Capitolo Secondo
Acque amiche
Il giorno dopo, Anna era più strana del solito. Mi
fissava intensamente come sempre, ma appena rivolgevo lo sguardo verso di lei,
quella lo spostava altrove, e Valeria non faceva che guardare me e poi lei e
poi di nuovo me con sospetto. Mi dicevo che probabilmente la sera prima avevamo
fatto qualcosa di sconveniente, e poi mi buttavo in mare dimenticandomene
l'attimo dopo. Il pomeriggio, Riccardo ci accompagnò nel supermercato più vicino
perché potessimo riempirci il frigo, anche se, fosse stato per me, sarei
rimasto a digiuno pur di passare il pomeriggio in spiaggia. Già m'ero scottato,
ma non mi passava neanche per la testa che potessi finire per passare la notte
con la febbre come era successo con Valeria.
La sera, Riccardo ci fece conoscere la sua comitiva - a quanto pare non
stava più nella pelle - e io, per dimostrare la mia voglia di conoscere gente
nuova, mi feci una canna prima di uscire di casa. Una volta arrivati alla casa
abbandonata in cui avevamo stabilito l'incontro, movida notturna inesistente, i
due gemelli quasi mi fecero paura per quanto erano alti. Sembravano essere
cresciuti di almeno una spanna in un solo giorno. O magari ero solo io ad
essere fatto. Il gruppo era composto da una quindicina di persone, e tutti
iniziarono a darci la mano, chi con un bel sorriso, chi con scazzo, chi con
facce interessate. Un paio di coppie invece erano rimaste in disparte a
sbaciucchiarsi o abbracciarsi teneramente, e mi resi conto che in una delle due
coppie c'era quel tizio strano che avevo conosciuto in spiaggia, quel Lorenzo.
Allora erano tutte cazzate, la ragazza ce l'aveva, e sembrava pure più grande
di lui. Si dava da fare, il pel di carota. Magari quella dell'imbranato cronico
era tutta una facciata per stare più simpatico agli sconosciuti. Quando si
accorse della nostra presenza non venne a salutarci, sciolse l’abbraccio con la
ragazza e prese a farsi gli affari suoi – ergo, si mise a guardare un punto
impreciso nel cielo, la testa tra le nuvole.
Stemmo una mezz’oretta a scambiarci battute tanto per fare conoscenza - io
in realtà tentavo goffamente di fare conversazione col tipo seduto accanto a
me, ma quello mi guardava strano, probabilmente conscio del fatto che fossi
fatto, senza eccessivi giochi di parole. Dopodiché ci spostammo a piedi sino al
fantomatico "Luna Blu", che non era altro che una rosticceria più
tabacchino con i tavoli all'esterno. Qualcuno ordinò un paio di birre e tranci
di pizza e ci sedemmo dopo aver unito due tavoli. La compagnia non era male,
erano tutti abbastanza buffi da far sorridere persino me, alcuni con la faccia
da criminali, altri che parlavano solo in dialetto e dovevano fare battute
divertentissime per far ridere in quel modo gli altri, ma io non capivo
un’acca. Per quanto l’atmosfera fosse accogliente, però, continuavo a sentirmi
a disagio, come se non riuscissi a trovare un posto per me sulla Terra. A
parte, forse...
«Ragazzi, scusate, ma io mi avvio verso casa, ché non sto troppo bene,»
dissi ad un certo punto della serata, interrompendo un discorso a cui tutti
sembravano interessati. Tutti a parte quel Lorenzo, che se ne stava seduto
accanto alla ragazza a cui era abbracciato all’inizio della serata e fissava il
neon del bar con la guancia appoggiata alla mano.
«Che hai?» mi chiese Riccardo, la solita aria da ingenuo.
«E' strafatto, non vedi?» gli fece notare Valeria molto carinamente. «Fai
bene, vai a farti un giro, ché ti vedo pallido,» e me lo disse con ancora più
disprezzo delle altre volte. Quasi le avessi fatto un torto di cui non ero a
conoscenza. E intanto Anna aveva ripreso a fissarmi, ed era tutta la serata che
lo faceva. Avevo la sensazione di non avere solo i suoi occhi addosso, o magari
ero io che mi facevo le paranoie. Alzai le spalle e poi una mano in segno di
saluto, e diedi agli altri il tempo di ricambiare prima di andarmene,
inconsciamente diretto alla spiaggia. Non avevo idea del punto in cui mi
trovavo, non sapevo come me ne sarei tornato a casa. Ciò di cui ero certo era
che la sabbia fresca sotto i piedi era sempre un toccasana per me. Mi sedetti
lontano dal bagnasciuga questa volta, vicino alle dune, lì dove la sabbia
diventava più fine. Il mare mi sembrava agitato anche se sapevo bene fosse
piatto come una tavola. Probabilmente era la mia testa che girava più del
dovuto.
«Stai molto male? Sei sicuro che non ti serva aiuto?» una voce insicura mi
arrivò ovattata alle orecchie, e quando voltai il capo in quella direzione, le
immagini davanti agli occhi si spostarono molto più lentamente del resto del
corpo.
«Sono solo un po' fatto, fra poco passa,» risposi quando riconobbi il
ragazzo della sera prima. Lui venne a sedersi accanto a me e poggiò le
infradito davanti a sé, poi chiuse le braccia sulle gambe piegate e mi guardò
col capo inclinato.
«Mi dici perché ti ostini a farti tutte le sere? Non mi sembri uno tanto
festaiolo da sballarsi per vivere il momento,» chiese ancora quel tizio
praticamente sconosciuto, invasivo ma con leggerezza. Non sembrava curiosità
ostinata, la sua: faceva le domande col tono di un bambino che chiede se le
stelle cadenti si facciano male cadendo.
«Perché non sto bene. Con me stesso, con gli altri. In questo modo, sembra
che i pensieri scivolino via,» confessai, e non sapevo neanche perché lo stessi
facendo. Ero sempre stato un tipo molto riservato, quelle cose ero solito
tenerle per me, o al massimo ne parlavo al mare. Certe volte pensavo di
rasentare la pazzia.
«Ti capisco, credo di essere molto simile a te. Solo che io preferisco fare
una passeggiata in spiaggia o un giro in scooter, in direzione del vento. Vado
sempre dove va il vento, mi sembra di andare più veloce,» e rise della sua
stessa affermazione.
«Puoi dirmi quanti anni hai?» gli chiesi in tutta risposta, e quello mi
disse che ne aveva diciotto. «Da come parli mi sembravi più piccolo,» ammisi, e
tirai fuori una sigaretta.
«Eppure io me ne sento cento, di anni. E non fumare, mi dà fastidio che mi
si inquini la spiaggia,» fece poi dopo aver adocchiato la sigaretta.
«Non credo che tu possa dirmi cosa fare su una spiaggia non tua.»
«Certo che è mia,» e lo disse con una serietà tale che pensavo mi stesse
prendendo in giro. Ma mi divertì la sua reazione, quindi gliela diedi vinta e
rimisi la sigaretta nel pacchetto.
«E quindi mi hai mentito,» esordii poi per cambiare discorso. «La ragazza
ce l'hai.»
«E chi sarebbe?» mi chiese lui, caduto dalle nuvole.
«Non te la stavi abbracciando teneramente poco fa?»
Lui mi guardò di sottecchi, ma poi gli venne da ridere e si mise una mano
sulla bocca.
«Quella è Roberta.»
«E il nome dovrebbe dirmi qualcosa?»
«E' mia sorella,» disse come fosse la cosa più ovvia del mondo. E in
effetti avrebbe dovuto esserlo, visto che me ne aveva parlato a lungo solo la
sera prima. Feci una faccia perplessa e presi a giocare con un dito nella
sabbia fresca. «Tu piuttosto, hai fatto colpo sin dalla prima sera,» mi fece
poi sapere, e io gli risposi con un grugnito che voleva essere un "Su
chi?" disinteressato.
«Sulle due russe,» rispose lui quasi io sapessi chi diavolo fossero queste
qui.
«Chi?»
«Abbiamo due ragazze russe nel gruppo. Le due biondone,
è impossibile che tu non le abbia notate,» mi disse, anche un po' seccato.
«E io avrei fatto colpo su due tipe del genere?» domandai con tono
auto-derisorio.
«Ti guardavano il culo mentre te ne stavi andando!» insistette Lorenzo
quasi fosse pronto a provarmelo con una foto o un video.
«Come hai fatto a vederlo se te ne stavi imbambolato sul neon?»
«Come ti sei accorto che fissavo il neon? Mi spiavi?»
Mi mise un momento in difficoltà, ma non avevo intenzione di perdere quella
battaglia a suon di battute.
«E tu perché spiavi me?»
Lui a quel punto sospirò e scosse la testa, poi si alzò poggiando una mano
al ginocchio.
«Lasciamo perdere. Torno un po' dagli altri, anche se non impazzisco
all'idea.»
Annuii e salutai con un cenno, ma prima che uscisse dalla spiaggia mi
ricordai di dovergli chiedere qualcosa.
«Sapresti solo dirmi quanto è lontano il pezzo di spiaggia in cui eravamo
ieri? Da lì riesco ad orientarmi.»
«E' piuttosto lontano, a dirtela tutta. E fossi nelle tue condizioni, non
me la farei tutta a piedi,» mi consigliò parlando ad alta voce, ma era un tono
che non dava fastidio, mi ricordava quasi le onde che si infrangevano sugli
scogli.
«E cosa mi proponi di fare?» ribattei, neanche troppo aggressivamente.
«Siamo vicini a casa mia. Ti accompagno in scooter,» propose, e mi fece
segno di seguirlo.
«Ma per favore, cosa sono, la ragazzina che riporti a casa dopo una festa?»
chiesi ironico, ma quello non aveva troppa voglia di farsi prendere in giro,
quindi scossi la testa e lo raggiunsi traballando. «Ho capito, arrivo.»
Casa sua era simile a quella del mio amico, a quanto pareva le abitazioni
lì non erano molto diverse l'una dall'altra. Non mi fece entrare dentro, mi
lasciò aspettare fuori dal cancello bluastro. Poi tirò fuori lo scooter dello
stesso colore e, dandomi il suo casco che non ebbi il coraggio di rifiutare, mi
fece segno di salire dietro di lui. La sensazione della velocità era simile a
quando riuscivo a fumarmi un bongo: mi sentivo proteso in avanti e allo stesso
tempo avevo la sensazione di cadere.
Il suo scooter si fermò proprio davanti a casa di Riccardo, e io ci misi un
po' a realizzare che era ora per me di scendere: il viaggio m'era sembrato
lunghissimo. Scesi un po' a fatica e lo ringraziai sinceramente, e quando
quello mi sorrise di rimando, notai un paio di fossette scavargli le guance.
Riuscivo a vederlo molto meglio alla luce del lampione: aveva la faccia di
qualcuno di cui ci si può fidare. Quando se ne andò, neanche sentii il rombo
del motore, e mi sembrò sparire nella notte.
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Nei giorni seguenti, Anna sembrò sempre più a disagio in mia compagnia, e
Valeria mi guardava in cagnesco quasi le avessi insultato la madre. Non è che
mi importasse più di tanto, ma i loro sguardi non erano neanche del tutto
piacevoli. Una di quelle mattine, Valeria mi prese da parte mentre facevamo il
bagno e,
«So che Anna non voleva che venissi a parlarti, ma la situazione è
snervante. Mi spieghi cosa hai in quella testa, oltre a marjuana
e tabacco?» mi chiese, e io mi bagnai scocciato i capelli.
«Che stai dicendo?»
«Che vuoi fare con Anna?» incalzò quella.
«Che voglio fare? Mi spieghi che idee si è messa in testa quell'altra?»
«Tu e 'quell'altra' martedì scorso avete fatto
sesso sulla spiaggia. O non ricordi neanche questo? Che ti eri fumato quella
sera?» fece, irritabile come sempre, incazzata nera per fatti che neanche la
riguardavano. Sì, mi ero reso conto di aver fatto qualcosa con Anna, perché
conoscendola sapevo non si sarebbe fermata a un bacio, ma addirittura sesso?
Oltretutto senza protezioni, perché io non è che giravo coi preservativi sotto
le maniche e lei sicuro non li usava come segnalibri. Rischiavo davvero grosso.
Ma adesso almeno sapevo il motivo per cui Anna non riusciva più a starmi
vicino.
«Okay, va bene. Quindi immagino che lei mi guardi male perché io la sto
ignorando.»
«Giustamente. Come minimo si aspetta che tu le chieda di portare avanti la
vostra relazione.»
«Non porto avanti proprio nulla,» troncai lì la conversazione e mi allungai
per andare a farmi una nuotata al largo ed evitare di continuare il discorso.
Quella mi richiamò con la rabbia di qualcuno che se mi avesse tra le mani mi
strapperebbe la pelle a morsi, ma la ignorai un'altra volta dando la priorità
alla mia nuotata mattutina. Un altro dei miei problemi da raddrizzare era il
mio scappare via lontano da ogni situazione che mi mettesse a disagio, senza la
benché minima possibilità di poterla affrontare da vero uomo - quale a quanto pare
non ero.
Il pomeriggio mi spostai in un altro lido proprio per evitare quell'arpia
di Valeria e quel caso umano di Anna e mi comprai un cocktail piuttosto forte,
anche se a momenti ero astemio: qualunque cosa pur di evitare di pensare.
«Hola! Ma tu sei il fattone di ieri!»
Quell'apostrofe sembrava essere rivolta proprio a me, quindi alzai lo
sguardo dal drink che bevevo con poca voglia e intercettai le figure
mastodontiche dei due gemelli Wesley, accompagnati da una mora occhi verdi
niente male e un tizio bassino capelli rosso
tramonto, lentiggini, occhiali da moto appesi al collo... Sì, almeno uno di
loro lo conoscevo. I quattro si sedettero al mio tavolo senza che io li avessi
invitati, ed ero davvero troppo stordito dall'alcol per raccogliere le forze
necessarie per spingere via quelle due bestie.
«E la tua amica Valeria? E' amica tua, no?» fece uno dei gemelli, e io
alzai le spalle finendo di risucchiare con la cannuccia gli ultimi residui di
frutta nel bicchiere.
«Non mi importa,» risposi senza neanche essere sicuro di aver sentito la
domanda.
«Non ti importa di...cosa?»
«Qualunque cosa abbiate detto.»
«Amico, certo che non è una brillante idea prendersi una sbronza di
pomeriggio,» risero i due cercando l'approvazione della ragazza, che scosse la
testa, mentre Lorenzo mi guardava preoccupato nella sua tipica posizione, con
il mento appoggiato nel palmo della mano e il gomito sul tavolo.
«Scusami,» una voce femminile mi convinse ad alzare la testa. «Credo di non
essermi ancora presentata. Sono Roberta,» mi disse la ragazza allungandomi la
mano. Io lanciai uno sguardo a Lorenzo, che sembrava annoiato, poi strinsi la
mano e gli dissi che era un piacere, che mi chiamavo Gianluca e che mi
dispiaceva se aveva dovuto conoscermi ubriaco a metà. Lei disse che non dovevo
preoccuparmi e che era sicura di avermi già visto prima che ci incontrassimo
con l'intera sua crew.
«Forse... Eri in spiaggia al tramonto qualche giorno fa?» mi chiese, e io
le dissi di sì, era il giorno del nostro arrivo al mare.
«Quindi tu sei quella con lo scooter rosso e bianco che si è fermata a
fumare una sigaretta?» provai a domandare, sperando che non fossi troppo fatto
anche quella volta.
«Allora ti ricordi. Eravamo gli unici due in spiaggia a quell'ora.»
Sì, probabilmente me ne ricordavo solo perché era arrivato finalmente per
me il momento di stare solo e quella tizia era venuta a rovinare tutto. Come
sempre, i miei motivi erano poco gentili o romantici. Lorenzo si alzò
visibilmente scocciato e fece per lasciare la spiaggia senza che nessuno si
accorgesse della sua dipartita, ma evidentemente si ricordò di qualcosa e prima
di andarsene si voltò verso di me.
«Se vuoi, anche stasera sarò da queste parti, dalle dieci in poi,» mi
disse. Nessuno lo calcolò, solo io gli risposi con un cenno del capo e un mezzo
sorriso.
«Andiamo a fare il bagno, tanto questo qui è ubriaco,» propose uno dei
gemelli. L'altro lo seguì senza indugio, mentre la sorella di Lorenzo disse che
li avrebbe raggiunti e rimase ancora un po' a farmi compagnia. Non mi dispiaceva
troppo, quella sua compagnia, ma era anche vero che l'alcol mi distorceva un
po' tutta la realtà. L'unica cosa di cui ero sicuro era che, ora che la
guardavo bene, suo fratello era la sua fotocopia, capelli e lentiggini a parte.
Parlammo un po', poi iniziò ad annoiarmi pure lei e finii per buttarmi in
acqua, nonostante quella cercasse di fermarmi, ché non era così sicuro
immergersi dopo una tale bevuta.
***
Ecco
a voi il secondo capitolo. Spero sia stata una piacevole lettura. Alla
prossima!
Mirokia