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Autore: venusia    07/12/2013    3 recensioni
Prima parte - POV Bella (cap.1-19)
Siamo alla vigilia del matrimonio di Bella ed Edward quando Alice ha una visione: i Volturi piomberanno a Forks il giorno della cerimonia! Perché? Qualcuno ha violato le regole dei signori di Volterra? E come mai Alice non riesce a prevedere l'arrivo di Tanya?
Seconda Parte - POV Rosalie (cap.20-49) POV Bella (cap.50-59)
Desirèe, la figlia adottiva di Tanya, è stata dichiarata fuorilegge dai Volturi, e così pure Bella che le ha dato rifugio. Come si comporteranno i Cullen, tutti, tranne Rosalie, indifferenti alle vicissitudini di Desirèe? E il branco, che anch'esso ha voltato le spalle a Desirèe, pur essendo per metà umana e oggetto dell'imprinting di Seth?
Terza parte - POV Jacob (cap.60-epilogo)
L'inaspettata decisione di Bella di lasciare Edward aveva spalancato le porte del paradiso a Jacob, ma il combattimento con Demetri gliel'ha strappata, forse, per sempre. Mentre i Volturi si preparano alla battaglia finale per eliminare i ribelli, Jacob raccoglierà il difficile ruolo di Alfa del branco e capirà finalmente che il sole e la luna non sono poi così distanti.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Rosalie Hale
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse
Capitoli:
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L’orchestra suonò una serie di melodie lente e nostalgiche che pensavo gli sposi avrebbero colto al volo per ballare, invece Bella abbandonò suo marito e si diresse verso di me, mi fece un inchino esagerato e domandò:“Mi concede questo ballo?”.
“Non sono un gran ballerino” replicai accomodante.
“Neanche io. Però il testimone deve un ballo alla sposa. E’ la prassi…”.
“D’accordo” e le porsi il braccio accompagnandola a bordo pista.
Bella non era alta come Rosalie quindi per abbracciarla dovevo piegarmi in avanti, ma trovammo lo stratagemma per evitare figuracce raccapriccianti. Le appoggiai una mano dietro la schiena e l’altra la intrecciai nella sua. In questo modo riuscivamo a ballare quasi agevolmente, anche se dall’esterno poteva sembrare più un ballo ottocentesco. Ma in fondo non dovevamo ballare guancia a guancia: non era mica mia moglie, no?
“Finalmente riesco a farti le mie felicitazioni, Bells. La cerimonia è stata magnifica e anche il pranzo. Devi essere molto orgogliosa…” iniziai fin troppo complimentoso.
“Oh, Alice lo deve essere. Ha organizzato tutto lei e ha fatto una cosa magnifica, come previsto. E sono ancora più felice perché sembra che sia stata una bella giornata per tutti ed era quello di cui avevamo bisogno…” sussurrò.
“Per te finirà ancora meglio! Dove andate in luna di miele?”.
“Non lo so” rispose improvvisamente galvanizzata. “Se ne è occupato Edward e non mi ha voluto rivelare niente. Mi ha solo fatto comprare dei costumi da bagno quindi ipotizzerei qualcosa che ha a che fare col mare, anche se dovrebbe essere molto isolato per evitare il fenomeno della luminescenza”.
“Di qualunque posto si tratti, sono sicuro che vi divertirete”.
“Lo spero. Abbiamo veramente bisogno di staccare, Jake… Piuttosto, noi telefoneremo tutti i giorni per sapere come vanno le cose qua. Non fate stupidaggini, ok?”.
“Telefonare tutti i giorni?! Non siamo mica bambini! Siamo perfettamente in grado di badare a noi stessi. Queste tre settimane sono solo vostre e guai a voi se osate telefonare. Mi hai capito, Bells?!” sbottai offeso.
Bella buttò la testa all’indietro, ridendo sommessamente. Era tutto strano. Come erano cambiate le cose… Il motivo di una disputa feroce era abbracciata a me e non provavo niente altro che affetto mentre in passato ne avrei combinate di tutti i colori per starle così vicino. Sembravano passati secoli e alla fine aveva visto giusto lei. Eravamo anime gemelle e lo saremmo sempre stati, soltanto che c’era un’altra cosa più importante di due anime gemelle: l’altra parte di una stessa anima che non era con me in quel momento. Alzai lo sguardo per cercarla e la trovai dall’altra parte della pista. Stava ballando con Edward e a giudicare dalla sua espressione si stava divertendo un sacco.
Doveva avere tacchi di cinque-sei centimetri al massimo, perché era alta quasi quanto suo fratello. Proprio a causa di questo equilibrio gli aveva messo le braccia intorno al collo mentre lui la stringeva per la vita. Troppo. A guardarli erano disgustosamente belli, come se fossero usciti da un giornale di moda. Non credo che si potesse concepire una tale perfezione in natura. Rosalie, al contrario di Bella, riusciva a ballare senza tenere sollevata la gonna: nata ed educata per essere una principessa, non c’era alcun dubbio. Edward teneva la schiena dritta e la faceva ruotare con delicatezza e compostezza. Dire che mi sentii inappropriato non rendeva giustizia al mio stato d’animo. Ad un tratto Edward le sussurrò qualcosa all’orecchio, facendola ridere a crepapelle.
Da quanto tempo non la vedevo ridere in quella maniera?! Erano secoli mentre invece per lui sembrava la cosa più naturale del mondo. La delusione si sciolse ben presto in rabbia quando notai come le mani di lui fossero pericolosamente vicine al fondoschiena di Rose e lei sembrava non accorgersene neanche. Erano fratello e sorella, poteva starci… Sgranai gli occhi. No, non c’era nessun rapporto biologico, erano adottati e quindi avrebbero anche potuto…
“Jake, c’è qualcosa che non va?” investigò Bella, fissando prima me e poi l’altra coppia di ballerini che aveva calamitato su di sé gli sguardi compiaciuti di molti spettatori. Deglutendo a fatica, distolsi lo sguardo e lo rivolsi alla mia compagna, che aveva già intuito.
Scossi la testa e la osservai, deciso a perdermi in quegli occhi appariscenti, ormai, color topazio. Ruotare e ruotare su se stessi, mille e mille volte, invocando che la loro immagine sparisse dalla mente. Ma non succedeva. Una forza inarrestabile mi attirava e allora incrociavo la linea dritta della sua schiena, oppure la sua pelle levigata o il suo sorriso delicato e sensuale e mi sembrava di essere prossimo alla pazzia.
“Sono fratello e sorella…” mormorò rassicurante Bella. Come diavolo faceva a sapere quello che pensavo?
“No, non lo sono” ringhiai con un brontolio sordo e furente. Ma così facendo, la ferii. Mi osservò spossata, mentre l’allegria scomparve dal suo sguardo come il sole all’orizzonte. Non perché la realtà fosse troppo sgradevole da accettare ma perché insinuavo dubbi che non avevano motivo di esistere. Lo sapevo anch’io che non avrebbero mai fatto niente alle nostre spalle ma ero invidioso della fortuna di Edward, che io non avrei mai più potuto avere. Non sarebbe mai stata mia, non avrei mai potuto stringerla come faceva lui, non le sarei mai stato così vicino da poterle accarezzare i capelli, non avrei mai potuto amarla come volevo e questo mi spaccava in due. Mi fermai.
“Scusami, Bella. Sto rovinando tutto. Credo che sia meglio che smettiamo…” borbottai a testa bassa, sfilandole il braccio dalla schiena. Stavo per lasciarle la mano quando la strinse con fermezza.
“Jake… C’è una cosa che ti devo dire. So che non dovrei ma voglio farlo lo stesso” gemette con gli occhi lucidi. “Edward e Sam hanno trovato un branco di licantropi in Siberia. Molto, ma molto antico, decisamente più del vostro e in questo branco si tramandano varie leggende, fra cui quella di un amore fra una licantropa e un vampiro. Sam partirà per andare a parlare con uno dei discendenti al nostro ritorno dalla luna di miele. Abbiamo già il biglietto aereo. Edward non voleva che tu e Rose lo sapeste perché non vuole alimentare illusioni senza avere il rimedio sicuro, ma io non sopporto di vederti così disperato. Voglio di nuovo quella luce che ti ha illuminato gli occhi per tanto tempo e che adesso si sta spegnendo. Noi faremo di tutto per venirne fuori, Jake, e non voglio che tu…”.
Iniziò a singhiozzare silenziosamente mentre io assimilavo parola per parola quello che aveva appena detto: un branco in Siberia, Sam sarebbe partito fra tre settimane, un rimedio per noi. Il grumo che avevo nello stomaco si sciolse mentre il mio cuore riprese a battere. La abbracciai forte, forte come non avevo mai fatto prima perché quando era umana avevo sempre temuto di farle del male.
“Grazie, Bells”. La mia voce si confuse nella musica conferendole un tono quasi soffocato. Bella ricambiò il mio abbraccio, si asciugò le lacrime e, con un sorriso stiracchiato, propose:“Ti va di continuare a ballare?”.
“Certo. Però cambiamo genere. Questo va bene per i vecchi centenari come loro, ma noi siamo giovani. Che ne dici?”.
I suoi occhi brillarono per la gioia diventando color zafferano, quindi corse verso l’orchestra, istruendoli sui brani da suonare. L’istante successivo la nenia funebre con cui ci avevano deliziato era stata sostituita da un ritmo più aggressivo ed entusiasmante. Non suonavano certo come una rock band ma era sempre meglio di niente… Presi Bella sotto braccio e iniziammo le nostre danze, saltando e girando su noi stessi. Non so come facesse con il vestito così lungo ma non inciampò mai e ci divertimmo un sacco. Quello fu il nostro momento. Gli altri smisero di ballare e pian piano rimanemmo soltanto noi due a occupare la pista da ballo. Ripensandoci non avrebbe potuto essere altrimenti visto che ballavamo senza alcun ritegno, spostandoci da una parte all’altra.
Dopo quattro canzoni ci fermammo e notai lo sguardo divertito di tutti mentre Alice ci fissava con disapprovazione e il motivo fu subito evidente: i movimenti bruschi e veloci avevano fatto crollare letteralmente l’acconciatura di Bella. Alcune rose erano finite a terra mentre la mia amica si ritrovava ciocche sparpagliate sugli occhi. Tentò di ricomporsi, con scarso successo, poi mi abbracciò, disinvolta. “E’ stato meraviglioso, grazie!”.
In quel momento sopraggiunse anche lo sposo che passò una mano fra i capelli di sua moglie e, ammiccante, commentò:“E’ stato interessante. Un tipo di ballo inusuale a un matrimonio…”. Represse una risata sardonica osservando come era ridotta Bella.
“Congratulazioni, ragazzi” dissi. “Spero che siate molto felici”.
Bella si appoggiò al braccio di Edward e non ci fu bisogno di aggiungere altro. Ero sincero e nessuno poteva saperlo meglio di lui. Mi strinse la mano e mi ringraziò quasi gioioso.
“Grazie, Jacob” poi lanciando a Bella un’occhiata profumata di rimprovero, ma che divenne solo di comprensione per il segreto appena rivelato, proseguì:”Lo saremo tutti e quattro. Voi dovrete solo avere un attimo di pazienza”.
“D’accordo; intanto andate avanti voi…” scherzai.
Infine la prese per mano e si allontanò verso Charlie e Renèe. Ormai il party era agli sgoccioli e gli sposi sarebbero partiti alle dieci di sera dall’aeroporto di Seattle. La luna di miele incombeva ed era giunto il momento dei saluti. Pian piano tutti gli invitati si ammassarono, come per la comunione in chiesa, a dare e ricevere baci e abbracci alla reale coppia. Tutte queste smancerie non erano per me. Li avremmo rivisti fra tre settimane e tutto sommato la loro assenza poteva dirsi quasi propizia visto che Bella mi aveva garantito, che durante questo periodo, avrei potuto usare la sua nuova macchina. Nuova mica tanto visto che era rimasta sotto un telone bianco per un anno intero, e non si poteva certo definire ultimo modello, però era quella che il caro Edward aveva acquistato come regalo di nozze per il primo matrimonio, mai celebrato. Una Ferrari, rosso vermiglio. Il solito esibizionista! Quando si trattava di auto sembrava che in quella famiglia perdessero il senno. Riunendo tutte le macchine che possedevano e rivendendole ci sarebbero venuti due-tre appartamenti di lusso. E poi perché spendere tanti soldi per una macchina che Bella non avrebbe mai usato? A lei non piacevano le vetture costose e vistose. Preferiva correre con le sue gambe. Avevamo fatto un paio di giri insieme e Bella non sapeva proprio guidarla: la teneva al guinzaglio manco fosse un chihuahua. Però adesso che erano fuori dai piedi potevo utilizzarla io. Avevo persino il benestare della padrona! Tutto a posto, quindi!
Sam ed Emily furono i primi ad eclissarsi. La babysitter era pagata fino alle 18 ed Emily non resisteva mai troppo lontana dal suo adorato marmocchio.
Anche dopo la fuga degli sposi verso la loro terra sconosciuta, ci eravamo intrattenuti un po’ tutti in noiose ed educate chiacchierate. Io me ne sarei andato via subito per togliermi la giacca, ma sembrava che Rachel, papà e Paul non avessero tutta la mia fretta, anzi. Sopportai fino a che Rosalie non scomparve dal mio campo visivo. La cercai invano ma pensai che dovesse già essere andata al nostro appuntamento.
“Devo andare” dissi, rivolto a Paul, che stava ridendo e bevendo con Jared. “Riaccompagni tu a casa, papà e Rachel?”.
Paul mi lanciò un’occhiata di fervente disapprovazione: non per dove stessi andando ma perché ancora non mi fidavo a lasciarli nelle loro mani, ben sapendo che prima o poi lui e Rachel si sarebbero sposati e quindi, volente o nolente, saremmo diventati cognati. Non era un’opzione che gradissi particolarmente, ma non potevo ribellarmici; nello stesso modo in cui papà si doveva rassegnare ad avere una vampira come compagna di suo figlio.
Avrei voluto passare a casa a cambiarmi, ma non avevo tempo e non volevo che mi aspettasse troppo a lungo. Per fortuna non era piovuto recentemente quindi la terra era ancora secca dall’estate appena trascorsa, altrimenti i pantaloni avrebbero raccolto un quintale di fanghiglia, e Rachel mi avrebbe ucciso!
Il nostro luogo dell’appuntamento era sull’ex-confine, vicino alla quercia, sotto un abete rossastro che aveva l’unico pregio, per noi due, di essere il posto dove l’avevo baciata la prima volta. Rose teneva molto a quell’angolino, come se fosse una specie di santuario e, sapendo questo, era stato proprio lì che le avevo regalato il braccialetto.
Meno di tre mesi fa stavo passeggiando con Bella a Port Angeles, mostrandole dove lavoravo, quando, un argomento tira l’altro, le avevo chiesto quando Rosalie compisse gli anni. “Il 24 luglio. Però non lo festeggia più, come tutti i Cullen, da quando è stata trasformata. Dice che è assurdo festeggiare sempre 18 anni”.
Non potevo eccepire che avesse ragione a voler cancellare quella data dal calendario, però eravamo insieme da due mesi e volevo farle un regalino, cogliendo come pretesto il compleanno. Chiesi aiuto a Bella che, ovviamente, coinvolse anche Alice e quella fu la mia rovina! Un sabato pomeriggio mi portarono in giro, all’insaputa di Rosalie, per negozi. Mi fecero vedere tutto quello che Rosalie aveva visto negli ultimi tempi e che le piaceva, ma si trattava di soli vestiti. Un abito, considerando che il suo armadio sembrava un vulcano pronto a esplodere, non mi sembrava originale, anzi. Oltre al fatto che costavano un occhio della testa, essendo di sarti più o meno famosi. Per scherzo mi misi a guardare tra le gioiellerie mentre Alice derideva le mie scarse opportunità economiche.
Fu in una vetrina di queste che vidi un braccialetto di oro bianco, lavorato in foglie di acanto intrecciate e intarsiato di zaffiri. Fu come uno schiaffo. Il colore delle pietre era identico ai suoi occhi, l’oro così chiaro mi ricordava il contorno vagamente dorato delle sue iridi.
“Costerà una fortuna, Jake” balbettò Bella. “Non puoi permetterti un bracciale con quel tipo di lavorazione, a meno che tu non faccia una rapina”.
Entrai nel negozio e ne uscii sulle mie gambe solo per orgoglio perché il bracciale costava 4000 dollari! Dove diavolo li avevo, considerando che lavoravo da un mese appena?! Eppure lo volevo a tutti i costi.
Mi lambiccai il cervello tutta la notte e la soluzione, nemmeno troppo difficoltosa, arrivò. I miei genitori avevano messo da parte una discreta somma perché, terminato il liceo, potessi andare all’università e quindi, visto che non li avrei usati per studiare, potevo farne ciò che volevo. E optai per il braccialetto. Vi risparmio le discussioni con Billy per avere il suo benestare, ma quando lo minacciai di aprire un finanziamento, dovette cedere, dopo molti brontolii e sospiri.
Il 24 luglio eravamo sotto il nostro solito albero quando le diedi il pacchetto. Non si aspettava né il regalo, né gli auguri e questa fu la sorpresa a me più gradita. Quando aprì la confezione, non seppi definire se brillassero di più i suoi occhi o gli zaffiri, ma non disse nulla per qualche istante. Le prime parole che uscirono furono “E’ meraviglioso, ma non posso accettarlo. L’avrai pagato una fortuna”, ed effettivamente era vero, ma mi rifiutai di riprenderlo indietro e, dopo una lunga discussione, la convinsi ad accettare.
“Così quanti anni compio oggi?” mi domandò mentre ruotava il polso per ammirare lo sfavillare del gioiello da ogni angolazione.
“Non so. Quanti anni avresti?”.
“94”.
“Te li porti bene, nonnina” ridacchiai.
Rose si sfiorò il bracciale e lo strinse al petto, come se non avessi nemmeno aperto bocca. Lo accarezzò mentre diceva:“Ti va bene se ne compio 19? Io sono nata con te, mi sento umana con te ed è giusto che il numeratore riparta da dove l’avevo interrotto…”. In quelle parole ci fu qualcosa di mesto, nostalgico, d’innocenza perduta che mi strinse lo stomaco.
“Uhm, ma così saremmo coetanei, mentre tu saresti più vecchia, però farò un’eccezione. Proprio perché sei tu!” cercai di sdrammatizzare.
Rise come una bambina e da quel momento, tutte le sere in cui la incontrai, non fece mai mancare il braccialetto. Lo accarezzava quasi convulsamente, lo rimirava come se fosse l’unica cosa preziosa che avesse e io non ebbi mai modo di pentirmi del mio acquisto.
Il sole stava tramontando in un squarcio fra le nubi, colorando l’orizzonte come una ferita sanguinante. Nuvole purpuree si ammassavano a oriente e il vento forte odorava di pioggia. Probabilmente in nottata avremmo avuto un acquazzone.
Quando arrivai all’abete rosso la trovai. Era in piedi, ancora vestita come la mia principessa. Quanto potevo avvicinarmi? Quanto, prima di sentire dolore? Lo sapevo perfettamente qual era il punto dove mi fermavo durante le nostre lunghe chiacchierate notturne, ma ora mi sembrava troppo lontano per quello che avevo davanti agli occhi. Come potevo restare fermo quando le sue labbra, immobili e taciturne, dicevano soltanto “toccami”. Feci qualche passo in più del normale e Rosalie si irrigidì, arretrando a sua volta. Perché non lasci che ti sfiori, anche solo un attimo? Qualsiasi cosa succeda, ne varrebbe la pena…
Mi fermai: non avrebbe permesso che mi avvicinassi, avrebbe fatto di tutto pur di sfuggirmi e io non volevo perdere la mia visione.
“Non credevo che saresti venuto…” balbettò, confusa.
“Perché non sarei dovuto venire?”.
Rose scrollò le spalle, svogliata, tornando a giocare con il bracciale.
Nonostante fossimo ormai agli sgoccioli dell’estate, i prati erano ancora di un verde intenso e l’odore dei fiori si spargeva per tutta la foresta. Lo odiavo perché riusciva quasi a coprire il suo profumo di vaniglia e questo contribuiva ad allontanarla ancora di più.
“Mi dispiace per ieri sera… Non pensavo quello che ho detto” ruppe il silenzio con un tonfo. “Ti chiedo perdono”.
“Lo so, Rose. Altrimenti credi che sarei venuto qui?” domandai allargando il viso in un sorriso ironico. In realtà sarei andato lì ugualmente ma tentavo di mantenere un’infantile dignità.
Rosalie sorrise, a suo agio e lasciò intravedere i canini, anche se solo per qualche istante. Era sconvolgente per me pensare che amassi persino quelli, che la parte del corpo che più avrei dovuto respingere fosse affascinante quanto le altre. Non l’avrei mai conosciuta se non fosse stata un vampiro e quindi amavo ciò che più la rendeva anomala agli occhi degli altri. Per me non sarebbe mai stata diversa, solo speciale, zanne comprese.
“Stai benissimo vestito così…” mi guardò sognante. “Sembri il principe azzurro delle fiabe”.
Scossi la testa. “Non abbastanza per te…”.
“Che vai blaterando?!”.
“Dico semplicemente che hai fatto bene a venire dopo la cerimonia, a ricevimento ormai quasi concluso, altrimenti, se fossi stato in Bella, ti avrei ucciso! Hai distolto l’attenzione di tutti da lei. Uno sgarro che fra donne non si perdona, giusto?” ridacchiai mentre una brezza generosa aveva ripreso a portarmi il suo aroma.
“Non è vero. Bella era meravigliosa oggi. Semplicemente radiosa…”.
“Non regge il confronto con te. E’ un dato di fatto e lo sai anche tu”.
“Lo so, ma lei oggi era molto più attraente di me perché è felice. La felicità ti dà quell’aurea magica con cui non puoi competere e io non l’avrò mai…” ammise sconfitta. Si appoggiò all’albero, apparentemente osservando l’invisibile vita notturna sulla corteccia; in realtà schiacciata da un peso che nemmeno un vampiro con la sua immensa forza sarebbe stato capace di sostenere.
“Anche noi avremo la nostra felicità” la rincuorai.
“Quando?” balbettò mentre luci intermittenti le illuminavano lo sguardo. Stava per scoppiare a piangere. “Oggi non sono venuta alla cerimonia non perché non ci fosse abbastanza posto per entrambi. D’accordo, non sarei stata la testimone di Edward, ma potevo ugualmente mettermi negli ultimi banchi. Non sono venuta perché mi vergognavo da morire…”.
“Vergognarti? Di cosa?”.
“Di quanto li invidio. In questi giorni mi sono logorata al pensiero che loro faranno tutto quello che volevo fare io mentre noi due non avremo mai questa possibilità. Saremo condannati a guardarci per l’eternità da dieci metri, a sognare una vita che non avremo e io… Dio, Jake, sono una persona orribile perché li ho odiati tanto da desiderare la loro morte. Mi sono detestata perché io voglio bene a entrambi ma non ce la facevo a venire lì e riempire di sorrisi e abbracci tutti quanti. Vorrei tanto essere morta quel giorno invece che ridotta come adesso… Non ce la faccio più…”.
Si voltò di scatto dalla parte opposta ma potevo sentire ugualmente le lacrime scendere, mentre la schiena tremava per i singulti trattenuti. Piangeva e io avrei dovuto stare vicino a lei a consolarla invece di essere confinato, costretto a vederla consumarsi senza fare nulla. Questo era ancora più penoso che non poterla abbracciare. Mi tornò in mente papà, subito dopo l’incidente in cui era morta la mamma: lo vedevo piangere, ero vicino a lui, ma non potevo fare o dire niente che potesse consolarlo. E vedere una persona soffrire senza poter fare niente per alleviarne le sofferenze è peggio che ucciderla con le proprie mani.
“Rose, ti devo dire una cosa… Una cosa che mi ha confidato Bella oggi pomeriggio…” esordii fermo. Non avrei dovuto dirglielo, almeno secondo le intenzioni di Edward, ma che andasse al diavolo pure lui! A quest’ora era già in aeroporto pronto per la sua dannatissima luna di miele: non avrebbe potuto rimproverarmi nulla.
Rose non si voltò, ma respirò profondamente.
Le raccontai ciò che mi aveva detto Bella e infine si girò verso di me. Un po’ di mascara le si era sciolto sul viso ma non toglieva nulla alla sua bellezza, anzi la accentuava con quel tocco di fragilità che per me era paradisiaco.
“Sam non ti ha accennato niente…” balbettò, sospettosa.
“No. Te l’ho già detto come sono andate le cose. Tuo fratello non vuole darci speranze senza avere certezze, ma se hanno trovato un branco che narra queste leggende, vuol dire, Rose, che non siamo i primi e allora c’è già una speranza. Fra tre settimane, Sam partirà e andrà a trovarli. Loro ci aiuteranno, ne sono sicuro!”.
“E’ per questo che… Ho sentito una telefonata a Eva. Alice diceva che avrebbe dovuto fare da interprete, ma non avevo capito per cosa. Pensavo che fosse inerente al viaggio di nozze… Tu credi davvero che servirà? Che finalmente dopo potremo…?” non osò finire la frase, ma cercò in me la risposta.
“Si sistemerà tutto, amore. Loro avranno la cura” dissi fiducioso.
Sam ed Edward in questi quattro mesi avevano rintracciato una decina di branchi più o meno sparsi nel mondo, ma tutti avevano strabuzzato gli occhi quando avevamo parlato loro di imprinting fra un licantropo e un vampiro. Questi no, questi sapevano di cosa stavamo parlando. Era un passo avanti importante. Non volevo illudermi che avremmo avuto il rimedio servito sul piatto d’argento, ma almeno un’idea di come evolvere la nostra situazione e venirne a capo per me sarebbe già stato un miracolo. Non lo volevo ammettere per non torturare Rosalie ma anch’io spesso sentivo le forze cedere quando riflettevo sul futuro che non avevamo. Ora invece una tenue fessura aveva incrinato la roccia. Potevamo farla rovinare se ci fossimo impegnati, magari con qualche aiutino esterno.
Un guizzo di speranza fiammeggiò negli occhi di Rosalie: non mi sarei mai pentito di averglielo detto perché avevo potuto godere di questo spettacolo.
“E’ fantastico. Se loro avessero la soluzione, finalmente potremmo stare insieme, potremmo fare tutto ciò che facevamo un tempo… Potrò abbracciarti… Dio, sarebbe meraviglioso! Quante notti l’ho sognato a occhi aperti. Ho perso il conto… Tu, Jake, cosa faresti come prima cosa?”.
Non ebbi bisogno di rifletterci. “Ti sposerei…”.
Il suo sorriso si spense, lo sguardo si fece neutro e senza espressione, i lineamenti delicati si ricomposero in una glaciale alterigia. Forse sorpresa, forse contrariata. Avrei potuto attribuire qualsiasi tipo di emozione a quel viso.
“Davvero mi vorresti sposare?” mormorò in un soffio.
“Sì” affermai deciso. “Così almeno sarei sicuro che non mi sfuggiresti…”.
“Non potrei mai sfuggirti, lo sai…”.
“Ti voglio sposare ugualmente… Se non mi volevi sposare, dovevi pensarci prima di incantarmi, fata!” la derisi, ma il mio desiderio era serio.
“Non lo dici per farmi piacere, vero?”.
“Affatto. Se non ci fosse stato questo spiacevole inconveniente, ci saremmo sposati prima di Edward e Bella. Te lo posso assicurare…”.
“E’ fantastico. Dio, Jake, mi piacerebbe tanto! Non credevo che lo volessi anche tu, ma io lo desidero da così tanto tempo che mi sembra di essere nata con questo desiderio. Il mio sogno… E poi una casa tutta nostra, come hanno Edward e Bella, senza nessuno tra i piedi. La arrederemmo come vogliamo e poi… potrei imparare a cucinare, così quando torni a casa la sera, troveresti la cena già pronta. E dormire insieme, guardare la televisione insieme, annoiarsi insieme. Il sogno che diventa realtà…” sussurrò illuminata dalle ultime luci prima della notte.
“Già, però devo guastare il tuo sogno…”.
Mi fissò trasecolata. “Non voglio un solo quattrino dalla tua famiglia, ne abbiamo già approfittato troppo. E io non ho uno stipendio così imponente da mantenere te e la casa. Quindi dovresti lavorare anche tu…”.
“Lavorare?” domandò, aggrottando la fronte. La sua voce espresse una guardinga neutralità e una distaccata allegria.
“Già, altezza. Dovresti dimenticare i tuoi vestiti sfarzosi e le macchine super lusso… Credi di potercela fare?”.
“Lavorare…” ripeté, come se fosse in stato di shock. “Non ho mai lavorato in vita mia”.
“C’è sempre una prima volta…”.
“Lavorare… Come un normale essere umano…”.
Non risposi perché rise fresca e serena. “Mio Dio, lavorare… Guadagnare, avere dei soldi tutti miei senza dover chiedere ad Alice. Amministrarmi come meglio credo… Dividere le spese… Essere pagata per qualcosa di buono che faccio… Sarebbe meraviglioso! Conoscere altre persone, senza parlare solo di scuola e materie scolastiche, avere un confronto. Colleghi di lavoro… Tornare a casa, nervosa, e fare le faccende, cucinare, lavare. Jake, sarebbe più di quanto potessi mai sognare… Certo mia madre, la mia madre naturale intendo, si rivolterebbe nella tomba se lo sapesse, ma… finalmente uscirei dai 18 anni! Non importa vestire firmata e non importano le macchine. Una vita, una vita vera. Che lavoro potrei fare, secondo te?”.
“Non lo so. Dicevi che sapevi bene il francese. La traduttrice?”.
“So anche il tedesco. Traduttrice… o interprete, magari?” e si portò le mani al petto. “Un lavoro, una casa, un marito… Non credo di meritare tanta fortuna…”.
“Meriti questo e anche di più. E lo avrai, Rose. Avrai la vita che desideravi”.
Inclinò la testa e, languida, ammise:“L’avremo insieme. Vita è soltanto una parola ed è vuota senza di te. Sei tu a riempirla, a darle valore”.
“Ti amo” risposi. Non trovai altro di meglio che questo ma non avevo niente che potesse competere con la magia delle sue parole. Rose fece un giro completo su sé stessa e poi domandò, stuzzicante:“Ti piace questo vestito?”.
“Mi piace se lo indossi tu…”.
Sorrise imbarazzata. Le facevo complimenti in continuazione ma sembrava sempre la prima volta, come se non fosse abituata a riceverne.
Si appoggiò, apparentemente stanca al fusto dell’albero, poi voltò il viso verso di me. “Vorrei la cucina di legno di noce… Credi che si possa fare? Oppure costa troppo?”.
“Non ne ho idea. Non mi intendo di arredamento…” alzai le spalle. Si passò una mano fra i capelli e cominciò a fantasticare a voce alta su come avrebbe voluto che fosse la nostra casa, come arredarla, quanto grande e via dicendo. All’inizio le prestai attenzione poi la sua voce diventò soltanto il sottofondo dei miei pensieri.
Non so se fosse il vestito a renderla perfetta o lei a rendere perfetto il vestito. Sembrava che le fosse stato cucito addosso. Non era molto scollato ma disegnava la curva del seno come una sinuosa montagna. Rosalie si accarezzò il collo con movimento aggraziato e naturale. La mano scese lentamente fino alla spalla e lì rimase. Le dita erano lunghe, i polpastrelli morbidi. Era come se stesse toccando me, ne avvertivo il passaggio sulla mia pelle. In quel momento le ero vicino, abbastanza vicino da poterla scaldare col mio respiro, da disegnarle le labbra con un dito fino a toglierle quell’appiccicoso rossetto con la mia bocca. Intrecciare la mia mano nella sua, portarla dietro la schiena in modo tale da spingerla verso di me. Forse un po’ brutale ma lei non avrebbe sentito dolore. Specchiarmi in quegli occhi blu e ritrovare ogni volta la mia casa, dalla quale non sarei mai voluto fuggire. Non importava dove avremmo vissuto, purché ci fosse lei, purché mi abbracciasse, purché potessi sempre rifugiarmi fra le sue braccia.
Il suo viso appoggiato al mio, il suo profumo dolce, confuso con il mio un po’ acre, le sue gambe intrecciate alle mie… Gettai un’occhiata a terra e notai che, per fortuna, il vestito non aveva spacchi altrimenti chissà cosa avrei immaginato… Però, così facendo, seguii la linea dei fianchi e la cerniera lampo che mi separava dal mio angolo di paradiso.
“Jake, mi stai ascoltando, sì o no?”. Scrollai il volto, sorpreso. Era di nuovo a dieci metri da me e pure indignata perché non avevo ascoltato una parola delle sue fantasie sulla casa.
“Dimmi…”.
“Ti stavo chiedendo di che colore volevi la carta da parati in camera da letto…”.
“E’ uguale. Non importa…” chiosai distratto.
“Che cosa stavi pensando di così interessante?” domandò, incrociando le braccia. Non era arrabbiata, solo incuriosita.
Non pensai che avrei dovuto ponderare le parole, che avrei dovuto essere più lungimirante, che forse avrei potuto rovinare la sua serenità. Risposi e basta. “Pensavo a come spogliarti…”.
Rosalie sbatté le palpebre, sconcertata, poi lasciò cadere le braccia come se avessero reciso le fila di un burattino. In quel momento capii di avere fatto una cazzata e non ebbi nemmeno la decenza di fingermi pentito. “Non credo che sia un argomento da affrontare adesso” borbottò. “E poi non è neanche appropriato. E’ un discorso da osteria di quart’ordine”.
“Inappropriato? Da quando ti fai questi scrupoli? E poi non ci trovo niente di male se dico che vorrei fare l’amore con te…”.
“Io invece lo trovo fuori luogo”. Mi fissò fredda, come un’insegnante che sgrida l’alunno indisciplinato.
“Beh, io no. Se vuoi ti dico anche che cosa stavo pensando…” suggerii quasi velenoso. Non capii il perché ma mi stavo arrabbiando.
“Non mi interessa. Puoi tenere le tue fantasie per te”.
“Che ti prende? Per te non è mai stato un problema affrontare questi discorsi, e visto che mi hai rotto le scatole con la tua carta da parati, adesso potresti ascoltare i miei desideri. Potresti lasciar sfogare un po’ anche me oppure tutto ti è dovuto?”.
Abbassò lo sguardo come se l’avessi ferita. Ma durò solo un attimo. Troppo poco perché potessi provare rimorso.
“Non possiamo fare niente quindi perché torturarci? Non lo trovo logico…” mi spiegò, irritante nella sua saccenza.
“Torturarci?! Magari parlarne potrebbe essere di aiuto, ma a te sembra non interessare. Forse perché non hai così bisogno di me come io di te, forse perché trovi altre valvole di sfogo, chissà…”.
“Di cosa stai parlando?” alzò la voce, storcendo indelicatamente la bocca.
“Di come ti sei fatta toccare da tuo fratello… E ovviamente tu mi dirai che non c’è niente di sbagliato perché è tuo fratello. Certo, come no, peccato che non abbiate neanche un legame alla lontana a parte una convivenza di ottant’anni alle spalle…” ridacchiai sarcastico. Non capivo perché stessi dicendo tutto questo, sembrava che la maglia che teneva salde le mie nevrosi si fosse sfilacciata di colpo e stessero scappando senza possibilità di riuscire a fermarle.
“Io non mi sono fatta toccare da Edward… Era soltanto un ballo… Niente di più”. La sua voce era ferma, ma un pizzico di imbarazzo la fece vacillare.
“Certo, certo. In fondo avete soltanto attirato l’attenzione di tutti quanti come la coppia più bella della festa. Ti dirò, guardandovi mi sono chiesto perché tu non ci abbia provato con lui invece che con me. Ah già, ma c’era Emmett fra i piedi, e adesso anche Bella… Però ora che ci penso avete trascorso una decina d’anni voi due soli quindi potete avere fatto qualsiasi cosa senza che nessuno lo sappia… E potreste sempre rinverdire i vecchi tempi alla prima occasione”.
“Che stai dicendo?!” strillò con tutta la forza che aveva. “Fra me ed Edward non c’è mai stato niente. E’ solo mio fratello. Gli voglio bene, come tu ne vuoi a Bella. Non c’è altro”.
Aveva gli occhi lucidi, anche se la conoscevo abbastanza da sapere che il suo orgoglio stesse tentando di arrestare le lacrime. Le stavo facendo del male, proprio io che avrei dovuto proteggerla.
“Perché…? Perché mi stai facendo questo?” balbettò. “Lo sai che ti amo e non ti tradirei mai”.
“Non mi è piaciuto come ti ha stretta… Non mi è piaciuto…” ripetei meccanicamente. Sentii fluire lontano la selvaggia energia che mi aveva scaldato poc’anzi. Il suo decorso fu talmente improvviso da farmi sentire come un sacco vuoto. Mi sedetti per terra, incurante del fatto che avrei sporcato lo smoking e Rachel me le avrebbe suonate. Ripiegai il capo sull’avambraccio.
“Ho paura, Rose… Tanta paura” mi ritrovai a confessare. “Non riesco a starti vicino come vorrei e temo che prima o poi tu ti stancherai di aspettare. Non voglio che qualcuno ti tocchi… Credo che potrei persino uccidere, se lo scoprissi”.
“Jake, credi che ti potrei tradire?! Lo credi davvero?” si accigliò. Aveva le spalle contratte e il corpo irrigidito, come per una sorta di dolore interno.
“Non lo so” risposi con voce strascicata e lamentosa. “So che hai bisogno di un contatto fisico e io non posso dartelo. Non posso darti niente di quello di cui hai bisogno…”.
“Io non ho bisogno di un contatto fisico. Ho bisogno di te e basta. Non voglio nessun altro. Ma è evidente che non ti fidi di me…”.
Alzai lo sguardo, senza rispondere. Avrei dovuto dirle che si sbagliava, che mi fidavo perché era così, ma non uscì una parola dalle mie labbra. A quel punto la barriera si infranse e un misto di rabbia e dolore le solcò il viso. “Sei riuscito a rovinare tutto, Jake…” biascicò.
Sollevò il vestito e se ne andò. Non feci niente per fermarla. La osservai sparire all’orizzonte mentre un groppo in gola sembrava voler esplodere. L’oscurità lambiva il cielo come una marea di inchiostro. Avevo davvero rovinato tutto.
Rimasi seduto per qualche minuto, poi mi alzai, diretto a casa. Camminai attraverso il bosco, con la schiena curva e la testa insaccata nelle spalle, come un vecchio troppo stanco per sostenere i propri malanni. Capivo cosa avevo fatto, cosa avevo detto, ma non riuscivo a ragionare, a porre un freno alla rabbia. Quando varcai la soglia di casa, trovai Rachel e Paul seduti sul divano che guardavano la tv insieme a papà. Mia sorella si voltò per salutarmi o, in realtà, per controllare il completo preso a nolo. Non ci mise che un battito di ciglia per notare che i pantaloni erano sporchi in più punti. Ed esplose. “Jake” sbottò. “Come diavolo li hai ridotti?! Non sono tuoi. Li devo riportare lunedì e se li vedono così me li faranno pagare come nuovi!”.
“E’ solo fango… Lascia che si asciughi e poi sbattili” replicai laconico. Non avevo voglia di discutere e, pur essendo ora di cena, neanche fame. Il pranzo a casa dei Cullen mi aveva riempito a dovere, ma avrei potuto scommettere che, anche se fossi stato a digiuno, non avrei cenato ugualmente. Salii le scale, senza aggiungere altro. Una volta in camera buttai giacca, pantaloni e camicia sulla poltrona e indossai i miei comodissimi bermuda. Afferrai le cuffie per ascoltare la musica senza disturbare nessuno, accesi lo stereo e lo feci partire a tutto volume. Avrebbe dovuto spaccarmi i timpani invece quasi non lo sentivo.
Come avevo potuto lasciarle intendere che non mi fidavo di lei? Certo che mi fidavo, non mi avrebbe mai tradito, ma ero soffocato dalla paura di perderla. La verità era che non riuscivo più a trattenermi. Dopo quattro mesi i miei nervi stavano saltando. Potevo sperare che Sam avrebbe trovato la cura ma se non fosse stato così, che cosa avremmo fatto? Se fossi stato realmente altruista, se Rose fosse realmente venuta al primo posto, avrei dovuto lasciarla andare perché si meritava la felicità e perché lei era solo l’oggetto dell’imprinting. Non era condannata ad amarmi per sempre, poteva cambiare idea, poteva trovare qualcuno da amare più di me. Ma io ero un egoista e non volevo, non potevo pensare di perderla. Allora perché l’avevo ferita a quella maniera? Che senso aveva sfogare su di lei la mia frustrazione? Mi mancava già e ci eravamo separati da un’ora soltanto. Non poteva andare avanti così. Mi sentivo bruciare, come se fossi all’inferno, come se mi fossi ustionato e stessi staccando la carne viva: era il rimorso per come l’avevo trattata? Sì e tutto per uno sciocco desiderio.
O forse non era uno solo… Non c’era soltanto il contatto fisico, ma anche quello che lei aveva immaginato ad alta voce. La casa, una vita quasi normale, una famiglia. D’accordo non avremmo mai avuto figli ma lei sarebbe stata la mia famiglia. Invece ero destinato a vedere tutto questo realizzato nelle persone che mi stavano accanto mentre io restavo a bocca asciutta.
Mi girai e rigirai nel letto e, visto che il rumore assordante della musica non riusciva a coprire i miei pensieri, spensi lo stereo. Quando riposi le cuffie sul comodino, il brontolio di un tuono mi fece sobbalzare. Stava piovendo, e, a giudicare dal rumore concitato e frequente delle gocce di pioggia, diluviava. I classici temporali estivi anche se, essendo settembre, non erano più così frequenti come qualche settimana fa. Mi affacciai al davanzale e sentii il vento scuotere l’albero davanti alla mia finestra e sferzare contro di me, come se cercasse di schiaffeggiarmi.
Mi ributtai a letto, cercando di assopirmi, ma mi tormentava la sua espressione sconcertata. Non avrei dovuto dirglielo, non avrei dovuto sbatterle in faccia le mie paure. Mi sfregai il viso più volte, come per cercare di estirparlo con la violenza. Avrei sbattuto la testa contro il muro se fosse servito a ottenere il perdono da me stesso e da lei.
Guardai la sveglia e mi accorsi che erano le undici. Sentii mio padre andare a letto, ma il televisore rimanere ancora acceso. Rachel e Paul erano svegli e probabilmente avrebbero approfittato dell’assenza di Billy per coccolarsi un po’. Dio, come li odiavo! Come odiavo tutti quanti! Rose aveva confessato, come se si fosse trattato della colpa più grave del mondo, la sua invidia verso Edward e Bella, ma io non mi vergognavo di quello che stavo provando adesso. Se lei fosse stata qui, con me…
Mi sedetti sul letto e guardai la nostra foto. Poi tirai il cassetto del comodino e ne estrassi le foto tessera tutte linguacce che avevamo scattato nella medesima occasione. Le fissai tanto a lungo da dare l’impressione di esserne quasi incantato. Infine le riposi nel cassetto e mi incamminai verso la finestra. Scavalcai il davanzale e saltai giù. Ero al primo piano ma era quasi una bazzecola per me. Una volta atterrato, controllai che nessuno avesse notato la mia esibizione circense e mi allontanai di corsa. Avevo bisogno di vederla, di scusarmi. Mi inoltrai nella foresta e come al solito raggiunsi casa loro attraverso essa.
Quando arrivai davanti al portone, ero zuppo dalla testa ai piedi. Battei con vigore alla porta, che mi fu aperta da Alice. Mi fissò benevola e prima che potessi aprire bocca, mormorò:“Lo immaginavo che saresti venuto…”.
“Allora per favore chiamala” implorai. Mi sentivo una femminuccia, ma Rose riusciva a tirare fuori il peggio di me. Sapevo che arrabbiarsi era meglio che piangere, ma quando c’era lei di mezzo non riuscivo.
Alice scosse la testa, sconsolata. “E’ arrabbiata, Jacob. Molto arrabbiata. E non vuole vederti…”.
“Mi voglio scusare…”.
“Lo so, ma è meglio se per stasera la lasci stare. E’ stata una giornata pesante per lei: il matrimonio, la vostra discussione, non è neanche andata a caccia. Sono sicura che domani starà meglio e le sarà passata. Se adesso vi parlaste, siete entrambi nervosi e finireste per peggiorare le cose e farle diventare più grandi di quanto siano. Lasciala sbollire, ok?”.
Esitai. Avrei voluto fare irruzione nella casa, ma cosa ci avrei guadagnato? Dalla sua camera sicuramente sentiva la mia voce e se avesse voluto parlarmi sarebbe scesa di sua iniziativa. Abbassai lo sguardo. Forse Alice aveva ragione: dovevo lasciarla sbollire e l’indomani sarebbe stato tutto sistemato. Annuii stancamente e scesi le scale, mentre la porta si chiudeva alle mie spalle.
Costeggiai il retro del giardino dove erano rimasti ancora i tavoli e il gazebo. Probabilmente sarebbero venuti lunedì a smontare il tutto. Guardai le finestre illuminate al piano terra e poi un’unica luce al piano superiore, in corrispondenza della camera di Rosalie. Guardando quella casa, un tempo piena di persone, e ora solo scarnamente abitata, mi riempii di tristezza. Erano rimasti solo Alice, Jasper e Rosalie. Una villa enorme popolata da fantasmi e dolore.
Sarei dovuto rientrare ma la speranza che Rose si affacciasse per un motivo banale alla finestra fu troppo forte. Aspettai per parecchio ma non si affacciò mai. Lo sapevo che dovevo lasciarla stare, che Alice aveva ragione ma stavo combattendo una battaglia già persa contro la mia disperazione. Lei riusciva a tranquillizzarmi, a darmi una ragione per respirare e ora quella ragione non c’era. Il cuore pulsò più velocemente e la pressione più alta mi martellò le tempie. Respirai profondamente e lentamente ma non servì. L’istante successivo ero un lupo.
Quando ero trasformato, ero più debole alle emozioni, le sentivo trascinarmi via con più veemenza, ma al contempo si smarrivano con maggiore velocità. Le gocce di pioggia mi scivolavano sulle ciglia, offuscandomi la vista mentre l’umidità penetrava nelle ossa. Ululai una volta, poi una seconda e una terza. Volevo solo che uscisse sul balcone un attimo. Mi sarebbe bastato per quella notte. Ma non accadde. Ululai ancora e ancora fino a che la luce in camera sua non si spense. Mi illusi che stesse scendendo per parlarmi ma attesi invano. Non voleva vedermi ed era impossibile che non mi avesse sentito. Il mio cuore andò in pezzi e ne sentii le schegge ferirmi tutto il corpo.
Mi accucciai sotto un albero e ripresi ad ululare. Volevo che sentisse il mio dolore, il mio rimorso per quello che avevo detto. Forse sarebbe uscita, se non altro per tirarmi un libro addosso, forse mi avrebbe parlato, forse mi avrebbe rimproverato. Per qualsiasi motivazione l’avesse fatto io avrei raggiunto il mio scopo. Vederla. Tuttavia non uscì.
Ululai tutta la notte fino a che la mia voce si fece rauca, incurante del fatto che le ricerche per il misterioso branco di lupi che aveva ucciso 11 persone fossero ancora aperte. Se fossero arrivati i cacciatori e mi avessero sparato, avrei sofferto meno e sarebbe stato un bene anche per Rose. Non chiusi occhio aspettando la mia luna e la sua aurea di perfezione e solo all’alba, quando ormai aveva smesso di piovere, le palpebre si fecero pesanti e irrequiete. Ero stremato e avevo fame, ma non me ne sarei andato.
Un rumore di foglie schiacciate, un fruscio leggero e un vago odore di vaniglia, reso pesante dall’umidità della pioggia.
“Hai finito di ululare?” mi domandò Rosalie in maglietta e shorts a dieci metri da me. Uggiolai per la gioia mentre iniziavo a scodinzolare “indecorosamente”, avrebbe detto Leah. Rose infilò le mani in tasca e poi fece un cenno verso casa. “Immagino che avrai fame. Ti ho preparato la colazione. E’ nel patio…”.
Sorrise e il sole finalmente filtrò tra le nuvole.



Alla fine Bella ed Edward ce l'hanno fatta a coronare il loro sogno d'amore. Rosalie e Jake ce la faranno?
Il finale della ff si sta avvicinando. Continuate a seguirmi e lo scoprirete.
Un bacione a tutte!

Ven
 
   
 
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