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Autore: syontai    04/12/2013    15 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 13

La gabbia del coniglio

“Thomas!” lo chiamò a lungo Violetta, inseguendo il Bianconiglio lungo i corridoi illuminati dalla luce pomeridiana. “Ciao, Violetta” si voltò il giovane, rivolgendole un cenno col capo. “Ciao! Senti, Thomas, ieri notte sei rimasto per tutto il tempo nelle tue stanze?” chiese direttamente, senza tanti convenevoli, aspettando una risposta sincera, che non sarebbe mai arrivata. “Ehm…si, certo che si, come mai?” ribatté il giovane, parecchio innervosito. Come mai quella buffa domanda? E perché quello sguardo indagatore? Improvvisamente le gambe iniziarono a tremargli, e le mani a sudare. I baffi biancastri seguivano il ritmo delle gambe, e non sapeva cosa fare, ma doveva inventarsi una scusa. “Hai sentito la regina che mi chiama?” la bloccò, prima che potesse chiedergli altro. Violetta si accigliò leggermente a quelle parole: “Veramente, io non sento nulla, e…”. Thomas non le diede il tempo di finire che fuggì via con alcuni saltelli rapidi. “Mi sta nascondendo qualcosa” asserì la ragazza, meditando profondamente. “Chi ti nasconde cosa?” si intromise Lena. “Niente, niente” rispose Violetta, con un mezzo sorriso. “Dormito bene?” chiese poi, cambiando argomento. Lena fece un sorrisetto eloquente: “Certo, grazie alla tua coperta. A proposito, stanotte mi sono svegliata e non ti ho trovata nel tuo letto”. Violetta cominciò a torturarsi le mani, incerta su cosa dire. Doveva rivelare della misteriosa scomparsa notturna di Thomas, o era meglio non dire nulla? Optò per la seconda scelta, non perché non si fidasse di Lena, ma perché non voleva che risultasse troppo complice, o almeno più del necessario, del suo piano di fuga. “V-Violetta” balbettò all’improvviso la ragazza, indicando una vetrata della sala da pranzo che stavano sistemando. Violetta si girò di scatto e la prima cosa che osservò fu una testa che fluttuava all’esterno con un sorriso sornione. “Camilla” esclamò Violetta, lasciando cadere il vassoio che stava portando in mano. Non se la aspettava quella sorpresa così strana. La testa del gatto scomparve, e al suo posto comparve un mano che indicava verso il basso. “Penso che ti stia dicendo di raggiungerla” azzardò Lena, con la testa inclinata, tentando di comprendere il senso di quei gesti. “Hai ragione, ma non posso andarmene così” borbottò, raccogliendo le posate argentate cadute dal vassoio, sparse disordinatamente. “Non preoccuparti, ci penso io, tu pensa a raggiungere lo Stregatto, è una grande personalità, per quanto stramba, e se ti vuole parlare deve essere successo qualcosa di serio” spiegò la ragazza, trascinandola fuori dalla stanza per il braccio e spingendola fuori con fare eloquente. “Ma…devo finire di sparecchiare, e…”. Lena la interruppe con un segno della mano: “Devo pur sdebitarmi per la coperta di stanotte”. Violetta stava per rispondergli ma le pesanti porte della sala da pranzo si richiusero velocemente, lasciandola sola in mezzo al corridoio. E ancora una volta avrebbe dovuto intrattenere una conversazione con lo Stregatto. Il pensiero la turbava parecchio, perché l’ultima volta le aveva fatto una strana impressione. Alzò le spalle e si fece forza per affrontare Camilla; la cosa buffa è che non sapeva come mai un personaggio tanto importante volesse parlare con lei.
Violetta non aveva mai visto i giardini intorno al castello. Buffo a pensarci visto che abitava lì al castello da parecchio ormai, ma per abituarsi ai pesanti ritmi ogni momento libero lo trascorreva riposando a letto, e quindi non aveva avuto il tempo di esplorare i dintorni. Non appena ebbe sceso i piccoli scalini all’uscita, venne accecata da un forte raggio di sole. Sulla sinistra la statua della regina di Cuori incombeva con la sua ombra sottile. Girò a sinistra e si inoltrò per una serie di piccoli viali, costeggiati da alte siepi che rendevano il percorso piacevole e fresco. L’unica difficoltà era nel destreggiarsi per quelle stradine, che non seguivano alcun disegno geomtrico, ma si incoricavano disordinatamente. In lontananza vide quello che sembrava essere l’ingresso di un labirinto e se ne tenne accuratamente alla larga non appena vide il districarsi di rovi e di rose rosse come il sangue. Lena le aveva insegnato che le rose rosse erano il simbolo che designava le aree riservate alla famiglia reale, e non aveva intenzione di finire nuovamente nei guai. Finalmente trovò il modo di girare attorno alle mura del castello, e riuscì ad arrivare sotto la sala da pranzo; ne riconobbe l'ampia vetrata e cominciò a guardarsi intorno alla ricerca dello Stregatto. “Ehi, sono qui!” esclamò una voce fin troppo conosciuta. Violetta seguì la voce, non riuscendo a trovarne la fonte, quindi il sentiero si affacciò sulla costa di un piccolo lago. Dall’altra parte di quello stagno, dall’acqua di un colore verde smeraldo, un padiglione di legno dipinto completamente di bianco si estendeva in tutto il suo splendore. Edere dalle varie sfumature verde scuro, avvolgevano i quattro sostegni, risalendo intrecciandosi e intaccando con il loro colore anche quella sorta di piccola cupola acuta sempre in legno. Violetta emise un piccolo verso stupito, e circondò il lago lentamente, sfiorando con le mani la siepe che contornava quel luogo magico, fuori dal tempo. Il gatto la stava aspettando sotto la struttura, che si affacciava sul lago. Violetta aprì il piccolo cancelletto che permetteva l’accesso al padiglione, e si avvicinò a Camilla che le sorrideva in modo enigmatico. “Bene, bene…è passato parecchio tempo” sentenziò la ragazza, dilatando leggermente le pupille, e fissandola attentamente con i suoi occhietti castani, come se fosse pronta a scattare all’attacco ad ogni minimo movimento. Fece ondeggiare lentamente la coda facendo dei cerchi sempre più piccoli, concentrici, che con il loro ritmo ipnotico attirarono l’attenzione di Violetta. “Già, parecchio tempo” rispose la giovane con un fil di voce, riprendendosi da quella sorta di trance. “Risposta sbagliata, significa che non hai capito nulla, ancora” la riprese il gatto, cominciando a levitare e distendendosi pigramente in aria. “Ma…ho solo ripetuto le tue parole” si difese Violetta, accigliandosi leggermente. “Ripeto: non hai capito nulla. O mi sbaglio?”. Quella domanda la stava spiazzando; cosa doveva aver capito? E perché tutto quel mistero? Perché non poteva dirglielo lei di cosa si trattasse? Forse era qualcosa di assurdo, forse pensava che non le avrebbe mai creduto, ma ormai era abituata a ben di peggio. La curiosità che la contraddistingueva prese ancora una volta il sopravvento: “Si può sapere di cosa stai parlando?”. Camilla sembrò non averla sentita e cominciò a riflettere ad alta voce: “Strano, persino Alice ci ha messo meno di te, e io ritenevo Alice abbastanza stupida, nonostante tutto. E poi ha lasciato quell’indizio davanti agli occhi di tutti. Ma forse ci vuole una certa dose di intelligenza, che non possiedi. Chissà”. Violetta si sentì alquanto stupida; più quella conversazione andava avanti, più non ci capiva. Non le piaceva sentirsi presa per scema, ma non sapeva in che modo dimostrare allo Stregatto il contrario. “Ehm…tutto qui quello che hai da dirmi, Stregatto?” chiese nel tentativo di porre fine a quell’incontro, che le stava solo confondendo le idee. “Non è affatto tutto qui” la riprese, proprio quando ormai si era voltata per andarsene. Con un piccolo schiocco il gatto apparve nuovamente di fronte a lei, sfiorandole il mento con la coda morbida. “Ricorda, Violetta. Tu sei speciale, nel tuo piccolo e nella tua poca intelligenza; tu hai qualcosa che a tutti noi manca, che noi saggi bramiamo da una vita, ma che non potremo mai ottenere. E non posso dirti di più, non voglio interferire troppo in questa storia. Solo in questa” spiegò Camilla, accentuando particolarmente le ultime parole. “Spiegati meglio!” la riprese Violetta, stufa di tutti quei discorsi criptici. Camilla cominciò lentamente a scomparire con un sorriso sornione. Quando rimase solo il volto le diede un ultimo avvertimento: “Fidati solo di ciò che puoi vedere, non di quello che ti dicono di vedere. Tu hai qualcosa che a noi manca”. Queste furono le sue ultime parole prima di scomparire del tutto. Rimase solo il suo sorriso sempre più largo, che poi raggiunse il resto del corpo nel nulla. 
Stava tornando nuovamente al castello, quando su una panchina in pietra lungo il viale principale non incontrò Thomas, che si torturava le mani osservando il terreno polveroso. Avrebbe voluto proseguire dritto ed evitare un’ulteriore conversazione per non risultare troppo pressante, ma il ragazzo in quel momento sembrava avere bisogno di qualcuno che lo ascoltasse e lo consolasse. E in fondo ormai potevano definirsi quasi amici, quindi a passi svelti si avvicinò al Bianconiglio. “Ehilà” salutò lei con un sorriso rassicurante, facendo scattare in piedi il giovane. “Non pensavo di essere così brutta da spaventarti” scherzò tendendogli la mano, visto che lo vedeva in precario equilibrio. “C-certo che no. Non sei brutta; sei carina” balbettò il ragazzo, diventando rosso fino alle punte delle orecchie. “Grazie” lo ringraziò Violetta, sinceramente lusingata per il complimento. “Mi accompagneresti a fare una passeggiata?” chiese poi, voltando lo sguardo verso il luogo da cui era appena venuta. “Ho scoperto un luogo fantastico, che non avevo mai visto”. “C’erano delle rose rosse?” domandò cautamente Thomas, facendo un passo indietro sospettoso. “No, nessuna rosa rossa” lo rassicurò, sicura che le sarebbe stata posta quella domanda. “A-allora ok, va bene” esclamò il ragazzo, drizzandosi con la schiena, gonfiando il petto con orgoglio e afferrando senza molte pretese la mano della ragazza, alquanto sorpresa. “Non devi essere teso, è solo una passeggiata” rise Violetta, allontanando la mano, e guardandolo teneramente. Thomas borbottò qualcosa di incomprensibile e annuì incerto. I due cominciarono a camminare l’uno accanto all’altro, ognuno preso dai suoi pensieri, quando Violetta decise di rompere il ghiaccio: “Come mai eri così giù di morale?”. Thomas non disse nulla, ma accelerò il passo, come se volesse terminare quella passeggiata al più presto. “Thomas!” lo rincorse lungo il viale, cercando di non farlo fuggire. Il Bianconiglio si fermò di fronte al labirinto, la cui entrata era tempestata di rose rosse che segnalavano il divieto di varcarla. “Si può sapere che ti prende?”. Il ragazzo si voltò con le lacrime agli occhi, mentre le mani strette in pugni tremavano incessantemente: “Non ti riguarda! Non ti riguarda!”. Nonostante stesse cercando di allontanarla nei suoi occhi si leggeva invece un disperato bisogno di aiuto. Senza ascoltare le sue urla, si avvicinò sempre di più, per poi abbracciarlo, consolandolo con delle morbide carezze lungo la schiena. Thomas dapprima spalancò gli occhi sorpreso, quindi si lasciò andare a un pianto disperato. Non riusciva a comprendere come quella ragazza potesse farlo sentire in quel modo. Non doveva fidarsi di lei, ma voleva farlo; e mentre quelle due forze combattevano dentro di lui, continuò a piangere, sperando solo che le lacrime potessero esaurirsi il prima possibile.
“Va un po’ meglio?” gli chiese dopo qualche minuto, separandosi piano. “Dipende…” mormorò il ragazzo, riabbracciandola di colpo e rabbrividendo. “Cosa ti è successo?” chiese Violetta preoccupata, ed agitata per quella strana situazione. Con uno scatto Thomas balzò indietro, come colto da una secchiata di acqua gelida. I suoi occhi si fecero ancora più scuri e tenebrosi, e il suo tono risultò glaciale e distaccato. “Niente. Assolutamente niente…” mentì tranquillamente. “Non prendermi in giro, fino a qualche secondo fa stavi piangendo a dirotto e adesso ti comporti in questo modo distante…che ti prende?”. Nessuna risposta. Il vento attraversò la distanza che li separava, che separava i loro sguardi, i loro visi. E quei pochi metri erano diventati in un attimo chilometri e chilometri. Violetta abbassò lo sguardo, sentendo ancora le disperate richieste di aiuto del giovane ragazzo. Senza guardarlo negli occhi, lo oltrepassò e si avvicinò all’entrata del labirinto, sfiorando con un dito una delle rose rosse. Quel silenzio stava danneggiando entrambi, e Thomas mosse un piede per andarsene, quando Violetta lo chiamò nuovamente, facendolo fermare: “Scusa, non volevo”. “Non fa niente” disse Thomas, voltandosi con un sorriso mesto. “Come mai non si può varcare quest’entrata?” chiese, cercando di cambiare discorso. Non si sarebbe arresa, avrebbe cercato di capire che cosa ruotasse intorno a Thomas, ma al momento non voleva peggiorare la situazione. “Questo labirinto è stato voluto dal defunto Re in persona, per la nascita del principe Leon. Ce lo portava sempre quando era piccolo, e anche oggi quando non vedi Leon nel campo d’addestramento e nelle sue stanze significa che gironzola all’interno di questo labirinto. Penso che lo conosca a memoria per quanto ci sta…” spiegò il Bianconiglio. “Ci è rimasto molto legato, allora” si azzardò a dire Violetta, osservando l’interno di quel labirinto, che forse nascondeva anche la chiave per i pensieri del principe Vargas. “Buffo, vero? Dipingono Leon come il cattivo della storia, ma forse semplicemente non assumono la prospettiva giusta. Io ad esempio so che il principe Vargas è un uomo d’onore e valoroso, anche se in apparenza può apparire tutto il contrario, e forse non si comporta nel modo migliore possibile” esclamò il ragazzo, osservando intensamente la sua interlocutrice, che al sentir nominare il nome di Leon avvertì un fremito. “Allora, qual è questo posto che mi volevi far vedere assolutamente?” le chiese gentilmente, interrompendo il contatto visivo, e guardando oltre le numerose siepi. Violetta si riscosse come da un sogno, e indicò verso destra: “Da quella parte, seguimi!”.
Il piccolo stagno si rivelò di nuovo a lei, mettendole una gioia inaspettata. Un’oca bianca nuotava spensieratamente, emettendo di tanto in tanto un verso acuto e stridulo. “Ah, lo stagno!” esclamò gioiosamente Thomas, come se fino a poco tempo fa non fosse successo nulla. Violetta lo squadrò confusa: c’era qualcosa di strano…adesso sembrava stranamente sereno, mentre fino a poco prima era sull’orlo della disperazione. Come poteva il suo umore cambiare tanto rapidamente? Senza dire una parola, si inginocchiò lungo la riva e osservò il suo riflesso interrotto da qualche ninfea che galleggiava pigra. “Come ti trovi al Castello, Violetta?” chiese d’un tratto Thomas, accovacciandosi sulle ginocchia come lei e guardandola dritta negli occhi. “Sinceramente?”. “Sinceramente” disse il ragazzo, sfiorando il pelo dell’acqua con il palmo della mano. “Ho incontrato delle persone fantastiche qui, Lena, te, Humpty, ma…”. Non riusciva a continuare, senza poter affrontare ancora una volta lo sguardo di disprezzo che le aveva riservato Leon nel loro ultimo incontro. E mentre quel ricordo la perseguitava, il pensiero di German preoccupato per lei, della povera Olga che piangeva la sua misteriosa scomparsa, delle persone a lei care, fu più forte e le diede la possibilità di andare avanti. “Ma non posso restare qui. Devo tornare da dove vengo” spiegò, lasciando volutamente un alone di mistero. Thomas annuì piano e si rialzò sempre guardandola intensamente: “Tu non sei del Paese delle Meraviglie, vero?”. La domanda si disperse nell’aria tra il frusciare delle siepi, e il sibilare del vento. Il silenzio non le era mai stato così sgradevole come in quel momento. Negare a quel punto era impossibile; l’aveva già capito, quella domanda era solo per avere un conferma, per metterla alla prova. Voleva forse essere sicuro di potersi fidare di lei, e non aveva molta scelta in quel momento. “Si, non sono di questo mondo” rispose infine, alzandosi piano, mentre il riflesso sull’acqua si fece sempre più sfocato e lontano. “Ti aiuterò a tornare nel tuo mondo” disse il ragazzo, tendendole la mano. Le aveva proposto un patto, un’alleanza. Stringendo quella mano avrebbe rischiato molto, Thomas avrebbe potuto tradirla in ogni momento, e la sua vicinanza alla regina era un motivo più che sufficiente per dubitare della sua parola. Ma ricordando il momento di debolezza di poco fa aveva capito che forse anche il giovane odiava quel posto quasi quanto lei. Forse anche di più, perché quella era la gabbia da cui non riusciva ad uscire, glielo leggeva negli occhi. Si, il castello era per lui una gabbia. La gabbia del coniglio.
Jade restava seduta sulla sedia in legno, verniciata d’oro, delle sue stanze, osservando lo specchio di fronte a lei. Ogni lato della parete aveva uno specchio, così la sua immagine non l’avrebbe abbandonata mai. Quella della bellezza era una fissazione per lei, una maniacale debolezza che la rendeva quasi folle. “Sei perfetta, mia regina” si disse, lisciandosi i capelli con il dorso della mano, e accarezzando il diadema che portava sul capo tranquillamente. Dopo il suo rituale giornaliero, si alzò pronta per dirigersi nella sala del trono. Ogni passo rimbombava per i tetri corridoi, infastidendola. Quella mattina il Bianconiglio era venuto nelle sue stanze implorandola di trovare un’altra soluzione. Che sciocca creatura! Non c’erano altre soluzioni, Thomas era tutto ciò di cui aveva bisogno per proteggere il suo tesoro, e non avrebbe corso nessun rischio. Si fidava di lui, era il figlio del Primo Bianconiglio, e nelle sue vene scorreva il sangue di una delle creature leggendarie del Paese delle Meraviglie. Sorrise perfidamente al ricordare le suppliche del suo servo, mentre lei scuoteva la testa in segno di diniego. Amava sentire quel potere sulle persone, poter decidere delle loro vite, poterle controllare. L’unica persona di cui aveva mai avuto timore era Leon, ma aveva trovato una soluzione anche a quello, e adesso il principe era il suo più fedele servitore. Per un momento dovette ammettere che pensava il suo progetto sarebbe fallito, e invece…ecco il prototipo del guerriero perfetto. Stava quasi per varcare le porte che conducevano alla sala del trono quando una guardia si precipitò a fermarla, sussurrandole qualcosa all’orecchio. La donna impallidì di colpo: non poteva essere, non poteva essere successo davvero. “Chiamate tutti i medici, subito! Non accetterò qualcosa del genere! Non permetterò che mio figlio muoia così!” sbraitò con la massima apprensione. La guardia con un cenno del capo obbedì e riferì che nel frattempo il principe era stato portato nelle sue stanze. Jade camminò a passo spedito, mentre l’ira e la preoccupazione crescevano a pari passo. Le porte della camera del principe si spalancarono, mostrando due soldati che stavano lentamente adagiando Leon sul letto. Jade aspettò che terminassero quel compito e che lasciassero la stanza, avvicinandosi alla finestra e fissando fuori da essa. “Qui abbiamo finito” disse uno dei due, avvicinandosi alla regina, e facendo un rapido inchino. La regina si voltò e nei suoi occhi scurissimi ancora brillava il riflesso dei raggi del sole: “Bene, lasciatemi solo con mio figlio”. Il suo tono di voce lasciava trasparire in minima parte la sofferenza e la paura che provava Jade. Anche se non poteva sopportare la vista del figlio, in quanto le ricordava l’odiato marito, il senso materno le impediva di rimanere serena di fronte al volto pallido del giovane, che ansimava con la bocca socchiusa. Delle gocce di sudore gli scorrevano libere sulla fronte, risaltando ancora di più quel colorito così anormale, cadaverico. “Non farlo, Leon. Non morirai, non sarai debole come tuo padre. Tu e la morte non siete fatte per stare insieme, lotta, come ti ho insegnato. Con odio” sibilò la donna avvicinandosi al capezzale del figlio e sfiorando il braccio olivastro del giovane adagiato sul materasso. In quel preciso istante due uomini con un camice bianco e delle valigette in pelle marrone fecero il loro ingresso, guardando impazientemente la fasciatura di fortuna attorno alla spalla di Leon. La macchia vermiglia si diffondeva lungo il tessuto, mentre il giovane digrignava i denti, con gli occhi chiusi e in uno stato di incoscienza, come scosso da mille brividi. “E’ in preda alla febbre scatenata dall’infezione” disse uno dei due, attendendo un cenno d’assenso dal collega. Leon aveva preso a sudare e il volto contratto in smorfie di dolore preoccupò ulteriormente i due esperti, chiedendo alla regina di uscire per lasciarli lavorare. Jade annuì, ma prima di lasciare la stanza si voltò un’ultima volta: “Salvatelo. Se non lo farete, allora non sarà solo lui a morire”. Il più giovane, circa sulla quarantina, fece tremare per lo spavento l’attrezzo metallico nella mano, probabilmente per estrarre eventuali frammenti della spada dalla ferita. “Ci riusciremo, regina” rispose l’altro, decisamente più anziano, e dal sangue più freddo. La regina fece un mezzo sorriso, come avvertimento finale, quindi uscì per tornare nella sua stanza. Il ricordo del re di Cuori gravava come una maledizione, per quanto provasse a rimuoverlo. Poteva ancora vederlo: quel volto disteso e solare, sempre pronto a regalare un sorriso a tutti, tranne che a lei. “Non me lo porterai via, mai!” sibilò nel corridoio deserto, portandosi le mani alla testa per l’improvviso mancamento. Leon era l’unico bene che le era stato donato da Javier, e non intendeva perderlo per nulla al mondo.
“Quindi ti piacciono le crostate ai frutti di bosco” indovinò Violetta, camminando sul bordo del lago, e avvicinandosi al padiglione. “Brava, hai indovinato!” esclamò divertito Thomas, finalmente scioltosi dopo la rigidezza iniziale. “Ma è stato facile! Mi hai dato troppi indizi” si difese la ragazza, lanciando un’occhiata al castello. Aveva una strana impressione, come se lì dentro stesse succedendo qualcosa di cui non era al corrente. “Cosa ti preoccupa?” chiese il giovane, mentre avanzava davanti a lei con un sorriso sereno. Violetta provò a ricambiare, ma un peso opprimente glielo impediva. Che le stava prendendo? Perché non riusciva a smettere di pensare al castello e al sogno fatto quella notte? D’altronde era solo un sogno, non aveva nulla a che fare con la realtà. Giusto? Il dubbio la stava logorando, e mentre annuiva con aria assente alle parole di Thomas, il suo sguardo era magneticamente attratto da quelle pareti grigie, così cupe e meste. Si era avvicinata al padiglione. Osservò il cancelletto di legno bianco che ne consentiva l’accesso e sospirò, ricordandosi della conversazione completamente senza senso con lo Stregatto. Appoggiò la mano su quella sorta di piccola maniglia, mentre Thomas non si perdeva un solo gesto, completamente ammaliato. Una scossa le fece ritrarre la mano, e sentì il mondo crollargli addosso. “Non entriamo?” chiese il Bianconiglio, alquanto confuso. No, qualcosa non funzionava in quel momento, qualcosa era fuori posto. Lei era fuori posto; era come se quel luogo la stesse implorando di tornare indietro. ‘Non è il momento adesso’ le stava dicendo. E avrebbe potuto ascoltare quella voce, come avrebbe potuto ignorarla. Ancora incerta sul da farsi, sentì in lontananza la voce di Lena che la chiamava ripetutamente. “Lena, sono qui!” strillò, per farsi sentire. Lena finalmente sbucò dall’altra parte del lago con il fiatone, e lo sguardo impaurito. Doveva aver corso per tutto il tempo pur di trovarla. Violetta si allontanò dal padiglione, avvicinandosi alla compagna e poggiandole una mano sulla spalla, preoccupata, mentre Thomas le rivolgeva uno sguardo interrogativo. “Che ti succede, Lena?” la interrogò, mentre il macigno nel petto che sentiva si fece sempre più opprimente. La ragazza cercò di parlare e prendere fiato contemporaneamente, finendo con l’emettere suoni incomprensibili intervallati da parole: “Leon…guerra…”. “Mi stai preoccupando, amica. Prendi fiato e parla chiaramente” la sollecitò, sentendo già il corpo in preda ai fremiti di paura. Lena seguì il consiglio, si fermò qualche secondo, poi rialzò il volto paonazzo per la sudata, e cominciò a parlare: “E’ terribile. Leon è tornato”. “Come terribile? E’ una buona notizia” esclamò Violetta nervosamente, interrompendo la sua compagna di stanza, che le mise una mano sul braccio facendola arrestare. “Violetta…Leon sta morendo”. 








NOTA AUTORE: buonasera! Come sapete il mercoledì ci tuffiamo nel Paese delle Meraviglie, dove succedono strane cose. Nonostante questi momenti Tomletta (di breve durata, visto il ritorno di Leon), il capitolo in fondo mi piace :D Allora, Camilla da un avvertimento alla ragazza, parlando in modo molto misterioso. Violetta ha qualcosa che gli altri non possiedono, che solo lei ha, ed è il suo punto di forza in quella storia...quella storia. Dice che persino Alice ha lasciato un indizio evidente, sotto gli occhi di tutti, che però la giovane non riesce a cogliere. E voi avete tratto qualche conclusione, o navigate in alto mare come Violetta. Se proprio non ne avete la più pallida idea, dico solo che sarà una sorpresa, e racchiude un po' tutto il senso di questa storia...ma lo vedremo, non preoccupatevi. Per finire Camilla mette in guarda Violetta e scompare. Nel frattempo Thomas nega di essersi mosso dalla sua stanza, e si mostra...instabile O.o Il suo umore cambia continuamente, e non sembra certo di nulla. Solo nel finale riesce a rilassarsi, in quel posto così speciale, e decide di aiutare Violetta a fuggire da quel posto. Nel frattempo, non perdete di vista il labirinto del castello, il posto tanto amato da Vargas, che ritornerà in seguito. Mi piace troppo che le rose rosse ne costituiscono un avvertimento...lo scopo di questa storia in effetti è di rielaborare alcune idee del Paese delle Meraviglie in modo originale, e spero che l'idea continui a piacervi :D 
Altro punto essenziale da tenere d'occhio è questa strana percezione che Violetta ha dei luoghi: è come se le dicessero come muoversi, come se la bloccassero, o la invitassero. Si muove come mossa da una voce invisibile, che può decidere se ascoltare o meno...affascinante e assolutamente non casuale :D Ma ci ritorneremo, ha a che fare con il mistero che nasconde lo Stregatto :D Thomas comunque nasconde qualcosa, e anzi sembra rivelare un odio effettivo per quel castello. Nel frattempo arriva Leon mezzo morto ç________ç Riuscirà a sopravvivere il nostro amato (adesso non troppo xD) principe? Lo scopriremo nel prossimo capitolo, che vi avverto subito darà il via ufficialmente alla nostra storia Leonetta :D Il titolo è: 'Una scintilla nell'oblio dell'incoscienza'. Visto che siete stati iper-pazienti, mi sembra giusto riportarvene un pezzettino piccolo :D (che avviso potrebbe essere soggetto a cambiamenti stilistici, ma dettagli xD)

'Violetta lo coprì per non farlo gelare, quindi aspettò le sue prime reazioni a quei cambiamenti climatici. Il respiro si regolarizzò, ma il turbamento non venne meno. “Che ti prende?” chiese disperata la ragazza, passandogli la mano sulla fronte e cambiando pezzo di stoffa. “Non voglio…non farmelo fare…NO!” strillò Leon, a notte fonda, con voce tremante, come se fosse prossimo ad un pianto disperato. Violetta provò a farlo tranquillizzare, ma Leon nell’agitazione le diede un colpo fortissimo al braccio, provocandole un dolore lancinante. “Leon…” sussurrò, implorandolo. Stava per arrendersi e si avvicinò alla porta per andare a chiamare il medico, quando qualcosa la fermò, una presenza intangibile, immateriale, e una voce: “Violetta…”. Si voltò di scatto, riconoscendo la voce del principe, e notò che la stava chiamando.'
 
  
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