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Autore: AgelessIce    11/12/2013    3 recensioni
Perché quello… quello era un bambino strano.
Non avrei mai pensato che potesse arrivare così in alto, nonostante lo sperassi.
Perché gli volevo bene, ma dovevo essere oggettivo.
Se mai fosse riuscito a conquistare l’armatura, non avrebbe retto al primo scontro.
Isaac invece era una scommessa vinta.
Aveva un temperamento simile a quello di Milo.
Coraggioso ed ostinato. Energico e giusto.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tears of Swan


-Camus POV-
Non è semplice, essere un cavaliere.
Non lo è mai stato, e di sicuro non lo diventerà.
Lo sappiamo tutti, e lo abbiamo accettato da tempo.

È per questo che i maestri devono necessariamente essere severi con i propri allievi.
Bambini strappati alla loro vita e privati dell’infanzia, senza aver modo di obiettare, senza potersi più permettere debolezze.

“Le lacrime non si addicono al volto di un cavaliere.”
Lo ripetevo spesso, questo, a Hyoga.

Lui piangeva, rannicchiato su se stesso, privato del sonno ancora una volta da qualche incubo. O ricordo.
Isaac si alzava, raggiungendo l’amico, e lo abbracciava.
Ed io lo sgridavo sempre, per questo, restando fermo  allo stipite della porta, le braccia incrociate.

Non mi avvicinavo mai di un passo, fissando il russo che sosteneva il mio sguardo.
Nonostante gli occhi cristallini e gonfi, pieni di lacrime che dovrebbero offuscargli la vista, lui sosteneva il mio sguardo.

“Io non voglio diventare un cavaliere, maestro.”
Diceva, con voce spezzata. Però non singhiozzava.

“Solo che quella nave non tornerà su per me. Sono io che devo andare giù. E devo essere forte, per questo. Perché il ghiaccio è spesso, e le correnti sono forti.”
Affermava, sicuro di sé, ed Isaac lo stringeva più forte, ordinandogli di non dire quelle cose.
Ed io mi limitavo a guardarlo con sufficienza, all’epoca.

Perché quello… quello era un bambino strano.
Non avrei mai pensato che potesse arrivare così in alto, nonostante lo sperassi.
Perché gli volevo bene, ma dovevo essere oggettivo.

Se mai fosse riuscito a conquistare l’armatura, non avrebbe retto al primo scontro.

Isaac invece era una scommessa vinta.
Aveva un temperamento simile a quello di Milo.
Coraggioso ed ostinato. Energico e giusto.

Portava a termine tutti gli esercizi a cui lo sottoponevo, con l’entusiasmo di un bambino che si appresta a sperimentare qualche nuovo gioco.
E lui, cavaliere, lo voleva diventare. Più di qualsiasi altra cosa.

Poi è morto.
Travolto dalla corrente gelida del mare Siberiano.
Una pessima morte.
Ed io avrei potuto salvarlo, se solo ci fossi stato.
Però io non c’ero,  e non so nemmeno se è morto affogato, o assiderato.
Oppure, stando al racconto di Hyoga, dissanguato.
Probabilmente per tutte e tre le cose assieme.

E così  la mia scommessa vinta ha perso al gioco.
Perché era coraggioso, ed ostinato, energico e giusto, e non avrebbe mai permesso all’amico di morire per un ricordo ormai passato.

Eravamo rimasti solo in due.
Il maestro intransigente ed il bambino strano.
Io e Hyoga.
E nessun altro.

Non è semplice, allenare dei bambini per renderli cavalieri.
Perché inevitabilmente muoiono. Se non durante l’allenamento, muoiono contro un nemico che non riescono a sopraffare.
E tu avrai passato anni della tua vita a plasmarli, renderli forti, solo per vederli spegnersi contro l’allevo di un maestro migliore.

“Ti avevo ordinato di non rompere quel ghiaccio.”
Mi ascoltava in silenzio. Piangendo anche quella volta.

“Ti avevo ordinato di restare lontano dalle correnti. Lontano dalla nave.”
E la mia voce era atona.
Nonostante volessi uccidere quel ragazzino, la mia voce era atona.

“Visto, dove ti ha portato la tua ossessione per i morti?”
Chiusi gli occhi, per la prima volta incapace di guardare qualcuno senza andare in escandescenza.

“Ne hai aggiunto uno alla schiera.”
E poi lo fissai con rabbia, e lui tremò, lasciandosi sfuggire un singhiozzo.
Però, ancora, sostenne il mio sguardo.

“Complimenti, Hyoga. Hai un nuovo fantasma a tormentarti, ora.”
Sibilai, prima di voltargli le spalle.

Ricordo che lo odiai, in quel momento.
Inutile mentire, fingersi il maestro affettuoso e comprensivo che non sono stato.

Aveva commesso un errore troppo grande perché io potessi semplicemente dimenticarlo.
Non aveva sbagliato un esercizio. Aveva ucciso la mia scommessa.
Aveva ucciso l’allievo che vedevo quasi come un figlio.

Lo odiai e tornai in Grecia, abbandonandolo a sé ed i suoi fantasmi.
Credevo che se si fosse suicidato, cercando di vedere nuovamente il viso della madre, non mi sarebbe interessato.
Mi avrebbero semplicemente affidato nuovi allievi, altri bambini pronti a concorrere per l’armatura del cigno.

“Problemi, Camus?”
Mi accolse così, Milo, tagliandomi la strada a metà del suo tempio.
Sorrideva, e cercava nei miei occhi una scintilla di qualcosa.

Non si è mai arreso, lui.  Ha sempre cercato la minima traccia di emozione, una qualsiasi.
Ha sempre cercato qualcosa che mi rendesse più umano.
Ed era spaventoso. Perché lui era l’unico a trovare quello che cercava.

“Errori. Errori, non problemi.”
La mia voce era piatta, mentre lui mi leggeva dentro. Il mio sguardo era fermo.
Ma lui capì lo stesso, facendosi da parte e lasciandomi passare.

“Cerca di non farne altri, amico.”
Mormorò, prima che io abbandonassi l’ottava.

Fu quella notte, quando per la prima volta da tempo il mio sonno non era stato disturbato dalle grida del russo, che capii appieno quella frase.
Tornai in Siberia nel cuore della notte, senza curarmi più di tanto della tempesta di neve e ghiaccio che infuriava.

E  Hyoga era fermo, seduto scompostamente sul misero tappeto posto davanti al caminetto.
Avvolto in una coperta troppo leggera, fissava lo scoppiettare delle fiamme. Quasi ipnotizzato.

“Mi dispiace, maestro.”
E quando si girò verso di me, dicendomi quella frase, i suoi occhi erano asciutti.
Gonfi ed arrossati, ma asciutti.

“Mi  dispiace, e voglio diventare cavaliere.”
Continuò, ed io sorrisi debolmente, odiandolo ed amandolo come un figlio.

“Non posso liberarmi dei miei spettri, e non posso dimenticarli. Posso impedire che altri si aggiungano alla schiera, però. Posso diventare cavaliere.”


È venuto da me che era un bambino. Un bambino strano che bambino in realtà non lo era più già da un po’.
Si è allenato per anni, crescendo e diventando forte. Sempre costretto però in un limbo tra l’infanzia che non voleva lasciare, nonostante l’avesse già fatto, e l’età adulta che non voleva raggiungere.

Eppure solo in quel momento, che era ormai un giovane ragazzo, diventò davvero mio allievo.
Quella fu la vera origine del cavaliere del cigno che diventerà leggenda.
Quello fu l’inizio del gioco.

“Niente lacrime, allora.”
Ordinai, chiudendomi la porta alle spalle.

“Niente lacrime. Non si addicono al volto di un cavaliere.”
Ripeté lui, con un sorriso triste ad incorniciargli li viso.
 


Salve a tutti!
Ultimamente ho scritto un sacco solo per poi cestinare tutto, così questà è la prima storia che posto da eree geologiche. Spero davvero che non sia pessima :(
 
Grazie per aver letto, alla prossima!


                                                      AgelessIce
 
 
  
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