Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: yingsu    04/12/2013    1 recensioni
Sentì la mano di suo fratello massaggiargli la spalla, e mentre il ragazzo parlava, mentre la sua voce artificiale pronunciava frasi fatte, parole vuote che non era stato lui a scrivere, Roel continuava a ripetersi che non era così che le cose sarebbero dovute andare, che su quel palco non ci sarebbe dovuto essere nessuno: quel palco non sarebbe nemmeno dovuto esistere.
Alzò lo sguardo sulla madre di Liv, in lacrime stretta a suo marito, pensando alle altre ventidue donne che avevano perso un figlio, ai padri che non avrebbero avuto più nessuno a cui insegnare un mestiere; ai fratelli e alle sorelle di quei ventidue morti, e ai fidanzati, a quelli come lui. Ventitré cadaveri. Il rumore di Ventitré famiglie distrutte.

▪ | Roel and Kyros Flos - DISTRETTO 2 | Lyosha and Ariel Isaacs - DISTRETTO 8 | a radioactive ♡ |
▪ SPIN-OFF de "Die on the front page, just like the stars".
▪ PREQUEL de "I'm frozen to the bones".
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Anche la neve morirà domani.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A radioactive, che è al concerto

e mi ha dato il permesso di fare questo.

 

 

Il rumore di una famiglia distrutta.

 

 

 

«Ma quanta gente dovrà ancora morire di speranza? 
Come si fa a restare indifferenti di fronte a questa ennesima strage?   
Possibile che nessuno si senta addosso questa responsabilità?

Che nessuno debba pagare per queste morti?»

 

 | Anonimo |

 

 

 

 

 

Kyros non ricordava di aver mai visto suo fratello piangere – mai, da quando ne aveva memoria. Eppure da qualche mese a quella parte aveva scoperto una parte di Roel terribilmente fragile, un lato di lui che non aveva mai visto e che mai avrebbe voluto vedere. Odiava vederlo così, detestava restare a guardare mentre lui si impuntava a fissare il soffitto senza parlare, ma non sapeva che cosa dire e cosa fare per tirargli su il morale. C’era stato un tempo in cui bastava una semplice parola, o uno sguardo d’intesa a farlo scoppiare in una risata, ma neanche questo funzionava più, adesso.

Bussò piano alla porta del fratello maggiore entrando subito dopo, senza degnarsi di aspettare una risposta che non sarebbe di certo arrivata – lo conosceva troppo bene, guardarlo era come guardarsi allo specchio e vedere un se stesso più grande, biondo e forse un più dolce. Stesse lentiggini, stessi capelli mossi, stesso carattere solare, e stessi occhi: era come avere davanti i propri difetti tutti i giorni, e la cosa non è piacevole.

«Rory…» lo chiamò con quello stupido soprannome che gli aveva dato da bambino, cercando di convincerlo ad uscire dal cumulo di coperte nel quale si era rintanato. «Roel, il Comandante ha detto che ti devi lavare e vestire» aggiunse, ricevendo come risposta uno strano mugolio sommesso, soffocato dagli strati di stoffa.

«C’è il Tour della Vittoria…» spiegò, ma era conscio del fatto che era proprio quello il motivo per cui suo fratello si era chiuso in camera, rifiutandosi di vivere ed uscire. Seguì un lunghissimo momento di silenzio, minuti interminabili durante i quali Kyros era combattuto fra il lasciarlo lì a marcire – condannandolo alla predica della loro madre – , e il tirargli qualche oggetto contundente addosso, mirando alla testa. Ma non optò per nessuna delle due cose.

«Rory» mormorò piano, sedendosi nel piccolo spazio libero lasciato sul materasso. «So che non vuoi parlarne, ma volevo solo dirti che mi manca mio fratello, quello che mi prendeva a pugni e mi ha insegnato ad usare l’arco... tutto qui» pigolò piuttosto in imbarazzo, sfregandosi le mani sui pantaloni. «Ma questo non cambia il fatto che tu ti debba lavare e vesti–» tentò di dire, ma un braccio gli si strinse attorno al collo, facendolo atterrare sul letto. Sentì la mano di Roel spettinargli i capelli scuri – ereditati dal padre – , e poi una frase semplice, banale e di senso compiuto, ma che per qualche oscura ragione riuscì comunque a farlo sorridere: «Dammi una camicia e dei pantaloni, imbecille».

 

 

Lyosha strinse il cartoncino fra le dita, facendo scivolare il metallo delle protesi sul bordo del biglietto che Amaryllis gli aveva consegnato qualche attimo prima. C’era il suo discorso lì sopra, appuntato nella elegante e pressoché incomprensibile scrittura della Capitolina. Mancano solo tre Distretti, continuava a ripetersi. Solo tre.

Cercò di fare mente locale, di ricordare il viso dei due Tributi del Distretto 2, e di ignorare la penultima tappa, quella in cui sarebbe stato costretto a rivedere il volto di Lexi, quel viso angelico che lo tormentava nei sogni, distorto e beffardo mentre muoveva la lama, distruggendo la vita dell’unica persona a cui lui teneva davvero. Ariel.

«Lyosha, sei pronto?» gli domandò la sua Mentore, distogliendolo da quei pensieri che facevano male, da quelle cicatrici che Capitol City non aveva potuto coprire con un po’ di trucco e qualche magico ritocco.

Il ragazzo annuì sollevando il foglietto, portando la mano alla gola, sopra quel segno appena visibile: simbolo di ciò che la Capitale gli aveva dato in cambio di tutto quello che gli aveva tolto.

Ma non si cancella una vita così, non si supera un lutto in sei mesi.

Mancano solo tre Distretti, si disse per l’ennesima volta, prima che i Pacificatori lo scortassero sul palco, allestito in mezzo alla piazza del Distretto. Davanti a lui migliaia di volti sconosciuti, di persone che non aveva mai visto in vita sua, fatta eccezione per due di questi che signoreggiavano in bella vista, proiettati dietro le loro famiglie: i volti di Liv e Kabe.

Non li aveva conosciuti direttamente, ma ricordava in particolare la ragazza, quella uccisa da Fraser, quella morta poco prima che Lexi recidesse la gola di Ariel, recidendo anche una parte di lui.

 

 

Roel affiancò il fratello in rigoroso silenzio, posizionandosi sotto la tribuna sulla quale spiccavano la Signora e il Signor Nerys.

La donna sembrava ancora distrutta, e forse in parte la colpa era anche sua, della sua incapacità di stare lontano da quella casa, da quella stanza in cui aveva trascorso innumerevoli notti. Non voleva ricordare alla famiglia di Liv che avevano perso la loro unica figlia, ma non riusciva a non farlo, a non andare a trovarli, a dormire da loro come se quella fosse sempre stata casa sua.

Osservò i volti dei due Tributi morti soffermandosi su quello femminile, cercando di memorizzarlo il più possibile, di fare suoi quei lineamenti dolci, quello sguardo sicuro, certo della Vittoria. Eppure su quel grande palco non c’era lei.

Non era tornata a casa, non era tornato niente di lei.

Strinse i pugni puntando lo sguardo sul Vincitore, su quel ragazzo che era riuscito a sopravvivere, ad uscire dall’Arena e a tornare a casa. Sapeva che aveva perso la sorella, che non era riuscito a salvarla – esattamente come lui non era riuscito a salvare Liv. Gli si leggeva negli occhi tutta la sofferenza, tutto quel dolore mascherato da una strana calma, dal trucco e dai sotterfugi della Capitale. Non è tempo per piangere.

Lo so come ti senti, pensò. Io non potrei vivere senza Kye. Senza di lui e senza Liv.

Sentì la mano di suo fratello massaggiargli la spalla, e mentre il ragazzo parlava, mentre la sua voce artificiale pronunciava frasi fatte, parole vuote che non era stato lui a scrivere, Roel continuava a ripetersi che non era così che le cose sarebbero dovute andare, che su quel palco non ci sarebbe dovuto essere nessuno: quel palco non sarebbe nemmeno dovuto esistere.

Alzò lo sguardo sulla madre di Liv, in lacrime stretta a suo marito, pensando alle altre ventidue donne che avevano perso un figlio, ai padri che non avrebbero avuto più nessuno a cui insegnare un mestiere; ai fratelli e alle sorelle di quei ventidue morti, e ai fidanzati, a quelli come lui. Ventitré cadaveri. Il rumore di Ventitré famiglie distrutte.

«Rory…» lo chiamò suo fratello, «Mi stai stritolando una mano!» sibilò fra i denti, facendogli notare che – senza nemmeno rendersene conto – si era aggrappato a lui in un gesto di disperazione e rabbia.

Non poteva nemmeno provare a pensare che cosa significasse vedere il proprio fratello morire davanti ai tuoi occhi, senza che lui potesse fare nulla per impedirlo – si sentiva male solo ad immaginarlo.

«Scusa…» si limitò a mormorare in risposta, lasciandolo libero. «Non posso perdere anche te, lo sai, vero?» aggiunse riportando gli occhi su Lyosha, sul Vincitore che ora si accingeva ad andarsene, scortato dai Pacificatori.

«Lo so, nemmeno io».

 

 

Il cartoncino gli scivolò dalle dita, finendo ai suoi piedi.

«Molto bene, sei stato bravo» gli disse Lloyd, la Mentore, allentandogli di poco il nodo della cravatta.

Eppure Lyosha non si sentiva bravo, non si sentiva un Vincitore, ma piuttosto un vinto, battuto e sconfitto.

Aveva perso Ariel, aveva perso sua madre e due dita.

In cambio gli avevano dato una casa vuota e grande, una protesi e una voce non sua, ma lo avevano fatto per loro, non per lui.

Gli avevano dato qualcosa che non voleva, qualcosa di cui non aveva bisogno.

Non aveva vinto niente, era solo diventato uno dei pochi vivi, uno dei tanti vinti.

Era rimasto da solo. Da solo con gli incubi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chi sa per quanto tempo può durare un lutto. Non è possibile che dopo trenta o quarant'anni dalla scomparsa di un figlio o di un fratello di una sorella, ci si ritrovi nel dormiveglia a pensare al defunto con lo stesso senso di nostalgia e di vuoto, la sensazione di un'assenza che non potrà mai più essere riempita... forse nemmeno dopo la morte.

 

Stephen King

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA;

 

Sono sempre io, lo so che mi odiate, potete dirlo.

Insomma, la mia beta non c’è e io mi sono lanciata in questa impresa su suo consiglio. Sono una pazza, lo so.

Perdonatemi, vi prego. Lyosha non è mio, e ho il sentore che sia terribilmente OOC, ma spero che radioactive – la sua mamma – mi perdoni per questo. Per questo e per tutto l’angst che mi è uscito in queste righe.

Volevo riprendere questo legame spezzato dei fratelli Isaacs, in contrapposizione con quello dei fratelli Flos – perché Roel ha un fratellino(?) che ha tre anni in meno di lui, già –, ma non so quanto la missione sia riuscita.

È ambientato durante il Tour della Vittoria di Lyosha, dei 72nd Hunger Games, e non so cos’altro dire, davvero.

Il chiaro sentore di Rivolta che sentite è giusto che ci sia, perché una Rivolta non si fa in una mattina, e gli animi sono già infiammati, diciamo, pronti per il futuro arrivo della Ghiandaia. ~

Detto questo vi faccio vedere il piccolo – non tanto piccolo – Kyros, eccolo qui: Ky Flos.

E ora posso andare, sì? Vi lascio dicendo che questa Shot che non mi piace è rispettivamente:

Spin – Off de Die on the front page, just like the stars. Edizione di Lyosha.

Prequel de I’m frozen to the bones. Edizione in cui partecipa Roel.

 

Ora fuggo sperando che radioactive mi perdoni. Scusami per Lyosha: io lo adoro, ma questo non significa che io sia capace di muoverlo come Raziel comanda. ;u;

 

 

~yingsu.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: yingsu