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Autore: Wave__    11/12/2013    1 recensioni
Janelle Ravenwood, 17 anni, popolare e con una migliore amica che per lei è tutto. Janelle ha sempre avuto tutto nella vita, non s'è mai lamentata. L'unico suo difetto? Nascondere la reale sè stessa.
La sua vita improvvisamente cambia, quando entra a contatto con Ryan Brexton, un ragazzo al quanto misterioso che lavora nella scuola come sostituto dell'allenatore della squadra di football.
Janelle ne resta incantata, eppure qualcosa di ancora più grave sta per abbattersi su di lei.
Tutto inizia con un incubo, che ogni notte non le lascia scampo.
Un incubo con un orrore ben più profondo, con una realtà ancora più spaventosa.
..E' questo quello che accade quando si diventa l'ossessione di qualcosa con un'anima più oscura della notte stessa.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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QUANDO QUALCOSA SI SPEZZA - CAPITOLO 5
 
Più ci pensavo, e più mi sentivo morire. Non ero mai stata trattata in quella maniera. Mai nella mia vita, mai prima d’allora.
Le affermazioni precedenti mi stavano facendo davvero mettere in dubbio ogni cosa. Era la verità? Possibile che non me ne fossi mai neanche accorta?
Possibile che fosse davvero così?
Saltai tutte le successive lezioni rispetto all’ora di chimica, restandomene da sola all’aria aperta, nel parco.
Stephanie ed io ci saremmo viste alla mensa, a pranzo. Né un attimo prima, né un attimo dopo. Tutti erano nelle rispettive aule. Tutte tranne io e.. Il ragazzo che furtivamente mi osservava, fisso. Era lo stesso identico ragazzo che avevo visto quella mattina. Stessi capelli, stessa giacca. Stesso tutto.
Era la stessa persona che poi era sparita in un battito di ciglia.
Ora avevo la prova concreta che, anche al mattino, puntava me.
Ma chi era? Che cosa voleva?
Nonostante la lontananza potevo vedere i suoi occhi scuri, troppo scuri. Scuri forse ancora più della notte.
Odiavo chi mi fissava insistentemente, così, come se nulla fosse.
«Scusa, cerchi qualcuno per caso?», domandai, alzando la voce e alzandomi da terra, stando bene attenta ad ogni mia mossa. Non volevo di certo finire nei guai, o peggio.
“Ti ho trovata, ragazzina.”
La stessa voce. Era lo stesso identico suono di quella che sentivo nel mio sogno costantemente, ripetutamente.
Oddio, stavo diventando paranoica. Non andava bene. Proprio no.
Dovevo smetterla di pensare. Smetterla e basta.
Sbattei le palpebre, voltandomi ed afferrando la borsa da terra, cercando di mettere a tacere quella voce.
“Si, fai bene. Dovresti davvero smetterla di pensare.”
Mi gelai. Com’era possibile una cosa del genere? Com’era possibile che potesse.. Parlarmi nella mente?
Dai andiamo, non era mica un film horror o un film sul paranormale.
Eppure non mi aveva perso di vista un attimo. Avevo indietreggiato senza neanche rendermene conto fino alla corteccia dell’albero, bloccandomi contro con la schiena, respirando profondamente. Il terrore si era impossessato di me.
Quell’uomo, chiunque egli fosse, mi stava terrorizzando.
Il suo sguardo era qualcosa che non avrei mai voluto vedere. Era.. Troppo tutto.
Le mie gambe erano ferme, il petto che si alzava e s’abbassava a ritmo sconnesso.
«Chi sei? Che cosa vuoi, da me?»
Come avevo fatto a parlare, non ne avevo idea.
Mi ritrovai una frazione di secondo dopo con gli occhi del giovane puntati nei miei.
Com’era possibile che si fosse spostato così rapidamente?
Dovevo avere le allucinazioni, sicuro.
«Per adesso il nome non ha importanza, bambolina. Posso essere chiunque tu voglia che io sia. Cosa voglio.. Lo scoprirai. Non ora, comunque. Sarò il tuo peggiore incubo.»
Il suo sorriso beffardo, pieno d’odio. Sentii l’ansia salirmi nel petto, il cuore battere decisamente troppo veloce. Probabilmente smisi anche di respirare.
«Nessuno deve sapere che io sia in città. Nessuno deve cercarmi. Non ora.» 
Una pausa sorda, una paura battente nel mio corpo. Non ne avevo mai avuta così tanta, prima d’allora. I suoi occhi ne incutevano ancora maggiormente. Avevo ragione.
Erano ancora più scuri dell’oscurità stessa. 
Com’era possibile avere certi occhi? Come?
Deglutii, incapace di dire altro.
«Dimentica di avermi incontrato. L’unica cosa che devi tenere a mente, solamente una cosa. “Tutto cambierà.”»
Sbattei le palpebre, guardandomi attorno.
Perché mi ero alzata? Avevo un mal di testa allucinante. Che cosa era successo?
Era come se avessi un vuoto. Una frase però ci martellava.
“Tutto cambierà”. Ma che cosa avrebbe dovuto cambiare, poi?
Poco ma sicuro era tutta colpa del mio ricorrente incubo.
Alzai gli occhi al cielo un istante, prima di afferrare il cellulare per controllare l’orario. Diamine, era già quasi la una.
Scossi la testa, ripetutamente, scacciando qualsiasi cosa ingombrasse il mio cervello.
Solamente due ore, dovevo resistere in quel luogo solamente centoventi minuti.
Volevo andare a casa, stare da sola, parlare con Matt che, sicuramente, aveva già saputo l’accaduto con Amanda e, come sempre, mi avrebbe fatto la predica per ciò che avevo fatto. Si, pensandoci forse avevo un tantino esagerato.
Avevo cercato Charlotte, prima di entrare nella mensa, inutilmente. Dov’era, quando avevo bisogno di lei? Quando dovevo parlarle? Maledizione!
Red mi aspettava all’entrata e, quando mi vide, fece un piccolo sorriso.
«Hai per caso visto Charl.. Ah vero, tu non l’hai ancora conosciuta.»
Alzai le spalle, smettendo di guardarmi attorno. Tanto non era lì. Sembrava volatilizzata nel nulla.
Ci eravamo da poco sedute ad un tavolo libero, quando la visita improvvisa di Matt, mi fece restare perplessa. Gli era per caso successo qualcosa? Non veniva mai in mensa a parlarmi, se non per qualcosa di grave. Mi preoccupai.
«Fratellino, che ci fai qui? E’ successo per caso qualcosa? Stai bene?»
Ansia. Tanta immensa ansia. Perché quella sensazione che mi attanagliava le viscere? Io non ero mai ansiosa.
«Lei comunque è Stephanie Rinaldi, è arrivata da poco dall’Italia.»
Mio fratello la guardò come se fosse poco importante. Come se non la vedesse neppure. Con freddezza allucinante, rispose d’essere mio fratello.
Che gli succedeva? Afferrò una sedia e la tirò indietro, sedendosi, posando i gomiti sul tavolo, fissando me.
«Hai per caso visto Amanda?»
Sgranai gli occhi. Per poco non mi andò di traverso il pezzo di pesca che stavo mangiando. Stava scherzando, vero?
«Amanda?! Scusa ma chi è? Io non conosco nessuna con quel nome.»
Dovevano smetterla di nominarmela. Soprattutto quel giorno.
«Smettila di fare la cretina, Ever. Amanda Fox. So che cosa le hai fatto. Lo sa tutta la scuola, se la cosa ti rallegra.»
Ed eccolo lì, quello sguardo che tanto odiavo vedere negli occhi di mio fratello. Non poteva semplicemente farsi gli affari suoi, anche lui?
No, ovviamente no! Doveva intromettersi in faccende che non lo riguardavano.
«Smettila di guardarmi con quell’espressione accusatoria, okay? Inoltre, è colpa sua, se l’è cercata. Da un lato, per lo meno.»
«Amanda non ti ha fatto niente. Non oggi, almeno. Aveva semplicemente chiesto se avessi visto il suo quaderno. E tu l’hai maltrattata. Davanti a tutti.»
Blah, blah, blah. Quante inutili parole. Roteai gli occhi, sbuffando.
«Da quando in qua sei amico di quelle che fanno parte delle basse classi sociali dello Yellow Stone College, Matt?»
Alzai un sopracciglio, assottigliando il tono della voce. Odiavo chiamarlo Matt. Non lo facevo quasi mai. Il suo nome era utilizzato solamente quando mi faceva infuriare e, quello, era uno di quei momenti.
«Credo che stia dalla parte di Barbie.», commentò Red, che folgorai con lo sguardo.
«Smettila, Red, per favore. Non è il momento.»
«Ti voglio parlare in privato.»
«Dopo.» scandii la parola per fargli capire che in quel momento, quel luogo, non era il posto adatto ove farlo.
«Smettila di fare la ragazzina, Ever. Alzati e vieni con me.» aveva alzato il tono di voce, d’improvviso, e ora alcuni si erano girati a guardarci.
Dio, una seconda discussione nella giornata. No, ti prego.
Poi, da quando in qua mio fratello era diventato così testardo? Se dicevo una cosa, era quella. La risposta non cambiava, nonostante la sua insistenza.
«Abbassa la voce, Matt Ravenwood.»
«Oh! Perché mai dovrei farlo? Rendiamo tutta la scuola partecipe del battibecco tra i fratelli Ravenwood, forza!»
La voglia di picchiare una mano sul tavolo era tanta, eppure la trattenni.
Stavo perdendo nuovamente la calma e non era un bene. Mi conoscevo.
Troppo.
«Smettila Matt. Ti stai mettendo in ridicolo per una cavolata. Te possiamo riparlare?»
«Adesso, in privato.»
«Ti ho già risposto. Dopo.»
I miei occhi si chiusero a fessura, senza staccarli dalla sua figura. Maledizione, perché non capiva? Cocciuto fino alla fine.
«Ha ragione Amanda, sai? Sei solo una ragazzina viziata che pensa solo alla sua immagine, alla sua popolarità, a quello che gli altri pensino di lei. Complimenti, Ever. Anche tu ti sei mostrata per quello che realmente sei.»
Lo guardai, sbarrando gli occhi. Restai impassibile. Nessuna risposta era fuoriuscita dalle mie labbra, troppo shoccata per dire o fare qualcosa.
Non mi mossi dal mio posto, dal tavolo. Tentai la tattica dell’indifferenza, ma non funzionò, non in quel caso.
Si alzò, spingendo con forza la sedia sotto al tavolo.
«Charlie ti ha cambiata, in tutti questi anni. E non te ne sei mai neanche resa conto. Sei diventata sua immagine e somiglianza. Oh, e dato che siete così amiche, noto con piacere che non ti ha neanche detto che oggi sarebbe uscita prima, anche se è solamente il primo giorno dell’anno, per li.»
La mano di Red strinse la mia sotto al tavolo, facendomi intendere di restare calma, e soprattutto lucida.
«Charlie è la mia migliore amica e tu non hai il diritto di giudicarla. Non la conosci neppure.»
Mi alzai dalla panca, sulla quale ero seduta a finire il mio pranzo; pranzo ovviamente interrotto e che non mi andava neanche più. Lo fronteggiai.
«Ah, si? Altrimenti? Mi fai cadere davanti a tutti, umiliandomi? Vuoi anche un applauso, Janelle?»
Sentivo la rabbia vivida dentro di me, mi sentivo scoppiare come un palloncino a cui è stata inserita troppa aria. Perché anche Matt adesso mi odiava?
Cosa avevo fatto per istigarlo? Non lo sapevo.
«Ne parliamo a casa, Matt. Adesso vai.»
«No! Io non sono uno dei tuoi tirapiedi. Io non faccio quello che dice Miss Popolarità! Io faccio quello che mi dice il mio cervello. Io voglio essere solamente me stesso, non voglio essere quello che gli altri vogliano che io sia.»
Quelle parole furono per me il colpo di grazia. Una pugnalata profonda, conficcata con tanta forza e violenza che mi sentii cedere.
«E’ così allora che mi vedi? Come un burattino comandato e costruito per compiacere gli altri?»
Matt mi vedeva come una specie di strega cattiva quando io lo amavo così tanto. Lui era tutto, per me. Era fondamentale per la mia vita e, più volte, lo avevo dimostrato. Adesso avevo alzato anche io la voce, che altro potevo fare?
«Proprio così, Jan. Non sembri neanche più te. Sei diversa, sei cambiata! Fai la stronza con tutti. Mi dici che cosa è successo, per un cambiamento così radicale?»
«Matt, sono la stessa Ever di sempre, diamine!»
Mi portai una mano tra i capelli, tirandoli indietro, in un gesto abituale e di puro nervosismo.
«Non sei la stessa. Non te ne rendi neanche conto. Sei così cambiata che non ti vedi quanto Ever di ora sia un falso di quella vera. Tu sei migliore di così, sorellina.»
«Cosa devo fare per dimostrarti che non sono cambiata nei tuoi confronti?»
Ed ecco che, come sempre, le persone non potevano starsene alla larga. Alcuni in piedi, alcuni voltati ad osservare la discussione.
Due in un giorno. Wow, avevo battuto ogni record.
«Quando capirai davvero chi sei, sai dove trovarmi. Adesso tolgo il disturbo.»
Le parole di mio fratello risuonarono ancora una volta, acide.
Potevo sopportare tutto, ma non quello. Era qualcosa più forte di me.
«Stai pure qui tu, Matt. Sono io quella che se ne va.»
Nuovamente presi la borsa, senza guardare nessuno. Neanche Stephanie.
Ero comunque sicura del fatto che nessuno si aspettasse che io lasciassi la stanza.
Lanciai un’occhiataccia alla mia amica, che avevo intuito volermi seguire.
Scossi la testa, facendole capire che volevo restare da sola.
La calca di studenti si spezzò al mio passaggio, guardandomi passare mentre mi dirigevo verso l’uscita. Non riuscii più a trattenermi.
Stavo iniziando ad odiare tutti quegli sguardi.
«Embé? Che diamine avete da stare li impalati a guardare? Non avete nient’altro da fare nella vita?» sbottai quelle parole senza accorgermene, allargando le braccia, notando successivamente in un angolo colei che aveva sicuramente parlato con Matt.
Amanda. Feci un applauso in sua direzione, folgorandola.
«Vivissimi complimenti, Amanda. Se volevi farmela pagare, hai trovato proprio il modo sbagliato per farlo. Non ti prenderai mio fratello. Ricordalo.»
Non le diedi neanche il tempo di rispondere, uscendo furiosa.
Talmente nervosa, spaesata, andai a scontrarmi con un ragazzo.
Occhi color del ghiaccio.
L’unico dettaglio che riuscii ad intravedere. Non chiesi neanche scusa. Ero troppo scossa, per tutto quello che era successo nell’arco di neanche dieci minuti.
Ma quanti nuovi non c’erano, in quel benedetto College?!
Avrei fatto bene a starmene a casa, quel giorno.
Troppe stranezze per una giornata sola.
“Tutto cambierà.”
Perché continuavo a pensare a quelle due schifosissime parole? Era come se mi si fossero attanagliate addosso, senza lasciarmi scampo.
Occhi indiscreti mi notarono, capirono al volo che ero sola.
Non era mia abitudine girare per i corridoi senza qualcuno affianco.
Quella volta era diverso. Avevo lasciato la sala mensa dopo una discussione.
Non era da me. Non era da Janelle Ravenwood.
  
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