Ormai
manca davvero poco alla fine, questo è il penultimo capitolo, con il dodicesimo
chiudiamo questa storia; un po’ mi dispiacerà, ma l’idea iniziale era 12 storie
per i 12 mesi, quindi eccoci qui =D
Ovviamente
come sempre ringrazio chi mi ha recensito e chi lo farà, qui mi segue, ricorda,
preferisce e anche solo legge, e chi farà tutte queste cose in futuro. Siete
fantastici ^^
Come
sempre, per qualsiasi cosa, non esitate a dirmela ;D
Spero, buona lettura!
11 – Si può
perdere di nuovo tutto
16 novembre
2005
Quella mattina faceva piuttosto freddo, un vento furioso si abbatteva
sulla casa spingendo le imposte che sibilavano sinistramente, anche la pioggia
cadeva forte sul piccolo appartamento fino a scivolare veloce sui vetri delle
finestre.
Quel mercoledì era una tipica giornata di novembre ed Hermione non
aveva alcuna intenzione di alzarsi, il suo giorno libero avrebbe voluto
passarlo interamente nel letto, al caldo sotto le coperte e tra le braccia
dell'uomo che amava.
Neppure il ritorno del Signore Oscuro l'avrebbe trascinata fuori di lì.
Il camino ancora acceso scoppiettava riscaldando la stanza e i loro
corpi nudi, era bello sentire la pelle del mago vicino alla propria, era una
sensazione che non l’avrebbe mai stancata, neppure il suo respiro tiepido che riusciva
ad infiammarla e gelarla al contempo.
Quei sussurri alle labbra appena dischiuse che si facevano racconti di
anime così distanti per lungo tempo, riunite in un bacio tra le lacrime salate
e i sorrisi che erano diventati dolci dai molteplici sapori, che t’invadevano
con il loro liquore amaro e poco a poco ti avvolgeva quel senso di dolcezza
delicato come un abbraccio.
E il sorriso di Severus nel tempo si era fatto miele sulle sue stesse
ferite.
Ad un tratto si sentì uno strano picchiettare seguito dal fruscio della
carta, Hermione aprì appena gli occhi mentre Severus la strinse ancora di più a
sé, e la giovane strega si rilassò di nuovo, accoccolandosi al suo petto, ma il
picchiettio divenne più insistente.
«Ho sentito un rumore.» In un attimo Hermione si alzò dal letto
scostando le pesanti coperte.
«È solo il vento, torna a letto» le disse Severus mentre lentamente la
conduceva di nuovo verso di sé, dopo averle afferrato un polso. «E poi non sta
bene andare in giro per casa in quel modo.»
«Quale modo?»
«Sei nuda.»
«Oh.»
«E quando sei nuda, ti preferirei nel letto. Sotto le coperte. Con me»
era capace di infiammarla con poche parole, e il suo sguardo le provocò intensi
brividi di piacere che le percorsero tutta la schiena. Sulle sue labbra si
allargò un sorriso che avrebbe illuminato una grotta buia, e la bocca di
Severus fece altrettanto, piegando entrambi i lati, congelò la mente della
strega in quell’attimo, su quella realtà.
Se qualcuno in quel momento le avesse chiesto cosa fosse la felicità,
sicuramente avrebbe risposto che era svegliarsi tra le braccia di Severus Snape
che la guardava con un meraviglioso sorriso sulle labbra, vedere quella bocca
che si piegava, era come una giornata uggiosa che improvvisamente era
squarciata dai luminosi raggi del sole.
E il sorriso di Severus era il sole che aveva lacerato il grigio del
suo essere.
«Non è solo il vento, vado semplicemente a controllare.» Sì ricordò
all’improvviso di quel rumore che aveva sentito poco prima.
«Mm…»
Hermione andò nell'altra stanza del suo piccolo appartamento e sul
pavimento notò una lettera, la prese e si accorse dal timbro di ceralacca su di
essa, che veniva dal San Mungo.
Severus si rigirava beatamente tra le lenzuola, ispirando a fondo
l'aroma di Hermione che era intriso tra di esse, era una sensazione alla quale
ancora non si era abituato, svegliarsi con qualcuno accanto era per lui una
novità, nonostante fossero giorni che dormivano insieme.
Sorrise a quella nuova vita che era finalmente iniziata per lui e si
ritrovò a pensare che andare in coma per sette anni era la cosa migliore che
gli fosse capitata, senza quel sonno prolungato non avrebbe mai potuto
conoscere il significato dell'affetto delle persone, non sarebbe mai stato in
grado di affrontare il suo passato e relegarlo in una parte nascosta della sua
anima dove non sarebbe mai stato in grado di avvolgerlo nel buio ogni giorno;
la cosa più importante, però, era che finalmente avesse scoperto il reale
significato della parola “amore”, aveva imparato ad amare veramente e si era concesso
infine di essere amato.
E sorrise, sorrise a tutto quello come mai aveva fatto nella sua vita.
Hermione, tuttavia ancora non tornava.
La lettera le era scivolata di mano e adesso giaceva sul pavimento come
se fosse un essere inanimato nel quale fino a poco prima batteva la vita, ed
Hermione la osservava proprio come se fosse una persona che era improvvisamente
morta, ma si accorse ben presto che la sensazione che qualcosa si stava
spegnendo era dentro di lei, si sentiva come se un incantesimo la stesse
trasformando in una statua di ghiaccio, e in quel momento lo avrebbe voluto con
tutta se stessa.
Avrebbe voluto essere nient'altro che marmo per impedire a quel dolore
di salirle su tutto il corpo.
«Hermione, che succede?» ma la donna non si mosse, era come inebetita e
sembrava non aver sentito neppure le parole di Severus che si era avvicinato
con una profonda preoccupazione sul volto.
«Hermione!» la giovane strega si riscosse, ma era ancora incapace di
dire alcunché, in un attimo si accasciò a terra tra le lacrime.
Severus si accorse della lettera ai piedi della donna e in un attimo
l'afferrò, leggendola avidamente, come se fosse un assetato davanti ad un pozzo
in pieno deserto: sentì il cuore fermarsi di colpo.
«Alzati.» Hermione, però, rimase a terra, piangente. «Per l'amore del
cielo, alzati da quel dannato pavimento!» il suo tono si era fatto duro,
gelido, per un attimo ad Hermione sembrò che fosse tornato il vecchio Severus,
il mago cupo e distante che l'aveva sempre trattata come se non valesse niente
e, anche se in quel momento si sentiva esattamente in quel modo, si alzò a
fatica senza riuscire a sostenere il suo sguardo.
«Vestiti alla svelta. Dobbiamo andare.» Hermione, tuttavia, continuava
a non muoversi e lo guardava a malapena, non avrebbe voluto rivedere quel velo
oscuro sugli occhi del mago. «Ti ho detto di muoverti!»
«Non darmi ordini come se fossi il tuo elfo domestico.» Stavolta la
rabbia prese il sopravvento sulla paura che tutto quello che aveva vissuto fino
a quel momento, era stato nient’altro che un sogno.
«Io non…»
«Tu non, cosa? Non pensavo che avere una relazione con te significasse “obbedienza”.»
«Non capisco cosa stai dicendo e cosa ti fa venire in mente una cosa
del genere.»
«Mi stai dando degli ordini!»
«Io… mi dispiace, ma non riesco ad essere molto lucido in questo
momento.»
«Pensi che in questo momento stia soffrendo solamente tu?»
«Non ho detto questo.»
«No. Non l'hai detto, ma lo stai pensando e ti stai comportando come se
lo avessi detto.» Anche il tono di Hermione si era fatto tagliente, combattuta
tra il dolore e la rabbia non sapeva affatto come reagire a ciò che aveva
appena letto e a quel comportamento di Severus.
Un attimo prima erano stretti l'uno nelle braccia dell'altro, i loro
respiri che si confondevano nel tepore del letto, e adesso stavano litigando
stupidamente su ciò che avrebbero dovuto provare.
Come poteva pretendere che lei non soffrisse per quella notizia? Non
era più la ragazzina spaurita che doveva sottostare ad ogni sua parola, non era
più la studentessa che doveva obbedire al suo insegnante.
Che diritto aveva di trattarla in quel modo?
«Herrmione, lei per me è stata…»
«Invece per me non è stata niente? Neanche la conosco, vero?» senza
aggiungere nient'altro la giovane strega si chiuse in camera sbattendo la porta
con rabbia e dopo un istante uscì da casa senza degnarlo neppure di uno
sguardo, troppo furibonda e addolorata per curarsi anche di lui, nonostante
sapeva perfettamente che in quel momento il dolore stava dilaniando anche
l'anima di Severus.
In quell’attimo sarebbero dovuti stare uniti, farsi coraggio e cercare
di fare qualcosa, invece si erano di nuovo allontanati l'uno dall'altra.
Quando arrivò al San Mungo, vide che erano già tutti lì, doveva essere
arrivata la stessa lettera anche a loro e su quei visi poté vedere quello
stesso dolore che stava provando anche lei.
Le sembrava di essere tornata a tanti mesi prima, a quando il Medimago
Redden le aveva detto che Severus stava per morire e anche in quel momento si
era sentita morire, sprofondare in un abisso di buio che l'avrebbe inghiottita
completamente.
«Cos'è successo?»
«Non lo sappiamo, quando siamo arrivati, era già dentro e ancora
nessuno ci ha detto qualcosa, stiamo aspettando.» Harry era visibilmente
addolorato, possibile che dopo tutti quegli anni passati a soffrire ancora
dovevano provare simili angosce?
«La lettera diceva solo che era stata portata qui. Possibile che
nessuno ci dica niente?» la sua voce si stava via via alzando di tono, quella
mattina era iniziata nel peggior modo possibile e in più aveva anche litigato
con Severus, in cuor suo sperava che quel giorno non avrebbe ricevuto quella
notizia che le si era insinuata nella mente da quando aveva letto la lettera.
«Hermione stai calma, vedrai che presto ci diranno qualcosa» cercò di
tranquillizzarla Ron, ma nessuna parola avrebbe potuto calmarla in quel
momento, come nessuna parola sarebbe stata balsamo per nessuno di loro.
Dopo alcuni minuti arrivò Severus, il suo volto era tornato ad essere
una maschera impenetrabile difficile da decifrare, e sembrava essere tornato
l'uomo cui era arduo anche solo avvicinarsi, come se quei mesi non ci fossero
mai stati, come se la guerra non ci fosse mai stata.
Il mago non degnò di uno sguardo nessuno di loro e avanzò a passo svelto
al portone che li separava dal reparto, incurante che fosse magicamente
bloccato per evitare che persone non addette entrassero.
«Non la faranno entrare» gli spiegò il giovane Weasley, ma Severus
parve non ascoltare perché afferrò la bacchetta, intenzionato a far saltare in
aria qualsiasi cosa pur di entrare lì dentro.
«Severus, stai calmo, per favore» Hermione si era avvicinata al mago e
gli strinse una mano tra le sue, ma in un attimo la scostò, lasciando la
giovane strega stupefatta.
«Io sono calmo. Tu, piuttosto, sei un Medimago, ora, potresti entrare
senza problemi» il suo tono asciutto le gelò il sangue, capiva perfettamente ciò
che stava provando, ma non capiva il perché di quel cambiamento improvviso:
Severus aveva spazzato via tutti quei mesi in un solo istante, come un po' di
sporco con un colpo di bacchetta.
«Bene, hai ragione. Togliti da qui, tu non sei né Medimago né
infermiere né qualunque altra cosa, non puoi sostare davanti a questa porta,
per cui sei pregato di toglierti.» Severus le regalò un'occhiata che sembrava
di odio.
Harry era incredulo, che diavolo era successo a quei due? In un attimo
la collera gli montò dentro, come potevano battibeccare come due bambini
capricciosi, mentre la donna che per tanti anni era stata la roccia di tutti
loro, si trovava al di là di quella porta, a lottare tra la vita e la morte.
«Smettetela! Tutti e due!» urlò all'improvviso e si
voltarono tutti verso di lui con gli occhi sbarrati, Severus lo guardò impassibile,
mentre Hermione non riuscì a fissare quegli occhi verdi per più di qualche
secondo, troppo addolorata e consapevole che si stava comportando da stupida. «I
vostri insulsi problemi risolveteli altrove, possibilmente fuori di qui! Adesso
dobbiamo cercare di stare tutti uniti e far sentire la nostra vicinanza alla
professoressa McGonagall!»
Severus girò su se stesso, il suo mantello si mosse così velocemente
che una sferzata d'aria le arrivò in pieno volto, come un getto d'acqua fredda
la riscosse da quei turbamenti in cui era caduta: in un attimo gli afferrò il
polso, con forza, cercando di trattenerlo, di non sfuggirle come aveva fatto
poco prima.
«Severus, entra con me.»
«Mi sembra tu sia stata piuttosto chiara, non sono persona che può
entrare.»
«Minerva ha bisogno anche di te.»
«Nessuno ha bisogno di me, e per Minerva non posso fare nulla, là
dentro ci sono persone più competenti di me. Vai, vai anche tu, sei brava a
studiare le persone.»
In quel momento Hermione seppe che non ci sarebbero state parole da
dirgli, che nessun gesto che avrebbe fatto, sarebbe riuscito a cambiare
quell'espressione che il mago aveva in volto, sorrise amaramente e lo lasciò
andare, dalle sue mani, da quell'atrio e forse dalla sua esistenza.
La vita a volte sapeva essere davvero crudele, un attimo prima ti aveva
dato tutto, ti aveva concesso la felicità, e un attimo dopo si era ripresa ogni
cosa, strappandotela dalle dita.
Hermione aveva soltanto voglia di piangere, un pianto che le avrebbe
prosciugato ogni lacrima che aveva in corpo, ma si fece forza e varcò quella
porta, non sapendo cosa vi avrebbe trovato al di là di essa.
***
Severus camminava agitatamente per la stanza, poi all’improvviso si
bloccò e le lacrime iniziarono a rigargli il volto e neppure tutta la sua forza
di volontà riuscì a trattenerle dentro i suoi occhi; si sedette su una sedia,
anonima come tutto l’arredamento della stanza, era così freddo e bianco che si
sentì nauseare, forse quella reazione era dovuta più ai suoi sette anni
trascorsi in un ambiente come quello; e il fatto che adesso, inerme su di un
letto, ci fosse Minerva, di sicuro non lo aiutava a sentirsi meglio.
Come avrebbe potuto sentirsi meglio quando la donna che era stata una
madre per lui, giaceva lì, immobile, in preda a spasmi di dolore che nessuno
era riuscito a calmare, l’avevano resa incosciente per darle più sollievo
possibile, ma non avevano ancora capito cos’aveva procurato tutto quello.
Lui, però, lo sapeva.
«È tutta colpa mia» scivolò appena sulla sedia, una mano a coprirgli
gli occhi ormai offuscati dal pianto. «Mi sono permesso di essere felice. Io.
Io che non ho mai meritato la felicità e per tutti questi mesi non ho fatto
altro che illudermi,» le dita liberarono lo sguardo e scesero sulle labbra per
oscurare quell’amaro sorriso che gli era nato spontaneo.
No, Severus Snape non avrebbe sorriso. Mai più.
E la sua vita gli stava gridando forte che in lui non c’era spazio per
sorridere né per essere felice, perché lui era ancora il Mangiamorte,
l’assassino, e la sua felicità sarebbe stata la rovina delle persone che gli
erano vicino.
Aveva davvero creduto di poter vivere nella normalità, avere una
famiglia, degli amici, amare ed essere amato? L’aveva davvero creduto
possibile?
Si ritrovò a ridere tra quelle mura così candide, mentre le lacrime
continuavano a scendergli lungo il viso, una strada di dolore che segnava la
sua pelle e gli entrava in bocca, fino in fondo, fino all’anima, ne sentiva il
gusto salato corroderlo dentro.
«In quanto Pozionista credo che ci debba essere un equilibrio in ogni
cosa, in una pozione è fondamentale che ogni ingrediente sia equilibrato con
l’altro. E sono arrivato alla conclusione che persino nella vita è necessario,
per questo io non posso essere felice.»
Snape si alzò dalla sedia, quel pianto che gli veniva da dentro, parve
acquietarsi, ma il dolore che stava provando, lo stava dilaniando, anche se
cercava in tutti i modi di apparire freddo e distaccato, in fondo era stato
abile a mantenere quella maschera per anni.
«Sono quella parte d’ombra che può vivere solamente nell’oscurità, che
deve riflettere solamente se stessa per non inghiottire quel buio chi gli si
avvicina» camminava lentamente, sperando che in qualche modo, tra tutta quella
sofferenza, Minerva potesse ascoltarlo, lui in sette anni aveva percepito molte
loro parole, quindi credeva possibile che anche l’anziana strega, nonostante
tutto, potesse ascoltarlo.
«Non posso che essere solo. La mia felicità è la solitudine, è stare
lontano dagli altri per non avvelenargli la vita.» Si avvicinò alla donna che
per anni aveva considerato una madre, la guardò per alcuni istanti e alcune
lacrime ripresero a rigargli il volto, il suo autocontrollo stava di nuovo
vacillando di fronte al volto di Minerva così sofferente e teso che aveva paura
persino a sfiorarlo. «Questo è il mio equilibrio. Questa è la mia vita. Questa è
la mia felicità. Sono stato uno stupido a credere che per me ci fosse
dell’altro, uno stupido illuso. Forse sarebbe stato davvero meglio se fossi
morto quella notte alla Stamberga.»
Severus Snape posò le dita sulla fronte di Minerva, scottava e il
sudore le scendeva lungo tutto il viso, avrebbe avuto il potere per eliminare
su di lei ogni traccia di dolore, invece era ai piedi del suo letto a guardarla
senza poter fare nulla.
Loro ti vogliono bene! Hermione ti ama!
E adesso hai semplicemente deciso di voltare di nuovo le spalle a tutti loro?
Le prese una mano e la strinse forte tra le sue dita, quel contatto
caldo gli si propagò lungo tutta la pelle e non riuscì a frenare quelle lacrime
che spingevano con prepotenza per uscire di nuovo.
Questi mesi non li hai vissuti nel corpo
di un altro, eri sempre tu, Severus. Questo sei, è inutile che lo neghi a te
stesso. Non arrenderti proprio adesso, non sei mai stato un uomo debole.
Alla luce fioca di alcune candele, Severus posò le labbra sulla fronte
di Minerva, in una carezza delicata che celava in se la forza di una
moltitudine di significati.
«Mi dispiace» sussurrò appena, il suo respiro caldo nel quale gli
avrebbe donato la sua stessa vita se fosse servito a salvarla.
Cosa penseranno tua madre e Lily? Come
ti guarderà Dumbledore? Distruggerai di nuovo tutti loro, distruggerai Hermione
che farebbe qualsiasi cosa per te, lei ti ama, ti vogliono bene, Severus.
Non lasciarti andare, non lasciare la
presa su quella felicità conquistata con tanta fatica.
Sì avvicinò di nuovo per donargli un’altra carezza e in quel frangente
notò alcune strane macchie violacee che si stavano diffondendo rapidamente dal
collo della strega: per un attimo tornò indietro nel tempo, a quel giorno di
tanti anni prima in cui aveva visto per la prima volta la mano annerita di
Dumbledore.
Fu un lampo che gli traversò la mente, e finalmente capì.
Ti prego.
Stavolta le parole che pronunciò la sua coscienza non le ascoltò
neppure, il suo aiuto lo avrebbe dato nell’ombra come sempre, nascosto nel suo
mondo di buio, lontano da tutto e da tutti, e da quella felicità che non gli
era mai appartenuta e che mai avrebbe fatto parte del suo mondo.
Con lentezza si allontanò da Minerva, aveva una cosa importante da fare
per salvarla, non prima di averla guardata per un’ultima volta sorridendo
tristemente, nonostante poco prima si era ripromesso di non farlo mai più.
Quella mattina aveva stretto tutta una vita a sé, e adesso aveva perso
ogni cosa, ed era giusto così.
Severus lo sapeva e un sorriso malinconico di una fugace felicità gli
piegò le labbra, troppo breve per riuscire a riportarlo indietro, troppo
effimero per convincerlo a non arrendersi e a lottare per ciò che meritava.
Uscì da quella stanza e dalla sua vita e, forse, dalla vita di tutti
loro.