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Autore: Cassidy_Redwyne    06/12/2013    3 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Night, tra i ragazzi della squadra, fu il primo a riscuotersi.
Si accorse che Lucas non ne aveva ancora abbastanza e lo afferrò per le spalle, allontanandolo da Adam prima che potesse colpirlo di nuovo.
«Pezzo di deficiente! Vuoi farti sospendere un minuto prima della partita?» gli sbraitò contro, scuotendolo per le spalle. «Vuoi imparare a controllarti?!»
Il biondo si liberò dalla sua stretta ferrea, evitando il suo sguardo. Respirò a pieni polmoni, nel tentativo di porre fine alla rabbia che lo stava logorando. Non vedeva altro che rosso: la sua ira, la gonnellina di Arianna, le sue guance, il sangue sul volto di Adam…
«Calmati» disse Night lentamente, interrompendo il corso confuso dei suoi pensieri.
Nel caos che seguì, Shadow rivolse ad Arianna un sorriso malizioso.
«Non è come pensi» si affrettò a dire lei, per poi rifugiarsi dalle altre cheerleader, che la confortarono a lungo, vedendola ancora scossa dall’accaduto.
Lucas nel frattempo era tornato vicino ad Adam.
«Che peccato, un infortunio poco prima della partita. Temo proprio che oggi ti toccherà la panchina» sibilò, sputando in terra sprezzante.
Il rosso si alzò in piedi a fatica, ma nessuno si fece avanti per aiutarlo. Il sangue gli colava copioso sulle labbra e sul mento e lui si ripulì con l’orlo della manica, nel più completo silenzio.
Silenzio che fu interrotto dall’arrivo della Cooper, infuriata.
«Se Lucas non fosse il miglior giocatore della squadra finirebbe sospeso. All’istante
I suoi occhi mandavano lampi e, quando trafisse il ragazzo con lo sguardo, quello non riuscì a sostenerlo e chinò il capo.
«Ma si dà il caso che lo sia…»
Lucas drizzò le antenne, intravedendo un bagliore di speranza.
«Dato che non ho alcuna intenzione di perdere contro quelli della Grafton» mormorò, lanciando alla squadra uno sguardo complice. «Oggi vedrò di chiudere un occhio.»
Si avvicinò ad Adam per controllargli l’ematoma sul viso, quindi si voltò un’ultima volta verso di loro. «Sappiate che lo riaprirò dopo la partita, quindi non sentirti in alcun modo graziato, Lucas. Che non accada più.»
L’intera squadra tirò un sospiro di sollievo, mentre la Cooper consigliava ad Adam di passare dall’infermeria per farsi medicare, prima di andare in panchina.
«Ma come ti è saltato in mente di fare una cosa simile?» aggiunse poi, senza riuscire a trattenere una smorfia di disgusto.
Mentre la professoressa andava incontro alle cheerleader, Lucas si avvicinò a Night.
«Siamo stati graziati» stava borbottando quello.
«Te la senti di fare da numero due?» gli domandò Lucas, con uno sguardo serio.
Dopo Adam, Night era il miglior tiratore della squadra, e non potevano permettersi che l’assenza del rosso li penalizzasse in alcun modo. Anzi, Lucas voleva dimostrare che potevano farcela benissimo anche senza di lui. Quel bastardo. A partita finita, l’avrebbe cacciato dalla squadra.
Night annuì e Lucas, dopo essersi guardato un attimo intorno per assicurarsi che il resto della squadra non li stesse ascoltando, espresse un dubbio che lo tormentava da prima.
«Comunque… secondo te la Cooper diceva sul serio?» chiese, abbassando la voce.
«Che te la farà scontare dopo l’incontro? Credo proprio di s…»
«No, no! Che terrà un occhio chiuso fino alla fine della partita! Ma come farà?» continuò il biondo, impressionato, mentre cercava di ammiccare a sua volta.
Night sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi rinunciò, limitandosi ad un lungo sospiro.
 
«Arianna, tutto bene?» fece la Cooper avvicinandosi alle cheerleader, che l’avevano circondata con fare protettivo.
La ragazza annuì piano, anche se era ancora molto imbarazzata.
Osservò prima Adam, che si stava allontanando dal campo, e provò istintivamente un moto di rabbia, poi Lucas, che parlava con Night, e il suo stomaco fece una capriola.
Per un lungo attimo desiderò solo di essere molto, molto lontano da lì.
«Dobbiamo andare, la partita deve cominciare» disse Annie in tono autoritario, rivolta alle altre ragazze.
Arianna rimase immobile per un attimo, osservando sovrappensiero il pubblico, e pregò che le sue amiche non avessero visto tutto.
«Forza, si comincia!» il grido della professoressa Cooper la riportò bruscamente alla realtà e Arianna si affrettò a lasciare il campo.
 
«Avete visto?» esclamai, allibita. «Quel pel di carota è uno stramaledetto porco!»
«Un vero maiale» rincarò la dose Beth.
«Lucas gliele ha suonate!» intervenne Angie, in tono d’ammirazione. Chiunque alzasse le mani su qualcun altro si guadagnava seduta stante il suo rispetto.
«Chi l’avrebbe mai detto» fece poi, con una punta di sarcasmo. «Arianna ha fatto strage di cuori anche tra i ragazzi della squadra.»
«E non ragazzi qualunque…» ridacchiai, posando lo sguardo su Lucas che, a partita iniziata, stava guidando con sicurezza la squadra nella metà campo avversaria.
Dietro di noi, lo stesso gruppo di ragazzine che poco prima ci aveva quasi private dell’udito stava continuando a rendermi indirettamente partecipe dei loro sogni erotici con il biondo.
La loro telecronaca di risatine e commenti sconci riprendeva ad intervalli regolari ad ogni intervento di Lucas ed in poco tempo scoprii anche quante posizioni avevano sperimentato in sogno.
Tossicchiai leggermente, nel tentativo di far capire loro che potevano parlare anche con un po’ più di discrezione, e Beth si dovette accorgere della mia espressione scandalizzata.
«Kia, tutto bene?» mi chiese, ma in quel momento ci arrivarono allo stesso trapanante volume anche le scommesse sulle sue misure, con conseguenti risatine isteriche, e pure Beth rimase di sasso.
Ignara di tutto, Angie, l’unica di noi che conosceva la pallacanestro, stava seguendo la partita con attenzione e continuava a chiacchierare, per renderci partecipi di mosse che a noi profane potevano sfuggire.
Decisi di ascoltarla con maggiore attenzione, nel tentativo di ignorare quelle deficienti.
«Adam ricopriva il ruolo più importante della squadra, dopo quello di Lucas: la guardia tiratrice» spiegò indicando Night, che in quel preciso momento stava penetrando verso il canestro avversario, eludendo la difesa dell’altra squadra e continuando a palleggiare.
«Lucas lo ha sostituito con Night. A quanto pare ha intenzione di perdere l’incontro» borbottò ed io le rivolsi uno sguardo infastidito.
«Scusa. Terrò per me le considerazioni personali. CAZZO!»
Night aveva tentato di fare punto, ma all’ultimo il pallone era stato deviato da uno stangone della squadra avversaria.
Le tribune proruppero in un collettivo “NOOO!” di disappunto.
Lucas però aveva facilmente ripreso la palla e adesso conduceva il gioco con estrema abilità, tra gli applausi e gli incoraggiamenti del pubblico.
La telecronaca sexy dietro di noi nel frattempo era arrivata a toccare l’argomento su chi, fra Night e Shadow, fosse il più dotato ed io, con i conati di vomito, incoraggiai Angie a parlare a voce ancora più alta.
«In questo momento siamo messi male, perché l’altra squadra ha segnato nel primo periodo. Vediamo se riusciamo a pareggiare.»
Trattenemmo il fiato, mentre Lucas passava il pallone a Night, il quale, conclusi i suoi passi, la lanciava a sua volta a Shadow.
«Adesso tira» mormorò Angie, gli occhi fissi sul campo.
«Ma è lontanissimo!» fece Beth e io convenni con lei.
«State a vedere.»
Come se Angie gli avesse letto nel pensiero, il ragazzo moro lanciò il pallone, nonostante si trovasse piuttosto lontano dal canestro, circondato dagli avversari. Non potei fare a meno di pensare che fosse un’azione del tutto azzardata, ma la palla, dopo aver descritto un perfetto arco, lo centrò, e il pubblico esplose in un boato.
«Wow» fu l’unica cosa che riuscii a mormorare, mentre osservavo Shadow che riceveva numerose pacche sulle spalle dai suoi compagni esultanti.
Avevo la pelle d’oca e sperai fosse solo per l’incredibile gioco di squadra dei nostri e non per il giocatore che aveva segnato.
«Questo canestro vale il triplo di quello degli avversari» spiegò Angie e, di fronte alle nostre espressioni perplesse, si affrettò a spiegare: «È stato fatto all’esterno dell’area dei tre punti, vedete la linea? Adesso siamo di nuovo in vantaggio.»
«Come fai a sapere tutte queste cose?» le domandò Beth, impressionata.
Lei scrollò le spalle. «Quando vivi con tre fratelli maschi…»
Stava per riprendere la cronaca, quando un rumoroso sbadiglio la interruppe. «Oh, no» disse inorridita, tappandosi la bocca con una mano. «Dio, fa’ che non mi addormenti proprio qui!»
Inarcai le sopracciglia. Angie ci aveva spesso raccontato di essere narcolettica e quindi di ritrovarsi addormentata all’improvviso nei luoghi più impensabili, ma non le era mai successo dal nostro arrivo nella nuova scuola.
«Come farò senza la mia cronista?» scherzai, per tirarle su il morale, e lei scoppiò a ridere.
Nel frattempo, dopo l’incredibile gioco di squadra da parte dei nostri, la partita era ripresa e si era fatta, se possibile, ancor più movimentata.
La squadra avversaria, dopo un momento di iniziale  disorientamento, era tornata a piantarci grane e in poco tempo era riuscita a rimontare.
«Siamo di nuovo par…» fece Angie, ma fu interrotta da un altro sbadiglio.
Il gioco ormai mi aveva totalmente preso e feci per sfogarmi con Beth per l’irritazione che mi provocavano gli avversari, quando mi accorsi che lei si stava alzando in piedi.
Aveva lo sguardo dritto davanti a sé, ma non stava guardando la partita. Cercai di seguirlo e di capire che cosa avesse attirato la sua attenzione, ma non vidi nulla di anomalo all’orizzonte.
«Dove vai?» chiesi con sospetto.
Beth mi fissò confusa, come se si fosse ricordata solo in quel momento della mia esistenza.
«Ehm… in bagno» balbettò, facendo per allontanarsi.
La afferrai per un braccio, ma lei si liberò con uno strattone e accelerò il passo, allontanandosi dai nostri posti.
«Beth!» la chiamai, ma lei non si voltò e, dopo aver sceso i gradini in lamiera delle tribune, sparì alla mia vista.
Fui pervasa da un moto di rabbia: perché continuava a sparire senza darmi alcuna spiegazione? In bagno. Come se me la fossi bevuta.
«Angie» domandai. «Beth ti ha detto dove andava?»
Sperai che almeno lei la pensasse come me e non mi desse della paranoica ma, voltandomi, rimasi a bocca aperta. La ragazza era profondamente addormentata e, sdraiata sul suo posto, si era allungata ad occupare anche quello di Beth.
«Non ci credo…» mugugnai, scuotendola nel tentativo di svegliarla.
Niente da fare, le sue palpebre rimanevano chiuse. Dormiva profondamente.
«Angie… svegliati» mormorai e lei iniziò a borbottare frasi incomprensibili nel sonno.
«Mmn… Fred… ancora cinque minuti.»
«Eh?»
«Ehi Fred…»
Angie, ancora addormentata, allungò una mano davanti a sé, afferrando i capelli della ragazza davanti, che si scansò, disgustata.
«…hai ricordato a Sean che deve prendermi… mmn… i calzini dalla lavanderia?»
«Angie…?»
«I calzini, Fred!»
«Gesù» mormorai, scuotendo la testa.
La ragazza davanti a noi si alzò per cercare un altro posto.
«Vergognatevi!» sibilò, scoccandomi uno sguardo di fuoco.
«Nathan, ti prego, non ti ci mettere anche tu.»
A quel punto avrei voluto sotterrarmi.
Mi allontanai da Angie, lasciandola a sonnecchiare e parlare tra sé, e cercai di concentrarmi sulla fine della partita, ma avevo la testa da un’altra parte. Non ero tranquilla, con Beth finita chissà dove ed Angie che immaginava dialoghi immaginari con il fratello che doveva recuperarle i calzini dalla lavanderia.
 
****
 
Quando Beth, seguendo distrattamente la partita, aveva notato una chitarra che conosceva bene, appoggiata alla rete del campetto, aveva avuto un tuffo al cuore.
Come ci era finita lì? Non vedendo John nei paraggi, era balzata in piedi, pronta ad andare a recuperarla, e nessuno, fosse un pensiero razionale o una persona in carne ed ossa, era riuscito a dissuaderla da quell’idea.
Le dispiaceva da morire aver mentito a Kia, che sicuramente non ci era cascata e in seguito avrebbe preteso da lei delle spiegazioni, ma aveva seguito l’istinto, guidata da ragioni che le erano del tutto sconosciute e che non avevano niente a che fare con il progetto a cui era stata costretta a prendere parte.
Dopo essere scesa dalle tribune, quindi, si era precipitata nel punto in cui aveva giurato d’aver visto la chitarra, ma quando arrivò, trafelata, l’oggetto tanto caro a John era scomparso nel nulla. Non posso crederci.
Azzardò qualche passo in avanti, appena fuori dal campetto.
Si trovava in prossimità della pineta, dove gli echi e gli strilli sembravano lontani, e il pensiero della partita le riportò improvvisamente alla mente ciò che aveva appena fatto, gesto che solo in quel momento la parte razionale di lei stava iniziando a metabolizzare.
Era scappata. La chitarra le aveva dato l’occasione di fuggire dalla confusione degli spalti, dalle urla dei suoi compagni, dalle pettegole che non avevano smesso un attimo di fare commenti sconci, e anche da Angie che imprecava ad ogni punto avversario e da Kia, totalmente assorbita dalla partita… ma la cosa più sconvolgente di tutto ciò era che in quei momenti assomigliava in tutto e per tutto a John, e quella consapevolezza bastò a convincerla che quello che aveva fatto era sbagliato.
Adesso torno indietro, pensò con decisione, quando un rumore di passi, attutito dal tappeto di foglie e aghi di pino, la costrinse a voltarsi.
Ancor prima di vederlo in volto, Beth sapeva già chi si sarebbe trovata davanti.
John era lì. Appoggiato ad un albero della pineta, le braccia incrociate al petto, la stava fissando.
La chitarra era accanto a lui e, vedendola, la ragazza tirò un sospiro di sollievo.
Notando che la stava fissando sollevata, il ragazzo ridacchiò e la guardò a sua volta.
«Non ero sicuro che avrebbe funzionato, ma…»
Beth lo fissò, senza capire. «Che cosa? Credevo che qualcuno te l’avesse rubata!»
Lui scoppiò a ridere e la ragazza sentì montare l’irritazione. Era scappata dalla partita, aveva quasi litigato con la sua migliore amica… ed era stato tutto architettato?
Dimenticandosi di tornare indietro, Beth gli si avvicinò con lo sguardo torvo.
«Lo sai una cosa…?» esclamò, furente.
Tanti erano i pensieri che vorticavano dentro di lei, primo fra tutti la prorompente rabbia per essere stata ingannata, ma una vocina dentro di lei le ricordò che doveva aiutare John, e alla fine quell’istinto prevalse.  
«Dovresti proprio smetterla di fare l’asociale!»
«E tu dovresti smetterla di farti i fatti miei» ribatté lui, a tono. «Non mi piace la confusione, tutto qui.»
Per partito preso, Beth iniziò a difendere a spada tratta l’evento da cui era appena fuggita.
«Ma è un’occasione unica per la nostra scuola, e poi…»
John fece una smorfia.
«La preside ti ha fatto il lavaggio del cervello, per caso?» commentò, levando gli occhi al cielo.
Beth trasalì di colpo, ma cercò di non dare a vedere quanto quella frase l’avesse turbata.
Inizialmente non replicò, poi gli rivolse uno strano sorriso e disse, imitando una voce robotica: «Può darsi.»
Lui la fissò sorpreso e la ragazza trattenne il fiato, non sapendo se lui avrebbe deciso di stare al gioco o si sarebbe limitato a schernirla, come suo solito.
«Stammi lontano, allora!» urlò allora lui, con un’espressione esageratamente disgustata. «Che schifo!»
Beth scoppiò a ridere, poi iniziò a rincorrerlo.
«Vieni qui, che ti riporto alla civiltà!» gridò con la stessa voce robotica, le mani tese davanti a lei come uno zombie.
«Sta’ indietro!» rise lui, voltandosi verso la ragazza con la chitarra tesa davanti a sé, come un’arma. Poi però, ritenendola forse troppo preziosa per quella sottospecie di gioco, la lasciò appoggiata ad un pino e iniziò a rincorrere Beth a sua volta, raggiungendola dopo pochi metri, afferrandola e sollevandola di peso.
Lei, che tutto si aspettava fuorché una simile mossa, strillò.
«MA CHE FAI?!» protestò la ragazza allibita, a cui ormai facevano male i muscoli dal ridere.
Cercò di sottrarsi a quella stretta, tempestando di pugni la schiena di lui e dimenandosi come un’anguilla, con l’unico risultato di far perdere l’equilibrio a John, che crollò rovinosamente in avanti: caddero entrambi sugli aghi di pino e lei finì schiacciata sotto il suo peso.
«Ahia!» gemette ma, passato un momento, in cui appurò di essere ancora tutta intera, riprese a prenderlo in giro. «Sei pesantissimo!»
Lui, ancora sopra la ragazza, si finse offeso. «Come ti permetti?»
«È la pura verità!» continuò lei, così presa dal battibecco da non far caso alla loro improvvisa vicinanza.
«Credi forse che John Lennon fosse magro?»
«Sicuramente più di te» ribatté lei con un sorrisetto.
«Piccola mocciosa.»
Mentre Beth rideva fino alle lacrime, John si puntellò sui gomiti, schiacciandola ancora di più sotto di lui, e si avvicinò pericolosamente al suo volto. Quando le scostò una ciocca di capelli che le era finita sul viso, la ragazza smise improvvisamente di ridere.
«Come osi offendermi?» sussurrò lui al suo orecchio.
L’atmosfera era improvvisamente cambiata. Perché fino ad un attimo prima stavano ridendo a crepapelle e adesso era calato quello strano silenzio, carico di elettricità e parole non dette?
Beth deglutì a vuoto. Cercò di sottrarsi allo sguardo saldo di John, così terribilmente vicino, di pensare a qualcosa di sciocco, come Kia che si rotolava nel fienile di casa sua, alle sue sorelline che le leggevano la mano, a qualsiasi cosa non fosse ciò che stava accadendo tra loro in quel momento.
Tentò di pensare razionalmente: non poteva liberarsi perché, così bloccata, agitandosi avrebbe finito solo per avvicinarsi ancora di più a quell’asociale, per cui, in attesa di un’idea migliore, preferì stare al gioco.
«Ah, non posso?» mormorò con un sorriso divertito e poi continuò, con una certa serietà nella voce: «Effettivamente non so se tu sia grasso o meno, ma non ho alcuna intenzione di verificarlo.»
Dal momento che, per farlo, dovrei spogliarti…
Per tutta risposta John sbuffò, inarcando un sopracciglio.
«Sai che non sei nella condizione di prendermi per il culo?»
Continuò a fissarla e le accarezzò quasi distrattamente i capelli, con mano leggera.
Dal canto suo Beth, profondamente a disagio, si rese conto di dover essere arrossita: poteva percepire chiaramente il suo cuore scalpitare nel petto come impazzito, tanto da fare invidia ad uno dei puledri iperattivi di Kia.
Pietrificata da quel gesto, non riuscì a fare altro che perdersi nelle pupille di John, scure come l’inchiostro, che la fissavano con una certa intensità.
Il suo sguardo dagli occhi scese alle labbra di lui, dove ebbe un improvviso tumulto… e poi scese ancora, e di colpo Beth ebbe un’illuminazione.
Scattò con la testa in avanti, cogliendo il ragazzo di sorpresa, e lo colpì dritto sul mento.
Lui imprecò, allontanandosi di scatto da  Beth, che fu libera di alzarsi in piedi.
«CHE CAZZO TI È SALTATO IN MENTE?» gridò John, massaggiandosi il mento dolorante.
«Cosa è saltato in mente a te!» ribatté lei. «Razza di maniaco» borbottò poi, mentre il dolore alla testa, provocato dalla botta, iniziava a farsi sentire.  
«Be’, mi hai provocato» rispose lui dopo un momento, tornato improvvisamente freddo.
«Perché ho detto la verità?» scherzò lei, un mezzo sorriso sul volto, per cercare di tenere a bada il dolore.
La fronte le pulsava terribilmente al punto che, se avesse potuto, si sarebbe messa ad urlare, ma mai e poi mai avrebbe dato quella soddisfazione a John.
Lui scosse la testa, vagamente divertito dalle parole della ragazza.  Recuperò la sua chitarra e le fece un cenno di saluto.
«Torna alla partita, mocciosa» disse. «Dopotutto… cos’è che dicevi? È un’occasione unica per la nostra scuola!» aggiunse, facendole il verso.
Per tutta risposta Beth raccolse una pigna da terra e gliela lanciò contro, mancando la chitarra per un soffio.
«Sparisci, prima che ti insegua per tutta la pineta» borbottò lui, allontanandosi. «Di nuovo.»
Devo migliorare la mira, pensò Beth fra sé e sé, incamminandosi nella direzione opposta, verso il campetto.
Quando il pubblico, in lontananza, esplose in un impressionante tripudio di grida e applausi – sì, ma per quale delle due squadre? – la ragazza accelerò il passo, per poi mettersi direttamente a correre, gli aghi di pino che scricchiolavano sotto le suole delle sue scarpe.
Seguendo le urla e le risate, sempre più chiare man mano che si avvicinava, Beth imboccò rapida l’entrata del campetto e non riuscì a trattenere un sorriso.
Aveva scherzato con John. Quelli sì che erano progressi.
Poi lei aveva dato di matto, ma non aveva importanza. Avevano scherzato insieme!
Se lo sarebbe appuntato sul calendario.
 
****
 
Avevamo vinto.
Tutto merito di una combinazione mozzafiato che, in realtà, senza la spiegazione di Angie, avevo seguito a stento, ad opera di Lucas ed un ragazzo biondo platino, tendente al bianco, che non avevo mai visto prima d’ora a scuola, con il volto affilato e un taglio di capelli alla Tom Felton.
Dotato di un’impressionante abilità, nell’ultimo periodo Draco Malfoy aveva sottratto il pallone all’altra squadra, sul punto di fare canestro e quindi decretare la nostra sconfitta, e lo aveva passato, zigzagando tra gli avversari, a Lucas. Lui non aveva potuto passarla a nessuno dei suoi, perché quella di Draco era stata un’azione così fulminea che tutti erano rimasti nell’altra metà campo, ma il playmaker non si era lasciato impressionare, così come nessuno dei ragazzi sulle tribune, me compresa: nel preciso momento in cui la palla era finita nelle sue mani, avevamo capito che avremmo vinto.
Il biondo, infatti, aveva palleggiato con sicurezza verso il canestro e aveva lanciato il pallone con una tranquillità quasi ostentata, senza che nessun avversario potesse fare nulla, facendo centro.
Quando la palla era caduta a terra, rimbalzando, il pubblico era balzato in piedi sotto uno scroscio di  applausi, mentre Lucas e Draco venivano portati in trionfo.
Con un fracasso tale, persino Angie finì per svegliarsi di soprassalto.
«Cosa? Come? Sean? ABBIAMO VINTO?!» si alzò in piedi urlando, contagiata dall’euforia generale.
«Davvero?»
Beth apparve dietro di noi con un sorriso imbarazzato, evitando accuratamente il mio sguardo.
«Beth!» esclamai, a metà tra il sollevato e l’inquisitore. «Dove cavolo eri fin…»
«ABBIAMO VINTO!»
«Grazie Angie, mi hai illuminato. Beth…?»
Feci per voltarmi verso di lei, ma Angie ci afferrò sottobraccio e ci trascinò giù dagli spalti, continuando ad esultare.
«ANGIE!» esclamammo io e Beth, all’unisono.
«Andiamo! Dobbiamo scendere di sotto e congratularci con i ragazzi!» fece lei, tutta felice e, dopo un breve sguardo d’intesa, Beth ed io capimmo che sarebbe stato meglio non protestare.
Giunte nel campetto, realizzammo con orrore che più della metà del pubblico aveva avuto la nostra stessa idea e fu a forza di berci e spintoni che arrivammo al centrocampo, dove le cheerleader si stavano esibendo per l’ultima volta.
Rimanemmo incantate di fronte al loro spettacolo e mi accorsi, in quel caleidoscopio di corpi in movimento, colori sgargianti e pon-pon, che la coreografia era variata leggermente rispetto a quella del numero iniziale, poiché prevedeva molte più acrobazie che passi di danza. Nello svolgerle, mi accorsi  che Arianna sorrideva appena, probabilmente memore di ciò che le era accaduto prima, mentre le altre ragazze avevano un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Quando giunsero alla fine dell’esibizione, se da un lato fu replicata la piramide umana di prima, dall’altro Ari stupì tutti esibendosi, dalla cima, in una capriola in aria che ci mozzò il fiato.
Osservammo la scena rapiti, mentre la ragazza volteggiava come sospesa nell’aria: chi rimase incantato dalla gonna troppo corta che si era sollevata come un ombrello capovolto dal vento, chi rimase incantato dalla capriola stessa, che si protrasse per un altro lungo attimo come se Arianna fosse d’un tratto priva di gravità, chi rimase incantato proprio da lei.
Come Lucas, che teneva gli occhi fissi sulla ragazza con un’espressione imbambolata. Quando la vide cadere verso il basso, si fece largo fra il pubblico, la afferrò con un movimento aggraziato che non gli si addiceva proprio e, una volta che fu al sicuro tra le sue possenti braccia, la baciò.
 
 
Ma ciao!

Spero che il capitolo 11 vi sia piaciuto :) Fatemi sapere!

Per quanto riguarda le (pessime) descrizioni della partita di basket...




«Come fai a sapere tutte queste cose?» le domandò Beth, impressionata.

Lei scrollò le spalle. «Internet!»




Ho cercato di informarmi un po' sull'argomento e spero di non aver scritto delle complete assurdità visto che, in linea con le protagoniste della storia, la sportività ed io siamo agli antipodi XD 

La copertina dovrebbe rappresentare il giardino della scuola dove si incontrano John e Beth, ma sembra più il locus amoenus di una poesia trecentesca. Dettagli.

Oltre al loro incontro (soprassediamo sul dialogo, che ogni volta mi fa rabbrividire leggermente, prova che a tredici anni NON sapessi davvero come scrivere una conversazione... John Lennon grasso, magro, blu, verde, a pois, ma perché?) in questo capitolo ricco di sorprese (credici), tra telecronache sexy, calzini e mosse alla Chuck Norris (brava Beth), abbiamo anche il bacio finale tra Arianna e Lucas. Cosa combinavano questi due mentre Kia era troppo occupata a farsi seghe mentali per parlare di Arianna? 

Ci vediamo al prossimo capitolo!
 
  
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