Guarito
Trascorse una settimana.
Una settimana di sguardi più eloquenti delle parole. Non avevano parlato molto,
in verità, ma quel poco che si erano detti, anche se
riguardava ferite e metodi per curarle, portava con sé mille pensieri.
Hook era sempre meno padrone di se stesso
e la cosa lo infastidiva indicibilmente, ma tanto non poteva farci nulla. Era
troppo tardi, anche se non se ne rendeva pienamente conto. In quella settimana
sentiva come ore i minuti che Arabelle
trascorreva lontano dalla stanza dove lui era sdraiato. Era molto più in forze
rispetto ai giorni precedenti, tanto che era riuscito ad alzarsi dal letto e a
mettersi seduto più comodamente su una poltrona di broccato che si trovava in
un angolo della stanza. La ragazza trascorreva molto tempo con lui, ma da
quando avevano dormito insieme la notte del suo delirio, si era fatta più
seria, taciturna, un vero fiore d’acciaio. Impenetrabile come un diamante.
I suoi silenzi erano
particolarmente inquietanti per Hook, che spesso la
guardava leggere per lui o finire di medicarlo come a voler svelare almeno uno
dei suoi tanti misteri. Primo dei quali era sicuramente la
sua impossibile bellezza. Ogni giorno sembrava più radiosa almeno nei
lineamenti. O forse era lui che la vedeva così? Fatto
sta che quando si trovava vicino a quella pelle, quei
capelli e quel volto, egli non desiderava altro che avvicinarsi e toccarli.
Contemporaneamente sentiva anche quella strana sensazione che gli diceva di non
profanare quella bellezza anche solo sfiorandola. Questo poi era un fatto
ancora più strano ed irrazionale del suo desiderio di lei: lui aveva sempre
trattato le donne con poco rispetto, in particolare le sue amanti. Una donna
non poteva essere profanata dal tocco di un uomo, secondo il suo modo di
pensare: era a quello che servivano le donne. E allora
perchè lei avrebbe dovuto essere differente?
Non sapeva come
comportarsi. Non lo sapeva e ciò lo irritava profondamente. L’unica cosa che
riusciva a consolarlo da quella situazione a lui così estranea e sconosciuta era la consapevolezza del fatto che stava guarendo. Sentiva
le forze animargli di nuovo i muscoli in tutta la loro potenza. Non mancava
molto al momento della libertà.
Della libertà o della solitudine? Si chiedeva continuamente.
Un altro mistero che non
era riuscito a svelare era quello della misteriosa voce che cantava la notte o al mattino presto. Durante quella settimana l’aveva udita
altre volte, ognuna delle quali aveva sortito su di
lui il medesimo effetto. Quando sentiva quei suoni
celestiali, era come se un laccio lo afferrasse stretto al petto e stringesse
fino a dolergli. Poi il laccio cominciava a diventare quasi parte di lui, a
fondersi con la stessa natura del suo essere. Improvvisamente, infine, svaniva
nel nulla, lasciando al suo posto un vuoto incolmabile. Che
cosa poteva essere? Quale forza misteriosa al mondo poteva avere un tale effetto su di lui, che aveva il cuore di pietra e
l’anima dannata come l’Inferno al quale era destinato?
In quei giorni stava
scontando ancora il contrasto tra mente e cuore. Un contrasto che non era in
grado di fronteggiare.
Quando la settimana
terminò, si sentiva ancora più collerico e adirato con se stesso e con il mondo
intero, e anche con Arabelle, per avergli sconvolto
l’esistenza a tal punto. Ciononostante non poteva fare a meno di lei. Lui, uomo, pirata anche se raffinato a suo modo, desiderato da
tutte le donne dell’isola dei pirati, temuto, rispettato, riverito, assassino,
lui non riusciva a fare a meno di quella donna. Quella donna che era
poco più di una fanciulla, con ben diciassette anni
meno dei suoi e molto più cuore di quanto lui ne avrebbe mai potuto sognare.
Lui aveva bisogno di lei.
Quanto tempo era
trascorso da quando lui era stato portato da lei nel
castello? Quarantacinque giorni, a detta di lei. In quarantacinque giorni Arabelle aveva penetrato la
cortina di ghiaccio che gli rivestiva il cuore e lo aveva reso impotente di
fronte a qualcosa che mai aveva saputo controllare: i sentimenti. Quegli stessi
sentimenti che persino Peter Pan
era riuscito infine a provare, portando la sua piccola Wendy
con sé nel suo mondo. Quei sentimenti che solo a lui, ormai erano rimasti preclusi. E che ancora lo erano, perché una parte di lui vi si opponeva con tutte le sue forze,
chiamando Arabelle strega e lui sciocco e debole.
All’esatto scadere della
settimana, Hook era deciso a porre fine a quello
straziante conflitto interiore, in un modo o in un altro. Arabelle
era stata con lui per tutta la mattina a per buona
parte del pomeriggio. Infine, quando erano ormai le sei, ella
si congedò rapidamente da lui, dicendo che aveva bisogno di riposare anche lei.
Promise che sarebbe tornata quando fosse stato il
momento di cenare.
Hook la vide andare via a malincuore, ma
non disse una parola. Rimase sulla poltrona a riflettere e aspettando che
arrivasse l’ora di cena con un’impazienza che smentiva la sua collera nei
confronti della situazione.
Non passò mezz’ora da quando lei si era assentata che egli trasalì nel sentire
di nuovo, per l’ennesima volta in quei giorni, quella voce. Stavolta i suoni
che emetteva erano molto meno tristi e malinconici. Sembrava una canzone che
recava gioia più che dolore. Inoltre, Hook riconobbe
che la lingua non era elfica. Non seppe distinguerla,
ma fu certo che non si trattasse di uno dei dialetti di
quello strano popolo. Durò più del solito stavolta, e come sempre lui attese
che smettesse assaporando ogni nota, ogni accento di
quella meravigliosa voce che lo rapiva. Provò le solite sensazioni e strinse
quasi convulsamente i braccioli della poltrona tanta era la concentrazione su
quei suoni. Quando il canto cessò, portò la stessa
sensazione di vuoto che sempre generava nell’uomo. Egli fu tentato di chiamare Arabelle come aveva fatto quando
gli era salita la febbre, ma pensò che non fosse necessario. La ragazza doveva
essere distesa in quel momento, forse addirittura addormentata. Si ripromise,
tuttavia, di parlarne con lei non appena gli avesse portato la cena.
Era ancora di quell’opinione quando Arabelle fece il suo ingresso nella camera, portando con sé
un piatto dal quale proveniva un profumo molto invitante. Era splendida, con i
soliti pantaloni neri a fasciarle le gambe superbe e tornite e una camicia nera
da donna stavolta. Questo fatto era un cambiamento apparentemente banale ma
notevole nel risultato: la stoffa leggera le disegnava la vita ed una
scollatura modesta le incorniciava un decolletè perfetto e delicato. I capelli
sciolti ravviati all’indietro erano una morbida cascata di onde
e boccoli perfettamente disegnati. Era seria, impassibile, quasi, ma gli occhi
le brillavano di una luce che avrebbe potuto illuminare l’isola intera.
« Sono riuscita a pescare
stasera. » lo disse con poco entusiasmo, ma Hook sapeva che era contenta di aver procurato qualcosa di
diverso dalle bacche come pasto. Molte volte era già accaduto che ella portasse al castello un pesce o una pernice, che poi
aveva fatto arrostire su un focolare di fortuna.
« Devi mangiare. » gli
disse, sedendosi in maniera composta accanto a lui. Forse troppo composta,
quasi rigida. Hook cominciò a trafficare con un
filetto di pesce che probabilmente era stato pescato nel laghetto poco distante
dal castello. Era stato ben cucinato, anche se la sua preparazione era stata
arrangiata secondo le possibilità offerte dalla situazione.
Mentre mangiava osservò attentamente la
ragazza e notò che sembrava inquieta. Quando aveva finito metà del pasto, ella si alzò dal letto e cominciò a passeggiare avanti e indietro lungo la
stanza, con lentezza esasperante.
« Arabelle
» la chiamò lui appena ebbe finito « ho una domanda »
« Parla! » disse lei
tornando ad avvicinarsi a lui e con voce nettamente più naturale.
« Io… » per quanto non
fosse un uomo con peli sulla lingua, Hook trovava
difficoltà a farle la domanda che tanto aveva desiderato porle. « Io ho sentito
qualcosa prima che tu arrivassi. ».
« Sarebbe? » domandò lei,
guardandolo curiosa.
« È una voce. Sicuramente
si tratta di una voce. L’ho sentita molte volte da quando
sono qui…una volta persino sulla spiaggia, prima che mi trovassi. » prese un
bel respiro « Tu non hai mai sentito nulla? »
Arabelle lo guardò attonita « No.
Assolutamente no! » scosse la testa per enfatizzare la risposta.
Lui la guardò incredulo
ed insistente « Ne sei sicura? »
« Si. » disse lei « Ma
perché ti interessa tanto? »
Questa era la domanda che
temeva di più in assoluto. Se l’era anche aspettato, ma aveva sperato fino
all’ultimo che non glie la rivolgesse. Ma ora non
restava altro da fare che dire la verità. Magari non
tutta, ma la verità.
« È da tempo che voglio
sapere di chi è quella voce così strana. »
« Strana? Perché la definisci in questo modo? » lo interruppe lei
«
Perché è troppo bella per essere vera. È come se fosse magica. » spiegò lui soprappensiero,
cercando le parole giuste per descriverla « Ho sentito alcune volte della
musica elfica, che è tra le più celestiali al mondo,
ma mai ho sentito qualcosa che si avvicinasse allo
splendore di quella voce. » Si fermò per osservare Arabelle
in volto. Quelle parole sembravano così strane pronunciate da lui, con la sua
voce roca e profonda, graffiante.
« È dunque così bella? »
la ragazza sembrava incredula
« No! » disse lui « È più
che bella. Se non l’hai mai sentita non puoi
comprendere. Mi ha rapito. »
Arabelle era più seria che mai « Quando l’hai
sentita l’ultima volta? »
« Poco più di un’ora fa.
».
« E
cosa cantava? »
« Non saprei dirlo. »
rispose, sforzandosi a tal punto per non cedere al ricordo delle sensazioni che
aveva provato che strinse a pugno la sua unica mano. Era solito fare quel gesto quando era in difficoltà a sotto grande fatica
mentale. « Ma una volta ho riconosciuto un dialetto elfico in una ballata molto triste. Troppo triste per una
persona sola. Sembra che ogni volta canti in una lingua differente. »
« E
l’hai udita la prima volta la sera che ti ho portato qui? »
« Si. Sulla spiaggia.
Proprio prima di perdere i sensi. ». Non capì perché gli avesse rivolto quella
domanda, dato che ne conosceva già la risposta.
Dopo un attimo di
silenzio, Arabelle scoppiò a ridere. Hook la fissò incredulo, stranito da quella reazione così
strana. Lei rideva e rideva. Rise fino alle lacrime,
eppure con una compostezza senza pari. Ogni tanto l’uomo vedeva che tra le
risate lei lo guardava e lui non poteva fare a meno da pensare che si era reso
ridicolo di fronte a lei. Lui. Lui ridicolo di fronte ad una donna.
Maledetta ragazza! Per colpa tua sono vulnerabile. Non so
come né perché, ma è così che mi sento.
Arabelle nel frattempo continuava a ridere e
a ridere, tenendosi lo stomaco. Era così bella quando rideva! Le si illuminava
ancora di più il volto, mentre le si disegnava una lieve fossetta ai lati della
bocca. I capelli ondeggiavano seguendo i fremiti del suo petto; la pelle
lievemente arrossata.
« Che
diamine hai da ridere? » Non riuscì ad essere brusco come avrebbe voluto, aveva
quasi rinunciato a provare ad essere come era sempre
stato, con lei ma si sentiva che era chiaramente irritato dal comportamento
della ragazza, che non aveva nemmeno fornito spiegazioni al riguardo.
Finalmente Arabelle parve calmarsi e lo guardò dritto negli occhi
sorridendo. Non era un sorriso lieto, però, ma quasi mesto.
« Rido perché la sorte è buffa Jason Hook. »
Hook si fece sospettoso « Che diavolo
stai dicendo? »
La
giovane sorrise
ancora, poi si alzò in piedi e fece alcuni passi verso il centro della stanza,
dandogli le spalle.
« Dannazione! Dove pensi di andare? Mi devi almeno delle spiegazioni!! » Era adirato stavolta. Davvero adirato.
« E
le avrai le tue spiegazioni, non temere. » Rispose lei, quasi un sussurro. Gli
dava ancora le spalle e dopo un po’ Hook cominciò a
domandarsi seriamente se ella non si stesse prendendo
gioco di lui. Poi, però, Arabelle fece un respiro
profondo e accadde l’impensabile.
When I saw you I was stunned, afraid
Because you were all I wanted and all I was scared
of
Then I knew you and my soul began to be yours.
( Quando ti ho visto ero attonita, spaventata
perchè tu eri tutto ciò che volevo e che temevo, poi ti ho conosciuto e la mia
anima ha cominciato ad essere tua )
Era la voce che aveva
udito! In quel momento, seppure la voce della ragazza gli stava infondendo le
stesse emozioni di sempre, Hook era anche incredulo
oltre ogni dire per quella scoperta.
Dunque la voce misteriosa…era quella di Arabelle! Non è possibile! Devo stare sognando… non può
essere… E invece,
sebbene tentasse di trovare un modo per dimostrare a
se stesso che non si trattava di lei, non c’era nulla da fare. Avrebbe
riconosciuto quel timbro tra mille se glie ne avessero
proposti tanti. Quegli accenti celestiali che facevano vibrare le note più
dolci e tristi mai scritte erano gli stessi che lo
avevano tenuto sveglio la notte, a domandarsi chi fosse l’essere dotato di un
talento simile.
What should I do now?
Have I to love you? To kill
you?
I’d kill you if this would be the way,
The way to set me free.
( Cosa dovrei fare ora? Devo amarti? Ucciderti?
Ti ucciderei se questo fosse il modo per rendermi libera )
Hook aggrottò la fronte e ascoltò,
chiudendo gli occhi. Assaporava ogni sillaba pronunciata da quelle labbra
d’angelo. Labbra che ora non poteva vedere, perché Arabelle gli stava dando ancora le spalle. Che avesse paura di guardarlo? Eppure non ne
aveva mai avuta….
No, I can’t kill you
It would be another way to kill myself and I
don’t want this for us.
So I’ll kill myself
Only then you’ll be able to see me and
understand
Only then you’ll love me.
( No, non posso ucciderti, sarebbe un’altro
modo di uccidere me stessa. Allora mi uccido; solo allora sarai capace di
vedermi e di capire. Solo allora mi amerai. )
Con un ultimo, profondo
suono, la canzone si spense, lasciando un eco prolungato e il vuoto nel petto
di Hook, che sembrava come fosse in trance. Teneva ancora gli occhi chiusi, per concentrarsi
completamente sul suono e non perdere neppure un secondo di quel canto. Quando l’eco fu spento, egli aprì gli occhi, ma aggrottò
ancora di più la fronte. Guardò Arabelle che ancora era di schiena e pregò dentro di sé che si voltasse. Fu
esaudito, perché la ragazza si girò molto lentamente per guardarlo a sua volta.
Aveva gli occhi lucidi, probabilmente commossi dalla canzone che lei stessa
aveva cantato. Per il resto era impassibile, diritta e fiera come una dea.
« Ora hai avuto la tua
risposta. » gli disse, con voce ferma « E anche le tue spiegazioni. »
Hook non potè fare altro che fissarle gli
occhi lucenti di lacrime non versate e sussurrare « Si. »
« Sei soddisfatto? »
continuò a domandargli.
« Si! » un altro sussurro. Era come se la capacità di parlare gli fosse stata tolta improvvisamente. Avrebbe voluto dire mille cose, invece riuscì soltanto a formulare quella risposta sintetica e monosillabica che aveva dato. Si sentiva stranamente leggero. Leggero e pesante al medesimo tempo, colmo e vuoto, triste e felice, adirato e calmo. Che cosa mi sta accadendo?
Nessuno dei due parlò per
un po’ , poi Arabelle si
avvicinò nuovamente al letto dove Hook era disteso,
fino ad arrivargli di fianco.
« Devo controllare il
taglio » Egli sapeva a quale si riferiva. Il taglio che si era procurato sul
petto era l’unico che aveva impiegato molto tempo per cicatrizzarsi. Arabelle gli scoprì il petto e osservò con attenzione la
ferita. Ma a quel punto non c’era più nessuna ferita. Al suo posto una sottile cicatrice che attraversava il torace
dell’uomo in tutta la sua ampiezza. Vi posò sopra una mano,
delicatamente. Hook quasi gemette per quel contatto così lieve e
così agognato da parte sua. Quando lei lo toccava, o
lo sfiorava anche lievemente, in lui si accendeva un fuoco che non aveva mai
provato in tutta la sua esistenza. E quello stesso
desiderio ora lo aveva totalmente imprigionato, costretto a subirne l’autorità
come uno schiavo subisce quella del padrone. Involontariamente, ma con
necessaria, devota, obbedienza.
« La ferità si è
completamente rimarginata. » osservò la ragazza « Le tue forze? »
Hook la guardò intensamente « Mi sento
vivo. »
« Vuol dire
che ti senti in forze? »
« Si. Decisamente
si. » Effettivamente, l’uomo si sentiva molto bene. Ora poteva camminare e
muoversi con la stessa agilità e forze che aveva prima del suo scontro con Pan e poi con il mostro.
« Allora posso dirti che sei completamente guarito. » sentenziò la ragazza.
« Completamente? » Il
pirata sembrava scettico. In realtà non si aspettava di guarire tanto
velocemente. Inoltre sapeva che cosa lo aspettava una
volta finita la convalescenza.
« Si, Jason.
Completamente » confermò lei « tra due, tre giorni al massimo potrai tornare alla Jolly Roger ».
Sentendo quelle parole,
qualcosa si risvegliò nell’uomo. Non seppe cosa, ma fece svanire tutti i dubbi,
le indecisioni e le inconsapevolezze riguardo lo
strano incantesimo che Arabelle aveva fatto su di
lui.
La ragazza aveva tenuto
la mano sul petto di lui tutto il tempo, e ora stava
lentamente scostandola con l’intenzione di uscire dalla stanza. Non fece in tempo, perche Hook
vi mise sopra la sua, imprigionando la piccola mano di lei tra il suo
petto e le sue dita.
« Tu cosa farai? » le
chiese.
Arabelle sorrise « Io? Cosa
mai potrei fare io, Jason Hook?
» disse tristemente « Io andrò per la mia strada. Lascerò questo castello al
più presto. Ognuno tornerà al suo posto, come desideravi.
» Lo guardò nel profondo degli occhi « Anche io mantengo la parola data. ».
Hook non era più padrone di sé in quel
momento. Lui che era sempre stato privo di sentimenti che non fossero odio e rabbia, sempre controllato, attento a non far
trasparire nulla che non fosse la malvagità che lo animava, non sapeva più
controllarsi. Era accaduto tutto in un istante, o forse era lui che non si era
reso conto di quanto quella giovane creatura avesse aperto una breccia nel suo
cuore, rendendolo sensibile a lei. Ora si sentiva attraversato da brividi e
spasmi e i suoi occhi mandavano lampi. Non riusciva a pensare se non alla
ragazza che aveva di fronte.
« Vieni con me! »
Arabelle fu sconcertata da ciò che aveva
udito. « Cosa? »
« Vieni con me! » ripetè lui più forte, stringendo di più
le piccole dita di lei « Sulla mia nave. Vieni con me sulla
Jolly Roger. »
Era serio. Si sentiva
chiaramente che era serio, che non stava scherzando. Era completamente fuori
controllo. La voce che dentro di lui avrebbe subito detto
che era stato uno sciocco a proporre una cosa simile, nemmeno parlò: tacque.
Era come se fosse morta.
Arabelle rimase completamente immobile «
Perché? »
Lui la fissò con
trasporto. Come se avesse voluto perdersi in quegli occhi
scuri e profondi come un lago. « Ho bisogno di averti con me. ».
« Stai delirando ancora?
» Quelle parole erano rivolte più a se stessa che a lui. Infatti
le pronunciò con un tono così basso che lui le udì appena.
« Dico sul serio, Arabelle. Vieni con me » stavolta scandì con cura ogni
parola, come per marcare l’intensità con cui desiderava la risposta affermativa
di lei.
Ella rise piano, tristemente « E cosa
potresti mai fartene di me? » era seria ma anche un po’ sarcastica « Non sono
certo capace a maneggiare la spada, o le armi da fuoco. Sarei solo un intralcio
per voi. ».
« Troverei chi ti ha
portata qui. Ti vendicherei. ».
Arabelle scosse piano la testa, in maniera
quasi infantile « Non sembri più in te, capitano… »
« Infatti
è così maledizione!!! » quasi gridò. « Non sono più in me, per colpa tua,
dannata ragazza. » Si alzò a mezzo busto, ma era ben lungi da lasciare andare
la mano della ragazza. « Però dicevo sul serio.
Saresti al sicuro sulla mia nave e i miei uomini ti proteggerebbero se glielo ordinerò. »
Lei rimase muta. Ferma e
muta, con lo sguardo fisso sugli occhi di ghiaccio dell’uomo che aveva davanti.
« Non dovresti più temere
chi ti cerca. » insistette lui.
« Ma
non dovrei forse temere te? » disse lei, sempre più inarrivabile, più altera «
Tu non rappresenti forse un pericolo per coloro che ti stanno accanto? Tu,
feroce assassino dall’odio bruciante come l’inferno, vorresti che io ti
seguissi. »
« Ti proteggerei,
come tu hai salvato me. »
« E
dovrei fidarmi di te? E per cosa? » Arabelle era seria e sconsolata. Estremamente
razionale anche in una situazione come quella. « Tu volevi uccidermi. » gli
ricordò.
Hook rimase zitto per un attimo. Era
vero. Aveva desiderato molto ucciderla in un primo momento, ma poi quell’intenzione era diventata impossibile per lui almeno
quanto lo sarebbe stata l’affondare volontariamente il suo vascello.
Si alzò in piedi,
cercando di trattenere la mano di lei nella sua.
Sforzo che fu inutile, dal momento che lei si liberò
non appena la stretta di lui ebbe ceduto minimamente. Tuttavia, non si
allontanò.
« Dovresti, si! » le
disse, avvicinandosi sempre di più a lei. « Perché non
riuscirei ad ucciderti, dannata ragazza, come non vi sono riuscito in tutto
questo tempo. »
Stavolta Arabelle fece un passo indietro, guardandolo a metà tra il
sospettoso e lo speranzoso. « Perché te l’ho impedito.
»
« Tu credi? » le disse,
con rabbia « È vero, ma non nel senso che intendi tu, Arabelle.
Pensi davvero che non sarei stato capace di ucciderti
quando eri distratta? O magari di sorprenderti la
notte mentre eri addormentata? » Si stava avvicinando sempre di più a lei e la
giovane arretrava ad ogni passo di lui, avvicinandosi sempre di più al muro
dietro di lei. Arabelle non sapeva cosa rispondere a
quelle parole. Effettivamente lui avrebbe potuto ucciderla molte volte, ma non
l’aveva fatto.
« Avevi bisogno di me. »
mormorò, con lo sguardo fermo e fiero.
A quelle parole Hook si illuminò di una luce quasi
folle, gli occhi che mandavano bagliori cupi e penetranti come mai lo erano
stati prima. I muscoli delle braccia e delle spalle guizzarono. « È vero. E ho ancora bisogno di te. » le disse « Più di prima adesso,
ho bisogno di te. ».
Arabelle scosse la testa « Sei guarito ora. »
« MALEDIZIONE! PERCHè NON CAPISCI? ». gridò con
tutto il fiato che aveva in corpo e la ragazza sussultò suo malgrado.
Hook era completamente fuori di sé.
Continuava ad avvicinarsi a lei lentamente, ma inesorabile. Alcuni passi dopo, Arabelle toccò il muro con la
schiena. Lui era a pochi centimetri da lei, quindi non aveva via di fuga.
Rimase impassibile e controllata, al contrario di lui,
a guardarlo in volto. Quel volto affascinante e virile,
bello, che la scrutava dalla sua altezza, ben superiore a quella di lei.
A quel punto non rimaneva altro da fare se non mettere le carte in tavola.
« Capisco. » sussurrò.
L’uomo la guardò per
diversi istanti, intensamente, con lo sguardo più dolce e passionale che si possa immaginare. Non se ne rendeva neppure conto, ma ormai
era così. Quella ragazza gli era entrata dentro in modo
irreparabile.
« Capisci? » le sussurrò
di rimando, sempre più vicino « Dimmelo. Voglio che tu lo dica con le tue
labbra. »
Arabelle lo guardò, anche lei con trasporto,
anche se non folle e incontenibile come quello di lui. « Ho capito! ». Lo disse
piano, ma Hook potè udirlo
chiaramente e qualcosa si mosse dentro di lui.
Le si
fece ancora più
vicino, una mano non sarebbe passata attraverso i loro corpi, tanto essi erano
vicini l’uno all’altro. Con la mano destra, Hook
afferrò delicatamente ma saldamente la vita sottile della ragazza, attirandola
ancora più vicina a sé e alzandola un po’ da terra, tanto che lei dovette
mettersi in punta di piedi. Arabelle non oppose
resistenza, ma continuò a guardarlo mentre la
stringeva al suo petto forte e ampio.
Quando lui si fermò, per guardarla
ulteriormente, lei lesse qualcosa di straordinario in quegli occhi di norma
freddi e in quei lineamenti aristocratici contorti in un’espressione di gioia e
dolore al contempo. Alzò piano il braccio destro e lentamente posò la mano sul volto di lui, aprendo a ventaglio le dita sulla guancia
sinistra dell’uomo. A quel contatto così dolce e carezzevole, Hook chiuse per un momento gli occhi e aumentò la presa
sulla vita di lei. Fu un attimo. Forse anche meno. Fu
lei a muoversi per prima, lasciando di stucco il pirata. Si sporse lievemente,
sorretta dalla presa salda del braccio di lui e
tenendogli la mano sul volto si avvicinò a lui. Un secondo dopo, Arabelle poggiò le labbra si
quelle di lui. L’emozione che si generò in Hook fu
talmente forte che egli non riuscì a reagire di fronte a quel gesto. Dopo poco,
la ragazza si scostò da lui di qualche centimetro. Solo allora egli l’afferrò
con entrambe le braccia e portò la sua unica mano sulla schiena
di lei, afferrandola saldamente. Si chinò su di lei e la baciò a sua
volta, ma il suo non fu un bacio casto. Arabelle schiuse le labbra consentendogli di rendere il
bacio profondo, travolgente.
Sebbene il bacio fosse
carico di un desiderio che non poteva essere frenato, Hook
si rese conto che in esso non vi era nulla di volgare,
come invece era sempre stato con tutte le sue donne. Continuarono a baciarsi
per diverso tempo. Arabelle si strinse a lui portando
entrambe le mai a stringersi sulla nuca dell’uomo, affondandole nei suoi capelli
in una carezza celestiale.Hook sentì che le viscere
gli si contorcevano, che il cuore martellava nel petto e che tutto intorno a
lui sembrava girare vorticosamente, lui ed Arabelle i
soli ed unici punti fermi.
La giovane poteva sentire i muscoli pel petto scoperto di lui guizzare velocemente, mentre
attraverso la stoffa dei pantaloni sentiva crescere qualcosa che urgentemente
chiedeva di essere ascoltata.
Eppure, presto, Arabelle
si scostò da lui, anche se rimase all’interno della sua stretta. Entrambi avevano il respiro irregolare per la mancanza di ossigeno e
per l’emozione improvvisa.
« Vieni con me. »
sussurrò ancora lui, poco distante dalla sua bocca. « Ti prego, vieni con me. »
ripeteva quelle parole come una nenia, aritmicamente, continuamente, sulle labbra di lei.
Arabelle si allontanò ancora per guardarlo «
Giura che sarò al sicuro. »
« Lo giuro. » disse lui,
la fronte corrugata dalla serietà e dalla voglia irrefrenabile di baciarla di
nuovo.
« Allora, Jason Hook, tra due giorni
tornerai alla Jolly Roger… »
gli disse piano « e io sarò con te. » Non sorrise mentre lo diceva, ma strinse
le spalle di lui, da ciò egli comprese che non
scherzava.
In quel momento Hook si sentì leggerissimo. Era una sensazione che non
aveva mai provato e che lo sopraffaceva. Tentò di baciarla di nuovo, ma Arabelle si ritrasse e
si liberò dalla sua stretta.
« Devi riposare. » gli
disse piano, guardandolo negli occhi. Era così bella in quel momento, così
umana. Diversa dalla regina indomita che sapeva essere.
« E anche io. »
« Ma…
»
« No. Dobbiamo essere in
forze per affrontare i giorni che verranno. » disse subito lei. Non gli diede
il tempo di ribattere ed uscì dalla stanza con passo svelto, lasciandolo solo
con i propri istinti e con il proprio battito
cardiaco, che martellava furiosamente.