

Troppo.

E non gli importava di essere additato come il fratello possessivo e geloso. Perché lui era esattamente così: protettivo fino allo spasimo delle forze. E sapeva, che spesso, ciò poteva dare fastidio, creare confusione o semplicemente far sorridere.

Non credeva di dover giustificare a qualcuno le sue azioni, perché agiva secondo ciò che gli veniva dettato dal cuore.

E poteva sbagliare, giungere a conclusioni troppo affrettate, o agire di impulso.

Ma per lui tutto ciò non contava, se a ridere con lui, se a vivere con lui c'erano le persone che amava.

Questo era Ron Weasley.

Nero su bianco.

Lo si amava o lo si odiava.

Ron Weasley non era nessuna via di mezzo, nessuna scorciatoia. O si stava con lui o contro di lui.

Era maturato, in modo diverso da Harry, ma finalmente aveva raggiunto quello stadio della sua vita che finalmente lo soddisfava. Aveva adorato Harry e tutt'ora l'amico era per lui un esempio di virtù e coraggio che il più delle volte mancava in uomini più potenti. Però, per quanto volesse bene ad Harry, per quanto fosse il suo amico tra gli amici, aveva sempre vissuto nella sua ombra. Nell'ombra solenne della sua popolarità. E non si trattava solamente di far colpo sulle ragazze, no, Harry era sempre un passo davanti a lui, in tutto. Nel Quiddicht, nello studio - benchè la voglia di applicarsi fosse scarsa in entrambi - e sì, anche nella questione "ragazze".

Perché a nessuno era venuto in mente che, forse, anche a lui poteva piacere Hermione?

Sì, Hermione gli piaceva, benché fosse cervellotica e troppo problematica. Era carina, dai modi gentili, anche se su questo c'era da discutere. Però c'era Harry e lui per primo aveva pensato che l'amico meritasse cento volte più di lui una ragazza come Hermione.

Stiamo insieme. Gli avevano detto. Era l'ora! Aveva risposto lui. E lo pensava veramente.

Fino a prova contraria, non aveva mai, MAI, odiato Harry. Mai. Tutt'altro. Fatto stava che spesso giravano voci di corridoio circa una loro presunta relazione omosessuale.

E ci scherzavano, ridendoci sopra fino alle lacrime.

Santo cielo, a Ron piacevano le ragazze!

Forse se Harry fosse appartenuto alla categoria del gentil Sesso o se fosse stato lui stesso ad appartenervi, qualcosa sarebbe potuto perfino nascere. Non lo escludeva a priori, e nemmeno si vergognava ad ammetterlo.

Tra loro c'era affinità ed una complicità fuori misura. Non poteva negarlo. Ed erano proprio i sentimenti che Ron provava per Harry che gli permettevano di vivergli alle spalle. Perché, fondamentalmente, a lui andava bene.

"Un Penny per i tuoi pensieri." Harry sorrise, come se quel sorriso fosse appartenuto ad un bambino nel pieno di una scampagnata.

Quello era Harry: un bambino, forse.

"Stavo pensando." Sbuffò Ron.

"Pensavi? Fenomenale!" Esclamò Hermione guardando l'orologio babbano che portava al polso. "Un record. Hai pensato per ben dieci minuti."

"Sto migliorando, cosa credi?" Ron storse il naso, decidendo di reggere il gioco alla ragazza.

Hermione non ribattè, non ci trovava gusto quando Ron le dava ampliamente ragione.

"Pensate che quella bestiaccia se ne sia andata?" Domandò Ron.

"Perché non sali per accertartene?"

Harry alzò lo sguardo in alto, immaginando un'ennesima discussione.

"Hermione stava scherzando, Ron." Aggiunse Harry, quando notò che l'amico era pronto a ribattere. "Difatti, dovrebbe essersene andata. Merito della fiaccola di Hagrid." Ron notò un cenno d'assenso tra i due compagni.

"Ovvero?" Domandò, perplesso.

Hermione si strinse nelle spalle, come a voler giustificare l'ignoranza del ragazzo.

"Sicuramente non avrai notato che la fiaccola di Hagrid è cosparsa di una sostanza che è reperibile da un unico arbusto nella Foresta. E sicuramente non avrai intuito che tale arbusto si disseta unicamente delle acque del lago che abbiamo appena visto."

"Quello che Hermione sta cercando di dirti," Spiegò Harry scuotendo il capo "E' che questo lago conosciuto come Lago Santo allontana qualsiasi tipo di creatura magica che si avvicini alle sue sponde."

"Hagrid, dandoci quella fiaccola, ha sperato che ci ricordassimo del collegamento tra la sostanza ed il lago, per proteggerci da eventuali pericoli." Concluse enciclopedica Hermione.

"Credo di aver capito." Disse Ron meravigliato dall'elasticità di analisi di Harry.

"Se ben ricordi, una volta Hagrid ci parlò del Lago Santo. A quando pare solo le Creature Pure possono abbeverarsi con le sue acque."

"Ma se l'essere che ci ha rincorso è fuori dal nostro raggio d'azione, perché siamo in questa buca?"

"Ron, va bene che la mia intelligenza, rispetto alla tua, non è da mettere in discussione, ma comunque non era il caso di rischiare."

"Come facevi a conoscere questo avvallamento?" Domandò Ron ad Harry, ignorando volutamente la frecciatina dell'amica.

Il giovane Weasley osservò con stupore le guance del moro diventare vermiglie, esattamente come il carnato che stava assumendo Hermione. Ron spostò lo sguardo sui due amici, sguadrandoli uno ad uno e domandandosi cosa avesse mai detto di così strano. Poi, ad un tratto, parve capire.

Si imbarazzò a sua volta, spalancando la bocca per la sorpresa.

"V-voi... qui?" Riuscì a dire.

Hermione lanciò uno sguardo di sottecchi ad Harry, mentre con le mani aveva iniziato a torturarsi i lembi del mantello.

Harry, da parte sua, fissò un punto imprecisato ai suoi piedi.

"S-sì... cioè no.. ok, sì, però..." Balbettò.

Ron sollevò il palmo della mano, come per dire all'amico che aveva capito e che non importava che andasse oltre.

"Voi siete dei matti... cioè, non me ne intendo molto ma, voglio dire, un letto non era sufficiente... e più sicuro?"

Hermione serrò le labbra, doppiamente imbarazzata, mentre Harry non ebbe il coraggio di replicare all'ovvietà di quella domanda. Notando il loro imbarazzo, Ron si mise a ridere, sciogliendo quella situazione comica ed altalenante che si era venuta a creare.

Harry distese i muscoli del viso, mentre Hermione osservò con cipiglio la derisione dell'amico.

"Scusate," rise Ron, piegato in due dalle lacrime ,"Ma voi, così perfettini, proprio non vi ci vedo!"

"Ah, ah!" Hermione simulò una risata.

"Co-comunque, lasciando perdere queste cose, "Prese a dire Harry, tentando di deviare l'argomento ,"E' ora di proseguire."

Ron smise di ridere, in compenso piegò gli angoli della bocca in un enorme sorriso.

Era felice, veramente. E non era una questione di masochismo. No, perché Hermione era diventato un capitolo chiuso, almeno per lui.

Semplicemente era felice di saperli felici.

Era stupido? No.

Perché se si amava veramente qualcuno, si poteva solo gioire per la sua felicità.

I tre Auror sollevarono i loro sguardi verso la fenditura della terra in cui avevano trovato rifugio.

La Foresta sopra di loro aveva tremato di nuovo.

Harry scattò in piedi e con l'incantesimo della Levitazione, atterrò a un metro o più dall'apertura. Con la coda dell'occhio, vide che Hermione e Ron lo avevano imitato, mantenendo ben salde le loro bacchette.

"Che diavolo succede?" Gridò Ron, mentre perdeva l'equilibrio a causa delle scosse continue. Hermione, che a stento si reggeva in piedi, cercò appiglio a qualche arbusto o masso nelle vicinanze.

"Cazzo, cazzo, cazzo!" Harry si sbilanciò indietro, cadendo rovinosamente con la schiena contro la terra brulla. Hermione vide le acque del Lago Santo sollevarsi, prendendo la forma di onde dall'aria ben poco rassicurante. Dagli alberi, stormi di uccelli e gufi volarono spaventati.

Era come se la Foresta stesse impazzendo.

Un' ultima scossa e la terra gemette con un rantolo sommesso. Un silenzio improvviso calò, come se la Foresta avesse trattenuto il proprio respiro. Harry percepì qualcosa di inquietante, qualcosa che a pelle gli consigliava di fuggire. E sapeva, osservando i suoi compagni, che anche loro provavano lo stesso. Perché erano Auror, tre tra i migliori. Le loro continue missioni avevano marchiato a fuoco la loro vita, avevano creato delle consuetudini, avevano dato luogo alle loro esperienze. Per essere un Auror non bastava metterci il cuore nelle azioni, ma anche la testa. Tutto andava calcolato: il pericolo, le probabilità di successo. Per questo Harry si fidava del suo istinto. E il suo istinto, paradossalmente alla situazione che stavano vivendo, gli piantava i piedi a terra come le catene impediscono i movimenti a un prigioniero.

"Harry?" Sentì la voce di Hermione ridotta a un sussuro, come se la ragazza temesse di rompere quel silenzio.

E subito dopo, si manifestò il corso del loro destino.

Al centro del Lago Santo, bagnata dalle acque cristalline di quel bacino naturale, stava emergendo una figura incappucciata, con il volto inequivocabilmente nascosto dietro a una mascherina dorata.

"Un Mangiamorte!" Urlò Ron, a pochi passi di distanza da Harry. Il ragazzo sentì una goccia di sudore scendergli lungo la tempia, andando a macchiare il colletto del mantello. Harry rimase in silenzio, serrando i denti come in una morsa, mentre fissava la figura sospesa nell'aria. Sentì il sangue fluire velocemente dentro di lui, mentre il cuore prese ad aumentare i suoi battiti.

"Harry!" Hermione, esattamente dietro di lui, richiamò l'attenzione del ragazzo. Il moro fece un cenno d'assenso e con un gesto unico si calarono i cappucci dei loro mantelli davanti agli occhi; una precauzione che tutti gli Auror erano soliti prendere prima di iniziare a combattere.

Dare al proprio nemico il beneficio del dubbio.

Eppure, Harry aveva la sensazione che niente sarebbe servito.

Perché quel Mangiamorte sapeva, sapeva con chi avrebbe combattuto. E lo vedeva dalla distanza che aveva adottato. Una distanza di difesa.

Intimò Ron ed Hermione a rimanere immobili.

Non ci furono cenni d'assenso, la sintonia tra loro aveva raggiunto i massimi livelli.

Era questa la loro forza.

La reciproca comprensione, senza l'uso intermediario delle parole.

"Harry Potter, Hermione Granger, Ronald Weasley!" Tuonò la voce del Mangiamorte.

Una voce da donna.

Harry sollevò gli angoli della bocca in un sorriso sprezzante.

Una voce inconfondibile, quando la si udiva.

Una voce che avrebbe riconosciuto tra mille altre, in quanto richiamava alla sua mente il ricordo di Sirius, Sirius Black.

"Venendo qui, oggi, avete decretato la vostra condanna a morte."

"Come fa a sapere i nostri nomi?" Farfugliò Ron, da sotto la falda del suo cappuccio.

"Harry, la conosci?" Domandò Hermione, avendo capito che si trattava di una donna dal timbro della voce.

Harry fece un cenno d'assenso, mentre sentì la cicatrice ardere sulla sua fronte.

"Bellatrix Lestrange."

 

**

Note dell'Autrice: Dunque, nel mentre che vi ricomponete (sia per la sorpresa di trovare un nuovo capitolo, che per questo finale ad effetto), io rispondo alle vostre recensioni. Micia_Loves_Draco, il problema non era tanto il non volerla continuare, quanto il non sapere come continuarla XD! Comunque, all'epoca ho creato un Lucius davvero meschino, pensare che adesso mi piace XD; Ommy, al tempo in cui scrissi questa storia in Italia avevamo il "Prigioniero di Azkaban" e forse (perchè non ricordo) "Il Calice di Fuoco", quindi fai i tuoi conti. Infatti, non credo che seguirò la trama dei libri seguenti (ormai è impossibile), forse prenderò qualche informazione che non abbia gran rilievo; jessy16, se non comprendi quanto Draco possa essere interessato o meno a Ginny, significa che, modestemènt, sto facendo un ottimo lavoro! :D; zippo, in questo capitolo hai avuto le risposte alle tue domande! Infine, Flori, grazie dei complimenti! <3

Claudia

 

 

  
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