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Autore: Eloise_Hawkins    10/12/2013    8 recensioni
La guerra non si è ancora conclusa: mentre Harry Potter cerca disperatamente gli ultimi Horcrux, Voldemort conquista Hogwarts, ora sua roccaforte. La popolazione magica vive nel terrore, nascondendosi in piccoli gruppi e cercando di sopravvivere nonostante le continue incursioni dei Mangiamorte.
In questo clima di terrore e violenza, l’Ordine della Fenice, o almeno ciò che ne rimane, come la creatura da cui prende il nome tenta di risorgere dalle sue ceneri, accogliendo sotto la sua ala protettiva chiunque ne abbia bisogno ma, soprattutto, chiunque sia disposto a combattere.
Hermione Granger milita tra le fila del Bene, prima combattente in ogni battaglia. La sua concentrazione, però, vacilla quando Draco Malfoy, pur avendola riconosciuta nonostante il suo travestimento, la lascia libera di scappare. Perchè? E cosa nasconde lo sguardo grigio di quel ragazzo?
La guerra è ormai alle porte: un'ultima possibilità, una sola speranza, per chi nella vita ha fatto solo scelte sbagliate. E, forse, per chi ha ancora la possibilità di commetterle.
Ispirato a "Espiazione", di Ian McEwan
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Luna Lovegood, Neville Paciock, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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9.

Il prezzo da pagare







 

Quando Gennaio finì, Febbraio cominciò nel silenzio. Di tutte le ore rubate a quell’esistenza sempre uguale, a quella vita fatta di spazi angusti e povertà, condannata al castigo di una luce fallace, quelle che Draco preferiva erano senz’altro quelle passate con Hermione. Tuttavia, da quando aveva deciso di allontanarla, lui, per lei, sembrava aver smesso di esistere. Non era sicuro di aver fatto la scelta giusta, perché la sua mancanza si era fatta ancora più dolorosa, dopo aver conosciuto la sua presenza, e in più gli sembrava di vedere una luce asfittica, quasi ferita, negli occhi della ragazza, quando si azzardava a guardarla, a provocarla, a parlarle. Sentiva il peso della sua decisione premergli nel petto, nel tentativo di stanare quell’amore che gli si era annidato nel cuore e che faceva più male di tutto, eppure non poteva dirsi del tutto pentito. Era una delle poche scelte che Draco aveva preso in totale autonomia, senza spinte esterne e privo di condizionamenti; soprattutto, cosa ancora più importante, era l’unica scelta che aveva preso per altruismo, e non per se stesso com’era solito fare. Era una sensazione nuova, strana e bellissima al tempo stesso, ma pungente e dolorosa come non si sarebbe aspettato. Combattuto tra il desiderio di avvicinarsi a lei e la consapevolezza di doversi mantenere coerente con la sua decisione, Draco continuava a vivere in un purgatorio senza via d’uscita. Talvolta le si avvicinava, apriva la bocca e poi le sbadigliava davanti con sfacciataggine, come se lei fosse un fastidio: l’intenzione era quella di parlarle, perché ne sentiva il bisogno, perché nonostante sapesse di aver fatto la cosa giusta non poteva esimersi dal desiderare quella sbagliata. Qualche volta, invece, le parlava davvero: erano per lo più insulti, offese pungenti e qualche volta persino feroci, perché lei, chiusa nel suo silenzio, sembrava irraggiungibile quanto la fine della guerra.

Draco non lo sapeva ancora, ma stava cominciando a intuire il costo delle decisioni: le scelte prese in totale autonomia, con volontà e per giustizia, non sono mai indolori, e lui lo stava imparando a sua spese, pagando il prezzo che quell’amore gli stava chiedendo.

 

Hermione, dal canto suo, preferiva il vuoto lasciato dall’amarezza della solitudine, piuttosto che la beffa dolorosa che aveva dovuto sopportare fino a quel momento. In fondo, Ginny aveva ragione: perché sopportare offese e insulti da un ragazzino arrogante che aveva a cuore soltanto se stesso? D’altronde, lei non poteva immaginare che l’amica avesse uno sguardo più lungo del suo, e che avesse intuito, per caso o per destino, da lontano, più di quanto non avesse capito lei standogli accanto.

Lo osservava, Hermione, da lontano e di nascosto, segretamente attirata da lui per una motivazione che le rimaneva oscura e che tuttavia la spingeva a stargli lontana. Aveva anche altri pensieri, questo è ovvio, perché la guerra si stringeva attorno a loro con una morsa spettrale e tangibile, e la campana di vetro che avevano costruito, e che li isolava dal mondo esterno, non sarebbe durata in eterno. Lo sapeva bene, lei, che cominciava già a perdere le memorie della vita considerata normale. Quello che c’era prima, la vita precedente alla guerra, sembrava solo un bellissimo sogno: aveva la consistenza eterea e impalpabile di una speranza infranta con il dolore di un risveglio crudele. Ricordava a stento il sole di giugno, la brezza del parco, l’odore di carta e inchiostro, la frustrazione per un brutto voto, l’effluvio dei sotterranei. Erano tutte cose che aveva dimenticato, che le sembrava di non aver mai vissuto. Forse, cercava di convincersi, era per questo che tendeva verso Malfoy con la spasmodica ansia di una scolaretta alle prese con i primi esami: lui era quanto di più vicino alla normalità avesse, quanto di più simile alla vita prima della guerra.

Non sapeva, Hermione, che era un sentimento totalmente diverso a guidarla verso Draco, ma il sospetto aveva già cominciato a crescere in lei, come un albero ingombrante che faceva strisciare le sue radici fastidiose e inarrestabili nel ventre della terra – nel cuore di Hermione. I semi di quella pianta erano terribili e cattivi, sarebbe stato necessario estirparli subito. Invece lei non li riconobbe e li lasciò crescere, permise loro di infestare il suo cuore, trapassandolo con le sue radici. Quando lei cominciò a capirlo, era già troppo tardi per sbarazzarsene.

 

***

 

« Perché non gli parli più? » La voce di Neville era flebile, un sussurro tenue animato da una malizia innocente. Hermione alzò gli occhi su di lui, una limpida sorpresa ad accenderle lo sguardo. Non parlò, ma la sua occhiata perplessa e la piega imbarazzata delle sue labbra spinsero il giovane a specificare, con cautela: « Malfoy ».

La ragazza chinò il capo e si concentrò nuovamente sulle bende di Neville. Le svolse lentamente, con uno zelo che non aveva mai avuto e che aveva l’unico scopo di evitare lo sguardo incuriosito con cui lui la stava trapassando. Non erano occhi avidi, i suoi, né pretenziosi; non la stava giudicando e, lei lo sapeva, non avrebbe preteso più di quanto fosse disposta a dire, eppure Hermione si sentì comunque messa alle strette.

« Lui… » Le sfuggì un sospiro a fior di labbra, camuffato da un fremito che non aveva niente a che vedere con Draco, e tutto con la carne viva che ricopriva il petto di Neville, unica eredità di una Maledizione che aveva rischiato di ucciderlo. « È una persona cattiva » disse alla fine con poca convinzione, le labbra arricciate in una smorfia intristita. Con delicatezza, poggiò le bende pulite sulla ferita, esercitando una pressione lieve e prudente. Sapeva che la sua risposta non era soddisfacente, e neanche lontanamente vicina alla realtà delle cose, eppure non poté esimersi da quel commento.

Neville sospirò, ed Hermione ritrasse la mano, spaventata, temendo di avergli causato dolore con un tocco poco gentile. Lui, però, non diede segno di aver notato quell’esitazione.

« Esiste una rabbia che non ha niente a che vedere con la cattiveria. È il ruggito di chi cerca di nascondere le proprie fragilità »

La mano di Hermione si fermò a pochi centimetri dal torace del ragazzo. Un tremore delicato le correva lungo le dita, mentre una ragnatela scarlatta si allargava sulle bende bianche, disegnando sentieri cremisi sul candore non più immacolato di quel medicamento poco efficace. I suoi occhi, lentamente, si posarono su Neville, percorrendo con una flemma quasi esasperante il bicipite tornito, il profilo della sua spalla, la guancia sfregiata, e infine posandosi dentro le sue pupille, abisso e baratro senza confine. Avrebbe voluto vedere il fondo di quegli occhi, Hermione, percorrere la strada che le si snodava davanti e giungere alla frontiera illesa, superarla e avere una risposta, ma era impossibile trovare la fine, dentro gli occhi di Neville, e per quanto lei la cercasse non riuscì a raggiungerla, pur sapendo che aveva tutto a che fare con quello che lui aveva visto nella testa di Malfoy – sarebbe stato come guardargli dentro, guardare l’anima di Draco e capire.

« Che vuoi dire? » domandò Hermione con un sospiro vuoto, gli occhi spalancati dal dubbio divorante che le cresceva dentro al ritmo del suo cuore. Neville sorrise, e l’enigma del suo sguardo si fece ancora più insondabile. Poi, dietro il velo opaco delle sue risposte, si accese una scintilla di dolore.

« Sai, dovresti… » indicò con un cenno impacciato della mano la sua ferita ancora scoperchiata « Brucia un po’, così » aggiunse con un sospiro timido che nascondeva il fremito di un’intensa sofferenza.

Hermione scosse il capo e si affrettò a ultimare la medicazione. Fuori dalla tenda regnava un silenzio assoluto, spezzato solo dal fischio del vento e alimentato da un silenzio interiore che rumoreggiava come una tempesta. Quando ebbe appuntato anche l’ultima benda, la ragazza rivolse al giovane un sorriso incoraggiante, dopodiché gli porse una pozione e, dopo essersi assicurata che non gli servisse altro, uscì dalla tenda.

L’aria del primo pomeriggio era fresca e pulita, suggeriva memorie di tempi felici e portava lontano le angosce di una guerra che sembrava improvvisamente inesistente. Hermione la respirò a pieni polmoni, la palpebre socchiuse e le gote lievemente arrossate dal freddo. Una pace insperata le si era posata sul cuore. Le parole di Neville le avevano cucito addosso una serenità che le aveva riempito il petto, e una nuova fiducia l’aveva pervasa.

Riaprì gli occhi con un lieve sorriso sul volto, e li posò sulla sagoma lontana di Draco con una sicurezza che non la sorprese, perché in fondo aveva sempre saputo dove cercarlo. Quando gli occhi del giovane si posarono su di lei, con una meraviglia senza misura ma inquinata dalla rabbia e dal timore, lei rimase immobile, accogliendo quello sguardo su di sé senza che una sola domanda le nascesse nel cuore.

Da dove venisse quella pace, Hermione non l’avrebbe capito mai. Ma mentre si avvicinava a lui, cominciava forse a intuire quel dolore maldestro che si rimpiccioliva dentro i suoi occhi mercuriali fin quasi a sparire, per poi esplodere di nuovo, inspiegabilmente, al primo soffio di vento – perché quel vento aveva portato una novità che lui non voleva vedere e che lei non era pronta a ricevere, non ora che una nuova sicurezza le aveva aperto il cuore.

« Hermione »

Era una voce che lei conosceva e che non aveva mai dimenticato. Era una voce che aveva sognato, sperato di udire, esplosa da qualche parte nella sua mente proprio in quel momento, mentre andava con la sicurezza di andare, sapendo dove, sapendo come. Era stato, per un attimo, solo per un istante, una sensazione meravigliosa, come se il suo cuore si fosse schiuso e le avesse indicato un sentiero inequivocabile. Non c’era più vento, non c’era più suono, c’era solo quella sicurezza; ed era bastato un nome – il suo – perché sparisse tutto, risucchiato dal vortice malsano di un ricordo. Era bastata una voce – quella di Ron – a inchiodarla lì, il cuore stranamente pesante e adesso privo di quella certezza, e di nuovo inquinato da una sensazione atroce.

Delusione.

Il sorriso tenue di Ron era esattamente come lo ricordava, una smorfia calda e buffa che aveva il sapore dell’adolescenza e il profumo di casa. Hermione aveva atteso il suo ritorno per anni: da quando era cominciata la guerra, da quando lui e Harry se n’erano andati, non era passato un solo giorno senza che il suo viso tormentasse i suoi sogni e scompigliasse il suo cuore. Per amicizia, amore o senso di colpa, era stato un pensiero fisso da cui non era riuscita a esimersi. Finché non era arrivato Draco.

Se ne rendeva conto solo adesso, Hermione. Adesso, che guardava il viso di Ron Weasley e lo scopriva diverso da come lo ricordava – non erano le rughe, o le cicatrici, né la sporcizia o l’opacità dei suoi capelli. Era la sua memoria che la ingannava, o forse il suo cuore che lo oscurava di una luce diversa – prima era luminoso e ora era spento, Ron.

Aveva smesso di pensare a lui, e l’aveva dimenticato.

Il dolore le schizzò acuto nel cervello, rimbombò fino allo stomaco e si estese nel petto come veleno. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra mentre Ron la stringeva in un abbraccio, fraintendendo la sua esitazione, la sua espressione, il suo dolore. Percepì la sua carezza solo con una parte della sua mente – mani caldi e forti, ruvide eppure dolci. Aveva sempre desiderato quel tocco, ma, improvvisamente Ron la confondeva. Quel ritorno inaspettato la confondeva.

« Sei… sei tornato » balbettò confusa, accarezzando con gli occhi la linea screpolata delle labbra e posandosi, spaesata, dentro l’azzurro delle sue iridi. Lui annuì con un sorriso luminoso avvolgendo il viso di Hermione tra le sue mani e posandole un bacio delicato e casto sulla punta del naso.

Poi, successe tutto troppo in fretta perché lei potesse capire qualcosa: lampi di capelli rossi dappertutto, la voce stridula di Molly, il ghigno di Fred e George, la commozione di Arthur, gli occhiali di Harry, il timore di Ginny, la felicità di tutti, la rabbia di Draco. La rabbia di Draco.

 

***

 

Furono necessarie diverse ore perché all’accampamento tornasse la calma. Il ritorno di Harry e Ron aveva risvegliato un mostro dormiente: la speranza. L’eccitazione che aveva pervaso i cuori dei membri dell’Ordine era esplosa nel momento in cui i due ragazzi avevano messo piede dentro il campo in cui loro si nascondevano. Non sapevano ancora cosa quel ritorno significasse, ma vedere due facce amiche,  e ancor più quella del Bambino Sopravvissuto, era senz’altro un buon segno.

Quando terminarono i saluti, le lacrime e i festeggiamenti, il sole era già tramontato. Molly si era messa ai fornelli con un sorriso luminoso, e Fred e George non ne potevano essere più lieti: il ritorno del fratello, oltre a renderli felici, avrebbe senz’altro riempito i loro stomaci di qualcosa di più gradevole al palato di foglie secche e radici marce.

Ginny era riuscita a superare la sua paura più grande, e ora sorrideva come tutti, tenendo la mano a Harry come se non dovesse lasciarla mai più. Né lui né Ron avevano fatto commenti sulla sua cicatrice, quasi questa non esistesse affatto; solo dopo diverse ore suo fratello gli aveva chiesto, con una semplicità e una serietà disarmanti, chi era il colpevole. Lei l’aveva abbracciato senza rispondere.

Hermione aveva avuto il tempo di capire che la sua confusione era dovuta solo alla sorpresa. Dimenticata la pace che l’aveva conquistata per due meravigliosi, interminabili minuti, era dovuta scendere a patti con se stessa e ammettere che il senso di colpa l’aveva lacerata al punto che il ritorno dei suoi amici l’aveva lasciata delusa e amareggiata più perché non era stata in grado di trovarli e aiutarli, piuttosto che per il fatto che non era felice di vederli.

Cominciò a dubitare di quella nuova sicurezza che si era fatta strada nel suo cuore quando Ron strepitò con una rabbia e un disgusto eccessivi tutta la sua ritrosia.

« Che ci fa lui qui? »

L’allegra caciara che riempiva l’accampamento si spense all’improvviso, lasciando posto a un lieve ronzio imbarazzato. I sorrisi spensierati scemarono, sostituiti da espressioni sorprese o smorfie consapevoli. L’illusione che la guerra non fosse mai cominciata svanì quando Ronald Weasley puntò un dito accusatore contro Draco Malfoy: entrambi si squadrarono, ugualmente guardinghi, ugualmente sfrontati, disgustati allo stesso modo.

L’impacciato silenzio che era esploso, quasi come un ricordo doloroso, senso di colpa mai del tutto sopito, si incollò ai volti dei presenti cristallizzandoli nella vergognosa convinzione che quel ragazzo non doveva trovarsi lì e che la guerra era solo una scusa. I calici, prima levati in onore di Harry e Ron, si abbassarono; i sorrisi scomparvero; le risate ammutolirono e persino la vaga certezza che tutto potesse andare per il meglio venne inghiottita da quell’unica domanda.

« Va tutto bene, Ron. È nostro prigioniero » Hermione, il viso leggermente arrossato dall’imbarazzo, poggiò con delicatezza una mano sulla spalla di Ron, che fissava il biondo in cagnesco. Nessuno dei due sembrava intenzionato ad abbassare gli occhi per primo: più che un gioco, era una sfida. Era passato il tempo dei dispetti fatti per divertimento, delle marachelle giocate per ridere; ora, quel che c’era in gioco era molto più grande, molto più importante. Chinare il capo avrebbe significato farsi vincere, e in quella guerra persino la più piccola sconfitta poteva decidere la sorte delle due parti.

« Non mi sembra di vedere catene » osservò Harry con una limpida sorpresa a irrigidirgli la voce. Con un gesto frettoloso, sfilò gli occhiali, pulì le lenti con un lembo della maglietta e poi li inforcò di nuovo. Sembrava cercare qualcosa – la risposta che gli sfuggiva.

« Le catene di Malfoy sono invisibili, Harry » rispose Neville pacatamente. Gli occhi di tutti si puntarono sul ragazzo. Era pallido, ma nonostante questo la sua figura slanciata e smagrita spiccava livida tra la folla che si era accalcata attorno al fuoco. Lui e Luna erano gli unici che continuavano a sorseggiare con tranquillità la loro zuppa, come se non ci fosse mai stata nessuna interruzione, niente per cui valesse la pena distrarsi dal loro compito.

I presenti – tutti quelli che erano stati dentro il campo abbastanza a lungo da vedere la cattura di Malfoy – corrugarono la fronte, domandandosi segretamente chi e quando aveva imposto quel genere di magia sul prigioniero, quand’era sempre stato chiaro a tutti che la sua posizione privilegiata sarebbe costata la vita a qualcuno.

Harry e Ron, però, fraintendendo totalmente le parole del loro amico, tirarono un lieve sospiro di sollievo. Il primo fece spallucce e rivolse un sorriso alla sua fidanzata; il secondo, dopo un’ultima occhiata truce, grugnì tutta la sua disapprovazione prima di infilarsi nella prima tenda disponibile, offeso da qualcosa di non del tutto chiaro.

 

I festeggiamenti per il ritorno del Bambino Sopravvissuto continuarono tutta la notte, così Hermione non ebbe modo, né tempo, di domandare ai suoi migliori amici quali erano stati i frutti della loro ricerca. Avrebbe desiderato conoscere i dettagli; abbracciarli e domandare loro scusa per essere stata così vigliacca; magari, persino ridere di quella guerra con un sorriso diverso da quella smorfia impregnata di amarezza che aveva dovuto costruire, giorno dopo giorno, senza di loro.

Eppure, l’ombra che le avviluppava il cuore era così greve che non le lasciò spazio per nient’altro che non fosse la ricerca di risposte di tutt’altro tipo.

« Era una frase ambigua, la tua » considerò Hermione a bassa voce, lanciando uno sguardo di sottecchi a Neville. Oltre l’ombra lunga che le ultime fiamme del falò disegnavano sul suo volto, lei intravide un sorriso sghembo.

« Lo so » rispose con un tono leggero, impregnato d’un ironia delicata. La ragazza non poté trattenere un sorriso a fior di labbra, mentre gli scoccava un’occhiata a metà tra il risentito e il divertito.

Sopra di loro, scintillava un cielo ammantato di gelo. Il leggero brusio che aveva animato l’accampamento fino a qualche ora prima si era spento, sostituito dal fischio sottile di un vento implacabile e nero che tuttavia, lì dentro, non li poteva raggiungere. Il tempo vuoto dei loro respiri era scandito solo dal crepitare delle fiamme morenti. Ombre lunghe e dai riflessi aranciati si allungavano sui loro visi, drappeggiando gli zigomi di velati misteri.

« Va meglio? » Hermione indicò con un cenno del capo le bende che fasciavano il petto glabro e bianco del ragazzo, esposto alle intemperie di quella nottata nonostante il freddo pungente. Non era una dimostrazione di superiorità o una prova della sua tempra, ma una semplice necessità dettata dal dolore che un qualsiasi contatto gli provocava.

« Va meglio, grazie »  rispose lui con un sorriso lieve.  « E tu, Hermione, stai bene? » domandò dopo pochi istanti, osservando con cortesia i tratti gentili della ragazza, gli zigomi alti e i ricci convoluti e disordinati che le incorniciavano il viso delicato e fine, e posandosi infine sui suoi occhi, limpidi specchi opachi sui quali le fiamme si riflettevano per poi perdersi oltre baratri che lui poteva solo immaginare ma non carpire.

« Certo. Perché non dovrei? » Hermione tornò alla realtà con un battito casuale di ciglia. Fu un movimento tanto ingenuo e inconsapevole, che strappò a Neville un sorriso capace di mascherare la serietà della sua domanda.

« Da quando Harry e Ron sono tornati sei… » L’esitazione di un attimo gli costò una severa occhiata da parte della ragazza. Il silenzioso avvertimento del suo sguardo, però, non lo esonerò dal rispondere « spenta » concluse in un soffio, a cui fece eco lo sbuffo spazientito di Hermione.

« Ho smesso di colpevolizzarmi per averli abbandonati, quante volte lo dovrò ripetere? » ribadì con esasperata fierezza.

« Non era a questo che mi riferivo » precisò Neville con tono asciutto. Hermione tacque. Nonostante la risposta del ragazzo fosse tanto inaspettata quanto vaga, non ebbe alcuna difficoltà a capire il velato riferimento.

Durante gli anni di guerra, Neville era diventato un confidente prezioso e un amico irrinunciabile. Il loro rapporto si era fatto più saldo, complice la paura e il quotidiano pericolo: era più semplice sopravvivere, avendo qualcuno a cui aggrapparsi. La solitudine, per Hermione, era diventata meno complicata solo grazie a lui: da bestia feroce e sconosciuta si era trasformata in un’alleata quando l’amicizia sincera e disinteressata di Neville l’aveva aiutata a superare i momenti più difficili di quella guerra. Solo allora aveva accettato la mancanza dei suoi migliori amici e aveva smesso di allontanarsi dal mondo per punizione, capendo che l’isolamento poteva divenire pericoloso, quando non stemperato da un sorriso autentico.

Non era perciò sorpresa di sentirlo parlare con quell’insolenza schietta e a tratti persino presuntuosa che solo un amico vero può permettersi di avere.

« Non… non capisco. A cosa ti riferisci allora? » Le palpebre di Hermione tremarono in modo del tutto impercettibile. Se Neville non l’avesse conosciuta così bene, il leggero tremito della sua voce sarebbe passato del tutto inosservato.

« È che… » Il ragazzo trasse un profondo respiro e piantò gli occhi dritti dentro quelli dell’amica. Non era esitazione, né un tentativo di perdere tempo; piuttosto, sembrava stesse cercando di infondere coraggio a se stesso. « Hermione, lo sai che sono dalla tua parte. Sono tuo amico e voglio solo il tuo bene… »

« E allora dì quello che devi dire » lo interruppe la giovane con un tono fin troppo stizzito per indurlo a parlare. Neville la guardò negli occhi con espressione severa, un rimprovero delicato a vibrare tra le ciglia scure. Hermione non abbassò lo sguardo e non arrossì: salda nella sua determinazione, ricambiò il suo sguardo pieno con la curiosa ma cauta aspettativa di un carnefice.

« È che Malfoy… » La sicurezza del suo dire incespicò solo sull’ultima parola, riacquistando stabilità solo dentro quel nome che, invece, fece perdere ogni solidità allo sguardo di Hermione.

« Ti ho già detto come la penso su di lui » scandì lentamente la ragazza, il viso irrigidito in un’espressione fin troppo statica per essere vera. E infatti, dietro le lunghe ciglia nere, Neville vide affacciarsi ombre nere e luci inquiete.

« Sì. E anche io. Ma credevo che avessi cambiato idea » replicò con incertezza, il dubbio a irrigargli la voce.

« Io… » Persino la spessa cortina di buio che aveva invaso l’accampamento da qualche minuto, quando il fuoco, con un ultimo lampo morente, si era spento, non impedì a Neville di osservare il viso dell’amica mentre prendeva rapidamente colore, accendendosi con la violenza di una miccia.

Approfittando di quel momento di esitazione, Neville prese un respiro profondo e, il capo chino come se si vergognasse profondamente di ciò che stava per fare, cominciò a parlare.

« So cosa c’è tra a te e Ron, e capisco che Malfoy… »

« Cosa? Malfoy cosa? » Hermione scattò in piedi, il viso arrossato e i capelli scarmigliati. Nell’oscurità latente, stemperata solo dalla notte stellata che brillava sopra le loro teste, i suoi occhi erano due punte di spillo lucenti. « Pensi che io mi sia preoccupata per lui solo perché avevo bisogno di una distrazione, in attesa del ritorno di Ron? » strillò infervorata, una nota acuta a far da contralto al respiro che le si era spezzato nel petto.

« No » rispose secco Neville, con calma, riportando lo sguardo su di lei « Tutto il contrario ». La serafica calma del ragazzo ammutolì Hermione, che, confusa, si immobilizzò di fronte a lui, in piedi coi pugni chiusi e le pupille dilatate. L’incertezza si fece strada dentro i suoi occhi sino a diventare sentiero distinto e inequivocabile. Una densa nebbia si infittì dentro il suo sguardo, mentre Neville chinava il capo, la fronte corrugata e un lieve rossore sul volto, a testimoniare tutto il suo imbarazzo e la colpevolezza di quell’affermazione. Si rese conto solo in quel momento, con gli occhi di Hermione piantati dentro il petto, a sondare le strade ripide e scoscese dei suoi pensieri, che non si era fermato nel momento giusto, che aveva detto troppo, taciuto poco. Eppure, nonostante la certezza che non aveva alcun diritto di interferire con la vita altrui, né con i sentimenti di Hermione, non aveva potuto esimersi da quel commento.

Il problema fondamentale, era che Neville non aveva mai visto un amore più puro di quello che Draco nutriva per Hermione, ed era del tutto deciso a dare la giusta luce a quel sentimento, perché un’emozione come quella, così intensa e vera, irrimediabile e oscura al tempo stesso, aveva il diritto di vivere.

« Co-come? Che vuoi dire? » balbettò Hermione, immobile di fronte a lui. Sembrava una statua di puro stupore: la statica meraviglia che le intaccava il viso era un accessorio puramente casuale, scolpito per errore da un artista maldestro che l’aveva poi dimenticata lì. Una parte del suo viso era in ombra, ma persino nel buio Neville poteva vedere i suoi occhi brillare di intatta confusione.

« Niente » Il ragazzo si alzò con un leggero sbuffo di dolore. Una smorfia di sofferenza pura gli contrasse il viso pallido, ma ciò non impedì a Hermione di afferrargli il braccio con una presa salda e decisa, per poi guardarlo con una determinazione che lui gli aveva visto addosso troppe volte, e che non gli avrebbe lasciato scampo.

« Neville, che vuoi dire? »

Neville trasse un profondo respiro. Sembrava incapace di rispondere e, al tempo stesso, di andar via e lasciare l’amica senza un responso convincente. Il leggero rossore che gli accendeva le gote, visibile persino nel buio, confermava il crescente imbarazzo che le sue mani, tremule e maldestre, già denunciavano. Non era mai stato bravo a trattare con i sentimenti, e la guerra non l’aveva certo aiutato: la maturità che aveva acquisito era inutile in quel frangente.

« Dico solo che… credo che… che » Una pausa, un’esitazione incauta. Neville trovò il coraggio di scoccare un’occhiata sperduta a Hermione, e si trovò i suoi occhi infuocati e pretenziosi sul volto. « Credo che la distrazione sia stata Ron. In attesa dell’arrivo di… »

Avrebbe dovuto capire dalla luce dei suoi occhi che era arrabbiata. Peggio, che la rabbia le stava esplodendo nel petto e che non avrebbe lasciato spazio al perdono. Sapeva, però, che Hermione non avrebbe accettato scuse né risposte vaghe, e che la verità era l’unica via di salvezza, per sé e, forse, anche per lei.

« Di chi? Di Malfoy? » Il tono della ragazza era severo, ma fermo. « Del ragazzino viziato e arrogante che per anni non ha fatto altro che insultarmi? E che persino adesso, nonostante io sia stata gentile, e premurosa, e attenta, ha continuato a offendermi? Quel bambino che ha bisogno di prevaricare gli altri per sentirsi più forte? Di sminuire gli altri per sentirsi migliore? È questo che pensi? » Neville non riuscì a guardare negli occhi Hermione nemmeno per un istante. Assorbì le sue parole in uno statico silenzio, respirando appena per evitare di spezzare la fragile quiete che continuava a unirli. « Hai dimenticato cosa ha fatto a te? A me? O ad Hagrid, a Harry, a Ron, a Lupin? Alle persone a cui vogliamo bene? »

« Sono parole tue o di Ron? » La inchiodò così, con parole di burro che le si sciolsero addosso e colarono in ogni anfratto del suo essere, lasciandola confusa e imbarazzata. La studentessa più intelligente di tutta Hogwarts rimase senza parole, zittita dall’alunno più maldestro e imbranato che la scuola avesse mai conosciuto. Hermione arrossì violentemente e gli occhi le si riempirono di lacrime: l’imbarazzo che le colorò il viso era lo stesso che le annebbiò lo sguardo, e che esplose dentro di lei con fastidio, quando si rese conto che la vicinanza con il suo migliore amico l’aveva influenzata al punto da cucirle addosso pensieri non suoi. Perché, in ultima analisi, non era del tutto sicura che quello appena descritto fosse proprio Draco Malfoy.

« Se non ti conoscessi, direi che stai dalla sua parte » boccheggiò piano, nemmeno troppo sorpresa di scoprire quella verità, perché sospettata già da tempo.

« Non puoi capire, Hermione. Sei davvero la strega più brillante che io abbia mai conosciuto, ma questo non puoi capirlo » Nonostante tutto, il sorriso di Neville era incoraggiante.

 

***

 

Hermione non se n’era ancora resa conta, ma Draco le aveva scavato dentro una ferita che aveva cominciato a sanguinare e di cui aveva solo un vago sentore. Inconsapevole carnefice, Malfoy le aveva strappato un brandello d’anima, e il vuoto che le aveva lasciato dentro iniziava ad allargarsi come una macchia di petrolio nel mare.

Lo sentiva con una parte di sé che non conosceva ancora, ma che le spezzava il fiato ogni volta che uno sguardo mancato o una parola di nascosto la facevano rabbrividire – di piacere, di paura.

Era passata quasi una settimana da quando Harry e Ron erano tornati. Una settimana d’insperata pace e piacevoli sorprese, di feroce speranza e sorrisi di nascosto. Anche se molti ancora non lo sapevano, la guerra era a un passo dal risolversi: il Bambino Sopravvissuto aveva portato con sé i resti di tre dei sette Horcrux, riducendo a due il numero dei restanti.*

Harry, Ron e Hermione erano diventati più misteriosi nei confronti degli altri membri dell’Ordine, che si domandavano cosa avessero da sussurrare in ogni momento della giornata; eppure, la loro positività e il velato ottimismo che sembrava trasparire dai loro sguardi, aveva contagiato tutti. Tutti, eccetto uno.

 

« Qualcuno deve portargli da mangiare » Molly depositò una ciotola di zuppa calda al centro del tavolo attorno al quale erano riuniti i ragazzi. Mentre Hermione, intercettando con un sorriso la preghiera della donna, si alzava in piedi, Ron scoccò a sua madre un’occhiata torva, arricciando il naso in una smorfia di puro disgusto e ritrosia.

« Vado io » si offrì la ragazza con un tono volutamente neutro, velando con un sospiro stanco e indispettito la leggera premura dei suoi occhi. Ron scattò in piedi ancora prima che lei riuscisse a sfiorare la ciotola, e le afferrò il polso con veemenza.

« No » strepitò, aggrottando la fronte con fare combattivo. « Tu non ti avvicini a quell’avanzo della società » Hermione arrossì delicatamente e rivolse al ragazzo un sorriso leggero, segretamente compiaciuta da quella preoccupata – e preoccupante – gelosia, ma anche infastidita da quell’ordine perentorio che lasciava poco spazio alle sue libertà.

« Oh, allora vai tu, Ronald? » ironizzò Ginny, scoccando al fratello un’occhiata beffarda. Ron inarcò le sopracciglia e spalancò la bocca, oltraggiato da quel sarcasmo pungente.

« Io non ho nessuna intenzione di… » cominciò, indicando il punto in cui si rifugiava Malfoy.

« E va bene, vado io » Harry si alzò con uno sbuffo, afferrò la ciotola e si avviò a grandi passi verso le rive del lago, mettendo così fine alla discussione. Le eco infuriate dei suoi amici, però, lo seguirono per tutta la strada.

« Non capisco perché dovremmo dargli da mangiare! »

« Ron! » Lo strepito di Hermione lo fece sorridere. Era piacevole sentire la sua voce, dopo tanti anni di assenza, e trovarla ancora uguale alla ragazzina che aveva lasciato, nonostante la guerra e i dolori subiti.

« Potrebbe anche procurarselo da solo! Farlo apparire con la magia, dato che ha ancora la bacchetta » Insistette Ron, sottolineando con incredulità quella concessione che, era evidente, riteneva assurda.

« Non può farlo, Ron, è una delle cinque Principali Eccezioni alla Legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Elementi, e tu dovresti saperlo… » Normalità. Quel battibecco era la cosa di più vicino alla normalità che sentisse da due anni a quella parte. Non l’avrebbe mai ammesso davanti a loro, ma gli erano mancati i loro litigi.

« Non si merita di stare qui! Buon cibo e un tetto sicuro sopra la testa? È ciò che vuole, te lo dico io. Si è fatto catturare apposta! »

« Non credo gli piaccia stare qui » La voce di Ginny, poi, era una musica che non aveva mai dimenticato. Anche lei non era cambiata: ancora bellissima, ancora fiera e combattiva, e la cicatrice che le aveva tagliato il volto era solo un delizioso difetto che la rendeva, ai suoi occhi, più coraggiosa e meravigliosa di come la ricordasse. Per lei poteva anche essere un imbarazzo, ma per lui era solo la testimonianza di un amore che non avrebbe mai lasciato spegnere.

Con un sospiro, Harry lasciò che le voci dei suoi amici si spegnessero nella sua testa, e si concentrò sul capo biondo che sormontava le esili spalle che aveva di fronte.

« Malfoy » lo richiamò cautamente, con un tono neutro che sperava risultasse più gentile di quanto non suonasse alle sue orecchie. « Il tuo pranzo » disse, depositando con delicatezza la ciotola vicino a lui.

Il ragazzo si voltò verso di lui, regalandogli il profilo dritto e pallido e lasciando solo intravedere il ghigno strafottente che gli allungava la bocca in una smorfia sghemba.

« Davvero un gesto nobile, Potter » sentenziò ironico, mentre allungava una mano verso la ciotola. Sotto gli occhi non poi così increduli di Harry, versò la zuppa a terra e poi lanciò ai suoi piedi la scodella.

« Non farei tanto lo spiritoso, se fossi in te, Malfoy » disse Harry con tono duro. « C’è un prezzo da pagare per una vita di falsità » Prima di voltargli le spalle, gli regalò un ultimo sguardo inquieto.

Solo quando Harry era ormai lontano, Draco si concesse la pace di un respiro ferito. Davanti agli altri poteva anche fingere che non gli importasse più di nulla, che non avesse paura di niente, ma la verità era che si rendeva conto, ogni giorno di più, che il castello di carte che aveva edificato gli stava crollando addosso, e intorno vedeva solo tempeste nere e feroci da cui non poteva più difendersi. Le fondamenta di argilla su cui aveva fondato le sue convinzioni si erano disfatte al primo tocco di pioggia.

Il sorriso sornione che indossava mascherava alla perfezione le lacrime nascoste che avrebbe voluto versare, ed era uno scudo alla paura: quella che gli impediva di tirare fuori il coraggio, e confessare le sue paure più profonde e i suoi sentimenti più sinceri.

Avrebbe desiderato una vita senza complicazioni, e c’era stato persino un momento in cui aveva pensato di poter ingannare se stesso e creare una realtà degna di tale nome. La verità era che stava pagando solo adesso il prezzo delle sue scelte: allontanato da Hermione proprio quando pensava di poterla avere, ma solo dopo averla sfiorata, aveva infine compreso l’entità delle sue azioni.

D’altronde, come lui, in molti avevano saldato il proprio tributo: Ginny aveva una cicatrice a dimostrarlo. Le ferite di Hermione erano molto più profonde e invisibili, sensi di colpa o dolori che nessuno poteva conoscere, o immaginare. Harry conosceva il sacrificio che lo attendeva, ma continuava ad andare a testa alta verso il suo destino. E Ron non lo sapeva ancora, ma era già troppo tardi per fermare la macchina dell’ingiustizia che aveva appena messo in moto. Non lo sapeva ancora, ma avrebbe pagato quella guerra a un caro prezzo.

 

 

 

 

* Ricordo che gli Horcrux sono sette:

- Il diario di Tom Riddle e l’anello di Orvoloson Gaunt, distrutti rispettivamente al terzo e al sesto anno di Harry (da Harry nella Camera dei Segreti e da Silente)

- Il medaglione di Serpeverde, la coppa di Tassorosso e il diadema di Corvonero sono i tre distrutti a cui mi riferisco nel capitolo.

- Nagini e Harry, gli ultimi rimasti.

 

Mi trovate qui.


 

 

   
 
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