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Autore: HamletRedDiablo    09/12/2013    7 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Undici: l’Accordatore

 

Feliciano sapeva di trovarsi in un sogno.

L’atmosfera quasi nebulosa e lo scorrere irregolare del tempo erano inconfondibili: era entrato nel reame onirico. Ed era altrettanto sicuro che quel sogno non fosse suo: non riconosceva il posto in cui si trovava, e non gli erano familiari nemmeno i vestiti che indossava.

Osservò con più calma l’ambiente caldo della taverna intorno a lui: era un locale di classe medio-alta, abbastanza elegante da scoraggiare gli accattoni ma non sufficientemente altolocato da evitare gli ubriachi, che cantavano a squarciagola in un angolo. I tavoli, circondati da gente abbigliata con strane divise scure, erano affollati da grossi boccali pieni di liquido giallo paglierino.

«Non hai mai assaggiato la birra?»

La proposta venne dalla sua sinistra, dove una giovane donna si era appena materializzata. Feliciano inclinò la testa, valutando la sua età: l’adolescenza era fiorita pienamente sul corpo, nascosto dalla divisa maschile, e sul viso svezzato dalle battaglie. Doveva essere un po’ più grande di lui.

«No. E temo che dovrò aspettare ancora. Non posso assaggiare la vera… birra» tentennò appena su quella nuova parola. «… in un sogno, giusto?»

La ragazza sfoggiò un gran sorriso, e fece la cosa meno femminile che Feliciano avesse mai visto fare da una donna: reclinò la sedia all’indietro e piazzò gli stivali sul tavolo.

«L’hai capito subito. Sei sveglio. Come un bravo Asse dovrebbe essere» lo lusingò.

«Sai chi sono, ma io non so nulla di te» contraccambiò gentile il ragazzo.

La giovane raddrizzò di colpo la sua posa, fissandolo sconcertata.

«Ma come?» si stupì. «La birra, le divise… non ti ricordano nulla?»

I lunghi capelli nocciola della ragazza presentavano una specie di solco appena sotto la nuca, segno che erano stati legati strettamente fino a poco prima; i grandi occhi verdi erano appena adombrati da un alone di occhiaie, e le mani non erano morbide e perfette come quelle di una nobile: le unghie erano scheggiate, e la porzione di pelle tra le nocche era arrossata e screpolata. Era una donna d’azione e non di moine, come testimoniava la divisa guerresca che indossava. Su quel dettaglio si focalizzò Feliciano: era sicuro di aver già visto quell’uniforme. La spilla a forma di falco, con due smeraldi al posto degli occhi, la spada dall’elsa rifinita a guisa di drago e la divisa nera con i bottoni d’argento. Su di essi si focalizzò Feliciano, finché non riuscì a distinguere il fine intarsio che li decorava: un corvo, simbolo della casata più potente di quel pianeta.

«Sei un’Hellsing» concluse l’Asse.

Aveva trovato molte immagini sui libri di storia, e ricordava che la caratteristica distintiva del vestiario di quel popolo erano la spilla a forma di volatile, che variava in base al gregario del guerriero, e i bottoni su cui era inciso il corvo della famiglia Belschmidt. Avevano libertà di scegliere la pietra da incastonare negli occhi della spilla e di decidere il colore della propria uniforme. Quella della giovane donna era di un verde opacizzato dal campo di battaglia, quasi sporco in confronto allo smeraldo degli occhi.

«Esatto. O meglio, lo ero» la ragazza stese la spina dorsale contro lo schienale, sospirando a labbra chiuse. «Questo è il pianeta degli Hellsing come era ventisei anni fa. Prima che il nostro mondo fosse mangiato dai demoni» la giovane girò la sedia verso di lui e gli tese la mano: «Non mi sono ancora presentata. Elizabeta Hédervàry.»

Feliciano strinse quella mano, e quasi si vergognò di quanto i suoi palmi fossero teneri in confronto a quelli duri e callosi della giovane: era una creatura assuefatta alla battaglia e al duro lavoro, al contrario di lui.

«Perché mi hai portato qui, Elizabeta?» domandò Feliciano.

«Volevo a raccontare al futuro Asse una favola della buonanotte» il suo sguardo si illanguidì nell’affetto, e il ragazzo si permise di farle un appunto gentile:

«Non è una favola. È un ricordo, vero?»

L’indice della donna lo picchiettò in mezzo agli occhi, spostandogli la testa all’indietro.

«Sei un po’ troppo furbo, Asse.»

«Mi chiamo Feliciano» la corresse con un sorriso stanco: preferiva il suo nome alla sua carica. Lo faceva sentire umano, e non un pezzo innominato di un’enorme scacchiera.

«D’accordo, Feliciano» concesse la giovane, e bevve un generoso sorso di birra prima di continuare: «Ti ho chiamato qui per raccontarti la storia del più strano degli Hellsing che sia mai nato. Si pensò addirittura che fosse un bambino proveniente da un altro pianeta: non dimostrava la minima propensione al combattimento, ed era del tutto inetto nella lotta contro i demoni» le onde dei capelli saltellarono quando Elizabeta scosse la testa: «Poverino, lo hanno bulleggiato in tutti i modi… finché non ha preso in mano un violino. Oh, allora le cose sono cambiate.»

«Un violino?» ripeté Feliciano, senza capire.

«Strano, vero?» una risata zampillò sulle labbra della giovane, rischiarandole tutto il volto. «Non doveva combattere con le armi, ma con la musica: le sue note non erano in grado di uccidere i demoni, ma potevano bloccarli, potevano stordirli. E dare così modo a noi sterminatori di eliminarli. Ma non era quella la cosa più straordinaria che sapeva fare con il violino» Elizabeta annuì alle sue stesse parole, e accarezzò con gli occhi l’aria davanti a sé. «Era un ragazzo molto schivo. Probabilmente, è diventato così per via degli anni in cui è stato preso in giro da tutti quanti. Non l’ho mai visto sprecare una parola o un sorriso più del dovuto; li centellinava come un avaro farebbe con le sue monete. Ma quando sfiorava le corde del violino…» Elizabeta chiuse gli occhi e un’espressione deliziata si dipinse sul suo volto. «Il mondo assumeva i suoi colori: ed erano colori così brillanti, così intensi che ti lasciavano senza fiato. Era la musica il canale della sua anima, non le parole.»

«Era così bravo?» in risposta alla sua domanda, la giovane gli indicò il palco improvvisato.

«Lo sentirai tu stesso. Sta per suonare.»

Feliciano quasi si rovesciò dalla sedia quando il misterioso Hellsing poggiò i suoi stivali sul legno del proscenio.

«L’Accordatore!» sibilò.

«Già, quello è il titolo con cui è famoso adesso» ruminò amara Elizabeta.

Feliciano si domandava quale musica potesse mai produrre quell’uomo senza pietà, quando l’archetto strofinò le corde. Fu come se il suo potere di creare visioni mediante la musica non fosse cambiato, ma la metamorfosi fu molto più dolce: la melodia era udibile a tutti gli ascoltatori, non solo all’esecutore, e le note sembravano trascendere la dimensione del pentagramma per dipingere pennellate di nuove emozioni. Il mondo stesso sembrava acquistare una luce nuova e più vivida, come aveva detto Elizabeta.

Feliciano sentì il lamento del violino usare non l’aria, ma il suo sterno come conduttore: le note gli punsero il cuore, una dopo l’altra, con una trafittura che non portava dolore. La melodia risvegliò una miriade di ricordi sopiti in lui, come se l’archetto stesse sfiorando le corde della sua anima e non quelle dello strumento: rivide il volto del fratello, quello del suo Guardiano, il cuore pompò l’affetto per il suo custode dagli occhi di ghiaccio, e le narici respirarono la nostalgia del tempo trascorso con Lovino.

La musica gli invase tutto il corpo: gli riempì i polmoni, diventando la sua aria, risalì sugli occhi, velandoli di lacrime, e scese ad occupare ogni centimetro di lui, dalla punta delle dita a quelle dei piedi, rendendolo parte di quella sinfonia evocativa.

Si riscosse lentamente da quella catarsi quando il violino ammutolì: all’improvviso, il mondo tornò scialbo e arido come sempre.

«È quasi magico, non trovi?» lo punzecchiò Elizabeta, riconoscendo nello stupore del giovane la sua stessa sorpresa, quando aveva udito il violinista suonare per la prima volta.

Feliciano annuì, incapace di articolare verbo nel fragore degli applausi che scrosciavano da ogni parte. Non era possibile che la persona che stava scendendo dal palco con l’aria soddisfatta di chi vive per suonare fosse lo stesso uomo che lo aveva trascinato ai Confini del Mondo qualche ora prima. Ma non aveva ancora visto la cosa più sconvolgente: un piccoletto con i capelli argentati e gli occhi rossi si schiantò contro la tibia del musico, reclamando attenzione. E l’uomo lo sollevò con un sorriso che non avrebbe mai immaginato possibile per quelle labbra tetre.

«Chi è quel bambino?» immaginava già la risposta, per cui l’affermazione della donna non lo sorprese:

«Gilbert Belschmidt. Attualmente, l’ultimo Hellsing rimasto in vita.»

«Sembra molto amico dell’Accordatore» notò, neutro.

Elizabeta sbuffò un sorriso amaro e mormorò:

«Gilbert ha perso i genitori poco dopo la nascita. Essere i più potenti tra gli Hellsing significa essere sempre in prima linea. Quel giorno… ci fu un terribile incidente» la ragazza strinse le mani come per un improvviso brivido di freddo. «Gilbert aveva forse un anno o due. Non ha nessun ricordo dei suoi genitori» tamburellò il tavolo con le dita, cercando di afferrare di nuovo le redini della conversazione: «Fu deciso che sarebbe stato affidato a qualcuno che potesse prendersi cura di lui per tutta la vita. E chi, meglio del più incapace tra tutti gli Hellsing, avrebbe potuto rivestire quel ruolo?»

«È stato il suo padre adottivo?»

Elizabeta annuì con la testa alla sua domanda.

«Guardali» la voce le si incrinò, e la giovane la affogò con un sorso di birra. «Guardali» ripeté, con tono più fermo.

Feliciano li osservò, e vide esattamente ciò che un padre e un figlio avrebbero dovuto essere, anche se il genitore era un po’ troppo giovane per risultare credibile: l’Accordatore che ascoltava con espressione seria i discorsi megalomani del piccoletto, e gli occhi di Gilbert che scintillavano come se stessero osservando una stella. L’Asse spostò lo sguardo sul tavolo di legno grezzo: lui e suo padre non avevano mai avuto quella complicità.

«Non aveva anche una madre adottiva?» cambiò discorso Felciano.

«Ce l’hai davanti agli occhi» mitragliò Elizabeta.

L’Asse preferì serbare per sé le perplessità che avrebbero potuto risultare scortesi, e ascoltò il seguito.

«Eravamo una famiglia piuttosto scalcinata, non lo nego. Ma stavamo bene insieme, eravamo felici. Poi sono arrivati i messi del Vaticano.»

I sensi di Feliciano scattarono a quel nome, come quelli di una preda che riconosce i passi del cacciatore.

«Non avevano mai visto prima un potere come quello di Roderich. E hanno pensato di usarlo per loro. Hanno sradicato e deviato la sua anima» quasi sputò, nel pronunciare l’ultima frase.

«Cosa è successo?» domandò Feliciano.

Elizabeta lo guardò con gli occhi sanguinanti dolore:

«Tu hai un potere enorme, Feliciano. Ma per te è relativamente facile controllarlo: sei nato con quel potere, fa parte di te. È come muovere una gamba o una mano. Ma Roderich… lui era nato con un potenziale modesto, per quanto particolare. E la sua portata non era sufficiente per quegli avvoltoi: gli hanno impiantato a forza altro potere, in quelle maledette stigmate che gli hanno scavato sulle mani. E quando una forza così grande non nasce con te ma ti viene imposta, ti consuma come un parassita. Anche per il Custode dei Cancelli è così: in cambio del potere, deve cedere la sua memoria, ogni singola goccia. Roderich ha dovuto cedere i suoi ricordi e le sue emozioni. Non ricorda più nulla, a parte un tedio infinito e un’apatia totale» le palpebre scacciarono le lacrime con un battito, ed Elizabeta concluse: «Non è triste che il suo violino non possa più cantare?»

Feliciano deglutì, cercando di far combaciare l’immagine inflessibile dell’Accordatore con quella dell’uomo di fronte a lui: per quanto serio, era palese l’affetto che provava per quel fagotto che si arpionava costantemente alle sue caviglie per farlo cadere.

«È identico a come l’ho visto io. Per lui, non è passato un giorno…» notò.

«Perché non è più un essere umano. È preda del potere. E il potere ha bisogno che lui sia in perfetta forma fisica, quindi lo conserva al pieno delle sue forze. Quando avrà finito di sfruttarlo, lo abbandonerà, e lui diventerà un mucchio di cenere in pochi secondi. Recupererà i ricordi solo all’ultimo istante… non avrà nemmeno tempo per chiedere perdono per tutti i suoi peccati.»

«A quali peccati ti riferisci?»

Un’ombra scura calò sul volto della giovane donna.

«Volevano essere sicuri che eseguisse i loro ordini alla lettera. Volevano essere sicuri che fosse diventato davvero una macchina. Ero con lui, il giorno in cui l’hanno trasformato» i denti di Elizabeta affondarono nelle labbra. «Un Hellsing non attacca mai un altro essere umano: le nostre armi devono essere rivolte solo ai demoni. Quindi non ci ha neppure sfiorato l’idea di difenderci, quando abbiamo visto quegli sconosciuti: erano uomini come noi, e, per di più, messaggeri del Vaticano. Chissà quanto hanno sbeffeggiato la potenza degli Hellsing, mentre ci rendevano inoffensivi» le mani sciupate della donna corsero alle orecchie, tappandole. «L’ho sentito mentre gli perforavano la carne e gli colavano l’argento bollente nelle mani. Ha urlato, Feliciano, ha urlato così tanto che credevo che l’anima stessa gli sarebbe uscita dai polmoni. Poi le grida si sono spente. Tutto si è spento: ho fissato una marionetta, quando lui ha voltato lo sguardo verso di me. Quando gli hanno ordinato di ammazzarmi, l’ha fatto senza battere ciglio.»

Feliciano trasalì a quella confessione, e non riuscì a proferire verbo mentre la giovane continuava:

«E poi gli hanno ordinato di sterminare tutto il suo popolo. Con la musica senza strumento che hai visto anche tu, ha aperto il portale per i demoni. Solo Gilbert è sopravvissuto.»

«Perché mi hai raccontato questa storia?» annaspò Feliciano. Più la donna parlava, più le sue parole stillavano sangue, più lui si sentiva soffocare, come se la sofferenza degli Hellsing lo stesse affogando.

I calli della giovane sfregarono il dorso delicato delle sue mani: Elizabeta lo trattenne così, mentre lo pregava:

«Tu sei il futuro Asse, sei stato eletto per salvare le persone. E ti chiedo di salvare lui.»

«Perché? Ti ha uccisa, e ha ucciso il suo popolo.»

«Perché è troppo crudele che i suoi occhi restino freddi e il suo violino muto. E poi… sono convinta che l’Accordatore non abbia ancora sopraffatto Roderich. Non del tutto» la donna prese fiato e buttò fuori un fiume di parole assieme al respiro: «Quando ha suonato per uccidermi… non stava suonando il violino, ma io l’ho sentita comunque: anche se stava pizzicando corde d’aria, ho sentito la melodia che aveva composto in onore della mia prima battaglia. “Il diamante della guerra”, così l’aveva chiamata. Un titolo piuttosto pomposo, non trovi?» la donna si riscosse, riallacciando il discorso: «Lo hai sentito anche tu: adesso non usa più la musica. Ma con me lo fece. E usò proprio quella canzone. E poi… ha visto Gilbert che faceva ritorno al pianeta, ma non ha ordinato ai demoni di sbranarlo. Gli ha permesso di fuggire. È per quella canzone, per quell’esitazione che io credo ancora in lui» Elizabeta allontanò il boccale di birra, e si stese con il busto e le braccia sul tavolo: «È disumano che una vita debba soccombere al potere. Tu dovresti capirlo meglio di chiunque altro.»

Feliciano si sentì trafiggere al petto. Lui sapeva più che bene cosa significava vedere tutta la propria esistenza scorrere su un binario predefinito dai potenti.

«Come dovrei salvarlo?» chiese.

«Fagli recuperare la memoria.»

«Per quale motivo?» obiettò Feliciano. «Ricorderebbe tutte le cose atroci che ha fatto.»

«Non puoi annullare i suoi poteri senza annullare anche il sortilegio che blocca le sue memorie» rivelò Elizabeta. Un sorriso creato per metà dalla speranza e per metà dalla disperazione fiorì sulle labbra pallide della giovane. «Ricordando, potrà chiedere perdono per quello che ha fatto. E noi Hellsing lo perdoneremo: si odia l’assassino, non il suo pugnale. Così potrà unirsi a noi nei banchetti del Walhalla, un giorno» sprimacciò il volto e forzò un’espressione allegra mentre gorgheggiava: «E poi, non posso più essere lì a dirgli quanto la sua musica sia bella, quanto lui sia importante… ma, se si ricorderà di me, potrò continuare a dirglielo attraverso la memoria. Si ricorderà delle volte in cui gli ho messo il violino in mano a forza, spronandolo a suonare. Si ricorderà delle volte in cui gli ho detto di amarlo. E spero che, quando lo farà, tra le lacrime gli spunterà un sorriso» gli indicò il duetto poco più avanti, dove Gilbert era finalmente riuscito a far sorgere un incurvamento di labbra sul volto del padre adottivo. «Mi piacevano tanto, quei suoi sorriso così rari…»

Feliciano abbassò la testa, schiacciato dal peso dei sentimenti della donna.

«Non posso più essere vicino a lui, anche se lo desidero. Ma vorrei almeno essere la voce che lo consola dalle nebbie del ricordo. Non voglio che sia solo, Feliciano. Un’eco è sempre meglio della solitudine.»

«Lo farò» bisbigliò il ragazzo.

La mano della donna gli sfiorò una guancia, e le sue braccia scivolarono a circondarlo con affetto.

«Non lo dimenticherò, Feliciano» lo coccolò materna.

Lo lasciò andare qualche secondo dopo, quando il legno del palco scricchiolò di nuovo sotto il peso del musicista.

«Ascolta» lo incitò. «Roderich sta per suonare il pezzo di chiusura.»

Feliciano pianse con il cuore, mentre le note dell’ultima sinfonia del suonatore si libravano nell’aria.

“Il diamante della battaglia” risuonò chiaro e nitido nell’aria improvvisamente immobile.

 

***

 

I tacchi degli stivali ametista schioccarono perentori sul ponte della Reina.

Lovino poté udire chiaramente quel suono derisorio: attorno a lui, tutto era immoto. I marinai si erano cristallizzati nelle loro posizioni: perfino le fiamme sulle fiaccole erano fossilizzate. Non un suono, un movimento o un respiro: tutto era immobile come se il tempo si fosse fermato.

Lovino fissò con odio l’uomo di fronte a lui, che ricambiò lo sguardo con disprezzo altero. Reggeva in una mano un metronomo, uno strumento dal ticchettio insopportabile, usato dai musicisti per scandire il tempo durante gli esercizi stilistici; la lancetta di quel metronomo era rigida, muta, come tutta la nave. Con l’altra mano innalzava un diapason, la forcella di metallo impostata in “la” per aiutare durante l’accordatura di uno strumento.

Bastarono quei due elementi, sommati alle stigmate argentee e all’aria inflessibile, per permettere a Lovino di riconoscerlo.

«Ho fermato la vostra ciurma» annunciò l’Accordatore, appoggiando metronomo e diapason a terra; quest’ultimo, inspiegabilmente, riuscì a mantenersi dritto sulla sua estremità tondeggiante, continuando a vibrare. «E bloccato il vostro famiglio diabolico.»

Il giovane si allontanò di un passo; le medaglie sulla sua giubba tintinnarono nell’aria sepolcrale, fissata dal metronomo, e sentì Roma dimenarsi all’interno delle sue scapole, quasi impazzito per l’impossibilità di uscire. Ruotò le spalle, intirizzite dagli sforzi del suo gregario, e rifletté: se il tempo era immobile per qualunque cosa al di fuori di se stesso e dell’Accordatore, probabilmente anche i proiettili si sarebbero fermati a metà strada. Non avrebbe avuto alcun senso tentare di sparare a quell’uomo. 

Senza staccare gli occhi da quel militare in viola, portò una mano al fianco: Gilbert e Antonio lo avevano praticamente forzato ad accettare quella scimitarra, come estrema misura di sicurezza. Si chiedeva perché il destino fosse così accanito contro di loro da trasformare ogni ipotetica situazione di emergenza in realtà.

L’Accordatore non fece attendere la sua mossa: mosse le dita come per pizzicare un’arpa e, sotto il suo tocco, il nulla assunse gradualmente la forma e la consistenza di un lungo fioretto.

Lovino lo scrutò guardingo. Era diverso dagli strumenti che aveva visto in mano ai maestri di scherma: quell’arma assomigliava al fioretto per forma, ma non sembrava studiata per una competizione sportiva. La sua forma affusolata rivelava una lama più dura del diamante, venata di diramazioni violacee; l’elsa che avvolgeva la mano dell’uomo era un intreccio artistico di argento e ametista e, in qualche modo, appariva più pericolosa della lama stessa. Quell’arma emanava un’aura implacabile, la stessa che permeava le asce dei boia.

«Spero non vi offenderete se ho utilizzato questo stratagemma» salmodiò l’uomo, vibrando un colpo nell’aria: la lama guizzò come un airone sul fiume, e tornò fissa e terribile l’istante successivo. «Volevo sfidarvi in duello. Ma sarebbe stato impossibile, con tutta la vostra ciurma intorno.»

Lovino inalberò la spada nello spazio vuoto tra di loro, e accusò:

«Ti manda mio padre, vero?»

«Ciò è irrilevante» dichiarò l’uomo, stendendo il fioretto in direzione del giovane. «In quanto Accordatore, devo sistemare le note stonate della Confederazione. E voi, Lovino Vargas, siete una delle peggiori deviazioni che siano mai esistite». Poi, fu il turno delle spade per fraseggiare.

Lovino ringraziò quei pomeriggi di bonaccia in cui i marinai gli avevano insegnato a impugnare un’arma, e quelle lunghe serate in cui Antonio lo aveva addestrato al lume di candela. Aveva lottato tantissime volte con il capitano, ma erano stai scontri fittizi, al solo scopo di allenarsi; in battaglia, era abituato ad affidarsi a Roma, ai suoi poteri e alle pistole. Tutte cose ridotte a un’inutile inedia dai marchingegni dell’Accordatore.

Parò il primo colpo di fioretto mettendo la spada in orizzontale. Le due lame si scontrarono, e un’onda d’urto sonica si propagò nelle sue ossa, facendole vibrare come la cassa armonica di un organo.

Lovino allontanò il suo avversario con furia per poi afferrarsi il braccio destro con una mano: la carne era quasi lacerata dalle ossa stesse, che si scuotevano come se volessero perforargli la pelle.

«L’ennesima prova che siete una nota stonata, Lovino Vargas» lo riprese con fredda eleganza l’uomo, carezzando con cautela la stigmate a forma di chiave di violino con il dorso dello stiletto. «Non risuonate come un corpo puro.»

Il pirata arretrò, le dita che quasi affondavano nella carne per fermare l’osso danzante. Doveva evitare il contatto diretto con quella lama: era incantata in modo da far riportare danni al nemico anche quando veniva bloccata.

Fece passare la spada nell’altra mano, e le sopracciglia dell’Accordatore si sollevarono, emanando una gelida disapprovazione.

«Mancino. La mano dei malvagi» biasimò.

«Ambidestro» una luce sinistra brillò nel ghigno di Lovino. «Il male dilaga.»

Scartò di lato per evitare l’affondo aggraziato dell’uomo, e si piegò per schivarlo quando ruotò il torso nella sua direzione con la spada spianata. Si mosse a sua volta per cercare di colpire il rivale sul fianco scoperto, ma non fu in grado di prevedere la sua difesa: l’Accordatore piegò le dita davanti alla bocca come se stesse suonando un’ocarina, e fischiò una nota diretta alle sue gambe.

All’improvviso, le tibie del pirata furono percosse da una scarica sonica che minacciò di spezzarle, e Lovino crollò al suolo. Fu abbastanza pronto di riflessi da girare sul dorso e parare davanti a sé la sciabola prima che l’Accordatore affondasse il fioretto nel suo corpo.

Le sue ossa parvero impazzire, dalle falangi alla spalla, sbatacchiando tra di loro come se un tornado le stesse facendo mulinare all’interno dei muscoli. Morse le labbra, mentre un paio di lacrime scintillavano nei suoi occhi e le braccia tremavano per lo sforzo di mantenere la lama salda di fronte a sé.

L’Accordatore aggrottò le sopracciglia, perplesso: un corpo così piccolo non avrebbe dovuto contenere tutta quella rabbia e quella forza. Non dopo che il suo famiglio diabolico era stato bloccato. Premette ulteriormente il fioretto contro la sua sciabola, e lo vide rabbrividire mentre le ossa gli trafiggevano il cervello con fulmini di dolore, ma la sua resistenza non vacillò: il fioretto restò lontano dal suo corpo.

«Per il bene della Confederazione, Lovino Vargas, dovete sparire» ingiunse l’Accordatore.

Gli occhi del ragazzo s’infiammarono di dolore e collera, poco prima che il giovane lo scaraventasse lontano da sé con la forza di una bestia selvatica. L’Accordatore si rialzò con leggiadria, fissando disgustato quel rifiuto di galeone che si sollevava scalcinato, gambe e braccia tremanti, le mani che ancora si aggrappavano all’elsa della spada.

«Allora siamo fortunati» ansò il pirata. «Lovino Vargas è morto, sei anni fa.»

Il ragazzo mosse un passo da ubriaco, rialzando con fatica le spalle e ondeggiando la sciabola davanti a sé.

«Mi dispiace che tu non l’abbia conosciuto. Era un bambino che covava l’assurdo sogno di essere l’orgoglio del Vaticano assieme al fratello» il rancore gli graffiò un ghigno sul viso. «Poi fu abbandonato in un deserto, e quella speranza avvizzì. Lovino Vargas morì qualche giorno dopo, strappandosi con le sue stesse mani il simbolo della famiglia che lo aveva ucciso» dicendo questo, toccò la base del collo: le creste irregolari della cicatrice bianchissima gli sfregarono contro le dita. Il pirata scostò la frangia dagli occhi: due iridi in cui ribolliva una tenacia infernale dardeggiarono turbolente. Il loro fuoco si rinvigorì a ogni frase che il giovane pronunciò:

«Quello che hai davanti è un ragazzo cresciuto senza genitori, allevato dalle battaglie secondo il credo dei pirati, alleato fino alla morte di Antonio Fernandez Carriedo e unico vice comandante della Reina de la Oscuridad» il giovane sollevò di nuovo spada e sguardo contro di lui, uno più affilato dell’altro, e proclamò: «Io sono Lovino Belial, la Mano Sinistra del Diavolo!»

Il giovane innalzò la sciabola verso il cielo, come gli angeli esecutori del giudizio divino nei dipinti sull’Apocalisse; i suoi occhi e la sua voce infuocarono l’aria circostante, gridando:

«E sarò la rivoluzione che scuoterà la Confederazione!»

L’Accordatore gli lanciò uno sguardo impassibile ombreggiato di disprezzo, e pronunciò:

«E per questo dovete essere eliminato.»

Lovino non lo vide arrivare: ebbe solo l’impressione di un bagliore viola alla sua destra, prima che la lama ametista dell’uomo gli trapassasse il fianco. L’Accordatore mosse un passo di lato, estraendo il fioretto ed evitando la spada dell’avversario. Il pirata cadde rumorosamente sulle ginocchia, una mano premuta sulla ferita che stava facendo impazzire i suoi organi interni: i polmoni in spasmo gli impedivano di respirare correttamente, e il cuore in fibrillazione rendeva ombroso e distorto il mondo intorno a lui. Il rombo del sangue gli occupò le orecchie, e la sentenza dell’Accordatore strisciò a fatica attraverso quel frastuono.

«Siete piuttosto arrogante, a dispetto delle vostre discutibili abilità» lo riprese gelido. Il fioretto salì in cielo, pronto a infilzare il collo sussultante del giovane.

La sciabola intercettò il colpo mortale, fermandolo a metà strada: con gli occhi annebbiati da una cupa foschia, le orecchie otturate dalla risacca del sangue e il cuore impegnato a non collassare, Lovino sollevò la sua ultima difesa. L’Accordatore vide quel braccio esausto trasalire sotto la sua forza, ma non lo vide cedere: testardo come il suo padrone.

«Dove… sei… bastardo» ringhiò Lovino, la lama dell’uomo che si avvicinava sempre più alla sua gola.

Ebbero solo il tempo di udire il grido di un rapace, prima che la loro visuale fosse occupata da un turbinio di piume nere. L’Accordatore fu costretto ad abbandonare Lovino, scacciato dalle furiose beccate di un gigantesco corvo.

«E poi dicono che non sono il più grande eroe della Galassia» ghignò una voce poco distante. «Salvato all’ultimo secondo. Pretenderò un premio.»

Lovino riuscì a scacciare la caligine dagli occhi abbastanza da riconoscere una figura dai capelli argentati al suo fianco.

«Gilbert!» lo salutò, felice come non mai di vedere il sogghigno dell’uomo.

«Hellsing» lo riconobbe con tremenda freddezza l’Accordatore. «Dovresti essere a Caina.»

«Golem, ghiaccio e solitudine: quel posto diventa noioso, dopo il primo anno e mezzo» Gilbert accarezzò lentamente l’ala lucida del suo famiglio, mentre sdrammatizzava. «Ho deciso di fare un giro qui intorno.»

Il ghigno gli morì sulle labbra alle parole dell’Accordatore.

«La tua decisione ha avuto forti ripercussioni sull’ultimo Sparviero imprigionato.»

Lovino batté le palpebre, riuscendo finalmente a mettere di nuovo a fuoco il mondo. E la prima cosa che vide fu il volto tirato e livido di Gilbert, come se l’anima fosse evaporata dal corpo.

«Cosa avete fatto a Francis?» sillabò minaccioso, più cupo del suo famiglio.

«Ti interessa questa informazione?»

«Ovviamente.»

«Allora fatti da parte, Hellsing. Devo concludere il mio compito per quanto concerne Lovino Vargas. Se non creerai ulteriori fastidi, ti rivelerò l’informazione che desideri.»

Le parole di Gilbert commossero l’irritabile pirata e scatenarono il ribrezzo dell’altero Accordatore.

«Non ho avuto il piacere di conoscere Lovino Vargas, ma sai una cosa?» l’Hellsing si voltò, spavaldo, e porse una mano al giovane per aiutarlo ad alzarsi. «Anche se fosse stato il miglior ragazzo del mondo, preferisco Lovino Belial. È più adatto a stare con gli Sparvieri.»

Il giovane non fece in tempo a fingere di non essere toccato da quelle parole che Gilbert gli si accostò all’orecchio, bisbigliando:

«Cerca di rompere il diapason, e poi evoca Roma. Quel damerino in viola non è un avversario semplice.»

Si voltò di nuovo, gonfiando il petto nella sua divisa oscura in una posa pomposa.

«Dovari sconfiggermi, prima di poter attaccare questo ragazzo.»

L’Accordatore sospirò, annoiato come chi deve sopportare una vespa fastidiosa.

«Da solo e disarmato non rappresenti nemmeno una sfida degna» si rammaricò.

«Oh. Davvero sembravo solo e disarmato?»

Il ghigno dell’uomo si allargò a dismisura mentre l’ombra di Gilbird si stendeva su di lui; la scimitarra appena forgiata quasi cantò di gioia, uscendo dal fodero.

«Certo, il mio archibugio è ancora sotto i ferri. Ma questa spada è meravigliosa, come me» le fece compiere qualche giro nell’aria per godersi il suono netto della lama affilata. La appoggiò alla spalla con espressione arrogante, e invitò a sé l’Accordatore con il dito indice, flautando: «Vuoi essere il primo a provarla?»

«Quanto tempo sprecato…» soffiò l’uomo, prima di scagliarsi aggraziatamente contro di lui.

Lovino restò per qualche istante immobile, incantato da quel combattimento. Aveva visto molte battaglie, ma nessuna era paragonabile a quella davanti ai suoi occhi: l’Accordatore affondava e schivava come se stesse danzando, quasi annoiato da quel duello; Gilbert, al contrario, attaccava come se in ogni colpo vibrasse la sua stessa vita, lasciando spazio al suo famiglio con una coordinazione spaventosa. Ma ancor di più lo sorprese la tranquillità con cui l’Hellsing parava i colpi del rivale: pareva quasi che le onde soniche non avessero effetto su di lui, che respingeva ogni affondo senza perdere il suo ghigno sardonico. Così come l’Accordatore non scomponeva la sua espressione marmorea mentre ballava su quella musica bellicosa.

Si riscosse quando le due lame si incontrarono in un clangore di metallo, sprizzando scintille. Lovino corse veloce verso il diapason, e afferrò lo strumento. Vide un interrogativo baluginare nelle iridi fredde dell’uomo, quando percepì che il suo strumento era stato infranto da una volgare spada piratesca.

Lovino evocò Roma l’istante successivo, e lo aizzò contro l’Accordatore.

Gilbert si scostò per evitare la belva, e si voltò verso Lovino con un grido di vittoria sulle labbra, ma il pallore del giovane gli strangolò l’entusiasmo in gola. Roma balzò nuovamente al fianco del suo padrone, mentre un regalmente indispettito Accordatore sistemava il suo cappotto violaceo.

Lovino, smarrito e spaventato, indicò l’uomo di fronte a lui, sibilando a Gilbert:

«Non ha ricordi. Non ha emozioni. Non ha nemmeno pensieri. È come se fosse morto!»

L’Hellsing si parò davanti a lui, proteggendolo dall’Accordatore. Lovino inalberò la spada a sua volta, pronto a combattere, Roma che ringhiava al suo fianco e Gilbird che strideva alle sue spalle. I poteri psichici del lupo erano inutili, se quell’uomo non aveva un’anima.

«Mira alle mani, Lovino» bisbigliò Gilbert; le suole dei suoi stivali stridettero sul legno della nave, preparandosi all’assalto. «È l’unico modo per farlo tornare uomo.»

Il giovane non comprese fino in fondo il senso delle parole dell’Hellsing, ma ubbidì comunque: quando l’Accordatore mosse un nuovo affondo verso di loro, scartò di lato e mirò alle sue stigmate. L’uomo ruotò verso di lui, parando il suo colpo; ma quella mossa non gli permise di vedere l’attacco di Gilbert. Preciso e implacabile come era sempre stato con i demoni, l’Hellsing vibrò un tremendo colpo al suo polso: la lama forgiata per trapassare le squame dei diavoli recise pelle, carne e ossa, e la mano mozzata cadde a terra con un rumore flaccido e un violento spruzzo scarlatto.

L’Accordatore si schiantò sulle ginocchia con un urlo disumano, contorcendosi sul moncherino che vomitava sangue. Gilbert scostò Lovino per sottrarlo a quella vista raccapricciante: mille sfumature di dolore e sofferenza distorsero il volto dell’uomo, rendendolo quasi irriconoscibile; gli occhi si strabuzzarono dietro le lenti, e gli occhiali vennero scaraventati lontano dalla violenza con cui l’Accordatore scosse la testa, preda di atroci tormenti.

Il metronomo ricominciò a scandire il tempo, e i marinai, sciolti dall’incantesimo, si trovarono circondati dallo strazio del loro nemico. Alcuni di loro indietreggiarono, altri si sporsero incuriositi, altri ancora si portarono alle spalle del vice comandante, in attesa di ordini.

Quel supplizio durò per il minuto più lungo della loro vita. Quando finalmente il grido dell’uomo si spense in un rantolo svociato e il suo corpo smise di ritorcersi, Gilbert recuperò i suoi occhiali e si chinò su di lui, porgendoglieli.

«Roderich» quando fu chiaro che l’Accordatore non era sufficientemente in sé da rimettere le lenti al loro posto, l’Hellsing stese le stecche e gliele appoggiò delicatamente sulle orecchie. «Roderich» ripeté. «Ricordi a chi appartiene questo nome?»

Gli occhi ametista lo fissarono senza capire, dilatati, terrorizzati; poi, gradualmente, riacquistarono una dimensione normale e una lucidità umana.

«Sono io. È il mio nome» gli chiese aiuto con le iridi vibranti di sconcerto e paura, ed esalò: «Gilbert… dimmi che non l’ho fatto…»

La mano dell’Hellsing si appoggiò sulla sua testa, senza giudicarlo, senza criticarlo.

«Non eri in te. Non è stata colpa tua» mormorò, carezzevole.

Roderich trasalì quando un ruggito di razzi propulsori si gonfiò a lato della nave; Antonio scavalcò il bordo del vascello, e un silenzio teso ed elettrico fu il suo benvenuto.

«Che succede?» tentennò, osservando perplesso Gilbert, Lovino e l’uomo sanguinante ai loro piedi.

Il giovane pirata fu il primo ad avere la forza di muoversi: raggiunse il capitano e gli assestò un poderoso pugno allo stomaco; quando fu piegato in due per il dolore, gli stritolò la testa in un abbraccio rude e ringhiò, i denti che tremavano per trattenere le lacrime:

«Dove diavolo eri, bastardo…»

Antonio poggiò amorevolmente una mano tra le scapole frementi di Lovino, e, in quell’istante, Gilbert sussurrò a Roderich:

«Ricordi cosa stavi dicendo prima su Francis?»

Il volto dell’uomo sbiancò, e non solo per il sangue che continuava a scorrere a fiumi fuori dal suo polso tranciato. La risposta dell’Accordatore non fu più forte di un soffio di vento, ma risuonò comunque chiara e terribile sul ponte dell’Aereonave.

«Quando sei evaso da Caina, è stato deciso che la Confederazione non poteva lasciar scappare un altro Sparviero. Francis Bonnefoy, l’ultimo Marauder, è stato giustiziato il giorno seguente.»

Solo il suono del corpo di Roderich che sveniva sul pavimento insanguinato echeggiò in quel silenzio irreale che aveva ucciso l’animo della Reina de la Oscuridad.

 

 

 

 

 

 

 

Buonasera<3

E in questo capitolo abbiamo parlato dell’Accordatore… nel prossimo, si parlerà del Mago dell’Ovest e del suo passato. E del Marauder 8D

A lunedì<3

Red

   
 
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