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Autore: Cap_Kela    07/12/2013    3 recensioni
-Sequel di UNTITLED-
C'è un'unica cosa che spetta per certo ad ogni uomo, ed è una Signora senza volto, avvolta nelle tenebre, che lo condurrà alla sua dipartita.
A Capitan Jack verrà data la possibilità di sfuggirle ancora una volta, ma la sua scelta potrebbe portare al trionfo o alla fine di tutto ciò che abbiamo conosciuto.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hector Barbossa, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Sorpresa, Will Turner
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'UNTITLED'
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Nota della Capitana:
Buonasera a tutti! ^^
Anzi, buona notte che è tardissimo :P
Ben ritrovati con il capitolo 17 di Untitled Witout End!!!
Prima di iniziare volevo premettere un po’ di cose. Partiamo dal titolo:
Sì, ho inventato una parola inesistente nella lingua inglese XD il prefisso “Un” si usa solo per gli aggettivi, però nel corso di questa fan fiction ho usato molta “licenza poetica” diciamo, e il titolo “inventato” suonava così bene che gli inglesi mi perdoneranno (spero) lol.
Volevo render bene l’idea dei “non-fratelli” (tra un istante capirete meglio).
Il rating di questo chap è pienamente arancio ancora una volta, e specifico che qui ci saranno delle tematiche molto delicate, non adatte proprio a tutti.
Siete avvisati ;)
Altra cosa di cui vi accorgerete tra pochissimo: come sapete io ho l’abitudine di associare ad ogni mio personaggio un viso “noto”, che rispecchi abbastanza la mia idea mentale.
Per il personaggio “protagonista” di questo chap, un’amara coincidenza ha voluto che fosse il viso di Paul Walker. Sono anni che penso a questo personaggio e scavando tra i volti di decine di attori, ho visto finalmente nel taglio dei suoi occhi quello che cercavo. Sono infinitamente dispiaciuta per quello che gli è successo, e non volevo presentarvelo in un momento così tragico, però penso che sia comunque un bel modo di ricordarlo. Sono assolutamente convinta che il mio personaggio non gli somigli come personalità, ripeto che l’ho scelto solo per dei fattori fisici. R.I.P Paul!
Per tutti quelli che hanno sbirciato gli spoiler dello scorso chap, e anche tutti gli altri, ma solo dopo che hanno finito di leggere questo capitolo, andate a leggere la nota a piè di pagina ;)
Ultimissima cosa: volevo ringraziare with all my heart la mia adorata Ciccipucci  
SymboliqueVain che con una impresa eroica si sta rileggendo tutta questa fan fiction dal principio XD E le dedico questo capitolo “catartico” :*
Se vi piace Hunger Games e non solo date un occhio alle sue fan fiction J
Grazie a tutti per l’attenzione, vi auguro buona lettura e a presto! (alla nota a piè di pagina insomma XD)

 
 
Capitolo 17
 

Una finestra della cabina fa da cornice all’alba di questa mattina.
Dentro è buio, fuori è quasi luce. Io e Jack nel mezzo, sull’esatto confine dei due opposti, seduti sul davanzale, l’uno di fronte all’altra.
Gli occhi assonnati, le gambe incatenate le une con le altre, è il nostro modo di “guardarci dentro”, di sentirci più vicini.
Ho rivelato a Jack di conoscere l’oggetto delle sue afflizioni.
Ha strabuzzato gli occhi per un attimo, con sospetto. Poi ha ammesso di aver intravisto il fumo, e di sapere che io e Patrick origliavamo l’altra notte.
Ora c’è una domanda sospesa nell’aria. Jack si schiarisce la gola con un sorso di té verde ormai tiepido, poi inizia:
“Mio padre, Edward Teague, aveva un fratellastro, tale Jorvik Nirsch.
Tagliagole di professione.
Da piccolo mi raccontavano che girava vestito delle pelli delle sue vittime, probabilmente erano solo animali selvatici, considerata la stazza e il suo debole per la carne. Cruda.
Affiancava il mio vecchio negli affari, o meglio, quando il poveraccio di turno doveva esser dissuaso a rivelare dove nascondeva la refurtiva.
Nirsch era un pazzo sanguigno, istintivo. Potevi entrare nelle sue grazie servendogli un calice di vino, o ti ritrovavi senza un braccio perché gli facevi perdere il filo del discorso.
In sostanza, nel periodo in cui nacqui io, lui era sparito per un po’, da quasi un anno.
Il mio primo vagito echeggiò a largo delle fredde acque dell’Atlantico, e quella stessa notte, durante i festeggiamenti, Nirsch si rifece vivo.
Giunse a nuoto barattando un passaggio da dei pescatori, che in tale occasione ebbero salva la pelle come ricompensa, e approdò sulla Old Rock con un fagotto pendente dalla spalla destra.
Quest’ultimo si rivelò un bambino.
“Considerato che ha tenuto duro durante tutta la nuotata, senza annegare, posso ritenerlo degno di essere mio figlio!” In caso contrario lo avrebbe affidato alle acque.
Con queste parole Nirsch battezzò il piccolo superstite Alexander Thomas Paxton.
Infatti il vero cognome di Jorvik non era Nirsch, ma Paxton.
Egli basò la sua terribile fama col nome di “Nirsch” per onorare il cannibale omonimo, killer seriale della Bavaria, vissuto quasi un secolo prima.
Per emulare quel diavolo, Nirsch soleva raccontare di aver preso parte personalmente alla venuta al mondo di suo figlio, estraendo il piccolo bastardo dal ventre della madre ancora incinta, e di averla così uccisa.
In realtà per quello che concerne la madre di Paxton non si sa niente di certo.
Nirsch parlò di una sacerdotessa greca, di un tempio sacro in cui fece razzie. Abusò di lei e quando seppe del bambino rimase nei paraggi, la tenne costantemente d’occhio affinché non si uccidesse.
Poi fui lui a sbarazzarsi di lei, e in seguito tornò sulle tracce di mio padre.
Quell’angelo di mia madre si prese immediatamente a cuore anche Alexander, senza indugio.
Come si dice? Siamo fratelli di latte.
Abbiamo mosso i primi passi tremolanti e giocato con le spade di legno sulla Old Rock, per dieci anni circa.
Fino a quando, qualche anno dopo, mia madre morì.”
La prima vera nota drammatica e di incertezza nella voce di Jack, in tutto il racconto.
“...E lei com’è morta?” domando timidamente, in un fiato appena percettibile.
“Per mano di mio padre -ammette infine, gonfio di rancore, parlando a fatica, come chi trascina un peso con sé- Accecato dalla gelosia.
Devi sapere che avevano due decadi di differenza”.
“Due decadi, non quattro secoli...” tento di sdrammatizzare per alleviare quel broncio. Ci riesco per poco.
 “Come si chiamava?”
“Therese… Lei un fiore freschissimo, lui un uomo sfinito che si accingeva alla vecchiaia.
Viveva nella paura che gliela portassero via, invece si è spinto fino a distruggerla lui stesso.
E’ qualcosa per cui non avrà mai il mio perdono.
Se penso che si è sempre detto innocente...
Ma io ero lì, e l’ho visto.”
Pensare ad un Jack bambino che in qualche modo si ritrova ad essere spettatore di una scena del genere mi gela il sangue.
“Litigavano da un pezzo quella notte. Il mare ruggiva, le onde aggravavano la nausea, l’andamento della nave cavalcava invano quella furia...
Io mi trovavo oltre la parete, sballottato da parte a parte, non sapevo più se dal mare o dalle loro grida.
Poi sentii un tonfo, sordo.
Deciso a recuperare un po’ di spina dorsale, entrai.
Erano entrambi a terra, c’era quiete, circoscritta da un’estesa pozza di sangue sul pavimento. Nell’aria quel pizzichio di morte che ti irrita le narici.
Lui la stringeva ancora tra le braccia, tamponando con una mano quei lisci capelli chiari, macchiati dal nero e dal rosso del sangue.
Le aveva fatto un buco in testa con uno di quei ferri per il camino che scoppiettava incurante alle loro spalle.
Tra quelle fiamme vidi il destino di mio padre: perire all’inferno.
Piangeva contro il suo viso cianotico, mormorando qualcosa di incomprensibile, e quando vide me sulla porta urlò a non so chi di portarmi via.”
Tolgo la mano premuta sulla bocca per prendere fiato, e tentare di digerire quelle parole sconcertanti.
Il tono di Jack è colmo di astio, le sue nocche si fanno bianche intorno al manico del boccale.
Tutto ciò che riesco a concretizzare è farmi largo in quelle braccia impietrite e mormorare un “Oddio...” contro il suo petto.
Dopo un primo momento di tumulto, Jack allenta i muscoli e prende parte all’abbraccio.
“Da allora non ho più voluto avere a che fare con lui.
Fuggii e in quel totale smarrimento andai alla ricerca del saldo per quei dieci anni in cui mia madre offrì a qualcuno che non era suo figlio un’infanzia dignitosa.
A quel tempo Alexander era un cane sciolto, aveva ripudiato ogni tipo di insegnamento che non fosse correlato alla ribellione. Nirsch, dal canto suo, gli concedeva ogni tipo di libertà, a patto che stesse il più lontano possibile dalla sua vista.
Ci permettevamo qualunque tipo di vizio rientrasse nelle nostre tasche, facendo i ladruncoli.
Mio padre non mi insegnò mai nulla su come condurre una nave, ma mi temprò a difendermi e combattere. L’unica cosa su cui Nirsch affinò Paxton era uccidere.
Io per farmi ben volere dalle ricche signore da truffare usavo le buone maniere di mia madre, Alexander se non otteneva ciò che si era prefissato voleva veder scorrere il sangue.
Finalmente ero libero di non sottostare a nessun giudizio, sguardo severo, o nome altisonante da far rispettare. Ero un’esile ombra che sgattaiolava da una parte all’altra dell’arcipelago Caraibico, e in breve mi resi conto che quella era la parte migliore del gioco: immischiarsi nella stiva di qualche nave, sgraffignare un boccone dalle casse, lavorare a bordo una manciata di giorni (se avevi la fortuna di essere accettato) e poi passare al porto successivo.
In breve l’animo pirata prese il sopravvento su tutto il resto.
Era l’unica vera cosa che accomunava me e quel compare di vecchia data.
Dopo anni di vita grama avevamo un’ambizione: diventare capitani, e nessuno poteva obbiettare tale scelta.
Ci imbarcammo su una nave come semplici mozzi e trascorsero due anni, durante i quali non toccammo quasi mai terra. Ogni minuto a bordo era una fonte impagabile di insegnamento.
Alexander era sempre stato di salute cagionevole, una manciata di notti brave e la settimana seguente doveva passarla in branda, così quel nuovo stile di vita, seppur più rigoroso di quello appena lasciato, la peggiorò.
Per due anni l’occupazione principale della mia giornata fu quella di convincere il Capitano a non gettare quello scheletro tossicchiante in pasto ai pesce cani, tant’è vero che a persuasione non ho rivali.
Ma nel frattempo praticavo, imparavo, assimilavo quanto più mi era possibile, per fare di quel mestiere la mia ragion d’essere.
Sulla Old Rock non mi era mai stato permesso avvicinarmi, osservare o toccare niente. Avevo unicamente accesso alle carte nautiche e il diario di bordo.
Tutta roba inutile pensai sempre, ma infine capii.
Il mio vecchio fece in modo di sottrarmi da quel mondo perché sapeva che avendomelo imposto l’avrei di certo ripudiato. Invece ogni cosa proibita era oro per me, così finii per essere quello che sono.
In quel breve lasso di tempo trascorso a bordo divenni nostromo. Paxton non aveva sufficiente prestanza fisica per sopportare un attacco, però peccava di astuzia. Sapeva usare le armi altrui a suo vantaggio, e per la profonda depravazione del suo animo raggiunse infine il grado di sottufficiale.
Al di sotto di me vi erano lui e un secondo sottufficiale, un altro folle portoghese: Hector Barbossa.
Durante una lunga traversata nell’Oceano Indiano, con rotta a Singapore, incappammo in una burrasca, residuo di qualche disastro atmosferico su quelle stesse coste.
Il nostro capitano di allora contrasse una forma preoccupante di scorbuto, lui è il suo primo ufficiale avevano riportato delle ustioni gravi durante uno scontro, e lo scorbuto peggiorò considerevolmente la situazione.
La ciurma e la nave erano momentaneamente affidate a noi tre sottufficiali.
Le minacce di Paxton ebbero scarso effetto sugli uomini in quel caso, sicché lui si arrese presto. Hector badava alle vele, benché ridotte a brandelli, ed io al timone.
Ero letteralmente aggrappato a quel timone.
Per non rischiare di finire in mare e lasciare la nave in balia della furia, volta a ridurla in pezzi, mi legai entrambi i polsi con dei nodi strettissimi al timone, e continuai a scalfire la tempesta, fino allo stremo delle forze.
La mattina seguente chi sopravvisse mi ritrovò svenuto, ancora congiunto a quel pezzo di legno, con le corde che mi avevano rosicchiato fino all’osso.”
Approfittando di una breve pausa, fa mostra di uno dei due polsi, fasciato da un lembo di stoffa.
Scosto il volto dalla sua clavicola per vedere meglio.
Quando snoda il tessuto scopre una serie circolare di profonde cicatrici che delineano la mano, rimarginate, guarite, ma ancora chiare e di diversa profondità lungo tutta l’articolazione.
“Accidenti...-dico passandoci sopra delicatamente, solo con i polpastrelli- Anche tu a pazzia non scherzi!”.
“Beh, ma n’è valsa la pena. Ho avuto la Perla!” rilancia, animandosi.
“La nave di cui mi hai parlato fin ora era la Perla Nera?” sbotto sbalordita.
“Aye...” conferma con un sorrisetto sbilenco, e le iridi petrolio colme dell’emozione di quel ricordo.
“Da allora è stata mia.
Il primo ufficiale non superò quella terribile notte, e il Capitano arrivò a malapena a Singapore, dove riuscirono a curarlo con delle erbe medicinali del posto, ma non si riprese mai del tutto.
Fortunatamente non ero morto, e quando il Capitano seppe di come avevo riportato la Perla su rotte tranquille, disse che da lì in poi il comando sarebbe passato a me.
Hector divenne il mio primo ufficiale, e Paxton rifiutò la carica di nostromo.
Avrebbe acconsentito solo di esserne lui stesso il Capitano.
Ci dividemmo una prima volta a Singapore, affermò di voler prendere una strada sua, totalmente diversa. In realtà era sull’orlo dell’abisso.
Io ero troppo infervorato dalla mia più grande conquista per comprenderlo.
La Perla Nera era la nave che avevo sempre desiderato, e confidavo che da parte sua superasse presto l’invidia del momento. Così non fu.
Non seppi più niente di lui per anni, e quando si fece vivo di nuovo stentavo a riconoscere la sua persona.
Aveva sempre avuto l’aria di chi, presto o tardi se ne sarebbe andato all’altro mondo con una polmonite un po’ più violenta del consueto, invece negli anni maturò una strategia per cui un fisico resistente o la capacità di pianificare tattiche belliche non sarebbero serviti granché.
Si auto-inflisse una maledizione.
Come se nel suo caso ce ne fosse stato ulteriore bisogno...
Entrò in possesso di un diamante, una sorta di pietra sciamanica che racchiude in sé un potere: chiunque la fissi per più di una manciata di secondi può scorgervi all’interno la sua paura più grande, e morirne di conseguenza.
Ma non sarebbe Paxton senza un gesto estremo.
Infatti lui di questa pietra non vi fece un pendaglio, ma un occhio.
Si privò del suo occhio sinistro, strappandolo via dall’orbita, e vi ripose quel sasso infernale.”
“Come il cadavere che abbiamo rinvenuto a bordo ieri, è così?”
Ora mi è più chiara la nube di preoccupazione che avvolgeva Jack in quella circostanza, è questo che temeva.
“Cela il tutto dietro una maschera che gli ricopre solo la metà sinistra del viso.
L’ha fatto per vendicarsi di tutte le umiliazioni subite nell’arco di una vita, quando i suoi limiti fisici gli hanno sempre impedito di essere all’altezza.
Ma, com’era prevedibile, è andato degenerando.
Per non essere da meno a quella bestia di Nirsch, regola questo potente espediente con la sua tempra altalenante.
Non so dire se sia il diamante a controllare lui, o il contrario.
E risultato è simile a quello sul volto dell’uomo che la scorsa mattina abbiamo restituito al mare.
Oltretutto lui adesso ha una nave. Non è la Perla Nera com’era suo desiderio, ma è un rapido vascello inglese che ha battezzato ‘Diamond’.
La chiamano Il vascello fantasma.
Non so come, ma quella nave è più diabolica di lui. Precisamente è invisibile alla luce del sole. Dicono navighi solo di notte, quando è più difficile essere localizzati...”
“Una cosa ancora non mi è chiara: come ha fatto a diventare una minaccia?” domando incerta.
Devo aver centrato il punto, perché Jack distoglie lo sguardo dall’orizzonte e corruga il viso mimando un atteggiamento tra il dispiaciuto e lo sornione.
“L’ultima volta che l’hai visto non vi siete lasciati in buoni rapporti, vero?” deduco con una intonazione inquieta.
Lui annuisce strabuzzando gli occhi.
“Vedi… E’ stato Paxton a parlarmi di Hyubtat-le, di Untitled.
Il frammento della mappa con il veliero a vele spiegate apparteneva a lui, gliel’ho sottratto a Tortuga.”
“Mi hai detto di averlo trovato per caso in un cappello!” protesto, inizialmente non era così la sua versione dei fatti.
“…A Tortuga, in un cappello, che per caso apparteneva ad Alexander Thomas Paxton!”precisa puntiglioso, alzando un indice come ammonimento.
Io rido esasperata, il Capitano invece si fa molto serio.
“Nascose i quattro frammenti della mappa in altrettanti oggetti diversi, e io ne rintracciai uno in quel copricapo. Sono certo sia lui quel tale, consumato di vendetta, che mi condurrà a morte certa!”sentenzia greve.
“Ma ciò non succederà!” incalzo fiduciosa, in uno spiro di voce, disegnando con una carezza il contorno dei suoi zigomi. “Quel Paxton non sa che abbiamo un’arma segreta…” proseguo trionfante. Jack solleva un sopracciglio che scompare nelle pieghe della bandana.
“Ovviamente parlo di cappuccetto grigio e del cuoco semi-dio!”paleso sarcastica, caricando le mie parole di enfasi, come uno di quei proprietari del circo quando propone le sue attrazioni migliori.
La risata sommessa di Jack riecheggia nella stanza rimbalzando dalle pareti circolari del calice.
“…E poi, non dimentichiamo che Capitan Jack Sparrow sa sempre come cavarsela in queste situazioni!”mi asseconda, enfio di sicurezza ritrovata, scontrando il suo calice di tè con il mio, in una sorta di buffo brindisi dedicato alla speranza.

*



 
Ri-Nota della Capitana:
Salve, se siete giunti a leggere fino a qui avete vinto un premio!
Ci siete cascati eh? :P
Allora, come avete potuto vedere questo chap era un excursus dell’infanzia di Jack, la storia della sua famiglia e questo particolare non-fratello di cui avevamo già sentito parlare nello scorso chap.
Sono convinta che Paul non gli somigliasse per niente caratterialmente, anzi, fatico a trovare foto dove sembra “cattivo”, però ha degli occhi che, non so come, hanno delle affinità con Jack e quel suo sguardo che ti “guarda dentro” mi piace da impazzire, quindi mi son convinta a tenerlo.
So che in questa sezione ultimamente ci son molte storie che parlano di Teague/Jack, io volevo specificare che ho inventato tutto di sana pianta, nome della nave di Cap. Teague compresa, non ho preso informazioni da nessuna fonte ufficiale degli sceneggiatori del film e simili.
Spero che la mia versione dei fatti vi incuriosisca, qui son riuscita solo a dare una infarinatura. Ditemi quindi se vi interessa o meno J
Io, nel caso, ho in mente per filo e per segno certi momenti che potrei approfondire tra Therese e Teague, ve la butto lì così ;)
Aspetto di sapere cosa ne pensate e ringrazio sempre chi segue, legge, commenta, dice la sua, insulta XD questa fic. Vi adoro :*
Ultima cosa poi me ne vado, tranquilli: vi anticipo che a brevissimo continuerò la mia raccolta di one shot
How to train your creativity *FF interattiva*
Con la commissione di Selene6 J
I miei ossequi manigoldi.

Cap_Kela

 
   
 
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